MONS.
LUIGI NEGRI (Vescovo di San Marino -
Montefeltro)
OMELIA NELLA CELEBRAZIONE DELLA NOTTE DI
NATALE 2008
Sia lodato Gesù
Cristo.
È una tenebra folta quella che avvolge
l’universo; il popolo camminava nelle tenebre,
ha detto il Profeta. Ma per distinguere fra la
luce e le tenebre bisogna avere un’idea della
luce, bisogna averla vista in qualche momento
prima di perderla, bisogna almeno vederla in
quello spazio profondo del cuore in cui
ciascun uomo desidera la luce, desidera
conoscere la verità e il bene desidera vivere
nella luce, perché la luce è Dio. Il nostro
mondo vive nelle tenebre come se queste
fossero la condizione normale dell’esistenza;
sembra un popolo che è nato nelle tenebre,
vive nelle tenebre, morirà nelle tenebre. La
tenebra è l’assenza di qualsiasi verità, la
tenebra è questa violenza inaudita e il
Profeta ricorda l’immagine di questa violenza:
gli stivali dei soldati che rimbombano e i
mantelli sporchi di sangue. Quanta gente nel
mondo vive ancora con le giornate e le notti
ritmate dal passo cadenzato dei militari che
nei diversi mondi rappresentano e servono la
violenza e l’ingiustizia. Quanta gente ha
visto intridersi di sangue le proprie vesti o
le vesti dei propri amici, dei propri
fratelli, per esempio, dei propri fratelli di
fede com’è successo a centinaia e centinaia di
nostri fratelli cristiani in questi ultimi
mesi nelle diverse parti del mondo. La
violenza è l’antivita; il mondo vive
un’antivita, una vita senza significato e
senza chiarezza, dove i criteri fondamentali,
non solo sono dimenticati, ma vengono
contraddetti. Provvidenzialmente fino ad ora
possiamo dire che è stata risparmiata la
vergogna che nei giorni di Natale si compisse
un assassinio contro una donna debole e
indifesa, sotto la speciosa giustificazione
che ammazzarla era volerle bene. Solo un mondo
come il nostro- ma sembra che siamo proprio
agli estremi- può coniugare la parola amore
con la parola morte e può dire che si
ammazzano gli uomini perché si vuol loro bene.
Le tenebre sembrano essere la condizione
normale della vita ed è la violenza, poi, a
farla da padrona in tutti gli ambiti della
vita, da quelli che dovrebbero essere più
gratuiti, più familiari, più immediati, la
realtà della vita familiare, dei rapporti
familiari, dei rapporti che costituiscono il
nucleo portante della vita sociale, su su,
fino alle espressioni più articolate della
società. Su tutto sembra che questa tenebra
sia il modo normale della vita e la violenza
la cifra concreta e quotidiana di questa
esistenza. Non è pessimismo, né tanto meno
catastrofismo; è guardare la realtà con la
profondità degli occhi dei grandi Profeti di
Israele che la Chiesa ha utilizzato in questo
ultimo cammino verso il Natale. Ma soprattutto
è guardarlo con l’occhio particolare di coloro
che hanno la responsabilità di annunziare che
questa antivita non è la vita. E’ venuta la
luce, figlio mio, figlio mio; che vibrante
tenerezza c’è in questa espressione di Paolo
al fratello ed amico Tito. Figlio mio è
