Sul giudizio
La
calunnia... La maldicenza... Chi non ne ha sofferto? Ma
chi, in tutta coscienza, può affermare di non averne mai
fatto uso?
Il re Davide temeva talmente di peccare per mezzo della
sua lingua, che chiese a Dio "di mettere una guardia alla
sua bocca, e una sentinella alla sua lingua". E, nella sua
sapienza, Dio ha messo la nostra lingua in quella specie
di recinto che è la nostra bocca.
Ma essa è così pronta a scappare per sputare il suo
veleno, che il salmista, per poterla dominare, deve
chiedere l'aiuto di Dio.
In nome di quale giustizia, di quale carità, ci crediamo
autorizzati a giudicare, a calunniare o a sparlare?
Supponendo che siamo perfetti (cosa poco probabile, su
questa terra), dovremmo sapere che la perfezione comprende
l'umiltà, cioè l'indulgenza, il perdono, la preghiera per
sostenere i peccatori (di cui facciamo parte), l'aiuto
spirituale, e i consigli caritatevoli.
San Giacomo non ha avuto paura di affermare che un uomo
che non ha peccato con la lingua è un santo. E san Paolo
di gridare: "Chi sei tu, per giudicare tuo fratello? Noi
compariremo tutti davanti al tribunale di Cristo".
Un proverbio libanese dice: "Chi ha una casa di vetro deve
evitare di lapidare gli altri". Un poeta arabo dice: "La
tua lingua non dica niente sull'imperfezione di un altro.
Tu sei pieno di imperfezioni, e anche gli altri hanno la
lingua". È forse perché essa ha operato soltanto per
"tutto ciò che è elevato" che la lingua di sant'Antonio di
Padova è stata conservata? Mi piace pensarlo.
Il solo giudizio severo che siamo abilitati, o piuttosto
che abbiamo il dovere di formulare, non deve vertere che
su noi stessi. Oh, se potessimo giudicare gli altri con la
stessa clemenza che concediamo a noi stessi, il paradiso
sarebbe già di questo mondo!
La Parola
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