Templari di San Bernardo
Congregazione laicale cattolico-cavalleresca di ispirazione templare
 
 
 
  Luoghi dell'anima
 

Augustin Guillerand e la vita certosina

"Una vita che implica «otto o nove ore di preghiere quotidiane, che io ho scelto liberamente ventisette anni or sono, e che io sceglierei ancora se dovessi ricominciare"

 "Il regno di Dio è il regno dell'amore. In Dio non vi è che amore"

"La preghiera è essenzialmente questo: un rapporto, una conversazione con il buon Dio"

"Dio è Amore; Egli ama e vuole essere amato"

San Bruno, ritirandosi nel 1084 con sei compagni nella parte più impervia e solitaria del Massiccio di Certosa (Alpi del Delfinato), ha avviato un'esperienza contemplativa che da nove secoli testimonia, con la sua stessa presenza, come solo Dio sia il bene assoluto, quel bene per il quale è fatto ogni uomo.

Dobbiamo essere grati alla Certosa per la sua viva testimonianza teologica. Distratti dai fragili beni che troppo spesso ci allontanano dalla realizzazione del nostro essere più profondo, abbiamo bisogno della testimonianza certosina, abbiamo bisogno di ricordare a noi stessi, con san Bruno, ciò che è veramente giusto e utile. « Che cosa è tanto giusto e tanto utile  scriveva, dal suo ritiro calabrese, il padre dei certosini all'amico Rodolfo - e che cosa così insito e conveniente alla natura umana quanto l'amare il bene? E che cos'altro è tanto bene quanto Dio? Anzi, che cos'altro è bene se non solo Dio? ».

E’ stata la certezza dell'assoluta Bonitas divina a sorreggere la Certosa nel suo primo nascere; ed è tale certezza che tutti i figli e le figlie di san Bruno, lungo nove secoli, hanno coltivato in maniera privilegiata. Da questo punto di vista si potrebbe dire: la Certosa è nata e vive per testimoniare e lodare la bontà divina. In Certosa, il silenzio e la solitudine sono ricercati solamente come mezzi per ascoltare e per presentarsi in prima persona al Dio che, nella sua inimmaginabile bontà, si rivolge all'uomo invitandolo ad un intimo colloquio d'amore.

Il particolare messaggio che scaturisce dalla Certosa è quello di amare innanzi tutto e sopra tutto Dio e, di conseguenza, di amare tutto e tutti alla luce dell'amore stesso di Dio e di quello per Dio. Il nascondimento, la semplicità, la custodia del cuore non sono che i segni di un cammino che è al tempo stesso dolorosa purificazione dell'uomo « vecchio» e progressiva unione allo Spirito d'Amore.

Gli Statuti Certosini illustrano chiaramente la specifica funzione dei seguaci di san Bruno nell'ambito della Chiesa: «Abbracciando la vita nascosta, noi non disertiamo la famiglia umana; ma, attendendo a Dio solo, esercitiamo una funzione nella Chiesa, dove il visibile è ordinato all’invisibile e l'azione alla contemplazione. Pertanto, se aderiamo veramente a Dio, non ci trinceriamo in noi stessi, ma al contrario la nostra mente si spande e il cuore si dilata tanto da poter abbracciare in tutta la loro ampiezza l'universo e il mistero salvifico di Cristo. Segregati da tutti, siamo uniti a tutti, per stare a nome di tutti al cospetto del Dio vivente ».

Pertanto, con la loro vita consacrata interamente a Dio, i certosini riescono a ricondurre noi - troppo sommersi dalle preoccupazioni terrene - verso la sincera ricerca di Dio, verso la piena affermazione esistenziale di colui che è la realtà di tutte le realtà. Insieme agli altri - pochi -  ordini religiosi dedicati alla pura vita contemplativa, la Certosa, in quanto vivo segno teologico, riesce a far rinascere in noi - anche se affaticati dalle illusioni e delusioni quotidiane - il gusto dell'essenziale. È essenziale, per ciascun uomo, imparare sempre più ad amare Dio e secondo Dio.

Come sono fecondi i «silenzi» certosini, e come lo sono anche quelle rare «parole » incaricate di trasmetterci la ricchezza dei colloqui divini che rendono sempre più viva e significante la Certosa! Senza dubbio, a ogni certosino, così come avviene per ciascun uomo, Dio riserva un singolare sentiero attraverso il quale camminare verso il puro amore: pur condividendo la stessa finalità, pur vivendo nello stesso clima monastico, ciascuno si incammina per lo stretto e personale sentiero mediante il quale Dio lo conduce alla progressiva maturazione nel puro amore contemplativo.

