Essere atei è da persone
intelligenti e
ragionevoli?
Gli
ateisti italiani dell’UAAR
insieme alla Federazione
Umanista Europea si sono
dati appuntamento a Genova
per il prossimo mese di
maggio per un convegno
internazionale denominato
“ in un mondo senza Dio” a
cui parteciperanno i più
famosi atei nostrani come
Piergiorgio Odifreddi,
Paolo Flores d’Arcais,
Margherita Hack e Giulio
Giorello. Ma perché a Dio
non tutti ci credono? Di
motivi in realtà per
credere in Dio ce ne sono.
Perché dunque c’è chi li
rifiuta? Credere in Dio
non è come credere
nell’esistenza
dell’Australia e dell’Oceania:
è più difficile pur
avendone motivi più forti.
Significa accettare un
Essere Superiore da cui
si dipende. E’ un problema
in cui entrano di mezzo
sentimenti, ambiente in
cui si è vissuti,
carattere, reazione contro
costrizioni patite da
superiori umani o contro
disgrazie e sofferenze di
cui non si capisce il
perché (in quanto non si
ha chiaro lo scopo della
vita) e tante altre
delicate faccende intime e
personali di questo
genere. Inoltre quando si
tratta di accettare ...
... qualcosa che porta
conseguenze esistenziali
assai impegnative, la
verità può essere lampante
come il sole e ciò
nonostante venire respinta
perché ci rompe le
scatole. Non è questione
solo di logica ma anche di
atteggiamento morale. Lo
vediamo in politica, nei
processi, nei litigi per
motivi di interesse. Anche
gente che non è poi così
malvagia, anzi segue una
certa onestà naturale,
davanti a questo problema,
da cui dipende il senso o
il non-senso della vita,
si barcamena, si tira
indietro, fa orecchi da
mercante, fa di tutto per
lasciare la questione in
sospeso.
Hanno paura di poter
incontrare “Qualcuno” che
si occupi in modo indebito
e oppressivo dei loro
affari privati e venga a
rovinare i piani di vita
che essi si sono
costruiti. Però bisogna
precisare che i veri atei
(quelli che stanno
nettamente per il no) sono
oggi nel ventunesimo
secolo, nonostante tutto,
un fenomeno estremamente
raro. Ci vuole troppo
sforzo per distorcere
tutti i fatti a favore
dell’esistenza di Dio. La
grande maggioranza degli
scienziati, secondo
recenti statistiche, è
credente. Parecchi anzi
furono di una religiosità
assai superiore alla media
normale (es. Cauchy,
Volta, Ampère, Pasteur, Le
Verrie, Farady, Cuvier,
Mendel, ecc.). Offro una
rapidissima carrellata di
frasi di molti celebri
scienziati che erano tutti
credenti in Dio:
“L’uomo che non ammette
Dio è un pazzo” (Newton).
“Poca scienza allontana da
Dio, molta scienza
avvicina a Lui” (Bacon).
“Nelle mie scoperte
scientifiche ho appreso
più col concorso della
divina grazia che coi
telescopi” (Galileo).
“Sono cristiano con
Copernico, Descartes,
Newton, Leibniz, Pascal,
Euclero, Gerdil, con tutti
i grandi fisici del secolo
passato”. E se mi
chiedessero le mie ragioni
sarei felice di esporle” (Cauchy).
“Il
Dio eterno, il Dio
immenso, sapientissimo,
onnipotente, è passato
davanti a me. Io non l’ho
veduto in volto, ma ho
studiato le tracce del suo
passaggio nelle creature”
(Linneo).
“Le
leggi di natura esprimono
la volontà di Dio” (Lamarck).
“La
nozione e il rispetto di
Dio giungono al mio
spirito attraverso vie
così sicure come quelle
che ci conducono alle
verità d’ordine fisico”
(Faraday).
“L’esistenza di Dio è
provata con certezza
matematica” (Hirn).
“Lavora perché è tuo
dovere, ma con una mano
sola, perché l’altra deve
essere impiegata per
servire Dio” (Ampéere).
“Dio, non lo credo, ma lo
vedo”. (Fabre).
“La
scienza ci costringe ad
ammettere una Forza
intelligente, che ha
creato e che governa
l’universo” (Lord Kelvin).
“Lungi dall’essermi
sentito impacciato dalla
mia fede religiosa, vi ho
trovato un appoggio
prezioso per i miei
lavori” (De Lapparent).
“Sono un uomo che ammira
tutti gli ingegneri del
mondo e che ha profonda
ammirazione per il più
grande di tutti, Dio”
(Edison).
“La
mia vita è stato un
deserto finché non ho
conosciuto Dio” (Alexis
Carrel, Premio Nobel).
“Non
sento il bisogno di
perdere il tempo a
confutare la pretesa che
le convinzioni religiose,
a cui sono rimasti fedeli
un Newton, un Faraday, un
Maxwell, siano
incompatibili con lo
spirito scientifico” (Rayleigh,
Premio Novel).
