La
Gerusalemme celeste e la Gerusalemme storica
Carlo Maria Martini
La Gerusalemme
celeste (Ap 21, 1-22, 5)
Siamo nella parte finale dell'Apocalisse, dedicata alla
descrizione della Gerusalemme celeste, a cui seguirà la
conclusione. Il nuovo ordine di cose, instaurato dalla
morte e risurrezione di Cristo, è disegnato attraverso due
grandi fasce di simboli.
Quelli della creazione e del paradiso di Genesi 1-2, dove
si parla di "nuovo cielo", "nuova terra", "ogni cosa
nuova". Il profeta Isaia annunciava "una cosa nuova"
(43,19), qui viene fatta "ogni cosa nuova", la nuova
creazione. Al tema sono connessi i simboli del fiume nel
paradiso, dell'acqua che sgorga, dell'albero che dà vita (cfr.
Gen 2) e anche quelli della nuova città, descritta da
Ezechiele dal capitolo 40 al 48 (risuonano pure passi del
Deuteroisaia e di Zaccaria), che è senza tempio, meglio è
tutta tempio, tutta dimora di Dio. Dunque, due fasce di
simboli: della creazione e della restaurazione di Israele
come nuova città.
Vorrei sottolineare tre momenti di questa presentazione:
il momento di contrasto, il nuovo ordine di cose e i
simboli più specifici della nuova città.
Il momento di contrasto
Il contrasto è evocato fin dall'inizio con le parole:
" Allora io vidi" e, in seguito, con le parole: "E vidi
poi venire dal cielo". I Non si tratta però di una prima
visione, perché fa parte di visioni descritte nei versetti
precedenti ("vidi poi venire", "vidi") e che annunciano la
scomparsa di tutti gli elementi negativi della storia (cfr.
Ap 20), riassunti nella morte e negli inferi. Tale
scomparsa, annunciata poco prima, è ripresa nel nostro
brano: scompariranno le lacrime, non ci sarà più morte né
lutto né lamento ne affanno perché le cose di prima sono
passate (21, 4 ); i vili, gli increduli, gli abietti, gli
omicidi, gli immorali non entreranno nel nuovo ordine di
cose (v. 8).
Viene quindi proclamato quel giudizio di Dio che è
l'inizio del nuovo ordine di cose, giudizio formulato in
base a due criteri: le opere compiute, registrate nel
libro, e l'iniziativa salvifica divina espressa con
l'immagine dell'iscrizione nel libro della vita.
Perciò i versetti immediatamente precedenti, richiamati in
21, 4.8 e anche in altri capitoli, presentano quale
premessa della visione di Gerusalemme, della nuova città,
lo sfondo della distruzione del male operata dalla croce
di Cristo, distruzione del male che è frutto positivo
della croce. La croce ha messo fuori gioco l'universo
spirituale costituito dalla ribellione a Dio, per-
mettendo la nascita di un ordine nuovo e di un nuovo
universo di valori delineati a partire dall'inizio del
capitolo 21.
Il nuovo ordine di cose
Il nuovo ordine di cose lo leggiamo in 21, 1-5, ed è
presentato con le parole: "nuovo cielo e nuova terra" ("In
principio Dio creò il cielo e la terra", Gen 1, 1). Un
nuovo ordine spirituale e morale, nel quale siamo
collocati. E la cosa nuova è anche la città santa, la
nuova Gerusalemme, simbolo del nuovo ordine di grazia e di
misericordia instaurato da Dio. La città discende dal
cielo perché il nuovo ordine è puramente gratuito, non è
opera di uomini, bensì di Dio che lo fa e lo dona.
È una città ed è pure una sposa adorna per il suo sposo,
pronta per le nozze, bellissima, così come la sposa di cui
parlava Ezechiele al capitolo 16, 8ss: vestita di ricami,
calzata con pelli di tasso, cinto il capo di bisso,
ricoperta di seta, adorna di gioielli. Così va immaginata
questa sposa che nell' Apocalisse è veramente e pienamente
fedele.
E lo sposalizio, che fa parte dell'ordine nuovo, è
l'alleanza richiamata al v. 3, dove è evocato Lv 26, 11
("stabilirò la mia dimora in mezzo a voi"), insieme ad
altri brani dell'Antico Testamento sull'alleanza, per dare
questa visione complessiva: Dio dimorerà tra di loro, essi
saranno il suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro.
Di fronte a tale visione, noi ci domandiamo: riguarda il
presente o il futuro? Queste parole sono compiute?
Al v. 6 è scritto: "Ecco, sono compiute!". Tuttavia si
potrebbe pensare a un'anticipazione profetica, a un
passato che riguarda il futuro.
In realtà, per il principio ermeneutico, io leggo qui
molto più volentieri la descrizione di ciò che è compiuto
nella morte e risurrezione di Gesù. Non quindi un ordine
nuovo di cose che verrà, ma un ordine che è e che viene e
nel quale tutti siamo già dentro.