Può accadere, è di fatto accaduto nel corso dei suoi nove secoli di storia, che in Certosa, scuola di santità vissuta nel silenzio e nel nascondimento, alcuni certosini vengano scelti da Dio - senza che loro l'abbiano domandato -  per illuminare, in maniera particolare, i propri fratelli nella ricerca sincera di Dio. Alla testimonianza esistenziale - che, in ragione della specifica vocazione puramente contemplativa, resta la più propria del monaco certosino -  si aggiunge, grazie a un insondabile disegno divino, anche la testimonianza della meditazione che si consegna alla compiutezza della pagina scritta.

In verità, chi viene scelto da Dio per illuminare gli altri uomini, oltre che con la sua stessa esistenza di contemplativo anche attraverso la meditazione che si fa «scrittura », sembra costituire in Certosa una sorta di eccezione, rispetto alla fondamentale scelta di silenzio - anche della penna - che caratterizza la vita del certosino. E proprio questa condizione di eccezionalità segna la testimonianza di colui che André Ravier definisce un grande maestro spirituale del nostro tempo: Augustin Guillerand.

E però il fatto che nessuna delle pagine del Guillerand sia stata scritta in vista di una sua eventuale pubblicazione, conferisce ad esse una particolare incisività: ogni parola di questo maestro contemporaneo si rivela infatti carica del sapore teologico che si ritrova in chi si è impegnato in prima persona in una vita di puro amore contemplativo.

Il Guillerand parla da contemplativo: ogni sua parola nasce da una viva esperienza contemplativa e, in certo modo, approfondisce tale esperienza. E quale approfondimento! Questo contemplativo del nostro secolo non ha minimamente risparmiato a se stesso la fatica della riflessione più penetrante e più severa. Ma la sua riflessione appare sempre orientata da un grande amore verso Dio. E non è esattamente tale quieta fatica riflessiva a rendere ogni sua pagina ricca di interesse agli occhi di chi avverte il bisogno di cogliere sempre più e sempre meglio le «ragioni » della propria esistenza cristiana?

Invitati a partecipare, mediante la meditazione delle sue pagine, all'intimità della sua vita di contemplativo, il Guillerand ricompensa abbondantemente la nostra adesione, aprendoci l'intelligenza e il cuore a un luminoso orizzonte di pura quiete spirituale che, così, finisce col nutrire il nostro personale cammino verso Dio. E' infatti per crescere nell'amore che dobbiamo ascoltare delle parole nate da una grande esperienza d'amore contemplativo.

Augustin Guillerand si è impegnato a vivere, col suo essere più profondo, lo spirito dell' Ordine certosino. E' in particolare una lettera, scritta nel 1943, cioè ventisette anni dopo il suo ingresso in Certosa, a evidenziare il suo profondo e costante amore per la vita certosina: una vita che implica «otto o nove ore di preghiere quotidiane, che io ho scelto liberamente ventisette anni or sono, e che io sceglierei ancora se dovessi ricominciare ».

In fondo, le «parole » che il Guillerand ha consegnato alla pagina scritta acquistano per noi tutto il loro significato teologico proprio attraverso il rimando al « silenzio »contemplativo a partire dal quale esse sono nate. 

La teologia del dono: la vita divina come movimento d'amore

Il Guillerand in tutti i suoi scritti, in tutte quelle «note» che le particolari circostanze della sua esistenza hanno eccezionalmente favorito, « ci dà instancabilmente un'intuizione semplicissima e inesauribile », quell'intuizione che,  ritengo, si potrebbe tradurre con l'espressione: la fondamentalità  dell'amore divino.

Tutto il Pensiero di Augustin Guillerand si sviluppa come un continuo approfondimento della definizione giovannea di «Dio-Amore». Tutti i suoi scritti non sono altro che la traduzione del termine Caritas nella significativa espressione «il dono essenziale di sé ». Vedere l'amore di Dio, vedere Dio-Amore, secondo il figlio di san Bruno significa cogliere la vita divina essenzialmente come «dono». Il pensiero teologico del Guillerand  “è trinitario e cristologico” trinitario perché cristologico: la Trinità si è rivelata nel Cristo, grazie al Cristo».

