La casa
editrice Bompiani ha appena ripubblicato – senza voler
entrare nelle recenti ed accese discussioni teologiche sul
rapporto tra Provvidenza Divina, peccati degli uomini e
legittimi castighi – un bel testo antico, classico, che
appare davvero risolutivo in materia, tanta è
l’autorevolezza sia dell’autore che delle sue
argomentazioni (cf. Lattanzio, La collera di Dio [orig. De
ira Dei], Bompiani, Milano 2011, pp. 435, euro 15) |
Lucio Cornelio
Firmiano Lattanzio (240-320 ca.) fu un grande autore
ecclesiastico dell’Africa romana, di origini pagane,
istruito ed educato da Arnobio, a causa del quale si
convertì coraggiosamente al cristianesimo. Subì in prima
persona la persecuzione scatenata da Diocleziano nel 303 e
dovette allontanarsi da Nicomedia e cessare l’insegnamento
della retorica. Con la svolta costantiniana del 313, ma in
realtà già prima, ritrovò la libertà e da allora si dedicò
prevalentemente alla composizione delle sue opere, alcune
delle quali lo resero celebre fino ad oggi (il Migne le
riporta nella Patrologia Latina nei volumi 6 e 7).
Tra di esse spiccano senz’altro le Divinae Institutionis,
in 7 libri, considerate da alcuni come il primo completo
catechismo cattolico ed il trattato, di grande importanza
storica per la ricostruzione dell’impero che offre, De
mortibus persecutorum, dedicata alle pene che affliggono
immancabilmente i nemici del Vangelo.
Il De ira Dei fu scritto attorno al 313 e voleva mostrare
tutta la differenza tra l’impassibilità stoica e platonica
degli Dei pagani, e la vivacità e il dinamismo, pur
nell’immutabilità ontologica, del Dio di Gesù Cristo.
Nell’ottima introduzione, il latinista Luca Gasparri
spiega che il trattato «si indirizza contro coloro i
quali, cadendo in errore nel giudizio della natura
celeste, ritengono di poter negare che in essa vi siano
bontà e ira, o credono che la perfezione divina sia tale
soltanto se, in essa, la bontà esclude la possibilità
della collera» (p. 10). Per Lattanzio al contrario, «bontà
e collera sono necessariamente complementari (non si può
amare il bene senza odiare il male)» (p. 11).
Così, per un grande autore del IV secolo, e in generale
per i Padri della Chiesa, era ovvio affermare che «dal
momento che Dio ha stabilito una legge santissima e ha
voluto che tutti gli uomini fossero innocenti e
benevolenti, è forse possibile che non monti in collera
allorquando vede denigrare i suoi comandamenti, rigettare
la virtù e ricercare il piacere?» (p. 125). La conseguenza
è altrettanto scontata e coerente: «Per immensa e
indispensabile che sia la pazienza di Dio, nondimeno,
egli, per quanto tardi, punisce i malfattori e, non appena
abbia visto chiaramente che non possono perfezionarsi
[cioè convertirsi], non permette loro di andare oltre» (p.
131).
Una lettura agevole anche per il non specialista, con
testo latino a fronte per chi gradisce, ottimamente
corredata da ampie spiegazioni e note. Una lettura
soprattutto, che nel nostro attuale contesto, assume il
ruolo di necessario correttivo di idee, tendenze e visioni
largamente diffuse nella Chiesa, come il pacifismo, il
buonismo e il sentimentalismo, ma che poco o nulla hanno a
che fare con la tradizione cattolica universalmente nota e
conosciuta. (F. C.) |