Templari di San Bernardo
Congregazione laicale cattolico-cavalleresca di ispirazione templare
 
 
 
  La fede dei Templari
 

 

Dallo stupore e dalla gioia si giunge all'agire: col Verbo, fattosi uomo, nulla per noi è più come prima

 

La Santa Messa di Natale: non un punto d'arrivo,
anzi tutto lì, nell'Eucaristia, ha il proprio inizio

 

San Bernardo ci invita a diventare “un'altra Betlemme di Giuda”. Ed a vivere, rivestiti di fede e di bellezza, la dimensione della testimonianza. San Domenico ci spiega come: divenendo missionari, per rievangelizzare i popoli. Per questo ci offre due armi formidabili: la devozione mariana con la recita del Santo Rosario e la preghiera di intercessione per il successo del lavoro apostolico

 

Nel Salmo 113 [112], 5s ci viene detto che “Dio si china a guardare nei cieli e sulla terra”. Ma Benedetto XVI, nell'omelia pronunciata per la Messa di Natale di tre anni fa, ci invita a considerare come questo sguardo non sia privo di conseguenze, poiché “il guardare di Dio -commentò il Santo Padre- è un agire”. In che modo? “Il fatto ch'Egli mi veda, mi guardi, trasforma me ed il mondo intorno a me”. Ci solleva, ci prende benevolmente per mano e ci aiuta a salire. Non a caso, infatti, la Scrittura precisa: “Dio si china”, cioè “viene, proprio Lui, come bimbo giù fin nella miseria della stalla, simbolo di ogni necessità e stato di abbandono degli uomini. Dio scende realmente”. Concetto, questo, che non a caso ritroviamo anche in Padre Tomas Tyn OP e proprio in una sua omelia per il Santo Natale: “San Giovanni aggiunge che il Verbo era la vita -afferma- che il Verbo possiede la vita. Vedete, la vita non significa soltanto esistere, durare nell'esistenza. Significa agire, è agire in sé”.
Per fare che cosa? A cosa siamo chiamati? “Il mondo diventa cinico -prosegue Padre Tyn- “il mondo diventa morto, privo dell'anima, cari fratelli! Ma noi cristiani, noi abbiamo la vita, noi abbiamo la luce, noi abbiamo la gioia, abbiamo la gioia, cari fratelli, la gioia che nessuno mai potrà prenderci! Vedete miei cari, questo nostro obbligo, l'obbligo della carità, tenere accesa la fiaccola della fede. Il mondo, cari fratelli, che orrore, il mondo non sa celebrare il Santo Natale!”. Ecco perché e per chi tenere accesa la fiaccola della fede... “Tutti sentiamo un certo disagio -prosegue Padre Tyn- Talvolta si sente dire: Natale consumistico. Mangiare bene a Natale è un dovere, san Tommaso lo dice chiaramente. San Tommaso dice così: 'come peccherebbe un uomo che non digiuni in Quaresima, cioè che mangia e banchetta in Quaresima, così peccherebbe un uomo che digiunasse nelle grandi solennità della Chiesa”. Dove, allora, alberga la colpa? Dove viene snaturato, deformato, deturpato il vero senso del Natale? Nel fatto che “tutte queste Tradizioni, tutte queste osservanze, tutti quei riti, così commoventi, così belli, così profondi” vengano privati “dell'anima della fede! Se non c'è fede -afferma Padre Tyn- non c'è vita, perché non c'è il Verbo della vita”. Allora: “noi siamo credenti, dobbiamo esserlo con sicurezza, con convinzione, con gioia, che esulta in Dio per mezzo del Cristo e che si fa propagatrice della fede su tutta la faccia della terra!”. Attenzione, però, perché le nostre opere vanno alimentate. Scrive San Bernardo di Chiaravalle, nel primo sermone nel Natale del Signore: “Le opere buone devono essere condite con il fervore della devozione e con la dolcezza della grazia spirituale”. Nella dimensione del Natale si vive il senso più autentico e profondo della misericordia, dunque. La potenza del Signore già si è manifestata nella creazione delle cose e nel governarle, segni e prodigi l'hanno resa evidente ai Giudei; la maestà del Signore già si è manifestata ai filosofi, “poiché, secondo le parole dell'Apostolo, ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto (Rm 1,19)”. Ma la potenza esige sottomissione e la maestà ammirazione, “nessuna delle due vuole l'imitazione”, commenta San Bernardo. Per questo, “la bontà della misericordia si manifestò soprattutto ora, nell'umanità”. Affinché l'uomo, creato a Sua immagine, “possa conformarsi”. E' la misericordia ad averci salvati, ad aver salvato tutta l'umanità. Ieri, oggi e domani. Poiché “è una sorgente che non potrà mai essere