Penitenza e indulgenze: Una risposta all'enigma
del male
Cardinale Tarcisio
Bertone
Mi pare utile
dedicare qualche cenno al tema dell'indulgenza considerata
come la remissione che l'uomo ottiene davanti a Dio per la
pena temporale dei peccati. Come è ben noto, i peccati
nella loro dimensione di colpa sono perdonati in
particolare attraverso l'azione efficace sviluppata ex
opere operato dal sacramento. Ne permane tuttavia ancora
viva la pena, per l'appunto quella temporale, che rimane
dunque perfettamente differenziata da quella eterna. Il
tema delle indulgenze è oggi in parte da riscoprire, e in
parte da meglio comprendere. Ad esempio è interessante e
utile prestare attenzione alla potestas di concedere
indulgenze, espresse proprio attraverso la mediazione
della Penitenzieria Apostolica, all'ampiezza della
liberazione procurata dalle indulgenze, al soggetto in
grado di acquisirle con le condizioni che gli sono
richieste. Si tratta di nozioni, compresa quella di tesoro
della Chiesa, che nel corso dei secoli hanno conosciuto
vari e progressivi approfondimenti. Di certo il contenuto
riferito dalle nozioni ha subito in questi ultimi anni
variazioni, anche in conseguenza del fatto che la ricerca
più recente tenta una riesposizione teologica e pastorale
dell'istanza giuridica nella Chiesa.
Per gli opportuni chiarimenti è però indispensabile una
ricerca approfondita della questione e il contributo
competente della teologia sistematica. In effetti, nella
definizione proposta tradizionalmente a proposito
dell'indulgenza è conservato in primo piano il richiamo
alla connessione dell'indulgenza con l'enigma del male. Il
legame è posto espressamente con quella figura del male
che è il male morale, vale a dire il peccato.
La definizione attesta la circostanza indubbia per la
quale la nozione di indulgenza è raccordabile al processo
a cui la forma liturgica del sacramento della Penitenza è
stata sottoposta nel corso dei secoli. I presupposti per
la specificazione della natura dell'indulgenza sono
rinvenibili nella prima fase dell'esistenza del
sacramento, denominato con l'appellativo di penitenza
canonica. Solo nel passaggio dalla seconda alla terza fase
della storia del sacramento cominciò a emergere con
chiarezza una pratica dell'indulgenza. Inizialmente la sua
azione venne mantenuta separata rispetto alla celebrazione
del sacramento. Con l'unificazione, e, sul piano della
riflessione, l'inclusione all'interno dello svolgimento
della teologia dei sacramenti, ebbe inizio quella
chiarificazione della natura ed efficacia dell'indulgenza
che definisce il modo tradizionale di pensarla. Ma per il
legame che l'indulgenza ha con l'enigma del male
l'importante rinnovamento recente della sacramentaria
aiuta a riformulare l'intera questione.
La pratica sacramentale della penitenza suppone l'assoluta
gratuità dell'intervento cristologico, per il cui tramite
Dio dona all'uomo la conquista della libertà e la
correzione che porta l'uomo a lottare contro il rischio di
perdersi nel male. Che storicamente Gesù abbia riservato
un comportamento e un atteggiamento del tutto particolari
verso i peccatori costituisce uno dei tratti più certi ed
evidenti della tradizione neotestamentaria.
Si tratta per altro di gesti dotati di una rilevanza
decisiva per la comprensione dell'originalità della vita
di Gesù, di cui essi entrano a fare parte. L'originalità
non comporta però una disattenzione nei confronti
dell'insegnamento dell'Antico Testamento. Mediante il
gesto di Gesù è in effetti ripreso l'annuncio
vetero-testamentario con la promessa indirizzata all'uomo
di entrare "nel" perdono dei peccati appositamente
realizzato da Dio a beneficio dell'umanità.
Questo dono ribadisce e specifica la natura della signoria
di Dio sull'esistenza dell'uomo e dunque sulle molteplici
differenziate situazioni in cui l'uomo si trova a vivere.
Gesù ribadisce la promessa divina per tematizzarne la
struttura e insieme le conseguenze mediante la sua azione
di condivisione della tavola dei peccatori (Luca, 15, 2).
E l'atto risulta essere una concretizzazione simbolica
dell'obiettivo della predicazione che Gesù introduce con
una forza del tutto propria.
È stato detto che l'uomo contemporaneo, attratto sempre
più nel mondo virtuale, non riesce a distinguere il vero
dal falso, il bene dal male e questo lo conduce a un
relativismo culturale ed etico banalizzante gli
atteggiamenti della vita. Come veicolare allora oggi i
concetti di peccato e di perdono? Come far percepire il
senso della pena e della colpa, il valore della penitenza
e dell'indulgenza? Lo sforzo dell'evangelizzazione è
certamente quello di far incontrare gli uomini e le donne
di questa nostra epoca con Cristo e sperimentare
personalmente la potenza redentrice della sua Parola che è
Via, Verità e Vita. Ma come questo può avvenire per quanto
concerne il sacramento della Penitenza?
In verità non mancano studi in proposito e una vasta
ricerca pastorale interessa la Chiesa nell'impegno di far
percepire la gioia del perdono che si comunica nel
sacramento della Riconciliazione, detto pure sacramento
della gioia. Gesù che incontra e sta a tavola con i
peccatori (Luca 7, 47) è lo stesso oggi che ci invita ad
accoglierlo. Formare le coscienze al senso del peccato
significa aiutarle a non cadere nell'oppressione dei sensi
di colpa che appesantiscono tante umane esistenze, e a
sapere che l'amore infinito del Padre celeste può
restituire pace anche ai cuori più lacerati.
