Sul sito dell’Istituto
Superiore di Scienze Religiose “Rufino di Concordia” in
Portogruaro si spiega come da circa sette anni esista in
loco un’iniziativa denominata Incontri ecclesiali di
impegno civile e politico, costituita da «una trentina di
persone tra laici e preti», peraltro «approvata ed
incoraggiata dal Vescovo».
Il Quaderno n.4 di tali Incontri, interamente dedicato a
Unioni omosessuali, matrimonio e famiglia, giudica
«praticabile ed accettabile» il riconoscimento giuridico
delle cosiddette “nozze gay”, qualora ci si preoccupi di
disciplinarle «non già in virtù dell’omosessualità della
coppia, ma dei diritti e dei doveri cui dà origine una
relazione stabile». Nega che le si possa definire
matrimonio, ma alla fine questo è più un fatto linguistico
che altro, non sussistendo con esso nei fatti e nella
sostanza differenza alcuna, accettando che «sia possibile
per le coppie omosessuali prevedere un riconoscimento
legale come forma di unione stabile, con riconoscimento di
diritti e di doveri». Acrobazie lessicali da giocolieri o
illusionisti…
Il Quaderno propone poi una riedizione del sessantottino
amore universale e purchessia, indulge in bizantinismi ed
in raffronti internazionali sulle norme, definisce un
«pregio» che la «gender theory» abbia «sottratto
l’identità sessuale alla “sola natura”», ritiene che il
riconoscimento delle unioni gay sia «giustificabile da
parte del politico cattolico», in quanto «confacente al
bene comune», «alla promozione di un legame socialmente
rilevante» ed all’«equilibrio in un contesto pluralista in
cui potersi riconoscere»: ciò, secondo gli estensori dello
scritto, non metterebbe «in discussione il valore, la
specificità e la centralità della famiglia quale società
naturale fondata sul matrimonio». La realtà mostra il
contrario.
Da un punto di vista meramente civile e non confessionale,
la Costituzione Italiana nella sua Parte Prima al Titolo
II riconosce la famiglia, ma a determinate condizioni
(artt. 29-30): assegnando cioè esplicitamente ai
«genitori», quindi a chi sia in grado di generare ovvero
un uomo ed una donna, il «dovere e diritto» di «mantenere,
istruire ed educare i figli». Si vede cioè nella stabilità
della famiglia la condizione indispensabile, per dare un
futuro alla Nazione. Tutto ciò è semplicemente impossibile
ed impraticabile per un’unione omosessuale, che, in quanto
tale, è sterile, come comprova il fatto di dover ricorrere
a metodi artificiali per poter avere figli, in realtà non
biologicamente propri della coppia.
Né tale unione è strutturalmente in grado di garantire
un’istruzione ed un’educazione adeguata ai principi
enunciati dalla Costituzione, proponendo già in sé un
modello deviante e fuorviante rispetto al concetto di
famiglia sancito dal testo base, su cui si fonda, sino a
prova contraria, lo Stato Italiano. Non corrisponde quindi
assolutamente al «bene comune», né può dirsi «socialmente
rilevante». Introdurre simili istituti nella nostra
legislazione porrebbe in discussione le fondamenta della
Nazione, sconvolgerebbe valore, specificità e centralità
della famiglia, comprometterebbe il tessuto sociale
nazionale, disintegrandolo.
Ma il Quaderno in oggetto, non può esser dimenticato, non
nasce in un contesto “laico”, bensì in un contesto
espressamente ecclesiale. E questo comporta ben altre
implicanze. Come può un documento, elaborato in un
contesto che tira esplicitamente in ballo il Vescovo
locale e scritto da un organismo, che afferma di volersi
rifare al Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa,
andare contro lo stesso Compendio, laddove specifica la
famiglia essere «l’intima comunione di vita e d’amore
coniugale fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna»
(cap. V, n. 211), riconoscendo l’importanza della sua
«funzione procreativa» (n. 214)? Quello stesso Compendio
contrasta e combatte le teorie dell’“identità di genere”
(n. 224), definendo «l’identità sessuale indisponibile».
Quello stesso Compendio svela la «falsa concezione» alla
base delle «unioni di fatto» (n. 227) e nega
esplicitamente qualsiasi possibilità di riconoscimento
delle «unioni omosessuali», bollando questa come una
«pretesa incongrua» non potendo generare e mancando della
complementarietà tra i coniugi (n. 228) ed anzi spiegando
come non si possano legittimare «comportamenti non
conformi alla legge morale», con «grave detrimento» di
quel bene comune, che viceversa gli estensori del Quaderno
ritengono tutelato.
Quello stesso Compendio nega alla società e allo Stato la
facoltà «di disporre del legame matrimoniale, con il quale
i due sposi si promettono fedeltà, assistenza ed
accoglienza dei figli» (n. 216). Specificando, con ampie
citazioni dal Catechismo, dal Magistero e dalle varie
Congregazioni come questo corrisponda realmente al sentire
della Chiesa di sempre. Ma, evidentemente, non al sentire
della Chiesa di Portogruaro.
Da qui alcune domande, inevitabili: perché il Vescovo, che
– come dice il sito – patrocina tale organismo, non è
intervenuto a fronte della sua evidente deriva? Quanti
altri casi simili vi sono nella Chiesa, accolti nel
silenzio delle autorità chiamate a sorvegliare ed a
preservare la retta dottrina, vescovi in primis, eppure
spesso tolleranti, quando non addirittura concordi?
Preoccupa e spaventa, inoltre, come ancora una volta il
Gruppo di Impegno citi le parole di Papa Francesco, per
giustificare le proprie posizioni culturali ed ecclesiali:
v’è in merito da fare una seria riflessione circa
l’opportunità di chiarire quanto chiaribile e di evitare
l’evitabile. Per secoli, i pontefici non hanno rilasciato
interviste, impegnati a ribadire la Verità di Cristo coi
propri atti di Magistero, anziché sulle prime pagine dei
giornali. Evidentemente avevano le loro ragioni… (Mauro
Faverzani)
Da
Corrispondenzaromana.it - 22 gennaio 2014 |