Carissimo direttore, poiché mi
trovo quasi sempre d’accordo
con le tue posizioni dal punto
di vista cultural-politico, mi
permetto di farti avere delle
osservazioni che sento
assolutamente necessario, in
coscienza, formulare e
pubblicare. Mi hanno indotto a
questo anche due bellissimi
articoli che ho letto
recentemente sulla questione
dell’assetto cultural-
social-politico in questo
momento tragicomico della
nostra storia nazionale.
Uno è un articolo del
professor Francesco Alberoni
sul fanatismo devastante di
certe posizioni politiche, che
mi ha ricordato i tempi
indimenticabili dei miei studi
universitari, in cui l’allora
giovane professor Alberoni ci
insegnava i rudimenti della
sociologia. E poi l’articolo
molto acuto del professor Aldo
Grasso con cui ho condiviso
tanti anni di insegnamento in
Cattolica.
Non voglio fare nessun
intervento nell’ambito
specifico dell’impegno dei
laici, soprattutto dei laici
che hanno deciso di
partecipare attivamente alla
vita delle istituzioni. Non
tocca ai vescovi stabilire
l’identikit del presidente
della Repubblica e non tocca
ai vescovi indicare le
priorità di carattere politico
in senso stretto, ma tocca ai
vescovi intervenire sulle
gravi vicende di carattere
culturale che sono arrivate,
nel nostro paese, a un livello
di crisi che mi sembra senza
ritorno.
Mi sono chiesto se è giusto
che noi continuiamo a tacere
di fronte a posizioni
culturali, sociali e politiche
che affermano letteralmente
che l’uomo è Dio; e che
affermano una subordinazione
totale e parossistica alla
rete, indicata come soluzione
globale di tutti i problemi
dell’umanità.
Se si possa tacere di fronte a
una modalità di porsi, nella
vita politica, che disprezza,
nel linguaggio e negli
atteggiamenti, qualsiasi
interlocutore che viene
sbrigativamente percepito come
avversario da eliminare. Se è
possibile far prevalere tutta
una serie di valutazioni
personalistiche di carattere
moralistico come ambito in cui
decidere la presentabilità o
meno di candidati a questa o a
quella carica. A parte
l’ignoranza spaventosa per cui
si possono citare frasi del
primo hitlerismo e di alcuni
documenti delle più terribili
dittature del Ventesimo secolo
cercando di dargli una patente
di credibilità e di
autorevolezza. In questo
contesto, dove una persona
ragionevole, io non vorrei
scomodare la fede, una persona
ragionevole si trova veramente
a disagio, ritengo che sia
giusto che un vescovo della
chiesa cattolica dica che c’è
una sostanziale
inconciliabilità fra la
visione della realtà che nasce
dalla fede e questa vita
politica ridotta alla difesa
accanita dei propri interessi
particolari o di formazione
ideologica.
Non credo che sia giusto che
si possa continuare in
un’equivoca tolleranza di
posizioni che obiettivamente
sono distruttive, non solo e
non tanto della fede
cattolica, ma di una vita
sociale autenticamente fondata
su valori sostanziali e
inderogabili, quelli che
Benedetto XVI aveva così
genialmente sintetizzato
nell’espressione “valori non
negoziabili”.
Di fronte alla proposta di una
vita socio- politica ridotta a
posizioni teoriche demenziali,
corredate da un linguaggio e
relativi atteggiamenti dello
stesso tipo, io mi sento di
dire con tranquillità, almeno
ai fedeli cattolici della mia
diocesi, che non è possibile
essere cristiani e
contemporaneamente appoggiare
a qualsiasi livello posizioni
e scelte che sono
evidentemente in contrasto con
la concezione della vita che
la chiesa, coerentemente, da
duemila anni insegna. Se poi
la novità è rappresentata,
anche sul piano istituzionale,
da disegni di legge che
riguardano il riconoscimento
civile delle unioni gay, il
cambiamento a spese del
Servizio sanitario nazionale
del sesso, ci rendiamo conto
da che parte va questa
presunta novità.
Ma c’è un ulteriore e ultimo
disagio. Mi sono chiesto in
questi giorni: ma dove è
finita la presenza politica
dei cattolici in Italia? Si
caratterizzano per le scelte
politiche che fanno, destra o
sinistra, ma non più per
quella vera appartenenza a
valori in forza dei quali
diventa possibile un vero
dialogo, confronto, e al
limite la collaborazione.
Mi sono reso conto con
amarezza che la presenza
politica dei cattolici sembra
non esistere più. Esistono dei
cattolici che a titolo sempre
più personale, quindi nel
senso restrittivo della
parola, militano di qua o di
là ma ricevono la loro dignità
dalla scelta analitica che
hanno fatto. E forse qui non è
in ballo soltanto la
responsabilità dei laici.
Forse l’azione educativa che
noi dovremmo insistentemente
riprendere con i nostri laici,
soprattutto quelli impegnati
nei campi più difficili,
sembra essere venuta meno. Non
so se non è più chiesta. Resta
il fatto che da noi vescovi
viene offerta in modo sempre
più blando e sempre meno
mordente. Non è un contributo
ma non credo che potessi
tacere ai fedeli della mia
chiesa questa direttiva che ho
ritenuto necessario dare.
Siccome poi il vescovo di una
diocesi particolare vive e
deve vivere un affetto per la
chiesa universale, pongo
questo mio intervento a
disposizione di quanti, nelle
altre chiese, possano
riconoscersi e ritrovarsi in
esso.
(Il Foglio del 19/04/2013)
(*) Luigi Negri
Arcivescovo di Ferrara –
Comacchio
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