Il luogo del
fuoco gelido
27 Marzo 2010
Fonte come da titolazione,
rilevato da Ciani Vittorio x
l'Ufficio Documentazione Diocesi Piacenza-Bobbio.
Inos Biffi *
Se esista o no
l'inferno non lo dobbiamo chiedere ai filosofi; e neppure ai
teologi, siano pure i più blasonati: il compito dei teologi
non è quello di determinare i contenuti del Credo, ma quello
di illustrarli in connessione con tutto il mistero cristiano.
Dobbiamo invece interrogare la fede della Chiesa, che non ha
inventato l'inferno, ma lo afferma, semplicemente perché ha
ascoltato la parola di Cristo sul "fuoco eterno" (Matteo,
25, 41) e sulla "risurrezione di condanna" (Giovanni,
5, 29) per quelli che fecero il male.
Il concilio di
Trento, nell'ottavo canone sulla giustificazione, afferma il
valore salutare della "paura dell'inferno, grazie alla quale,
dolendoci dei peccati, ci rifugiamo nella misericordia di Dio
e ci asteniamo dal male".
Nel Credo di
Paolo vi si professa che: "Gesù Cristo è salito al Cielo, e
verrà nuovamente, nella gloria, per giudicare i vivi e i
morti, ciascuno secondo i propri meriti; sicché andranno alla
vita eterna coloro che hanno risposto all'Amore e alla
Misericordia di Dio, e andranno nel fuoco inestinguibile
coloro che fino all'ultimo vi hanno opposto il loro rifiuto".
Mentre il
Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: "Gesù parla
ripetutamente della "Geenna", del "fuoco inestinguibile", che
è riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere
e di convertirsi, e dove possono perire sia l'anima che il
corpo". Egli "annunzia con parole severe che "manderà i suoi
angeli, i quali raccoglieranno... tutti gli operatori di
iniquità e li getteranno nella fornace ardente", e che
pronunzierà la condanna: "Via, lontano da me, maledetti, nel
fuoco eterno!"" (n. 1034).
E sempre il
Catechismo della Chiesa Cattolica: "La Chiesa nel suo
insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua
eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato
mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi,
dove subiscono le pene dell'inferno, "il fuoco eterno"", dove
"la pena principale dell'inferno consiste nella separazione
eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo può avere la vita e
la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira" (ibidem,
n. 1035).
Chi contestasse
l'esistenza dell'inferno come reale possibilità di chi abbia
rigettato fino all'ultimo la grazia della salvezza, negherebbe
una verità del Credo cristiano. Ma per comprendere, nella
misura del possibile, il senso e in certo modo la ragione
dell'inferno ‑ che è una verità di fede ‑ importa coglierlo
anzitutto nella sua disposizione originaria.
Secondo le parole
di Cristo, il "fuoco eterno" è stato "preparato per il diavolo
e per i suoi angeli" (Matteo, 25, 41), i quali, "creati
da Dio naturalmente buoni", si sono "da se stessi trasformati
in malvagi", per avere, "con libera scelta, radicalmente e
irrevocabilmente, rifiutato Dio e il suo Regno" (Catechismo
della Chiesa Cattolica, nn. 391-392).
Noi constatiamo
che, quando appare l'uomo, è già presente "il serpente antico,
colui che è chiamato diavolo"; già opera il Satana che seduce
(Apocalisse, 12, 9), l'"Anticristo" (1 Giovanni,
2, 18). "Il diavolo è peccatore fin dal principio" (1
Giovanni, 3, 8): Gesù lo definisce, infatti, "omicida fin
da principio", radicalmente "menzognero e padre della
menzogna" (Giovanni, 8, 44).
E quale fu il
peccato di tal "seduttore e anticristo", per il quale
originariamente venne disposto il "fuoco eterno"? Fu,
esattamente, quello di aver obiettato all'eterno "mistero di
Dio, che è Cristo" (Colossesi, 2, 2), di averlo
respinto.
