25 novembre
2012
Solennità di nostro Signore Gesù Cristo, Re
dell’Universo: a Lui solo il potere, la gloria
e la maestà negli infiniti secoli dei secoli
Questa festa fu introdotta da papa Pio XI, con
l’enciclica “Quas primas” dell’11 dicembre
1925, a coronamento del Giubileo che si
celebrava in quell’anno.
È poco noto e, forse, un po’ dimenticato. Non
appena elevato al soglio pontificio, nel 1922,
Pio XI condannò in primo luogo esplicitamente
il liberalismo “cattolico” nella sua enciclica
“Ubi arcano Dei”. Egli comprese, però, che una
disapprovazione in un’enciclica non sarebbe
valsa a molto, visto che il popolo cristiano
non leggeva i messaggi papali. Quel saggio
pontefice pensò allora che il miglior modo di
istruirlo fosse quello di utilizzare la
liturgia. Di qui l’origine della “Quas primas”,
nella quale egli dimostrava che la regalità di
Cristo implicava (ed implica) necessariamente
il dovere per i cattolici di fare quanto in
loro potere per tendere verso l’ideale dello
Stato cattolico: “Accelerare e affrettare
questo ritorno [alla regalità sociale di
Cristo] coll’azione e coll’opera loro, sarebbe
dovere dei cattolici”. Dichiarava, quindi, di
istituire la festa di Cristo Re, spiegando la
sua intenzione di opporre così “un rimedio
efficacissimo a quella peste, che pervade
l'umana società. La peste della età nostra è
il così detto laicismo, coi suoi errori e i
suoi empi incentivi”.
Tale festività coincide con l’ultima domenica
dell’anno liturgico, con ciò indicandosi che
Cristo Redentore è Signore della storia e del
tempo, a cui tutti gli uomini e le altre
creature sono soggetti. Egli è l’Alfa e
l’Omega, come canta l’Apocalisse (Ap 21, 6).
Gesù stesso, dinanzi a Pilato, ha affermato
categoricamente la sua regalità. Alla domanda
di Pilato: “Allora tu sei re?”, il Divino
Redentore rispose: “Tu lo dici, io sono re” (Gv
18, 37).
Pio XI insegnava che Cristo è veramente Re.
Egli solo, infatti, Dio e uomo – scriveva il
successore Pio XII, nell’enciclica “Ad caeli
Reginam” dell’11 ottobre 1954 – “in senso
pieno, proprio e assoluto, … è re”.
Il suo regno, spiegava ancora Pio XI,
“principalmente spirituale e (che) attiene
alle cose spirituali”, è contrapposto
unicamente a quello di Satana e delle potenze
delle tenebre. Il Regno di cui parla Gesù nel
Vangelo non è, dunque, da questo mondo, cioè,
non ha la sua provenienza nel mondo degli
uomini, ma in Dio solo; Cristo ha in mente un
regno imposto non con la forza delle armi (non
a caso dice a Pilato che se il suo Regno fosse
una realtà mondana la sua gente “avrebbe
combattuto perché non fosse consegnato ai
giudei”), ma tramite la forza della Verità e
dell'Amore.
Gli uomini vi entrano, preparandosi con la
penitenza, per la fede e per il battesimo, il
quale produce un’autentica rigenerazione
interiore. Ai suoi sudditi questo Re richiede,
prosegue Pio XI, “non solo l’animo distaccato
dalle ricchezze e dalle cose terrene, la
mitezza dei costumi, la fame e sete di
giustizia, ma anche che essi rinneghino se
stessi e prendano la loro croce”.
Tale Regno, peraltro, già mistericamente
presente, troverà pieno compimento alla fine
dei tempi, alla seconda venuta di Cristo,
quando, quale Sommo Giudice e Re, verrà a
giudicare i vivi ed i morti, separando, come
il pastore, “le pecore dai capri” (Mt 25, 31
ss.). Si tratta di una realtà rivelata da Dio
e da sempre professata dalla Chiesa e, da
ultimo, dal Concilio Vaticano II, il quale
insegnava a tal riguardo che “qui sulla terra
il Regno è già presente, in mistero; ma con la
venuta del Signore, giungerà a perfezione”
(costituzione “Gaudium et spes”).