Questo evidenzia quanto urgente sia approfondire il valore
e l'importanza del sacramento della Penitenza e in
proposito significativo è il contributo che la
Penitenzieria Apostolica può offrire nell'ambito delle
competenze sue proprie.
Le varie riforme succedutesi nel corso dei secoli, alcune
delle quali ho citato in questa mia relazione, hanno avuto
tutte e sempre un unico scopo: la salus animarum, la
salvezza delle anime, che nella Chiesa costituisce la
suprema lex (cfr. can. 1752). Accogliere il perdono di Dio
consente all'uomo di rinvenire la riuscita integrale della
propria esistenza, e la nuova comunione con Dio è il
rinnovamento dell'umanità, liberata dai vincoli del male.
Lo sguardo si fissa sulla croce di Cristo. Nel mistero
dell'annientamento mortale dell'accadimento della croce,
Dio dischiude il futuro che nessun presente risulta in
grado di suscitare da se stesso. In Cristo crocifisso e
risorto Dio riconcilia l'uomo peccatore e gli procura
esistenza e futuro. Il frutto della riconciliazione divina
esige però da parte dell'uomo la libera e responsabile
accoglienza.
Il perdono di Dio antecede e consente l'accettazione a cui
ciascun uomo viene personalmente chiamato. L'antecedenza
costituisce la condizione necessaria per la conversione e
trasformazione dell'esistenza. Così si legge nell'oracolo
del profeta, "non dovranno più istruirsi gli uni gli
altri, dicendo: riconoscete il Signore, perché tutti mi
conosceranno, dal più piccolo al più grande, dice il
Signore; poiché io perdonerò la loro iniquità e non mi
ricorderò più del loro peccato" (Geremia 31, 34).
Il cristiano è trasformato dal fatto stesso di riconoscere
che è già stato perdonato, e rendersi consapevole
dell'anteriorità del perdono sull'azione dell'uomo gli
apre il cuore alla vera conoscenza di sé e del mondo.
Questo perché il passaggio dall'oscurità dell'ignoranza
alla luce della conoscenza è la finalità primaria
dell'azione divina. E colui che è già stato perdonato deve
considerare se stesso come ancora sempre da salvare, nel
senso che dev'essere ancora sempre da guarire. Se il
peccato è perdonato e allontanato o anche "morto", occorre
tuttavia che questa morte sia compresa e la comprensione
ha la forma di una lotta contro il male.
Chi è stato perdonato in fondo riconosce se stesso come
colui che di nuovo potrebbe smarrirsi nella contraddizione
del male; quel che è accaduto anche soltanto una volta
potrebbe nuovamente riaccadere. L'accoglimento del dono
della salvezza e della sua radicale gratuità non distrugge
il ricordo e quindi lo sviluppo della storia con il suo
passato. Piuttosto lo guarisce liberando la memoria dal
peso del debito costituito dalla colpa.
Il credente è messo allora nella condizione di libertà nel
senso che può aprirsi a progetti generati dall'attesa. È a
questo livello che interviene ciò che l'indulgenza
rappresenta per il cammino autenticamente cristiano,
diretto alla vittoria sul male attraverso la riconferma
della fede come pure attraverso l'edificazione della
coscienza morale del cristiano. In ciò si riconosce la
lotta, secondo una universalità nell'estensione e secondo
una radicalità nel fine, da parte del cristiano nei
riguardi del male e della sua forza.
Ho ripreso tra le mani in questi giorni la Divina Commedia
di Dante e mi sono soffermato su alcuni canti del
Purgatorio, che sono nell'insieme un vero pellegrinaggio
nel mondo dell'espiazione dei peccati, della penitenza e
delle pene da scontare prima di giungere nella luce
sfolgorante e appagante del Paradiso.
Rileggere i versi danteschi è toccare con mano una
profonda teologia unita a una fine sensibilità poetica e
religiosa. Proprio all'inizio del ventesimo canto, nel
girone dei golosi dove Dante riconoscerà Forese de'
Donati, leggiamo questi versi di alto contenuto
spirituale: "Ed ecco piangere e cantar s'udie: /Labia mea,
Domine, per modo/ Tal che diletto e doglia parturie/ O
dolce Padre, che è quel ch'i'odo?/Comincia'io: ed egli:
Ombre che vanno,/ forse di lor dover solvendo il nodo" (VV.10
- 13).
Il servizio ecclesiale che offre la Penitenzieria
Apostolica, il mistero di grazia e di perdono che si
realizza nel sacramento della Penitenza non è visibile, né
materialmente palpabile, ma è certamente un prodigio di
grazia che ridona dignità all'uomo e lo riapre
all'amicizia con Dio; è al tempo stesso uno straordinario
contributo a quelle "ombre che vanno, forse di lor dover
solvendo il nodo".
Poiché è assai probabile che il nostro pellegrinaggio
terreno, prima di approdare al Cielo, passerà per il
Purgatorio, per un accrescimento di desiderio e di amore
divino (come attesta santa Caterina da Genova),
comprendere meglio l'importanza della penitenza e
dell'indulgenza è un contributo senz'altro utile da
offrire ai fedeli anche di questo nostro tempo.
Cardinale Tarcisio Bertone, S.D.B., Segretario di Stato,
Camerlengo di Santa Romana Chiesa
(©L'Osservatore Romano - 15 gennaio 2009)
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