apparsa la luce, la grazia della luce;
l’antivita non è la vita, la violenza non è il
criterio dei comportamenti, l’affermazione dei
propri istinti non è la regola dell’esistenza,
il progetto dell’esistenza non è possedere
tutto, uomini, cose, situazioni da sottoporre
alla nostra individuale progettualità. C’è
un’altra cosa nel mondo: è entrata nel mondo
la luce di Dio, il potere di Dio, la decisione
di Dio di far finire queste tenebre, di
sconvolgerle, di far entrare dentro queste
tenebre la luce, il volto autentico e
definitivo di Dio, il volto di Dio che viene a
dire a ciascuno di noi, oggi come duemila anni
fa, non l’antivita ma la vita. Non l’uomo da
solo che afferma se stesso, ma l’uomo che
riconosce questo fiotto di luce che irrompe
dentro l’esistenza e va a finire nel cuore
dell’uomo perché altro spazio non v’è, sulla
terra, di fronte a Dio, se non il cuore
dell’uomo, la sua capacità di capire, la sua
capacità di amare il rischio della sua
libertà. Dio parla alla libertà dell’uomo e al
cuore dell’uomo, ha creato il cosmo e
l’universo come contesto in cui la libertà
dell’uomo potesse esercitarsi. Il potere di
Dio si è manifestato in questa grande luce che
fa finire, immediatamente, le tenebre nel
senso che toglie loro ogni significato, ogni
senso. La vita vera non è quella, non è quella
in cui si attorciglia l’esistenza umana dei
popoli e delle nazioni, la vita è rivelata da
Dio potente, ma il Dio potente è entrato nel
mondo per far nascere dentro il mondo la sua
vita in un bambino. E questo è il paradosso
supremo del Natale; la potenza di Dio si
coniuga come tenerezza, la potenza di Dio si
coniuga come tenerezza perché Dio è diventato
la cosa più tenera che esista sulla terra e la
cosa più tenera che esiste sulla terra è un
bambino. Dio è diventato un bambino, la sua
tenerezza è diventata una realtà vivente, la
tenerezza di Dio non è un sentimento, non è un
idea, un valore, la tenerezza di Dio è Dio che
entra nel corpo della Vergine Maria e si fa
nascere da lei, si fa generare da lei. Questa
è la luce che nessuno potrà più togliere dal
mondo; questa è la luce che generata dentro il
cuore di Gesù di Nazareth si comunica, poi,
irresistibilmente da cuore a cuore, come dice
il Concilio. Si è comunicato al cuore di sua
madre che ha così creduto nella luce di Dio,
tanto da poterla generare nella carne e nel
sangue e poi nei pastori, nei magi e, via via,
lungo le stagioni della vita del Signore Gesù
Cristo figlio di Dio, a coloro che lo hanno
incontrato e che hanno avuto il coraggio di
dirgli “ti veniamo dietro”, perché in questa
presenza sta il senso profondo della nostra
vita. Dio in Gesù Bambino è diventato la
suprema tenerezza, ma questa suprema tenerezza
in cui Dio ha manifestato il suo potere, non
ha vinto sul campo di battaglia contro le
tenebre, scatenando contro le tenebre, come
pure avrebbe potuto, le legioni di suoi angeli
e tutto lo straordinario potere che, essendo
il Dio inaccessibile, poteva mettere in campo.