Con la sua seconda venuta, Cristo ricapitolerà
tutte le cose, facendo “cieli nuovi e terra
nuova” (Ap 21, 1), tergendo e consolando ogni
lacrima di dolore e bandendo per sempre il
peccato, la morte ed ogni ingiustizia dalla
faccia della terra. Sempre il Concilio
scriveva che “in questo regno anche la stessa
creazione sarà liberata dalla schiavitù della
corruzione per partecipare alla gloriosa
libertà dei figli di Dio” (costituzione
dogmatica “Lumen Gentium”).
Per questo i cristiani di ogni tempo invocano,
già con la preghiera del Padre nostro, la
venuta del Suo Regno (“Venga il tuo Regno”)
ed, in modo particolare durante l’Avvento,
cantano nella liturgia “Maranà tha”, cioè
“Vieni Signore”, per esprimere così l’attesa
impaziente della parusia (cfr. 1 Cor 16, 22).
Aggiunge ancora Pio XI che nondimeno
sbaglierebbe colui il quale negasse al
Cristo-uomo il potere su tutte le cose
temporali, “dato che Egli ha ricevuto dal
Padre un diritto assoluto su tutte le cose
create”. Tuttavia – precisa – Cristo, quando
era sulla terra, si astenne dall’esercitare
completamente questo suo dominio, permettendo
– come anche oggi – che “i possessori
debitamente se ne servano”.
Questo potere abbraccia tutti gli uomini. Ciò
lo aveva anche chiaramente espresso Leone XIII,
nell’enciclica “Annum sacrum” del 25 maggio
1899, con cui preparava la consacrazione
dell’umanità al Sacratissimo Cuore di Gesù
nell’anno santo del 1900. Papa Pecci aveva
scritto in effetti che “il dominio di Cristo
non si estende soltanto sui popoli cattolici,
o a coloro che, rigenerati nel fonte
battesimale, appartengono, a rigore di
diritto, alla Chiesa, sebbene le errate
opinioni li allontanino da essa o il dissenso
li divida dalla carità; ma abbraccia anche
quanti sono privi di fede cristiana, di modo
che tutto il genere umano è sotto la potestà
di Gesù Cristo”.
L’uomo, misconoscendo la regalità di Cristo
nella storia e rifiutando di sottomettersi a
questo suo giogo che è “dolce” ed a questo
carico “leggero”, non potrà trovare alcuna
salvezza né troverà autentica pace, rimanendo
vittima delle sue passioni, inimicizie ed
inquietudini. È Cristo soltanto la “fonte
della salute privata e pubblica”, diceva Pio
XI. “Né in alcun altro vi salvezza, né sotto
il cielo altro nome è stato dato agli uomini,
mediante il quale dobbiamo essere salvati” (At
4, 12).
Lontano da Lui l’uomo ha dinanzi chimere e
sistemi ideologici totalizzanti e fuorvianti;
non cercando il suo Regno e la sua Giustizia,
il genere umano ha di fronte a sé i vari
“-ismi” della storia che, diabolicamente, in
nome di un falso progresso sociale, economico
e culturale, degradano ogni uomo, negandone la
dignità.
Ed il XX secolo non ha mancato di fornirne dei
tragici esempi con i vari regimi autoritari,
comunisti e nazista (che la Chiesa ha
condannato vigorosamente), riproponendo, per
l’ennesima volta, il duro scontro tra Regno di
Cristo e regno di Satana, che durerà sino alla
fine dei tempi.
Basti qui far riferimento, a titolo
esemplificativo, giusto al solo travagliato
periodo del pontificato di papa Ratti per
averne una pallida idea.
