Per non finire omologati dal pensiero
dominante,
occorre conoscere anche il vero
I poveri nel Medioevo
Parrocchie, re, principi, papi e
vescovi: tutti esercitavano l’elemosina, offrendo
soccorsi in denaro o in natura. Alla devozione si
univa la carità verso poveri e ammalati. I meriti
della Chiesa.
Mario Arturo IANNACCONE
Del Medioevo viene spesso trasmessa un’idea sbagliata
anche per quanto riguarda il problema della povertà.
Studi recenti stanno smentendo l’immagine di un
Medioevo gravato dalla miseria e da una fame diffusa e
invincibile. Come sempre, la realtà è più sfumata e
sembra proprio che la fame più atroce sia iniziata con
l’età moderna. Anche se non va idealizzato, il
lunghissimo periodo medievale è, per molti versi,
simile alla nostra epoca per quanto riguarda
l’intensità della felicità e dell’infelicità, della
miseria e della ricchezza. Ciò che è profondamente
cambiata è la mentalità nostra che ci fa apparire
intollerabile o miserabile ciò che un tempo era
accettato. Purtroppo non abbiamo la controprova, e non
potremo mai sapere cosa avrebbe pensato un uomo
medievale degli stili di vita moderni. Probabilmente
li avrebbe considerati intollerabili e disperati.Nel
Medioevo, lo stato di bisogno era causato
principalmente dalle guerre, dalle epidemie, dal tempo
inclemente e dalla malattia. Artigiani e contadini che
dipendevano dal lavoro delle proprie braccia cadevano
velocemente nella povertà se impossibilitati a
lavorare per cattiva salute. Non a caso, le parole
“povero”, “indigente” (il povero che non ha da
mangiare e vive solo di assistenza) e “ammalato”
divennero quasi sinonimi. Anche la contrazione di
debiti, soprattutto con gli usurai, facevano
precipitare in una povertà dalla quale era difficile
risollevarsi. Altre categorie di persone esposte alla
fame erano le vedove, gli orfani, i prigionieri di
guerra, i ciechi.
Come fu affrontata la piaga della povertà in quei secoli?
Con la carità, l’estremo rimedio, necessario vista
l’impossibilità, purtroppo, di creare una condizione
di vita equa per tutti. Un rimedio estremo, è vero, ma
allora parte di un quotidiano esercizio della
misericordia, profondamente sentito. Si percepiva di
far parte di un’unica comunità nella quale tutti
dipendevano da tutti gli altri. Pur tra mille
contraddizioni, l’atteggiamento verso i bisognosi era
ispirato dall’amore che è parte integrante del
messaggio cristiano. Gesù aveva detto «Date da bere
agli assetati, date da mangiare agli affamati»,
ricordando che chiunque avesse aiutato gli ultimi
avrebbe aiutato Lui.
Col crollo dell’impero romano era scomparsa anche
l’organizzazione civile che aveva consentito, per
secoli, la sopravvivenza dei più sfortunati. Fu allora
che le istituzioni della Chiesa, come i vescovati, si
presero in carico questo delicato aspetto della vita
sociale.
Nel VI secolo, san Benedetto creò il monachesimo che per
secoli sarebbe stato un sicuro rifugio per i
bisognosi. I monasteri infatti non erano soltanto
isole di preghiera e di cultura ma attivissimi centri
economici, che trasformavano il territorio in cui
s’installavano.
E san Benedetto, nella sua “Regola”, guida di tutti i
benedettini, aveva prescritto che l’eccesso della
produzione alimentare derivante dal lavoro dei monaci
fosse donato ai poveri e agli indigenti. Era previsto
anche che un terzo di quanto i monaci ricevevano, in
dono o eredità, fosse speso allo stesso modo. Alle
porte dei monasteri, dunque, i poveri avevano la
certezza di trovare sempre da mangiare e anche un
ricovero per i periodi più freddi. A partire dall’anno
Mille furono creati gli ostelli (“hospitales”),
ricoveri organizzati per aiutare i poveri, gli
ammalati e i pellegrini.Alla fine del XII secolo si
verificarono ripetute, gravi crisi alimentari, che
aumentarono ovunque la massa dei poveri, e in alcune
zone il pauperismo divenne un grave problema. Nelle
città, sempre più grandi, si formarono masse di
mendicanti. Fu allora che san Francesco creò un nuovo
tipo di vita religiosa, quello degli Ordini
Mendicanti, i cui frati si facevano poveri tra i
poveri dandosi come scopo, oltre alla predicazione,
anche l’aiuto ai bisognosi e agli ammalati. Non a
caso, i conventi venivano costruiti all’interno delle
città, a differenza dei monasteri che sorgevano per lo
più in luoghi isolati. Fu anche grazie all’opera dei
frati e al loro influsso sui ricchi, i potenti, i
nobili se il secolo XIII è ricordato come un’oasi di
relativa tranquillità per i poveri anche se nemmeno
allora mancarono gravi crisi. La situazione peggiorò
nuovamente nella prima metà del XIV secolo, a causa di
una serie di disastri meteorologici e d’inverni
freddi. Alla metà del secolo si ebbe un nuovo
alleviamento della povertà, ma soltanto perché la
Peste Nera aveva ucciso un terzo degli europei,
liberando molte risorse per quelli che erano
sopravvissuti.
