L'EQUIDISTANZA PER IL CATTOLICO NON HA SENSO: VA
RISCOPERTO LA SPIRITO DELLA MILITANZA
Gli equidistanti aborrono lo spirito di sacrificio,
soprattutto quando si manifesta nella lotta: scegliendo
di non combattere sono rassegnati alla sconfitta (oggi
ritengono inevitabile la vittoria dell'Islam come ieri
ritenevano quella del comunismo)
Sul precedente numero
di Radici Cristiane abbiamo parlato del vizio del
"moderatismo" e del "centrismo", che si esprime nella
formula politica del "terzo partito". Ciò che vale nella
politica interna, si applica anche a quella
internazionale. Ma mentre in politica interna i
"centristi" si alimentano alla tradizione democristiana,
in politica estera, i rappresentanti della "terza forza"
provengono spesso dalle ali estreme dello schieramento.
Una delle note che rendono riconoscibile questa famiglia
psicologica è l'"equidistanza", uno slogan che pretende di
applicare rigide leggi geometriche alla complessa e
organica realtà della società umana. I fautori della
"terza forza" sostengono, ad esempio, una posizione di
equidistanza tra l'Islam e l'Occidente, anche se, per chi
in Occidente è nato e vive, una posizione di questo genere
significa, di fatto, la scelta del campo avverso.
La tesi dell'equidistanza misconosce inoltre il carattere
processuale degli errori ideologici che, nel corso degli
ultimi secoli, hanno assunto il carattere di una vera e
propria Rivoluzione anticristiana. Esiste un rapporto
genealogico tra il protestantesimo, il liberalismo e il
socialismo: ognuno di questi errori è matrice dell'altro.
Ma non avrebbe senso una posizione di equidistanza del
cattolico verso di essi.
Nel XVI secolo il nemico mortale della Chiesa era l'eresia
di Lutero, contro di cui combatterono santi e
controversisti. Nel XVIII secolo gli eredi della
Contro-Riforma cattolica affrontarono con il medesimo
vigore, come nemico primario, la Rivoluzione francese, e
perciò furono detti contro-rivoluzionari. Nell'Ottocento
essi lottarono soprattutto contro il liberalismo e il
socialismo e nel Novecento contro il comunismo e il
nazionalsocialismo.
I nemici cambiano, mentre sola resta immutabile la verità
del Vangelo, che il calore della lotta aiuta a definire
con sempre maggiore chiarezza. Il problema di fondo, però,
è quello di comprendere la natura del nemico che ci
attacca, e l'equidistanza non ci aiuta a capirlo.
All'epoca della Guerra fredda, ad esempio, la posizione di
equidistanza tra gli Stati Uniti e la Russia faceva solo
gli interessi del Cremlino. Il nemico da battere era
l'imperialismo sovietico e Pio XII spiegò spesso la natura
della necessaria alleanza tra la Chiesa e le democrazie
occidentali.
Questa alleanza tattica non comportava alcun cedimento
dottrinale della Chiesa al capitalismo. Pio XII era ben
consapevole che la radice del comunismo stava nei suoi
errori filosofici e morali e ad essi contrapponeva la
visione cristiana dell'uomo e della società.
I veri anticomunisti sapevano che il maggior pericolo era
costituito, più che dai missili o dai carri armati
sovietici, dal materialismo relativista che la Russia
inoculava all'Occidente. Oggi sappiamo altrettanto bene
che sarebbe illusorio opporre all'Islam il relativismo
corrotto e decadente della società occidentale. Esso
infatti non costituisce l'antidoto della religione di
Maometto, ma gli spiana la strada.
L'abortismo e l'omosessualismo non sono "diritti" da
rivendicare contro il totalitarismo islamico, ma
espressione di quella apostasia dell'Occidente che
costituisce la principale causa dell'avanzata della
Mezzaluna.
E tuttavia, di fronte ai musulmani che invadono l'Europa,
altrettanto privo di senso sarebbe l'additare come nemico
primo della Chiesa l'occidentalismo, abbandonando di fatto
la lotta contro l'Islam. Rifiutare due errori non
significa essere "equidistanti" da essi, evitando di
partecipare alla battaglia in corso. Chi si astiene dalla
lotta, infatti, favorisce sempre uno dei due contendenti,
che generalmente è il peggiore.
