Templari di San Bernardo
Congregazione laicale cattolico-cavalleresca di ispirazione templare
 
 
 
  Libri
 

IL SANTO ABBANDONO

 

di Francesca Pannuti

 

«Se noi sapessimo vedere sempre questa santa e adorabile volontà espressa o di beneplacito, sempre approvarla, aderirvi sempre, compierla con tutto il cuore, con amore e fedeltà… questa divina volontà trasformerebbe presto la faccia della terra… Come si ingannano miseramente quelli che sono schiavi della propria volontà e non hanno fiducia sufficiente in Dio, loro Padre, loro Salvatore, l’amico vero, per permettergli di santificarli e renderli felici! Noi, almeno, amiamo il nostro dolce Maestro così sapiente e così buono; facciamo con tutto il cuore ciò che vuole; accettiamo con fiducia ciò che fa. In ciò sta tutto l’uomo, tutto il cristiano, tutto il religioso; qui si trovano la via delle più sublimi virtù e il segreto della felicità per il tempo e per l’eternità».

Queste le parole finali del libro, dal titolo Il santo abbandono, edito nel 1995 dalle edizioni San Paolo, di dom Vital Lehodey, sacerdote cistercense, al secolo, Alcime-Jude, il quale, già abate, pubblicò questo testo nel 1919, forte ormai di una solida cultura spirituale, di una grande capacità di penetrazione psicologica e di una notevole esperienza di direzione di anime.

Perché, dunque, parlare di un libro pubblicato in Italia già vari anni fa in un’edizione riveduta e ritoccata dalle stesse benemerite monache della splendida Abbazia di Rosano, che curarono la prima edizione tradotta nel 1945? Ancora oggi la predicazione e la direzione spirituale insiste sovente sulla necessità di affidarsi a Dio, ma l’eco che producono nell’anima tali ammonimenti è spesso foriero di interrogativi incalzanti che faticano a trovare risposta. Sembra, infatti, talvolta che l’abbandono sia, per sua natura, qualcosa che rifugge dal rigore argomentativo della ragione.

Ebbene questo libro mostra come l’imperativo evangelico di diventare come bambini richieda, per se stesso, l’impegno di affrontare con decisione tutti gli interrogativi che la ragione si pone e di percorrere un cammino di crescita e di approfondimento spirituale lungo e non facile. «Non c’è nessuno, specie davanti allo spettacolo di certe sciagure, ingiustizie o circostanze sconcertanti, – si legge nella presentazione – che non si sia posto il quesito: “Perché…? Perché proprio a me? Perché in questo momento?”» (Il santo abbandono, p. 5). Quando la sofferenza ci colpisce, penso che tutti noi, pur in modo implicito, avvertiamo la mano di Dio, anche allorché riusciamo a distinguere bene che l’origine immediata del male in questione può essere, di volta in volta, la volontà perversa dell’uomo, le forze della natura, scatenate dalle conseguenze del peccato originale, l’impalpabile, ma pur sempre presente e intuibile azione del maligno. Pertanto, nell’attimo in cui percepiamo la dolorosa ferita prodotta in noi da qualche evento penoso, non è così semplice riuscire a reagire nell’ottica della fede. In quel momento, ― ci potremmo chiedere ― quali forze agiscono in noi e fuori di noi? E con quali scopi? La forza del dolore, inoltre, produce inevitabilmente una reazione forte di ribellione, rabbia, sconcerto, difficoltà di controllo dei nostri sentimenti, talvolta anche della nostra ragione. La fede si appoggia, in seno alla nostra umanità, soprattutto sulla facoltà dell’intelletto, la quale, in quei momenti, fatica ad orientarsi. La volontà, che spinge la ragione a credere, è talvolta immersa nel vortice di passioni che rivelano tutta la nostra debolezza. Come prepararsi a quei momenti, che nessun uomo sulla terra può illudersi di non incontrare?

Sono gli istanti delle nostre decisioni interiori più importanti, dell’azione più proficua di Dio in noi. Quale ragione sappiamo dare della realtà, in quei momenti? Un bambino piccolo, quando soffre, non sa fare altro che piangere; un adulto deve saper fare delle scelte mature che riguardano se stesso, gli altri e il proprio rapporto con Dio. E allora, è sufficiente e ragionevole accettare in modo passivo tutto ciò che accade, perché lo manda Dio? Ma, in tali casi, la rabbia, giustificata conseguenza del dolore, come fa a non prendere il sopravvento e a non travolgere il nostro rapporto con Lui? La virtù della prudenza che rapporto ha con l’abbandono che è dovuto nei confronti delle vicende che ci accadono senza nostra responsabilità e di quelle che costituiscono i giusti castighi per i nostri peccati? E ancora, non è sufficiente sapere con certezza che Dio non vuole il male? Occorre avere anche uno sguardo ampio sul Suo rapporto con la storia, la realtà di ogni singolo uomo.