In un sermone preparato alla Gran Certosa, il figlio di san Bruno dichiara: «Dio è amore; è il suo nome, il nome che egli stesso si è dato dinanzi a noi, l'ultimo, e di conseguenza l'espressione definitiva del suo essere, la luce vera nella quale vuole che noi lo vediamo. E in particolare il nome proprio della sua vita e del movimento intimo che parte dalle profondità del suo essere, che ne è come il soffio, il respiro, che lo solleva come un seno fecondo, e che si sviluppa in tre Persone delle quali è l'atto e la vita. Dio è il dono essenziale di sé. In se stesso, come fuori di sé, non vede che questo, non vuole che questo, non fa che questo: amore e donarsi. In se stesso, questo dono è infinito, dunque eterno, eternamente totale e perfetto. Fuori di sé, avviene mediante comunicazioni successive, poiché si rivolge al nulla che non può accoglierlo che nella stessa misura dell'essere che egli gli dà ».

E' in particolare nell'impegnativa meditazione sul vangelo di Giovanni, cioè in quelle pagine ritenute dal Guillerand delle «semplici note senza valore », che il certosino francese, utilizzando fondamentalmente la categoria del « dono », si sofferma a disegnare il quadro della vita trinitaria: « Il regno di Dio è il regno dell'amore. In Dio non vi è che amore; in tutto ciò che fa non si deve vedere che questo. La missione del Figlio è la rivelazione di tale amore. (...) Il Figlio non fa altro che questo: vedere il Padre che si dona a lui per amore, ed egli risponde eternamente a questo amore donandosi come il Padre si dona. La vita è questo dono reciproco, questo movimento unico comunicato dal Padre al Figlio e che fa rientrare il Figlio nel Padre ». 

«La preghiera»

Nella prospettiva della teologia del dono, come considerare la preghiera? Sulla preghiera, il Guillerand, uomo di preghiera, deve aver meditato a lungo. In una lettera di fine ottobre o inizio di novembre del 1942, inviata alla sorella Louise, il nostro certosino scrive: « La preghiera è essenzialmente questo: un rapporto, una conversazione con il buon Dio ».

È abbastanza probabile - come sostiene il Ravier - che proprio intorno al 1942, dunque durante gli anni di permanenza alla Gran Certosa, il Guillerand si sia impegnato nella stesura dello scritto sulla Preghiera, che illustra in maniera particolare il dinamismo del vivo rapportarsi a Dio.

Questo breve testo merita, a mio avviso, di essere posto per il suo grande valore accanto alle meditazioni su Giovanni. Più che le lettere (scritte già nella consapevolezza del loro dover essere consegnate ai rispettivi destinatari), più che le stesse meditazioni sul vangelo di Giovanni (in qualche modo legate a un testo ben preciso), il manoscritto sulla Preghiera ci consente di partecipare in maniera immediata a una meditazione sulla preghiera che, via via, con piena spontaneità, diviene essa stessa viva preghiera. [...].

In realtà, le ripetute definizioni della preghiera avanzate dal Guillerand sottolineano tutte come questa, nella sua essenza, non sia altro che un movimento d'amore. Così come la vita divina è un eterno movimento d'amore, la preghiera, a sua volta, è uno slancio d'amore per Dio, la risposta amorosa dell'uomo all'amore di Dio: la preghiera, rileva il Guillerand, è il pio impeto d'amore che ci slancia verso Dio, incessantemente slanciato egli stesso verso di noi, Poiché la religione è tutta regolata dalla duplice realtà che la costituisce - cioè Dio e l'uomo - allora la preghiera non è, in fondo, che la religione in atto.

La preghiera è l'atto dell'umile riconoscimento di Dio come colui-che-dona e di se stessi come esseri-donati; è dunque riconoscenza amorosa dell'amore di Dio.

L'uomo che prega, osserva il Guillerand, implora la comunicazione dello Spirito d'Amore, cioè domanda a Dio di donarsi a lui e, quindi, domanda ciò che Dio stesso desidera infinitamente: « Tra questo desiderio di Dio e la preghiera dell'anima vi è dunque consonanza, armonia, accordo perfetto ».  