“La
fede in Dio per tutta la
vita mi ha aiutato a non
disperare di fronte alle
grandi difficoltà della
ricerca. La soluzione –
pensavo – verrà certamente
trovata perché Dio è
sottile, ma non è mai
malizioso” (Einstein).
“Nell’evoluzione
progressiva degli esseri
viventi è necessario
ammettere un architetto
dotato di intelligenza” (Lecomte
de Nouy).
“Solo la rivelazione di
Dio risponde ai
formidabili interrogativi
dell’animo umano”
(Francesco Saveri).
“Sono in corrispondenza
coi direttori degli
Osservatori Astronomici di
tutto il mondo e posso
dire che tutta questa
gente crede in Dio” (Moreix).
“In
tante avversità della
vita, Dio è stato il mio
unico sollievo” (Marconi).
“senza la luce della
dottrina di Cristo i
problemi fondamentali
dell’uomo sono insolubili”
(Nicola Pende).
“C’è
ancora qualcuno che parla
di materialismo della
scienza? La scienza
preferisce unirsi al
Salmista di millenni fa
quando proclamava: I cieli
dichiarano la gloria di
Dio” (Millikan, Premio
Nobel).
Dopo
più di 50 anni trascorsi a
confutare filosoficamente
l’esistenza di Dio, con la
pubblicazione di più di 30
opere in merito, A. Flew,
recentemente scomparso, a
partire dall’anno 2004,
all’età di 81 anni,
annunciava pubblicamente,
in articoli e interviste,
di aver cambiato idea e di
ritenere invece
l’esistenza di Dio
filosoficamente
plausibile. Il suo ultimo
libro mostra come egli sia
giunto a questo
sorprendente risultato,
anzitutto smentendo le
ipotesi più maligne, che
vedrebbero nell’età
avanzata e nel progressivo
declino senile della sua
intelligenza, unita alla
paura della morte
imminente, la vera causa
del suo “voltafaccia”.- Il
filosofo inglese presenta
invece questo suo
cambiamento come il
coerente punto di arrivo
di un processo di ricerca
filosofica, volta a
chiarire la possibile
verità e verifica delle
affermazioni religiose.
Dopo un lungo e articolato
dialogo con autori e opere
sul versante teista, egli
giunge a riconoscere la
validità di alcune
problematiche filosofiche
fondamentali che la scelta
atea non era in grado di
giustificare.
Tre
punti, in particolare,
dello studio dell’universo
mostrano, secondo Flew, la
traccia di
un’Intelligenza. Anzitutto
l’enorme complessità
presente in una struttura
infinitamente piccola,
come il DNA, che rende
possibile la vita, una
complessità che mostra
un’Intelligenza all’opera:
“Ritengo che la vita e la
riproduzione abbiano
origine da una Fonte
divina, perché la natura
obbedisce a delle leggi”.
Le altre due problematiche
riguardano le
caratteristiche peculiari
della vita, il fatto che
gli esseri viventi siano
organizzati in maniera
intelligente e in vista di
uno scopo; la terza è
l’esistenza stessa della
natura.
Il
caso e la probabilità,
spesso invocate come
spiegazioni alternative,
si mostrano impotenti di
fronte alla complessità,
che non solo è superiore
alla mente umana, ma si
manifesta con costanza e
regolarità. Dopo aver
mostrato le ricerche di G.
Schroeder circa
l’impossibilità di
ottenere per caso un
sonetto di Shakespeare
(“Non si realizzerà mai un
sonetto per caso.
L’universo dovrebbe essere
più grande di 10°°°
volte”), Flew commenta:
“Se il teorema non
funziona per un solo
sonetto, allora, di c
erto, è semplicemente
assurdo suggerire che la
più elaborata impresa
dell’origine della vita
possa essere stata
realizzata per caso”. A
ciò Flew aggiunge anche la
considerazione degli
argomenti filosofici,
spesso ignorati dall’uomo
di scienza, di fronte a
questioni come la
consapevolezza, il
pensiero, l’affetto: “ Se
noi siamo centri di
coscienza e di pensiero in
grado di conoscere, di
amare, di avere intenzioni
e di attuarle, non riesco
a capire come tali centri
possano giungere in essere
da un qualcosa che è esso
stesso incapace di
compiere tutte queste
attività”.
Flew
precisa infine che la
scelta del teismo non si
pone come una frattura, ma
è lo sbocco coerente della
sua ricerca: “Il mio
allontanamento
dall’ateismo non fui
occasionato da alcun
fenomeno o argomento nuovo
(…). Quando finalmente
giunsi a riconoscere
l’esistenza di un Dio, non
fu un cambiamento di
paradigma, in quanto esso
rimane lo stesso per me,
come Platone nella
“Repubblica” fa si che il
suo Socrate insista nel
dire che bisogna seguire
il ragionamento fin dove
ci porta”.
Don Marcello Stanzione |