«Manfredini gigante della Chiesa»
Il
vescovo Negri (San Marino), ha ricordato la figura del
presule di Piacenza:
«Riformatore, educatore, con al centro Cristo e non
internet o la tv al plasma»
«Siamo nani sulle spalle dei
giganti. Manfredini è stato uno di questi giganti, un
vero padre della Chiesa». Così monsignor Luigi Negri,
vescovo di San Marino e compagno di seminario di
monsignor Manfredini, tratteggia la figura del
compianto presule di Piacenza prima (dal 1969 al
1983), arcivescovo di Bologna poi, nel venticinquesimo
anniversario della morte (il 16 dicembre del 1983). La
ricorrenza è stata celebrata ieri pomeriggio nella
sala delle Colonne di palazzo vescovile e
successivamente con una messa officiata dal vescovo
Gianni Ambrosio in Duomo. Il vescovo Negri viene
accolto da Ambrosio e parla di fronte a una platea di
una cinquantina di persone, introdotto dal vicario
generale monsignor Lino Ferrari.
«Per Manfredini Cristo era veramente il centro di
tutto, e su questa base nacque la sua amizia con don
Giussani» inizia a raccontare. «Quando parlava di Gesù
Cristo si commuoveva. Nella sua camera di preghiera,
dopo una certa ora non poteva entrare nessuno. Aveva
stabilito un'intimità con Cristo». Com'è nel suo
carattere, Negri non le manda a dire: «Oggi il punto
più segreto dei nostri preti è dove c'è internet e la
tv al plasma - prova a fare un confronto -. Manfredini
nella sua casa aveva invece creato una struttura
fisica che gli consentiva l'approfondimento del
rapporto con il Signore come se fosse in clausura,
come se fosse un contemplativo». Gli anni del
seminario, quelli della parrocchia di Varese, la
grande sintonia con Giovanni Battista Montini (poi
papa Paolo VI), il periodo piacentino, quello
bolognese. Monsignor Negri, in quaranta minuti fa
rivivere la figura di Manfredini: «L'affezione totale
per Cristo dunque, poi la straordinaria capacità di
amicizia con tutti e l'incredibile capacità di lavoro.
Si preparava, non c'era nessuna approssimazione nelle
cose che faceva; si veda ad esempio la costruzione
dell'intervento in Uganda». Ancora: «La passione per
l'insegnamento della religione, la volontà di
qualificare al massimo gli insegnanti per essere una
presenza della Chiesa nella società, la volontà di
influire sulla vita della società, la dimensione
educativa fondamentale per far crescere il senso
critico».
Un riformatore ma nella tradizione: «In forza della
grandezza e della vitalità della tradizione, assunse
coraggiosamente prospettive e vie nuove». La missione:
«Capì subito che tutto si giocava nella missione come
dimensione della Chiesa, mettendo al centro un
progetto preciso su cui misurare la capacità di
rispondere da parte del suo popolo. L'obiettivo era
quello di arrivare nella vita sociale senza volontà
egemoniche ma attraverso il dialogo tra identità
consapevoli». L'altro grande tema fu quello
dell'educazione dei giovani, la non delega alle
strutture scolastiche laiche: «Manfredini fu tra i
primi vescovi italiani che negli anni Settanta
ricominciò a parlare di scuola libera, di una scuola
che esprimesse una continuità sostanziale della
tradizione culturale della famiglia».
Negri ricorda l'invito agli studenti di Bologna a
salire al santuario di San Luca per riflettere sul
senso della vita. Aderirono più di cinquemila ragazzi.
L'iniziativa gli costò una denuncia per interruzione
di pubblico servizio da parte di un preside cattolico.
«La libertà della scuola per Manfredini è il più
grosso aiuto che si possa dare alla democrazia -
osserva -. Non può esistere una società democratica se
i cattolici non sono presenti con la loro identità
spirituale e culturale che è evidentemente più
profonda di tutte le altre tradizioni. Questo è stato
Manfredini, dal primo giorno a quello della morte,
improvvisa e repentina».
Federico Frighi
Da Libertà del 17/12/2008