Ha vinto le tenebre nella vita tenerissima di
un bambino generato da sua madre e questo
bambino, ce lo ricorda benissimo nella sua
Omelia di Natale San Leone Magno, era insieme
un uomo, figlio dell’uomo, totalmente unito al
figlio di Dio e il figlio di Dio totalmente
unito al figlio dell’uomo. Questa sera dunque,
fratelli, guardiamo il presepe, la mangiatoia,
il luogo dove il Signore Iddio ha fatto
rifulgere la sua luce, la luce che è Cristo,
che è l’avvenimento della sua presenza in noi
e per noi; perché, finalmente, le tenebre
scompaiano e la vita di Dio sia il contesto
normale dell’esistenza e non l’antivita che
nasce dall’intelligenza e dal cuore di un uomo
abbandonato a se stesso e perciò
inesorabilmente in preda del male e del
peccato. Questa è la notte di Natale,
riconoscere che il Dio potente è tutto nel
Bambino Gesù, riconoscere che il Bambino Gesù
è il figlio di Dio che comincia a vivere nel
mondo e comincia a vivere quella lotta certa,
quella battaglia certa con cui il Signore
Iddio ha già vinto il male del mondo. Noi
vorremmo poter credere, con la stessa radicale
semplicità ed umiltà di sua madre; per questo,
in questa notte santissima, chiediamo a Maria
di parteciparci almeno un po’ di quella fede
che l’ha resa Madre del Signore e poi l’ha
resa prima pellegrina di suo figlio, dietro di
lui, perchè la nostra vita sia veramente e
definitivamente illuminata dalla luce del
Signore. Paolo ha usato in questo brano della
Lettera, una frase bellissima: ci ha insegnato
a vivere, ci insegna a vivere una vita nuova
nel mondo, credere in Gesù Cristo figlio di
Dio incarnato, tenerezza di Dio presente nel
mondo, luce che illumina le tenebre e
sconfigge le tenebre, vuol dire imparare da
lui a vivere. Non c’è fede reale in Gesù
Cristo figlio di Dio se non diventa un cammino
dietro di lui, con lui, per imparare quel modo
nuovo di essere e di esistere che egli ha
vissuto, che egli ha comunicato alla sua
Chiesa e che la sua Chiesa ci comunica, giorno
dopo giorno, se il nostro passo si cadenza sul
passo della Chiesa, se il nostro respiro
respira con la Chiesa, se la nostra
intelligenza vuole esser illuminata dall’
intelligenza della Chiesa, se il nostro cuore
vuol essere educato dal cuore della Chiesa. E’
una grande notte perché è una notte di grazia
e questa grazia rifulge in un modo che è
umanamente incredibile, potere e tenerezza per
secoli, se non per millenni; la parola potere
si è coniugata come violenza, come
imposizione, come schiavitù e dominio. Solo
nel mistero di Cristo il potere di Dio si è
espresso come tenerezza, si è espresso come
tenerezza in un avvenimento di tenerezza,
perché Gesù Bambino è l’avvenimento di Dio che
si fa tenerezza per l’uomo e nella vita
dell’uomo. Noi ci crediamo, noi l’affermiamo:
Signore della nostra vita, questo piccolo Gesù
Bambino è il Signore della nostra vita e in
lui vibra già tutta la gloria che si
manifesterà come esito del suo sacrificio nel
mistero della sua Pasqua, del suo passaggio in
mezzo a noi. Ma è già tutto qui, è già tutto
nella brevissima esistenza nella tenerezza di
quella creatura che da un lato ci sollecita ad
una infinita tenerezza anche da parte nostra,
ma dall’altro ci spinge, come ha spinto Maria,
ad inginocchiarci davanti al Signore e a
riconoscere che in questo Bambino sta per
sempre la gloria e il potere del Signore
Iddio, sta nel Bambino Gesù la gloria e il
potere del Signore Iddio. Noi ci crediamo, noi
lo affermiamo, noi lo proclamiamo di fronte a
questo mondo malato e completamente in preda
alle sue contorsioni di possesso e di
violenza, noi affermiamo, inalberiamo
l’immagine di Gesù Bambino come il grande
annuncio che il male è stato definitivamente
sconfitto ma non sarebbe vera la nostra
proclamazione di lui se non incominciassimo a
camminare dietro di lui per imparare a vivere,
come Dio ha vissuto perché la grazia che ci è
stata fatta non è soltanto che il Signore
Iddio è venuto su questa terra, ma è venuto
perché ciascuno di noi, a contatto con lui,
affermando la sua vita più che la nostra,
affermando la sua presenza più che la nostra,
potesse camminare verso la vita vera.
Rimettiamoci in cammino con una consapevolezza
più profonda della grazia del Natale ma,
soprattutto, desiderando che questo Natale del
Signore apra davanti a noi una strada di
compagnia con lui, nella compagnia della
Chiesa, che ci aiuti a vivere in modo
realmente cristiano e quindi totalmente umano.
Così sia.
+ Luigi Negri
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