esaurita”, è la sorgente “da cui ci siamo lavati, come sta scritto: 'Egli ci ha amati e ci ha lavati dai nostri peccati (Ap 1,5)” attraverso il perdono. E' la sorgente, che estingue la sete: “L'acqua della sapienza gli darà da bere” (Sir 15,3). Ed ancora: “La sapienza della carne, voluttuosa, non pura, è morte -precisa l'Abate di Chiaravalle- la sapienza del mondo, agitata, non pacifica, è nemica di Dio. Solo la sapienza che viene da Dio dà la salvezza”, poiché “è pura, non ricerca i suoi interessi, ma gli interessi di Gesù Cristo, in modo che ciascuno non faccia la propria volontà, ma consideri quale sia la volontà di Dio”. Da qui l'evidenza di come, proprio per tutto questo, il Bambinello, pur piccolo, non ci abbia donato poco. E ci abbia insegnato la discrezione.
Nel proprio Vangelo, San Luca evidenzia un dato importante: il fatto che i pastori vegliassero. In loro -evidenzia Benedetto XVI nella citata omelia- “il senso di Dio e della Sua vicinanza era vivo”, non si rassegnavano cioè “all'apparente lontananza da Lui nella vita di ogni giorno”. Cosa accade ad un cuore vigilante? Ad esso “può essere rivolto il messaggio della grande gioia: in questa notte è nato per voi il Salvatore. Solo il cuore vigilante è capace di credere al messaggio”. Anche perché, fatto non secondario, “la venuta di Dio a Betlemme fu silenziosa”. O il cuore tende l'orecchio o non se ne rende conto. Nessun clamore, infatti, né ovazioni, né applausi, nessun ingresso teatrale, nessun colpo di scena: l'Altissimo, l'Onnipotente non si fece annunciare. “Soltanto i pastori che vegliavano -incalza il Sommo Pontefice- furono per un momento avvolti nello splendore luminoso del Suo arrivo e poterono ascoltare una parte di quel canto nuovo, che era nato dalla meraviglia e dalla gioia degli angeli per la venuta di Dio”. Ciò accadde allora, ciò accade ancora oggi: “Questo venire silenzioso della gloria di Dio continua attraverso i secoli. Là dove c'è la fede, dove la Sua Parola viene annunciata ed ascoltata, Dio raduna gli uomini e si dona loro nel Suo Corpo, li trasforma nel Suo Corpo. Egli 'viene'. E così si desta il cuore degli uomini”. Ieri come oggi. Ecco perché è così importante tutto questo. Perché “solo se cambiano gli uomini, cambia il mondo”. E, per cambiare “gli uomini hanno bisogno della luce proveniente da Dio, di quella luce che in modo così inaspettato è entrata nella nostra notte” grazie al Bambino. Anche più avanti e sino all'Orto degli Ulivi, ripetutamente il testo sacro ci invita a questa vigilanza reale, concreta, a restare svegli per accorgerci della venuta del Signore ed esservi di conseguenza preparati. Sempre. In ogni tempo.
Contemplare incantati il Mistero immenso dell'Incarnazione, la Bellezza del Mistero di Dio, che si rivela come “Dio con noi”: è questo ciò che rivive nelle celebrazioni liturgiche del Tempo di Natale, in particolare nella Santa Messa della Notte, la cui nota tipica, dominante, è quella dello stupore. Del resto, “possiamo non stupire?”, si chiede San Bernardo nei “Discorsi”. Ed incalza: “Potremo mai essere abbastanza stupefatti? Con Gesù è la Salvezza a venirci incontro”. Da qui sgorga la gratitudine e sovrabbonda la gioia.
La gioia non è una dimensione da sottovalutare. Oggi da più parti si tende a rimarcare la fatica del credere, del dubbio, della fragilità. Che pur non mancano, specie in certi momenti della vita o di fronte a particolari prove; ma è sbagliato ed estremamente pericoloso attardarsi su tali aspetti, anche perché -come dice la Sacra Scrittura- “Dio ama chi dà con gioia” (2Cor 9,7). Commentò San Leone Magno Papa: “Rallegriamoci, non vi può essere spazio per la tristezza, là dove sono le radici della vita, là dove nasce la vita eterna ed imperitura”. Solo “alla luce del Verbo eternamente procedente dal Padre e fattosi uomo per la nostra salvezza, noi riscopriamo la grandezza della nostra umanità”. Allora, esortava San Leone Magno, “agnosce, Christiane, tuam dignitatem”, riconosci, o Cristiano, la tua dignità!. Da qui, l'esclamazione di Atanasio: “Sono cose grandi!”, poiché realmente ci sottraggono, tutti noi creature ed in ogni tempo, al peccato ed alla morte. Niente meno.
