Una truffa intellettuale:
Inchiesta sul cristianesimo di Corrado Augias e Remo Cacitti
di Massimo Introvigne
La fede crede che Gesù
sia risorto. La scienza sa che Gesù non è risorto, perché
i morti non risorgono. La fede crede che i quattro Vangeli
ci trasmettano il messaggio di Gesù Cristo. La scienza sa
che non è così. La fede crede che la Chiesa ci permetta
d’incontrare ancora oggi nella storia Gesù di Nazaret
attraverso la continuità dell’istituzione da lui fondata.
La scienza sa che Gesù non ha fondato nessuna istituzione,
e che la Chiesa come la conosciamo semmai deriva
dall’imperatore Costantino. Vecchiume che risale
all’Illuminismo, e che riposa su una concezione dogmatica
e arrogante di scienza definitivamente decostruita da
Adorno e Horkheimer in poi, senza dimenticare la
meta-scienza di Popper? Purtroppo no: lo scientismo è un
passato che non vuole passare, come conferma un aspirante
best seller in cerca di lettori, Inchiesta
sul cristianesimo. Come si costruisce una religione
(Mondadori, Milano 2008), confezionato sulla scia del
successo del suo precedente Inchiesta su Gesù dal
giornalista Corrado Augias, questa volta con Remo Cacitti,
docente di Storia del cristianesimo antico all’Università
di Milano.
Per quanto nell’anno di
grazia 2008 questo possa sembrare un po’ vecchiotto, c’è
ancora chi è convinto che si possa opporre alla fede –
rappresentata per esempio da Benedetto XVI, oggetto di più
di una battutina velenosa, e per definizione infondata e
soggettiva – la Scienza storica con un’ideale S maiuscola,
che sarebbe invece per definizione oggettiva, universale e
certa. Cacitti va addirittura a ripescare dalle brume di
uno scientismo anticlericale dimenticato l’archeologo e
storico francese Salomon Reinach (1858-1932), che gli
fornisce quello che può essere considerato il motto del
libro: mentre la fede dice “io credo” la scienza della
storia delle religioni, fondata su “fatti certi”, può dire
con orgoglio “io so” (p. 265). Una volta entrati in (o per
meglio dire, tornati a) questa logica, il gioco è fatto: a
chiunque muovesse obiezioni in nome della religione o del
semplice buon senso Monsieur le Professeur potrà
additare la sua redingote e il suo cilindro accademici e
invitare chi non insegna storia all’università a farsi più
in là e non disturbare i manovratori.
Il problema, dunque, è
non entrare in una logica che, dal punto di vista
del metodo (e senza volere in alcun modo giudicare le
persone o le intenzioni), costituisce un’oggettiva truffa
intellettuale. Metodologicamente, infatti, non è in nessun
modo accettabile contrapporre “la” scienza alla religione
(che poi, nel libro, è sostanzialmente la religione
cattolica, oggetto degli strali polemici degli autori).
Esistono infatti innumerevoli scuole teologiche e forme di
spiritualità, ma da un punto di vista sociologico è
possibile parlare in modo sensato di “una” religione
cattolica, definita dal magistero della Chiesa e
illustrata nel Catechismo. Non è invece possibile
parlare quando si tratta del cristianesimo, delle sue
origini e di Gesù Cristo di “una” scienza. Anzitutto, ci
sono più scienze che si occupano di questi temi: colpisce,
per esempio, l’assenza nel testo di qualunque riferimento
alla sociologia delle religioni, una scienza il cui più
noto esponente statunitense contemporaneo, Rodney Stark,
ha dedicato una delle sue opere fondamentali precisamente
alle origini del cristianesimo. Inoltre, Cacitti
certamente sa benissimo che se si leggono dieci storici
delle origini del cristianesimo scelti a caso si
troveranno dieci tesi diverse su quasi tutti i punti
essenziali, non solo su questioni di dettaglio.
