La pace come
perdono
(Don Tonino Bello)
Solo chi perdona
può parlare di pace e teorizzare
sulla non violenza. Non vorrei
essere frainteso.
E' vero: la pace è conquista,
cammino, impegno. Ma sarebbe un
brutto guaio se qualcuno pensasse
che essa sia semplicemente il
frutto dei nostri sforzi umani o
il risultato del nostro
volontarismo titanico o una merce
elaborata nelle nostre cancellerie
diplomatiche o un prodotto
costruito nei nostri cantieri
popolari.
La pace è soprattutto dono che
viene dall'alto. E' la strenna
pasquale che Gesù ha fatto alla
terra. È il regalo di nozze che ha
preparato per la sua sposa. Con
tanto di marchio di fabbrica: "Made
in Cielo".
Qual è allora il ruolo degli
operatori di pace? Quello di non
respingere il dono al mittente. E'
in particolare, quello di rendere
attuale e fruibile per tutti
questo regalo di Dio. Mi spiego
con immagini. Gesù è sceso sulla
terra tormentata dalla sete. Con
la sua croce, piantata sul
Calvario come una trivella, ha
scavato un pozzo d'acqua
freschissima. Una volta risorto,
ha consegnato questo pozzo agli
uomini dicendo: "Vi lascio la
pace, vi do la mia pace". Ora
tocca a noi attingere l'acqua
della pace per dissetare la terra.
A noi, il compito di farla venire
in superficie, di canalizzarla, di
proteggerla dagli inquinamenti, di
farla giungere a tutti.
La pace, dunque, è dono. Anzi, è
"per-dono". Un dono "per". Un dono
moltiplicato. Un dono di Dio che,
quando giunge al destinatario,
deve portare anche il "con-dono"
del fratello.
E qui il discorso si fa concreto.
Come possiamo dire parole di pace,
se non sappiamo perdonare? Con
quale coraggio pretendiamo che
siano credibili le nostre scelte
di pace a livello di massimi
sistemi, quando nel nostro
entroterra personale prevale la
legge del taglione? Come possiamo
rifiutare la "deterrenza" e
respingere la logica del missile
per missile, se nella nostra vita
pratichiamo gli schemi
dell'"occhio per occhio e dente
per dente"? Quali liberazioni
pasquali vogliamo annunciare, se
siamo protagonisti di stupide
smanie di rivincita, di deprimenti
vendette familiari, di squallide
faide di Comune? Chi volete che ci
ascolti quando facciamo comizi
sulla pace, se nel nostro piccolo
guscio domestico siamo schiavi
dell'ideologia del nemico?
Solo chi perdona può parlare di
pace. E a nessuno è lecito
teorizzare sulla non violenza o
ragionare di dialogo tra popoli o
maledire sinceramente la guerra,
se non è disposto a quel disarmo
unilaterale e incondizionato che
si chiama "perdono".
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