Meglio è invece, scendere in campo, levando in alto la
propria bandiera che, nel nostro caso, è quella, sempre
vittoriosa, della Croce. È questo il compito della Chiesa,
alla quale oggi competerebbe una vigorosa campagna di
evangelizzazione, per contrastare il proselitismo islamico
nei ghetti multietnici e nelle periferie urbane, in ideale
continuazione con la battaglia di Lepanto di cui il 7
ottobre ricorre il 440° anniversario.
Gli equidistanti però, anche quando si dicono cattolici,
ignorano lo spirito della militanza cristiana. Essi
aborrono lo spirito di sacrificio, soprattutto quando si
manifesta nella lotta. Scegliendo di non combattere sono
rassegnati alla sconfitta e, poiché ne sono consapevoli,
definiscono la sconfitta come un ineluttabile portato
della storia, di cui essi soli sarebbero in grado di
prevedere il corso.
Ieri credevano nell'inevitabile avvento del comunismo,
oggi in quello, altrettanto inarrestabile, dell'Islam, al
cui interno cercano di distinguere l'autentico
insegnamento del Corano dalle sue deformazioni
estremistiche, così come nel comunismo distinguevano tra
Marx da una parte e i suoi "traditori", Lenin e Stalin,
dall'altra.
I terzaforzisti sono rassegnati alla conquista musulmana
dell'Europa e confidano nell'Islam "dal volto umano" dei
Fratelli Musulmani, così come ieri confidavano nel
compromesso storico di Berlinguer e nella perestrojka di
Gorbaciov. Allo spirito di Lepanto preferiscono l'arrendismo
equidistante della Pace di Monaco, che nel 1938 regalò a
Hitler l'Europa centrale.
Dietro questa posizione di "terza forza" c'è, oltre che
una profonda debolezza psicologica, la mancanza di quella
articolata e coerente visione del mondo che il cristiano
deve sempre affermare nelle sue lotte: ieri contro il
liberalismo, oggi contro l'islamismo e il relativismo
culturale e morale che ci aggredisce.
Ma i terzaforzisti, che criticano il relativismo della
società occidentale, rifiutano il concetto di Cristianità
e di Civiltà cristiana, negando con ciò ogni applicazione
rigorosa della verità cristiana all'ordine politico e
sociale.
Essi poi vorrebbero combattere il relativismo morale
dell'Occidente con un relativismo religioso altrettanto
dissolutore. Si dicono cristiani, ma sostengono che
l'"universalità" del Cristianesimo porta all'equiparazione
delle religioni, vie diverse alla comune salvezza,
possibile nell'unità trascendente delle religioni.
Ciò che detestano, come i moderati, a cui si apparentano,
è la professione integra e senza compromessi del
cattolicesimo. A loro la verità assoluta sembra un eccesso
altrettanto deplorevole dell'errore. Rifiutano
l'"integralismo", ma con estremo fanatismo propugnano il
neutralismo nella politica internazionale e l'ecumenismo
nella vita religiosa La posizione di equidistanza consente
loro di non combattere per verità in cui non credono.
I terzaforzisti, come tutti i centristi, non hanno idee
proprie, cioè visioni profonde delle cose: si nutrono dei
luoghi comuni. Non vogliono essere isolati dal proprio
tempo, ma si immergono nel suo flusso, al contrario degli
intransigenti che lottano per uniformare la società alla
visione cristiana del mondo.
Sono i princìpi che reggono il mondo, e la modernità è un
blocco che si sta disfacendo, proprio perché è stata
fondata sulla negazione dei princìpi perenni della Civiltà
cristiana. Occorre evitare che l'Islam pianti la sua
bandiera nelle rovine della modernità. Il Cristianesimo
non è stato e non sarà mai una "terza forza", ma è, e deve
essere, la prima, nel cuore degli uomini e nella società
intera.
Fonte: Radici
Cristiane, n. 68 - ottobre 2011
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