Mangiarotti Don
Gabriele
«Mille
argomenti. Un
solo giudizio»:
ce lo siamo
ripetuti una
infinità di
volte. E ne
siamo convinti.
Quel giudizio
«solo» che nasce
dalla fede e che
ci affascina
quando lo
sentiamo dire e
ridire con
profondità da
Benedetto XVI,
come ci aveva
commosso il
grido di
Giovanni Paolo
II: «Aprite,
anzi, spalancate
le porte a
Cristo!» E il
compito che ci
siamo sentiti
addosso, di
comunicare la
bellezza,
presente nella
scuola (l’«ora
della
bellezza»),
nelle
circostanze
della vita, nei
luoghi della
storia e della
tradizione.
Ci investe
spesso una
domanda: «È mai
possibile che
nel mondo i
custodi di un
dono così
grande, come
l’incontro con
Gesù Cristo, lo
scambino per
molto meno, per
il plauso del
mondo, per
andare dietro a cisterne
screpolate,
come le chiama
il profeta, che nulla
promission
rendono intera?».
Quando è
capitato il caso
Williamson, con
tutte le
reazioni di
tanto mondo
laicista, il
Papa aveva
espresso tutto
il suo dolore
per non essere
stato informato
adeguatamente,
ed aveva anche
detto che
sarebbe bastata
una piccola
ricerca in
internet per
rendersi conto
di come stavano
le cose. Tutti
(me compreso)
abbiamo pensato
che tali
collaboratori
non erano degni
del compito
assegnato loro.
Quando il
Vescovo
Monsignor Luigi
Padovese è stato
ucciso, al Papa
era stato detto
– così si
comprendeva dal
comunicato – che
era opera di uno
squilibrato
(salvo poi
venire a sapere
che era frutto
di un piano da
tempo
architettato): e
qui dove erano
gli informatori,
i collaboratori
del Santo Padre?
Già sul sito
abbiamo parlato
dell’increscioso
caso della
traduzione
italiana di
alcune parti del
Catechismo YouCat dicendo,
al proposito,
«Non se ne può
più che al Papa
si facciano fare
“brutte figure”.
Sì, perché
questo YouCat ha
la presentazione
entusiasta, e a
me pare
veramente molto
bella, di
Benedetto XVI.
Che un testo con
questa
autorevolezza
sia presentato
con gravissimi
errori
dottrinali,
seppur dovuti ad
una incapacità
dei traduttori,
non è cosa da
poco. È vero che
siamo abituati a
questa
leggerezza: nel
libro-intervista
“Luce del mondo”
ci sono tanti e
tali errori da
far pensare, più
che ad una
svista, ad una
colpevole
irresponsabilità
(a proposito, di
errori, ancorché
di minore
importanza, ce
ne sono anche
nel “Gesù di
Nazaret”. La
storia si
ripete).»
Che dire allora
degli invitati a
Assisi, questi
«atei in
ricerca» che,
tra le varie
posizioni,
tranquillamente
difendono tutto
ciò che è
contrario alla
dottrina
cattolica e,
pare, senza
alcuna ombra di
dubbio. Così ci
ricorda
Francesco Agnoli
in un commento
su Il
Foglio del
29 ottobre 2011:
«In una lunga
intervista
sull’Unità, del
19/6/2005, [Remo
Bodei] attaccava
violentemente
l’espressione
ratzingeriana
“dittatura del
relativismo”,
per affermare:
“Una tale
dittatura non
c’è, né potrebbe
essere imposta a
qualcuno”. La
verità,
continuava Bodei,
è che la chiesa
[sic] è folle a
opporsi alla
selezione della
specie,
schierandosi
contro l’aborto
e la diagnosi
pre impianto:
“La cultura
laica vanta
delle ottime
ragioni e
malgrado tutto
non deve
lasciarsi
mettere
nell’angolo.
Deve passare
all’offensiva,
come dicono
Giorello e
Salvadori.
Senza
atteggiamenti
beceri o
contundenti
verso la chiesa,
che fa il suo
mestiere. Ma il
punto è questo:
la chiesa invade
uno spazio
neutro che è a
garanzia di
tutti. Perciò
bando alle
timidezze dei
laici, via via
divenuti
subalterni o
addirittura
devoti. Quello
che non si
capisce nella
posizione di
questi ultimi,
ma anche in
quella dei
cattolici, è il
rifiuto del buon
senso.
Ad esempio, come
si fa a
rifiutare la
diagnosi
prenatale? Non
si può obbligare
una donna a far
nascere da un
embrione un
figlio
gravemente
malformato”. Se
un bambino è
malformato,
insomma, bisogna
ucciderlo. Fa
parte
dell’umanesimo,
contro il
cattolicissimo
“rifiuto del
buon senso”.»
Opinioni, certo,
lecite, ma non
segno di quella
posizione
giustamente
ricordata dal
Papa che toglie
«agli atei
combattivi la
loro falsa
certezza, con la
quale pretendono
di sapere che
non c’è un Dio,
e li invitano a
diventare,
invece che
polemici,
persone in
ricerca, che non
perdono la
speranza che la
verità esista e
che noi possiamo
e dobbiamo
vivere in
funzione di
essa. Ma
chiamano in
causa anche gli
aderenti alle
religioni,
perché non
considerino Dio
come una
proprietà che
appartiene a
loro così da
sentirsi
autorizzati alla
violenza nei
confronti degli
altri».
Forse è questo
il tempo in cui
chi ama il Papa
e la Chiesa
faccia sentire
le proprie
ragioni, si
mobiliti, sappia
resistere,
perché come ha
tempo fa
ricordato Paolo
VI in un dialogo
con Guitton:
«C’è un grande turbamento in
questo momento nel
mondo della
Chiesa,
e ciò che è in
questione è la
fede. Capita ora
che mi ripeta la
frase oscura di
Gesù nel Vangelo
di san Luca:
“Quando il
Figlio dell’Uomo
ritornerà,
troverà ancora
la fede sulla
Terra?”. Capita
che escano dei
libri in cui la
fede è in
ritirata su
punti
importanti, che
gli episcopati
tacciano, che
non si trovino
strani questi
libri. Questo,
secondo me, è
strano. Rileggo
talvolta il
Vangelo della
fine dei tempi e
constato che in
questo momento
emergono alcuni
segni di questa
fine. Siamo
prossimi alla
fine? Questo non
lo sapremo mai.
Occorre tenersi
sempre pronti,
ma tutto può
durare ancora
molto a lungo. Ciò
che mi colpisce,
quando considero
il mondo
cattolico, è che
all’interno del
cattolicesimo
sembra talvolta
predominare un
pensiero di tipo
non cattolico, e
può avvenire che
questo pensiero
non cattolico
all’interno del
cattolicesimo
diventi domani
il più forte. Ma
esso non
rappresenterà
mai il pensiero
della Chiesa.
Bisogna che
sussista un
piccolo gregge,
per quanto
piccolo esso
sia». (8
settembre 1977)