Ma soprattutto: in che
cosa consiste il metodo storico “scientifico” di Cacitti,
di cui si afferma con tanta sicumera la superiorità sul
modo con cui si accosta alle origini cristiane Benedetto
XVI? Si cita ripetutamente l’intenzione di privilegiare
fonti diverse dai Vangeli, tra cui gli storici romani: ma
dal momento che queste fonti ci dicono molto poco su Gesù
Cristo si torna necessariamente al Nuovo Testamento, sia
pure con una spruzzata di testi apocrifi e gnostici. A
proposito dei Vangeli e delle lettere di Paolo, si afferma
quindi che alcune affermazioni vanno intese come effettivo
resoconto di fatti storicamente avvenuti, altre solo come
metafore o descrizioni di esperienze spirituali a torto
scambiate per realtà storiche o empiriche, altre ancora
come affermazioni messe in bocca post factum a
Gesù per giustificare interessi o posizioni della Chiesa
nascente. Il metodo non è nuovo: il controverso esegeta
irlandese, residente negli Stati Uniti, John Dominic
Crossan e il suo Jesus Seminar avevano prodotto
addirittura un Vangelo “a colori” dove attribuivano
colorazioni diverse a quanto, secondo loro, Gesù avrebbe
detto per davvero e a quanto sarebbe stato inventato dagli
evangelisti. Il problema però è chi e come decide quali
parole e fatti attribuiti a Gesù sono autentici e quali
sono inventati. Dichiariamo autentici i testi che pensiamo
di poter considerare più antichi? Niente affatto: Cacitti
riconosce che le affermazioni più chiare sul fatto che
Gesù sia fisicamente risorto dai morti sono in testi di
san Paolo “vicini all’evento, ovvero databili agli anni
Trenta del I secolo” (p. 28). Eppure secondo lo storico
italiano è “evidente” che si tratta di “una prospettiva
religiosa, non storica” (ibid.). E perché è
“evidente”? Cacitti lo dice in modo più sfumato e Augias
più brutalmente: perché nel XXI secolo “alla resurrezione
dei morti oggi nessuno crederebbe” (p. 72). A parte la
solita mancanza di sociologia – uno sguardo alle
Indagini mondiali sui valori convincerebbe gli autori
che la maggioranza assoluta dei nordamericani e dei
sudamericani, e un buon terzo degli europei, crede in
pieno XXI secolo che Gesù sia risorto – la formula sembra
precisamente quella rimproverata al Jesus Seminar:
consideriamo autentici solo gli eventi e gli insegnamenti
riportati nei Vangeli che risultano accettabili ai
contemporanei, anzi a quella minoranza di contemporanei
che segue i dettami dello scientismo. Il criterio
spacciato per scientifico e storico in realtà è ideologico
e deriva dai nostri pregiudizi. Così le affermazioni sul
primato di Pietro e tutto quanto fonda un cristianesimo
che non sia puro insegnamento morale sulla povertà e la
pace “devono” essere aggiunte posteriori e non possono
fare parte dell’insegnamento autentico di Gesù Cristo: il
quale, diversamente, assomiglierebbe troppo a quello di
Benedetto XVI e darebbe fastidio alla sensibilità
liberal degli autori.
Che le cose stiano così
è confermato dalle incaute incursioni su temi diversi da
quelli delle origini cristiane. Per esempio, in tema di
apparizioni della Madonna a Fatima, Lourdes e Medjugorje,
Cacitti afferma ripetutamente che “non hanno assolutamente
nulla di religioso” (p. 149). Poiché nello scientismo non
c’è posto per le apparizioni, è evidente che la Madonna
non appare. Ma più curiosa ancora è la pretesa di definire
che cosa sia “religioso”. Avendo a suo tempo partecipato
(unico studioso italiano invitato) al progetto europeo
LISOR sulla definizione di religione, penso di avere
qualche elemento per dire che, per esempio, nel messaggio
di Fatima o nelle parole della Vergine a Lourdes, per
tacere dell’esperienza dei fedeli e dei pellegrini nei
rispettivi santuari, tutto è religioso secondo
una qualunque delle maggiori nozioni di religione
utilizzate nella sociologia contemporanea.
Anche sul rigore
scientifico di Cacitti ci sarebbe poi da ridire, come
quando definisce “chierici franchisti” i sacerdoti e
religiosi uccisi durante la guerra di Spagna e canonizzati
(p. 210: molti di loro non erano certamente “franchisti” e
furono uccisi per la loro fede, non per le loro idee
politiche) e quando confonde, tra i documenti del Vaticano
II, la Nostra Aetate (che non è il testo “che
apre alla libertà religiosa”, p. 246) con la
Dignitatis humanae. Si passa invece dalla semplice
svista alla manifestazione dichiarata del pregiudizio
ideologico quando lo storico di Milano attacca “l’oscena
strumentalizzazione di certi passi del Corano, operata da
truci cristiani, per i quali sarebbe quel testo sacro a
fomentare la violenza e il terrorismo islamici”: una
posizione che “certo non è vera” (p. 66). Il maggiore
sostenitore accademico contemporaneo della tesi secondo
cui le giustificazioni di una certa violenza islamica si
trovano in alcune sure del Corano, David Cook, il quale
offre argomenti molto seri e tutt’altro che facili da
smontare, sarà forse “truce” per gli standard di Cacitti,
ma certamente non è un cristiano.
A suo tempo, in
pubbliche interviste, Cacitti difese Il Codice da
Vinci come fonte, se non di veri insegnamenti, almeno
di valide “intuizioni”. Non dovrebbe quindi prendersela
troppo con chi oggi pensa che il suo libro possa fare
compagnia a Dan Brown nello scaffale delle fantasie
anticattoliche: mentre il cristianesimo, quello vero,
rimane un’altra cosa.
tratto dal sito www.cesnur.org
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