A PROPOSITO DI SIMBOLI E DI RITI
Dopo
il periodo durante il quale parlare di "simbolo" sembrava
quasi si stesse parlando di "paganesimo", è sorta, quasi
per contraccolpo, la moda dell'uso corrente e
indiscriminato dei termini "simbolo", "simbolico",
"simboleggiare", etc. Come si fosse trattato di un
processo capziosamente sottile col quale prima si è
denigrato il concetto di simbolo, poi lo si è ridotto a
poco o niente, ed infine lo si è invertito: cosí che non
ci si capisce piú niente, visto che l'accezione assunta da
questo termine può significare tutto e il contrario di
tutto. Non a caso oggi è facile incontrare scritti che
parlano di Cristo, simbolo delle cose piú diverse, e
scritti che parlano del simbolo di Cristo come di una
aberrazione "gnostica", peraltro entrambi totalmente
dimentichi, non diciamo delle Epistole di San Paolo, ma
perfino dei Vangeli.
Di fatto si è verificato, per il simbolo, quello che è già
accaduto per tanti altri concetti tradizionali: sono stati
talmente volgarizzati, talmente profanizzati e
banalizzati, da essere ridotti ad un semplice guscio da
riempire, volta per volta, col contenuto che fa piú
comodo. Non si arriva infatti perfino a parlare di
"corrente simbolica" letteraria, per dire che la tal
poesia, per esempio, non significa niente?
Cœli enarrant gloriam Dei, si diceva una volta.
Altri tempi, in cui si pensava, scioccamente, che
l'universo intero fosse un simbolo vivente e tangibile
della Gloria di Dio!
Tuttavia, per chi, impenitente, consideri ancora il sole
del mattino come un simbolo sensibile della Onnipotenza e
dello Splendore di Dio, qualche problemino si pone.
Se
le cose sono un simbolo della realtà divina, lo sono
perché rappresentano in modo visibile l'invisibile, vale a
dire perché esprimono con la loro realtà sensibile l'unica
e totale realtà, la Realtà divina. Ciò significa che vi è
una Realtà vera e una realtà illusoria? Non è esatto,
poiché una realtà illusoria è, per definizione, una
non-realtà.
La realtà non può essere che una e una sola: Dio, e al di
fuori di questa realtà non v'è proprio nulla. Tutto è Dio
e Dio è tutto. Se non fosse che espressioni siffatte
potrebbero indurre a pensare che Dio è identico alla
polvere che tocco con le mani: è il rischio del panteismo;
al quale spesso si contrappone un altro rischio, quello di
supporre che essendo Dio la sola e vera Realtà, il mondo
sia per ciò stesso irreale: il che non solo è falso, ma si
scontra talmente con le nostre capacità sensibili che si
può finire col capovolgere la questione e rigettare Dio
nell'irreale per considerare il mondo come il solo reale.
Il che è già bellamente accaduto, anzi è sotto i nostri
occhi.
È in questo ginepraio di questioni mal poste che si
colloca la semplicità degli insegnamenti tradizionali,
secondo i quali "Dio è in terra, in cielo e in ogni
luogo"; insegnamenti che, purtroppo, sono a tal
punto negletti da apparire agli occhi di certi moderni
sapienti come delle puerilità. Eppure sta scritto:
Se non diverrete come bambini non entrerete nel Regno dei
Cieli. Ma questo è un altro discorso.
Quando si dice allora che l'Unica Realtà è Dio, Realtà
Invisibile, si intende dire, implicitamente, che ogni
altra realtà sensibile è espressione di Dio, è un simbolo
del divino, simbolo che a sua volta è, a suo modo,
altrettanto reale, e lo è essenzialmente poiché trae tutta
la sua realtà relativa dalla stessa Realtà Assoluta che
simboleggia. Il che significa, in parole povere, che il
simbolo, lungi dall'essere una sorta di divagazione
mentale o di impressione psicologica o un qualsiasi modo
di dire, è invece qualcosa di profondamente reale che, per
la sua realtà relativa, rende tangibile la stessa Realtà
Assoluta, sia pure entro i limiti della sua relatività,
che è poi la relatività che contraddistingue la nostra
condizione umana. Significa altresí che il simbolo, lungi
dall'essere una sorta di creazione umana, un parto della
fantasia dell'uomo o una necessità della propria
limitatezza di comprensione, è invece una diretta
emanazione di Dio: è la stessa creazione che simboleggia
Dio, talché l'uomo, che è il centro della creazione, è il
piú significativo del simboli di Dio nel creato:
l'uomo, fatto a Sua immagine e somiglianza. È
questo che permette di affermare che il Cristo, vero Dio e
vero Uomo, nuovo Adamo, Uomo Perfetto, è il Simbolo per
eccellenza.
Ogni altra idea del simbolo, che prescindesse da questa
diretta derivazione da Dio, non potrebbe essere altro che
una fatua elucubrazione tristemente umana.