Non dovrebbe
stupire, se pensiamo che Dio abbia creato gli angeli a
servizio del Figlio suo, e che la loro bontà dipenda tutta
dalla loro gioiosa accoglienza di Gesù, mentre la loro
dannazione dalla loro ribellione e dal loro sdegnato rifiuto.
Ce ne convinciamo
seguendo la vita di Cristo, intorno al quale operano sia gli
angeli sia i demoni.
Intorno a Gesù si
aggira anche il demonio, che lo tenta, per distoglierlo dal
compimento della volontà del Padre; diffonde la diffidenza e
induce al distacco da lui (Giovanni, 6, 69); prende
possesso di chi lo tradisce (Giovanni, 13, 27);
contende a Cristo la signoria e la regalità, però rimanendone
sconfitto.
È su Gesù che si
discrimina la rettitudine o la perversione sia dell'angelo sia
dell'uomo. Anzi, ogni peccato obiettivamente e storicamente è
un rifiuto di Cristo, nel quale si risolve la predestinazione
di Dio.
Abbiamo sentito che
Gesù definisce il demonio omicida e menzognero fin dal
principio, colui quindi che si oppone alla Vita e alla Verità,
ossia al Verbo incarnato, che dice di sé: "Io sono la Verità e
la Vita" (Giovanni, 14, 6).
Se torniamo alle
origini, vediamo con chiarezza che tutta la trama del
Serpente, invidioso dell'uomo, è quella di attrarlo da subito
nella sua stessa spirale di gelosia, di sospetto, e di
disubbidienza; quella di rendere l'uomo partecipe della sua
stessa ribellione, e così deturpare in lui l'immagine di
Cristo secondo la quale l'uomo era stato concepito, in modo da
renderlo irriconoscibile dal Padre. L'inferno si configura, di
conseguenza, come la lontananza da Cristo, che non può
trattenere vicino a sé quelli che, consapevolmente, in piena e
definitiva libertà, hanno scelto di essere dissimili da lui.
Quanti non presentano i tratti del Signore, e ne sono
discordanti, si sentono fatalmente dire: "Via, lontano da me"
(Matteo, 25, 41); "Voi non so di dove siete:
Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia" (Luca,
13, 27). L'inferno è il destino irreversibile, ormai fissato
di là dal tempo, di una umanità di cui Dio non si compiace.
All'inferno non c'è
la grazia di Cristo e manca la sua gloria; esso è il "luogo"
della permanente e impenitente deprecazione dell'amore
misericordioso, che fu addirittura il motivo della creazione
dell'uomo.
Non è quindi che la
grazia e il perdono non siano stati offerti o, per contingenti
circostanze, non si siano potuti incontrare. È che l'uomo ‑
chiamato all'esistenza "per mezzo di Cristo", "in lui" e "in
vista di lui" (cfr. Colossesi, 1, 16-17) ‑ li ha
ostinatamente respinti sino all'ultimo, con tutte le forze
della sua libertà, provando fastidio per Gesù Cristo.
Il tormento di
quanti dimorano all'inferno ‑ siano essi i demoni o gli uomini
irredenti che li hanno imitati ‑ proviene proprio dal fatto
che vi è assente Gesù Risorto redentore, sorgente inesausta
della beatitudine, e che non vi si gode la comunione dei
santi. L'inferno è il non esserci di Cristo e della Chiesa.
Al contrario,
l'inferno è una comunione di dannati, che in realtà non
potrebbe essere una comunione, ma solo un implacabile
reciproco dissidio e una invincibile e perpetua discordia.
All'inferno non è possibile l'esperienza dell'amore. Non ci si
ama, ma non ci si può che odiare a vicenda.
Resta a confortarci
la sicurezza che il Signore di questo mondo non è il demonio,
ma Gesù Risorto, che lo ha definitivamente giudicato e vinto,
e che l'amore misericordioso e onnipotente si insinua in ogni
frammento di tempo, anche in quello estremo. |