Ma lo sforzo di alleviare le condizioni degli affamati
investiva tutta la società cristiana dell’epoca. Le
parrocchie, i re, i principi, i papi e i vescovi
esercitavano tutti l’elemosina con modalità diverse,
offrendo soccorsi in denaro o in natura (pane, lardo,
abiti). In quasi tutti i centri abitati, piccoli e
grandi, si formarono confraternite religiose composte
da laici e religiosi che avevano lo scopo di
regolarela devozione ma anche di aiutare i poveri e
gli ammalati. Le confraternite (che assumevano nomi e
caratteristiche differenti nelle diverse nazioni)
erano legate al clero diocesano, al vescovo, alle
chiese e ai santuari. Il loro ruolo è stato
importantissimo per alleviare le condizioni di chi
aveva fame o non aveva una casa. Esse offrivano
sicurezza anche ai loro associati. In caso di malattia
o bisogno, i confratelli erano obbligati all’aiuto:
pagavano i debiti, i conti del medico, provvedevano al
sostentamento della famiglia caduta in miseria. In
molti casi, organizzarono dei veri e propri ostelli, e
non era infrequente che poveri aiutati in questo modo
riuscissero a risollevarsi dal loro stato.
Insomma, a fronte di una situazione tanto grave e dolorosa
si cercava di porre un rimedio vedendo negli altri il
“prossimo”. La carità comunque era un dovere del
cristiano, continuamente ricordato dal predicatore e
dal confessore. Il nobile, il ricco, il mercante di
successo si consideravano in obbligo verso la
Provvidenza e l’avaro, che non faceva elemosina, era
circondato dal disprezzo. Pur non esistendo
un’organizzazione statale così come la conosciamo
oggi, grazie al sentimento religioso, alla carità che
si faceva misericordia, fu creata una rete di aiuto
fondata sul dovere cristiano del soccorso al più
debole e sul sincero desiderio di aiutare i fratelli
in Cristo.
Secondo gli storici, il periodo peggiore per i poveri
giunge all’inizio dell’età moderna nel secolo XVI. La
Riforma protestante non attribuirà alcun valore
meritorio alle opere di carità e di conseguenza
saranno soprattutto i poveri degli Stati protestanti a
trovarsi più esposti alle ricorrenti carestie, alla
fame, alla solitudine della miseria, privi ormai della
protezione accordata da monasteri, conventi,
parrocchie e confraternite. I poveri furono
colpevolizzati, e la povertà fu giudicata un segno
della mancanza della grazia di Dio. Di una cosa
possiamo essere certi: gli indigenti c’erano nel
Medioevo ma esistono anche ai nostri giorni. Siamo
sicuri che i nostri progenitori abbiano affrontato lo
scandalo della miseria peggio di noi oggi?
Ricorda
«Facciamo fatica oggi a immaginare una società senza
ospedali, senza ospizi, senza assistenza pubblica e,
genericamente, senza quel che si è deciso di chiamare,
ai giorni nostri, la sicurezza sociale. E tuttavia,
senza la presenza e l’azione caritatevole della Chiesa
e, più in particolare, degli ordini religiosi, la
società medievale sarebbe stata proprio così».
(Leo Moulin in La civiltà dei monasteri, Jaca Book, Milano
1998).
Bibliografia
M. Mollat, I poveri nel Medioevo, Laterza, 2001.
V. Paglia, Storia di poveri in Occidente. Indigenza e
carità,
Rizzoli 2003.
tratto da: IL TIMONE - Febbraio 2006 (pag. 26-27)