Ora, perché una cosa possa essere vista realmente come un
simbolo è necessario che si abbia la disposizione giusta,
si sia cioé in condizioni ottimali dal punto di vista
psichico, razionale ed intellettuale, in una parola è
necessario che si sia "ben orientati". Il che significa
che il nostro sguardo, il nostro animo e il nostro spirito
debbono volgersi dalla parte di Dio, poiché cogliere la
realtà del simbolo significa cogliere in esso la realtà
divina, e la realtà divina non può essere colta con gli
occhi dell'uomo, ma con gli occhi di Dio: Dio solo può
vedere Sé stesso; noi possiamo vedere in Dio e per Dio. Ne
consegue che l'uomo decaduto, senza l'aiuto della grazia,
non può ben orientarsi e quindi non può vedere in una cosa
ciò che essa in realtà simboleggia. È necessario, altresí,
che il simbolo venga compreso in tutta la sua realtà
relativa, senza limitarsi a qualcuno o ad alcuni degli
aspetti possibili di questa sua realtà; è nella pienezza
del suo essere ciò che è che la tal cosa simboleggia un
aspetto della Realtà Totale; è nell'armonia complessiva
della sua intera realtà che si riflette e si esprime
l'Armonia della sua Causa prima; cosí come è nell'armonia
complessiva del Creato che risuona la Gloria di Dio.
Intendiamo dire che quando, per esempio, si guarda
all'acqua del battesimo, se ci si limitasse a vedere in
essa solo l'elemento lustrale, come quando ci si lavano le
mani e, quindi, "per estensione", solo un elemento
significante la purificazione materiale, si commetterebbe
l'errore di vedere nell'acqua solo una piccola parte della
sua intera realtà, tale che non potrebbe essere in grado
di simboleggiare la Realtà Totale, per quanto le attiene.
Cosí facendo, infatti, si potrebbe ancor meglio usare
dell'acqua saponata, sicuramente piú efficace per togliere
lo sporco. Solo che non si tratta di "pulire" alcunché, o
quanto meno non si tratta "solo" di "lavare dal peccato",
bensí si tratta di utilizzare un supporto idoneo a servire
da "rigeneratore" dello stato umano decaduto, supporto che
può essere costituito solo dall'acqua nella sua integrità,
simbolo vivente e tangibile delle Acque primordiali con la
cui separazione Dio originò il creato. Si potrebbe anche
dire, con eguale correttezza, che l'acqua è il simbolo
necessario del rito di "rigenerazione", non perché essa
viene usata per "pulire", ma perché è il reale riflesso
terreno dell'elemento ultraterreno che Dio ha usato per
"generare" il mondo; il che significa che l'acqua trae
tutta la sua ragion d'essere materiale e tangibile e
quindi tutta la sua ragion d'essere simbolica da quella
stessa acqua che Dio volle e separò nell'avvio della
creazione.
Certo qualcuno si stupirà se facciamo notare che la logica
ed inevitabile conseguenza di quanto abbiamo appena detto
è che l'acqua serve per "pulire", e di fatto è l'elemento
piú efficace in tal senso come a maggior ragione è
l'elemento base della sopravvivenza, proprio perché questa
sua realtà materiale è direttamente derivata dalla
superiore realtà dell'acqua primordiale generatrice. Con
buona pace di tutte le elucubrazioni psicanalitiche e
similari che suppongono esattamente il contrario.
Lo stesso discorso che abbiamo fatto per l'acqua, lo si
potrebbe fare per qualunque altro degli elementi simbolici
utilizzati nei riti. Per il sale, per esempio, o per
l'olio o ancora per il vino. Anzi, nel farlo per
quest'ultimo si potrebbero considerare molti fattori che
aiuterebbero a capire il significato reale del simbolo del
vino e dei suoi nessi stretti col simbolo del sangue. Ma
siamo costretti dallo spazio del presente articolo a
limitarci a questo breve cenno, non tralasciando di far
notare come anche in questo caso, anzi soprattutto in
questo caso, il discorso dell'integrità del simbolo
acquisti una valenza di maggiore esigenza, se non si vuole
mettere in discussione la stessa efficacia del rito
dell'Eucaristia.
