Templari di San Bernardo
Congregazione laicale cattolico-cavalleresca di ispirazione templare
 
 
 
  La fede dei Templari
 

A PROPOSITO DI SIMBOLI E DI RITI 

Dopo il periodo durante il quale parlare di "simbolo" sembrava quasi si stesse parlando di "paganesimo", è sorta, quasi per contraccolpo, la moda dell'uso corrente e indiscriminato dei termini "simbolo", "simbolico", "simboleggiare", etc. Come si fosse trattato di un processo capziosamente sottile col quale prima si è denigrato il concetto di simbolo, poi lo si è ridotto a poco o niente, ed infine lo si è invertito: cosí che non ci si capisce piú niente, visto che l'accezione assunta da questo termine può significare tutto e il contrario di tutto. Non a caso oggi è facile incontrare scritti che parlano di Cristo, simbolo delle cose piú diverse, e scritti che parlano del simbolo di Cristo come di una aberrazione "gnostica", peraltro entrambi totalmente dimentichi, non diciamo delle Epistole di San Paolo, ma perfino dei Vangeli. 
Di fatto si è verificato, per il simbolo, quello che è già accaduto per tanti altri concetti tradizionali: sono stati talmente volgarizzati, talmente profanizzati e banalizzati, da essere ridotti ad un semplice guscio da riempire, volta per volta, col contenuto che fa piú comodo. Non si arriva infatti perfino a parlare di "corrente simbolica" letteraria, per dire che la tal poesia, per esempio, non significa niente? 

Cœli enarrant gloriam Dei, si diceva una volta. Altri tempi, in cui si pensava, scioccamente, che l'universo intero fosse un simbolo vivente e tangibile della Gloria di Dio! 
Tuttavia, per chi, impenitente, consideri ancora il sole del mattino come un simbolo sensibile della Onnipotenza e dello Splendore di Dio, qualche problemino si pone. 

Se le cose sono un simbolo della realtà divina, lo sono perché rappresentano in modo visibile l'invisibile, vale a dire perché esprimono con la loro realtà sensibile l'unica e totale realtà, la Realtà divina. Ciò significa che vi è una Realtà vera e una realtà illusoria? Non è esatto, poiché una realtà illusoria è, per definizione, una non-realtà. 
La realtà non può essere che una e una sola: Dio, e al di fuori di questa realtà non v'è proprio nulla. Tutto è Dio e Dio è tutto. Se non fosse che espressioni siffatte potrebbero indurre a pensare che Dio è identico alla polvere che tocco con le mani: è il rischio del panteismo; al quale spesso si contrappone un altro rischio, quello di supporre che essendo Dio la sola e vera Realtà, il mondo sia per ciò stesso irreale: il che non solo è falso, ma si scontra talmente con le nostre capacità sensibili che si può finire col capovolgere la questione e rigettare Dio nell'irreale per considerare il mondo come il solo reale. Il che è già bellamente accaduto, anzi è sotto i nostri occhi. 
È in questo ginepraio di questioni mal poste che si colloca la semplicità degli insegnamenti tradizionali, secondo i quali "Dio è in terra, in cielo e in ogni luogo"; insegnamenti che, purtroppo, sono a tal punto negletti da apparire agli occhi di certi moderni sapienti come delle puerilità. Eppure sta scritto: Se non diverrete come bambini non entrerete nel Regno dei Cieli. Ma questo è un altro discorso. 
 