È con grande profondità che il figlio di san Bruno pone così in evidenza come già dietro il movimento dell'uomo verso Dio vi sia l'azione amorosa di Dio. Esprimendo questa convinzione teologica del Guillerand nel linguaggio caro alla filosofia della religione - specialmente a quella francese contemporanea  -  potremmo dire: il desiderio che l'uomo ha di Dio si fonda sul desiderio che Dio stesso ha; è un desiderio di Dio a far scaturire nell'uomo il « desiderio di Dio »: Dio fa incessantemente domandare ciò che vuole donare e dona ciò che ha fatto domandare.

La preghiera non è tale se non è ascensione e colloquio con Dio. Ma, sottolinea il Guillerand, Dio è Amore e, pertanto, si può entrare in comunione con Dio solo se si ama e nella misura con cui si ama: l'uomo che ama « e che l'amore ha introdotto nella dimora in cui risiede l'Amore stesso, può parlargli; la preghiera è questo colloquio ».

L'uomo che prega è, quindi, colui che si pone dinanzi a Dio! Il movimento nel quale consiste la preghiera non è orientato verso se stessi; la preghiera non è un illusorio e vuoto monologo; il colloquio, per essere tale, esige la posizione della verità del rapporto tra sé e Dio. L'uomo che prega, accetta che sia « Dio» e non il proprio « io » il fondamento assoluto del proprio essere e anche il termine ultimo della propria aspirazione. Colui che prega realmente si innalza verso Dio perché, piuttosto che trincerarsi nel proprio « nulla », accetta di radicarsi in quel movimento dell'amore divino che non solo lo ha chiamato all'esistenza ma, anche, lo ha destinato a partecipare alla sua stessa vita trinitaria.

Chi prega, chi si affida totalmente a Dio, chi fa di tale abbandono la molla segreta di tutti i propri atti, testimonia di conoscere la legge profonda che caratterizza il mistero della vita divina: «Dio è Amore; Egli ama e vuole essere amato ». Pertanto, non esistono preghiere sterili, vi possono invece essere, sottolinea il Guillerand, degli spiriti inariditi.  Più ci si avvicina a Dio, più ci si innalza verso di lui e più la preghiera tende a divenire una pura lode.
   Chi si stabilisce nella dimora dell'amore divino comprende sempre meglio come Dio costituisca per l'uomo « il tesoro che non ha prezzo ».  Come non amare, come non lodare colui che è l'infinitamente buono?

Non ci sorprende, quindi, che nella lunga meditazione conclusiva, consacrata alla lode della divina misericordia, il figlio di san Bruno avanzi questa significativa dichiarazione:

« Gesù era disceso verso le grandi profondità della mia miseria, (...) e all'abisso di tale miseria opponeva un abisso più profondo: quello della misericordia. (...) Donarsi al nulla è bello; è una manifestazione di bontà... ma donarsi alla miseria è qualcosa di meglio. Rialzare è più "Amore", più "dono di sé" che creare. La Redenzione, il sangue divino che scorre nell'Agonia, sul Calvario, nel pretorio, è l'ultima parola dell'Amore... se l'Amore può avere un'ultima parola ».

Quante lezioni potremmo trarre, per la nostra esistenza cristiana, da ogni pagina del Guillerand! E, in particolare, quale gratitudine dovremmo manifestargli per averci ricordato che la preghiera, sebbene possa esprimersi attraverso una molteplicità di parole e di formule, non si riduce però a nessuna delle particolari parole che usiamo poiché, nella sua essenza, essa è una parola che è vita, ovvero un movimento d'amore verso l'amore infinito: si prega alla condizione di impegnare totalmente la propria persona. Per parlare a Dio e, a maggior ragione, per ascoltare Dio, non possiamo essere distratti, assenti o presenti solo in parte, né possiamo restare immersi in noi stessi, cioè nei mille progetti e nei sogni che riempiono le nostre giornate, o perfino negli angosciosi dolori che segnano profondamente certe ore della nostra esistenza.

Porsi realmente dinanzi a Dio coincide col guadagnare quella quiete contemplativa che, nella pienezza dell'umiltà e della fiducia, consente di gustare in prima persona quanto è buono il Signore.

Palermo, 6 ottobre 1990                                                                                        

GIUSEPPE GIOIA

Tratto da Augustin Guillerand, La preghiera - ed. Paoline a cui si rimanda per l'approfondimento


 Scudetto della Congregazione T.S.B.

 

   

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