Ma, la grazia, dono gratuito di Dio, viene da lui elargita
principalmente per mezzo dei sacramenti, cioè per mezzo
dei riti, da Lui stesso istituiti, che sono i veicoli
efficaci della grazia stessa. È stato detto che il rito è
un'azione conforme all'ordine, cioè un'azione umana
predisposta da Dio per la restaurazione dell'ordine da Lui
voluto nelle cose, in particolare per la vita ordinata che
l'uomo deve condurre per ritornare a Dio. È stato anche
detto che i riti si sostanziano dei simboli, tanto che si
può dire che un rito è un simbolo "agito". È questo che fa
capire come il rito centrale del Cristianesimo, e cioè la
Santa Eucarestia, sia l'"azione" perenne di Nostro Signore
per la nostra Redenzione. Non si tratta, come è ormai in
uso credere, di una qualche "cerimonia", piú o meno
sentita o vissuta, in "onore" di Nostro Signore o in
"memoria" di Nostro Signore, reverentemente conservata e
rinnovata per "devozione" e per "rispetto", e dove è
possibile, in forza del fatto che lo "Spirito soffia dove
vuole", che si manifesti la grazia santificante, magari
sulla base dei nostri "meriti". No. Si tratta invece della
perfetta esecuzione di un'azione appositamente predisposta
e voluta da Dio, per mezzo della quale Egli si compiace di
elargire gratuitamente la Sua Grazia nei confronti di
coloro che "guardano e vedono" e che "sentono e odono",
cioè di coloro che, pur anche non comprendendo
razionalmente, "sanno", per il dono della fede, che il
gesto, la parola, la cosa sono conformi alla volontà di
Dio e che, quindi, sono segni efficaci della Sua Grazia.
Detto questo, è facile comprendere come l'uso del termine
"simbolo" possa e debba essere ben legittimo, anche perché
il simbolo è la sostanza stessa del rito.
Occorre solo precisare che, come il simbolo va inteso
nella sua integrità, cioè nella sua totale ed intera
realtà terrena, condizione perché simboleggi veramente per
l'uomo la Realtà Totale, cosí il rito va "agito" anch'esso
nella sua integrità. Integrità che, è del tutto evidente,
è strettamente connessa alla sua efficacia. Quando diciamo
che il rito consiste nel "mettere in azione" i simboli, ci
riferiamo ovviamente a tutti i simboli che costituiscono
l'insieme del rito stesso, e cioè alle cose, alla materia,
alle specie, ma anche ai gesti, alle parole, alla voce, e
a tutto quanto concorre a fare di quel rito ciò che esso
dev'essere e non altro. Tutti questi elementi, infatti,
non sono altro che altrettanti simboli, che logicamente
compongono a loro volta un simbolo ulteriore,
rappresentato dall'insieme del rito stesso. Ciò comporta
che l'esecuzione del rito, il compimento dell'Officio,
richieda necessariamente lo stesso svolgimento ordinato
che è implicito nel termine stesso: il rito è l'insieme
dei simboli "ordinati" da Dio e a Dio "ordinati",
fedelmente "proposti" dall'uomo vocato alla bisogna e da
Dio "disposti" per la loro efficacia: quello il gesto, con
quella mano, quella la parola, con quella voce, quella la
materia, con quella forma, quello il suono, con quel tono,
etc. Il che non significa affatto che si debba
inevitabilmente scadere nella minuziosità formale, in
quello che è stato spesso chiamato il "rubricalismo",
però, e a maggior ragione, non si possono neanche dare per
superflui, perché accecati da una sopraggiunta
incomprensione, tanti di quegli elementi necessari cosí
accuratamente conservatisi per secoli, e non a caso.
Si potrebbe obiettare che a fronte delle eventuali
mancanze dell'uomo, alla disordinata esecuzione del rito
potrebbe supplire l'intervento della grazia. Una
eventualità del genere può solo basarsi sulle esigenze
sentimentali di qualcuno, non certo sulla conoscenza reale
del significato dei simboli e dei riti, anzi, supporre che
la grazia possa supplire alle manchevolezze del rito,
significa considerare la grazia della stessa natura dei
simboli, come dire che il simbolo e il simboleggiato sono
la stessa cosa: è in questo che consiste il panteismo e
l'idolatria! Se i sacramenti sono "segni efficaci" della
grazia, è chiaro che lo sono indipendentemente dalla
grazia, altrimenti non ci sarebbe bisogno di sacramenti;
ne deriva che per continuare ad essere "segni efficaci"
essi devono mantenere la loro integrità, perché
diversamente sarebbero "inefficaci", non sarebbero cioè
idonei a fungere da supporto per la discesa della grazia.
Né sarebbe ammissibile che a fronte della manchevolezza
del rito si ponesse la buona volontà dell'officiante, o la
sua personale integrità, poiché non è l'officiante che
compie il rito, ma è il rito che nella sua completezza si
compie da sé, o, per meglio dire, "è compiuto" dall'Unico
vero Sacerdote Eterno, quella volta per tutte le volte. È
questo che la Chiesa intende quando dice che l'efficacia
dei sacramenti si ha ex opere operato.
D'altronde è facile comprendere come la natura dei "segni"
della grazia non possa che essere diversa dalla natura
della grazia stessa, cosí che sia corretto parlare dei
«"segni" della grazia»; ne consegue inevitabilmente che un
difetto nella natura del rito non potrebbe essere colmato
con qualcosa di altra natura, foss'anche la grazia, perché
se cosí fosse, si negherebbe alla grazia la sua
trascendenza e la si considererebbe alla stregua di una
qualunque altra cosa immanente.
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