Quando si dice allora che l'Unica Realtà è Dio, Realtà Invisibile, si intende dire, implicitamente, che ogni altra realtà sensibile è espressione di Dio, è un simbolo del divino, simbolo che a sua volta è, a suo modo, altrettanto reale, e lo è essenzialmente poiché trae tutta la sua realtà relativa dalla stessa Realtà Assoluta che simboleggia. Il che significa, in parole povere, che il simbolo, lungi dall'essere una sorta di divagazione mentale o di impressione psicologica o un qualsiasi modo di dire, è invece qualcosa di profondamente reale che, per la sua realtà relativa, rende tangibile la stessa Realtà Assoluta, sia pure entro i limiti della sua relatività, che è poi la relatività che contraddistingue la nostra condizione umana. Significa altresí che il simbolo, lungi dall'essere una sorta di creazione umana, un parto della fantasia dell'uomo o una necessità della propria limitatezza di comprensione, è invece una diretta emanazione di Dio: è la stessa creazione che simboleggia Dio, talché l'uomo, che è il centro della creazione, è il piú significativo del simboli di Dio nel creato: l'uomo, fatto a Sua immagine e somiglianza. È questo che permette di affermare che il Cristo, vero Dio e vero Uomo, nuovo Adamo, Uomo Perfetto, è il Simbolo per eccellenza. 
Ogni altra idea del simbolo, che prescindesse da questa diretta derivazione da Dio, non potrebbe essere altro che una fatua elucubrazione tristemente umana. 
Ora, perché una cosa possa essere vista realmente come un simbolo è necessario che si abbia la disposizione giusta, si sia cioé in condizioni ottimali dal punto di vista psichico, razionale ed intellettuale, in una parola è necessario che si sia "ben orientati". Il che significa che il nostro sguardo, il nostro animo e il nostro spirito debbono volgersi dalla parte di Dio, poiché cogliere la realtà del simbolo significa cogliere in esso la realtà divina, e la realtà divina non può essere colta con gli occhi dell'uomo, ma con gli occhi di Dio: Dio solo può vedere Sé stesso; noi possiamo vedere in Dio e per Dio. Ne consegue che l'uomo decaduto, senza l'aiuto della grazia, non può ben orientarsi e quindi non può vedere in una cosa ciò che essa in realtà simboleggia. È necessario, altresí, che il simbolo venga compreso in tutta la sua realtà relativa, senza limitarsi a qualcuno o ad alcuni degli aspetti possibili di questa sua realtà; è nella pienezza del suo essere ciò che è che la tal cosa simboleggia un aspetto della Realtà Totale; è nell'armonia complessiva della sua intera realtà che si riflette e si esprime l'Armonia della sua Causa prima; cosí come è nell'armonia complessiva del Creato che risuona la Gloria di Dio. 
Intendiamo dire che quando, per esempio, si guarda all'acqua del battesimo, se ci si limitasse a vedere in essa solo l'elemento lustrale, come quando ci si lavano le mani e, quindi, "per estensione", solo un elemento significante la purificazione materiale, si commetterebbe l'errore di vedere nell'acqua solo una piccola parte della sua intera realtà, tale che non potrebbe essere in grado di simboleggiare la Realtà Totale, per quanto le attiene. Cosí facendo, infatti, si potrebbe ancor meglio usare dell'acqua saponata, sicuramente piú efficace per togliere lo sporco. Solo che non si tratta di "pulire" alcunché, o quanto meno non si tratta "solo" di "lavare dal peccato", bensí si tratta di utilizzare un supporto idoneo a servire da "rigeneratore" dello stato umano decaduto, supporto che può essere costituito solo dall'acqua nella sua integrità, simbolo vivente e tangibile delle Acque primordiali con la cui separazione Dio originò il creato. Si potrebbe anche dire, con eguale correttezza, che l'acqua è il simbolo necessario del rito di "rigenerazione", non perché essa viene usata per "pulire", ma perché è il reale riflesso terreno dell'elemento ultraterreno che Dio ha usato per "generare" il mondo; il che significa che l'acqua trae tutta la sua ragion d'essere materiale e tangibile e quindi tutta la sua ragion d'essere simbolica da quella stessa acqua che Dio volle e separò nell'avvio della creazione. 