Affermò Padre Tyn nella citata omelia: “Certo, se siamo animaletti più o meno evoluti, come vorrebbe farci credere una certa pseudoscienza, è chiaro che la nostra responsabilità morale è poca cosa. E no! Il Verbo venne in mezzo a noi, il Verbo si fece carne! Perché? Perché il Verbo voleva ricondurre l'uomo alla dignità della sua condizione originale, alla santità della sua prima origine divina”. Ed ancora: “La salvezza dell'uomo è una restaurazione dell'uomo! Per essere ricreati, secondo il progetto originario architettonico del Re. Voler essere generati significa ricevere vita da Dio, niente meno che questo, ricevere vita eterna da Dio! Ecco, cari fratelli, qual è la nostra dignità, qual è la nostra responsabilità”. Allora, l'invito che nei citati “Discorsi” ci fa San Bernardo è a “diventare” noi stessi “un'altra Betlemme di Giuda”, affinché il Signore non disdegni di “essere vostro ospite”: “Non a Gerusalemme, la città dei Re della Giudea, nasce Gesù -spiega- ma a Betlemme, il più piccolo dei capoluoghi di Giuda. Piccola Betlemme, ormai esaltata dal Signore: l'Altissimo si è fatto minimo in te”. Essere un'altra Betlemme significa allora “nutrirsi del Pane della Parola divina”, per quanto se ne sia indegni; significa vivere “mediante la fede”e lasciar che da essa sgorghi di conseguenza la giustizia, anche quando lasci “a desiderare la vostra testimonianza di vita. Che la Giudea sia il luogo della vostra testimonianza; rivestitevi di fede e di bellezza”. Solo “allora potrete accogliere senza paura Colui che nasce a Betlemme di Giuda, Gesù Cristo, Figlio di Dio”.
Dove poter svolgere tutto questo? Quali gli ambiti? Questi ci vengono indicati con chiarezza da San Domenico di Guzman, il fondatore dell'Ordine dei Predicatori, che aveva individuato due enormi sfide per la Chiesa: l'esistenza di popoli non ancora evangelizzati e la lacerazione religiosa, che indeboliva la vita cristiana. Commentò Benedetto XVI nella catechesi dell'udienza generale del 3 febbraio 2010, svoltasi in Aula Paolo VI e dedicata proprio a San Domenico: “L'azione missionaria verso chi non conosce la luce del Vangelo e l'opera di rievangelizzazione delle comunità cristiane divennero così le mete apostoliche che Domenico si propose di perseguire”. E che nulla han perso in termini di attualità: pensiamo quanto siano concrete come prospettive anche ai nostri giorni in società dilaniate dal relativismo, ferite dal positivismo, aggredite dalla secolarizzazione. Come riuscire in tale compito, certamente impegnativo? Il Santo Padre ci dice: con lo studio. “Domenico, con un gesto coraggioso -richiama Benedetto XVI- volle che i suoi seguaci acquisissero una solida formazione teologica e non esitò ad inviarli nelle Università del tempo”. Le Costituzioni dell'Ordine, del resto, “danno molta importanza allo studio come preparazione all'apostolato. Esorto dunque tutti, pastori e laici -invita il regnante Pontefice- a coltivare questa 'dimensione culturale' della fede, affinché la bellezza della Verità cristiana possa essere meglio compresa e la fede possa essere veramente nutrita, rafforzata ed anche difesa”.
Per questo, San Domenico offre anche due mezzi indispensabili, due armi formidabili, perché tale improbo compito abbia pieno successo ad maiorem Dei gloriam: la devozione mariana, “che egli coltivò con tenerezza -ricorda il Papa- e che lasciò come eredità preziosa ai suoi figli spirituali, i quali nella storia della Chiesa hanno avuto il grande merito di diffondere la preghiera del Santo Rosario, così cara al popolo cristiano e così ricca di valori evangelici, una vera scuola di fede e di pietà”; inoltre, altro strumento utile indicatoci da San Domenico per la Buona Battaglia cui San Paolo ci chiama, la preghiera di intercessione per il successo del lavoro apostolico. Con tali difese, impossibile fallire. Si può, in quanto creature soggette al peccato, inciampare, si può cadere, ma poi ci si rialza e si riprende il nostro cammino spirituale.
Allora, non solo durante la Santa Messa di Natale, bensì ad ogni celebrazione liturgica si tenga presente come proprio lì, nell'Eucaristia, non vi sia un punto d'arrivo, come lì non finisca tutto, bensì tutto abbia realmente inizio. Proseguiamo il nostro cammino. Con gioia.

Mauro Faverzani


 Scudetto della Congregazione T.S.B.

 

 
   

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