Fino a qui arriva la profondità inconsueta del testo di Lehodey. In esso si distingue bene tra la volontà espressa di Dio, consistente nei comandamenti, nelle Sue ispirazioni interiori, i comandi dei superiori, a cui siamo tenuti, e quella di beneplacito, che si esprime attraverso le vicende quotidiane, così che possiamo ben discernere, volta per volta, dove volgere l’ossequio della nostra volontà. Precisare, infatti, che la prima è sempre superiore alla seconda è senz’altro molto importante per evitare ogni forma di quietismo, di errata rassegnazione o di confusione buonista. Oggi più che mai occorre dichiarare con forza che sicuramente il male che ci circonda è frutto del peccato originale e conseguenza dei peccati personali, ma che esso è anche permesso da Dio o come castigo o come prova. Pertanto, per reagire in modo corretto occorre tenere presente, da un lato, che il castigo è trasformato in redenzione, in virtù del Sangue di Cristo, effuso sulla Croce per amore, e, dall’altro, che di fronte al male o a qualunque evento che può capitare va sempre esercitata la virtù della prudenza che sa ad esso reagire, facendo leva sulla fortezza, per guardare ai comandi divini e alle Sue ispirazioni come luce per orientarsi e per mantenere la fedeltà. A questi richiami preziosissimi all’ordine preciso che dobbiamo rispettare nella nostra ubbidienza a Dio, si aggiunge anche l’accurata spiegazione della preparazione dell’anima mediante il distacco dai beni materiali e da quelli spirituali perché essa possa, a poco a poco, rivolgersi a Dio solo. E’ infatti nei momenti di massima sofferenza che l’anima percepisce la delusione prodotta dalle tante cose a cui si attaccava per vivere e si trova inevitabilmente a faccia a faccia con Dio, senza però vederlo, immersa nell’oscurità che sempre accompagna la fede. La volontà dell’uomo di affermarsi, di sopravvivere a tutti i costi si incontra, talvolta si scontra, con la Volontà di Dio, che ama sempre, talvolta rimproverando, talvolta accogliendo, talvolta richiamando, talaltra attendendo una risposta. Le si presenta così l’occasione per fare una scelta tra le cose e Dio, tra se stessa e Dio, al fine di decidere in modo più risoluto di mettere il Creatore al primo posto nella sua vita. Sono momenti preziosi per chiarire le proprie intenzioni più profonde, correggere le direzioni fondamentali della propria vita, per incontrare Dio e per accogliere le purificazioni dell’anima dalle scorie del nostro orgoglio o dell’amor proprio, che soltanto certe mortificazioni, talvolta sconcertanti, possono operare in noi, mediante l’azione della grazia. Solo Dio, invero, come viene bene messo in evidenza, sa fin dove deve e può arrivare la purificazione e quale valore essa abbia, come pure solo Lui sa compiere, ordinariamente attraverso prove dolorose, il capolavoro della nostra vita spirituale. Senza la liberazione totale da ogni oscurità interiore, infatti, non possiamo certo aspirare di presentarci al cospetto di Dio nella visione beatifica. Intuire anche solo confusamente ciò ci aiuta ad aderire alla Sua volontà, a trovare la forza di baciare la Mano che ci percuote.

Ecco che Lehodey presenta a noi, che spesso siamo appiattiti nel contingente, un modo di vedere la storia universale e quella nostra particolare con occhi diversi, indicandoci sempre e la forza della giustizia divina che non cede alle nostre indiscrete debolezze e la tenerezza della sua misericordia che sa risollevarci, vista spesso attraverso la lente degli scritti di san Francesco di Sales e di sant’Alfonso Maria De’ Liguori: «Tra la malizia dell’uomo e la santità di Dio si stabilisce una strana collaborazione. L’infinitamente santo non può cessare di odiare il male, tuttavia lo tollera per non togliere agli uomini il libero uso della loro libertà, ma la giustizia inderogabile chiederà conto a ciascuno a suo tempo: alle nazioni e alle famiglie fin da quaggiù, perché esse non hanno, in quanto tali, l’eternità; agli individui in questo mondo o nell’altro. Intanto Dio vuole utilizzare, per raggiungere i suoi fini, la malizia degli uomini e le loro colpe, come le loro buone disposizioni e le loro opere sante, in modo che anche il disordine dell’uomo rientri nell’ordine della Provvidenza… “Nerone è un mostro, ma fa dei martiri. Diocleziano spinge i furori della persecuzione fino ai loro limiti estremi, ma prepara la reazione e l’avvento di Costantino. Ario è un demonio incarnato che vorrebbe strappare a Cristo la sua divinità, ma provoca le definizioni della Chiesa su questa stessa divinità. I barbari, gettandosi sul vecchio mondo, lo inondano di sangue, ma preparano al vangelo una popolazione capace di essere cristiana. Le crociate sembrano fallire perché non salvano Gerusalemme, ma salvano l’Europa. La rivoluzione francese travolge tutto, ma provoca la rinascita del vigore e della vita nella società cristiana, obbligata alla resistenza”» (p. 162, dove si cita A. DESURMONT, Providance, pt. I, c. VIII).


 Scudetto della Congregazione T.S.B.

 

 
   

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