Certo qualcuno si stupirà se facciamo notare che la logica ed inevitabile conseguenza di quanto abbiamo appena detto è che l'acqua serve per "pulire", e di fatto è l'elemento piú efficace in tal senso come a maggior ragione è l'elemento base della sopravvivenza, proprio perché questa sua realtà materiale è direttamente derivata dalla superiore realtà dell'acqua primordiale generatrice. Con buona pace di tutte le elucubrazioni psicanalitiche e similari che suppongono esattamente il contrario. 
Lo stesso discorso che abbiamo fatto per l'acqua, lo si potrebbe fare per qualunque altro degli elementi simbolici utilizzati nei riti. Per il sale, per esempio, o per l'olio o ancora per il vino. Anzi, nel farlo per quest'ultimo si potrebbero considerare molti fattori che aiuterebbero a capire il significato reale del simbolo del vino e dei suoi nessi stretti col simbolo del sangue. Ma siamo costretti dallo spazio del presente articolo a limitarci a questo breve cenno, non tralasciando di far notare come anche in questo caso, anzi soprattutto in questo caso, il discorso dell'integrità del simbolo acquisti una valenza di maggiore esigenza, se non si vuole mettere in discussione la stessa efficacia del rito dell'Eucaristia. 
Ma, la grazia, dono gratuito di Dio, viene da lui elargita principalmente per mezzo dei sacramenti, cioè per mezzo dei riti, da Lui stesso istituiti, che sono i veicoli efficaci della grazia stessa. È stato detto che il rito è un'azione conforme all'ordine, cioè un'azione umana predisposta da Dio per la restaurazione dell'ordine da Lui voluto nelle cose, in particolare per la vita ordinata che l'uomo deve condurre per ritornare a Dio. È stato anche detto che i riti si sostanziano dei simboli, tanto che si può dire che un rito è un simbolo "agito". È questo che fa capire come il rito centrale del Cristianesimo, e cioè la Santa Eucarestia, sia l'"azione" perenne di Nostro Signore per la nostra Redenzione. Non si tratta, come è ormai in uso credere, di una qualche "cerimonia", piú o meno sentita o vissuta, in "onore" di Nostro Signore o in "memoria" di Nostro Signore, reverentemente conservata e rinnovata per "devozione" e per "rispetto", e dove è possibile, in forza del fatto che lo "Spirito soffia dove vuole", che si manifesti la grazia santificante, magari sulla base dei nostri "meriti". No. Si tratta invece della perfetta esecuzione di un'azione appositamente predisposta e voluta da Dio, per mezzo della quale Egli si compiace di elargire gratuitamente la Sua Grazia nei confronti di coloro che "guardano e vedono" e che "sentono e odono", cioè di coloro che, pur anche non comprendendo razionalmente, "sanno", per il dono della fede, che il gesto, la parola, la cosa sono conformi alla volontà di Dio e che, quindi, sono segni efficaci della Sua Grazia. Detto questo, è facile comprendere come l'uso del termine "simbolo" possa e debba essere ben legittimo, anche perché il simbolo è la sostanza stessa del rito. 
Occorre solo precisare che, come il simbolo va inteso nella sua integrità, cioè nella sua totale ed intera realtà terrena, condizione perché simboleggi veramente per l'uomo la Realtà Totale, cosí il rito va "agito" anch'esso nella sua integrità. Integrità che, è del tutto evidente, è strettamente connessa alla sua efficacia. Quando diciamo che il rito consiste nel "mettere in azione" i simboli, ci riferiamo ovviamente a tutti i simboli che costituiscono l'insieme del rito stesso, e cioè alle cose, alla materia, alle specie, ma anche ai gesti, alle parole, alla voce, e a tutto quanto concorre a fare di quel rito ciò che esso dev'essere e non altro. Tutti questi elementi, infatti, non sono altro che altrettanti simboli, che logicamente compongono a loro volta un simbolo ulteriore, rappresentato dall'insieme del rito stesso. Ciò comporta che l'esecuzione del rito, il compimento dell'Officio, richieda necessariamente lo stesso svolgimento ordinato che è implicito nel termine stesso: il rito è l'insieme dei simboli "ordinati" da Dio e a Dio "ordinati", fedelmente "proposti" dall'uomo vocato alla bisogna e da Dio "disposti" per la loro efficacia: quello il gesto, con quella mano, quella la parola, con quella voce, quella la materia, con quella forma, quello il suono, con quel tono, etc. Il che non significa affatto che si debba inevitabilmente scadere nella minuziosità formale, in quello che è stato spesso chiamato il "rubricalismo", però, e a maggior ragione, non si possono neanche dare per superflui, perché accecati da una sopraggiunta incomprensione, tanti di quegli elementi necessari cosí accuratamente conservatisi per secoli, e non a caso. 
Si potrebbe obiettare che a fronte delle eventuali mancanze dell'uomo, alla disordinata esecuzione del rito potrebbe supplire l'intervento della grazia. Una eventualità del genere può solo basarsi sulle esigenze sentimentali di qualcuno, non certo sulla conoscenza reale del significato dei simboli e dei riti, anzi, supporre che la grazia possa supplire alle manchevolezze del rito, significa considerare la grazia della stessa natura dei simboli, come dire che il simbolo e il simboleggiato sono la stessa cosa: è in questo che consiste il panteismo e l'idolatria! Se i sacramenti sono "segni efficaci" della grazia, è chiaro che lo sono indipendentemente dalla grazia, altrimenti non ci sarebbe bisogno di sacramenti; ne deriva che per continuare ad essere "segni efficaci" essi devono mantenere la loro integrità, perché diversamente sarebbero "inefficaci", non sarebbero cioè idonei a fungere da supporto per la discesa della grazia. Né sarebbe ammissibile che a fronte della manchevolezza del rito si ponesse la buona volontà dell'officiante, o la sua personale integrità, poiché non è l'officiante che compie il rito, ma è il rito che nella sua completezza si compie da sé, o, per meglio dire, "è compiuto" dall'Unico vero Sacerdote Eterno, quella volta per tutte le volte. È questo che la Chiesa intende quando dice che l'efficacia dei sacramenti si ha ex opere operato. D'altronde è facile comprendere come la natura dei "segni" della grazia non possa che essere diversa dalla natura della grazia stessa, cosí che sia corretto parlare dei «"segni" della grazia»; ne consegue inevitabilmente che un difetto nella natura del rito non potrebbe essere colmato con qualcosa di altra natura, foss'anche la grazia, perché se cosí fosse, si negherebbe alla grazia la sua trascendenza e la si considererebbe alla stregua di una qualunque altra cosa immanente. 

CC

Scudetto della Congregazione T.S.B.

 

 

   

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