Con l’enciclica “Mit brennender Sorge”, del 14
marzo 1937 – tra i cui estensori vi era pure
il cardinale segretario di Stato e futuro papa
Pio XII, Eugenio Pacelli – il Pontefice romano
disapprovava il provocante neopaganesimo
imperante in Germania (il nazismo), il quale
rinnegava la Sapienza Divina e la sua
Provvidenza, che “con forza e dolcezza domina
da un'estremità all’altra del mondo” (Sap. 8,
1), e tutto dirige a buon fine; deplorava
anche certi banditori moderni che perseguono
il falso mito della razza e del sangue;
biasimava, infine, le liturgie del Terzo Reich
tedesco, veri riti paganeggianti, qualificate
come “false monete”.
In Messico, “totalmente infeudato dalla
massoneria”, dove gli Stati Uniti avevano
favorito – in nome dei loro interessi
economici – la nascita di uno Stato
dichiaratamente anticlericale ed
anticristiano, furono promulgate pesanti leggi
restrittive della libertà della Chiesa
cattolica, stabilendo l’espulsione dei
sacerdoti non sposati, la distruzione delle
chiese e la soppressione persino della parola
“adios”. Il fanatico anticlericale governatore
dello Stato messicano di Tabasco, Tomás
Garrido Canabal, autore di queste misure
repressive, nella sua fattoria, “La Florida”,
giunse a chiamare, in segno di dispregio, un
toro “Dio”, ad un asino diede nome “Cristo”,
una mucca “Vergine di Guadalupe”, un bue ed un
maiale “Papa”. Suo figlio lo chiamò “Lenin” e
sua figlia “Zoila Libertad”. Un nipote fu
chiamato “Luzbel” [Lucifer], un altro figlio “Satan”.
Si costituì allora un esercito di popolo, i “cristeros”,
i quali combattevano al grido di “Viva Cristo
Re! Viva la Vergine di Guadalupe! Viva il
Messico!”. Con le stesse parole sulle labbra
versavano il loro sangue in quella terra anche
numerose schiere di martiri, mentre i loro
carnefici esclamavano, riempiendo ceste di
vimini con le teste mozzate dei cattolici,
“Viva Satana nostro padre”. Si trattò di un
vero “olocausto” passato sotto silenzio ed
ignorato. Alcuni dei valorosi martiri
cristiani messicani, sotto il pontificato di
Giovanni Paolo II, hanno raggiunto la gloria
degli altari, come il gesuita Miguel Agustin
Pro, fucilato senza processo. Le sue ultime
parole furono giusto “Viva Cristo Re!”.
Questa grave situazione di persecuzione
religiosa fu riprovata da Pio XI con le
encicliche “Nos Es Muy Conocida” del 28 Marzo
1937 ed “Iniquis Afflictisque” del 18 novembre
1926.
Una netta opposizione fu, infine, manifestata
nei confronti della Russia sovietica, contro
il comunismo ateo, condannato dall'enciclica
“Divini Redemptoris” del 19 marzo 1937, e nei
riguardi della Spagna repubblicana,
dichiaratamente antireligiosa.
Qui, il governo repubblicano socialista di
Manuel Azaña Y Díaz proclamò che “da oggi la
Spagna non è più cristiana”, mirando a
“laicizzare” lo Stato. La nuova costituzione
vanificava ogni potere della Chiesa, la
religione cattolica era ridotta al rango
d’associazione, senza sostegno finanziario da
parte statale, senza scuole, esposta agli
espropri; con il decreto 24 gennaio 1932 era
dichiarata l’estinzione della compagnia di
Gesù e se ne confiscavano i beni; era
introdotto, nel 1932, il divorzio e il
matrimonio civile ed abolito il reato di
bestemmia; circa seimila religiosi furono
massacrati. Pio XI reagì duramente con
l’enciclica “Dilectissima Nobis” del 3 giugno
1933.
Questi esempi dimostrano lo scontro
plurisecolare, sin dalla fondazione del
Cristianesimo, tra il Regno di Cristo e quello
di Satana, e come, anche in epoca
contemporanea, la regalità di Cristo sia
contestata, preferendo ad essa degli “idoli”
politici, economici, sociali e
pseudo-religiosi.
Autore:
Francesco Patruno
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