Siamo già nell'alleanza, siamo già la nuova città che
scende dal cielo, siamo già la sposa pronta per lo sposo,
pur se non ancora in pienezza; fin da ora, nella passione
e risurrezione di Cristo, tutto è compiuto e si compie in
coloro che sono in lui.
Alcuni simboli della città celeste
I simboli di questo nuovo ordine di cose sono espressi
soprattutto nella cosiddetta seconda descrizione della
Gerusalemme celeste, che inizia al v. 9.
Sembra quasi di essere di fronte a un doppione, perché
viene ripresentata la città che scende dal cielo; l'autore
finale non se ne preoccupa, anzi, ritiene di dover
ripetere le stesse cose proprio per farci penetrare nella
coscienza che siamo in una realtà nuova instaurata dal
mistero pasquale di Cristo.
Al v. 10 la santa città "che scende dal cielo, da Dio" è
contemplata dal veggente mentre si trova su un monte
grande e alto. Nei versetti successivi, sul simbolo base
della città si sviluppano almeno cinque linee simboliche,
continuamente riprese.
La prima è quella della luce, della gloria di Dio che
irradia sulla città e la rende totalmente trasparente,
colma della sua presenza, così da non aver più bisogno di
un centro luminoso come il tempio: l'intera città è luce.
Il secondo elemento simbolico è il grande, alto muro, con
le sue fondamenta, che dà le dimensioni della città.
Il terzo è quello delle dodici porte, con le loro scritte
e i loro ornamenti.
Poi l'elemento del fiume, che attinge al racconto della
Genesi.
Infine, gli alberi con i frutti e le foglie: l'albero
della vita.
Mi limito a ripercorrere le prime due linee simboliche,
nel desiderio di mostrare l'unità dell'insieme, l'unico
messaggio che viene ripetutamente presentato.
La città, al v. 10, è dunque risplendente della gloria di
Dio e il v. 11 commenta tale splendore, simile a quello di
gemma preziosissima, quale pietra di diaspro cristallino.
Il tema della luce è ripreso al v. 18: la città è di oro
puro, simile a terso cristallo; per questo (v. 23) non ha
bisogno della luce del sole ne della luce della luna, dal
momento che la gloria di Dio la illumina e la sua lampada
è l'agnello.
Al v. 24 la luce
diviene il riferimento per tutta l'umanità: "Le nazioni
cammineranno alla sua luce".
Il nuovo ordine di
cose nel quale siamo, il regno di Cristo che già si
instaura, è splendore attraente della gloria del Padre e
dell'agnello. È una realtà luminosa in cui vivere è bello
perché dà sicurezza, respiro, chiarezza, gioia, e "non
vidi alcun tempio in essa" (v. 22), perché il Signore Dio
onnipotente e l'agnello so- no il suo tempio. La
trasparenza di Dio è tale che Dio è percepibile in ogni
luogo, lo si incontra ovunque. La conversione cristiana è
propria di chi entra in questo nuovo modo di vedere le
cose, di chi accoglie la rivelazione della gloria di Dio e
si lascia illuminare dalla sua luce.
Il muro è descritto, al v. 12, come grande e alto. Al v.
14 si dice che "le mura della città poggiano su dodici
basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici
apostoli dell'Agnello". Mura assai singolari, che danno
alla città un'impensabile altezza, misurata con una canna
d'oro; la città ha una forma strana, tutta simbolica, la
forma di un quadrato dove la lunghezza è uguale
all'altezza e alla larghezza. Si tratta di un cubo di
oltre cinquecento chilometri di lato, e le mura hanno uno
spessore di oltre sei chilometri. Dunque, un'ampiezza
smisurata, un'estensione e un'altezza inimmaginabili per
una città. E se ne dice poi la ricchezza incalcolabile: le
mura sono costruite con diaspro, le fondamenta delle mura
adornate di pietre preziose.
Contempliamo così una città capace di accoglienza senza
limiti, una città che dà un agio e una sicurezza che non
hanno paragone. In essa si è pienamente sicuri e ci si
sente molto ricchi nella sfera divina, nell'essere in
Cristo, in questa luce di Dio.
Se continuassimo la riflessione sugli altri simboli, ci
accorgeremmo che ciascuno aggiunge qualcosa al significato
della conversione cristiana e, mentre prelude alla piena
manifestazione di Dio nel suo Regno - che è indescrivibile
a parole -, ci invita già a chiederci se veramente abbiamo
la coscienza di vivere in questa nuova realtà, se abbiamo
la coscienza della bellezza, della ricchezza, della
sicurezza, della luminosità, dell'apertura, della
disponibilità della realtà nella quale siamo essendo in
Cristo, essendo con lui nel Padre, nel mistero trinitario.
È interessante rileggere i versetti conclusivi della
descrizione dei simboli, dove viene sottolineato l'effetto
del nuovo ordine di cose instaurato dalla morte e
risurrezione di Gesù: "Le nazioni cammineranno alla sua
luce e ire della terra a lei porteranno la loro
magnificenza. Le sue porte non si chiuderanno mai durante
il giorno, poiché non vi sarà più notte. Non entrerà in
essa nulla di impuro, ne chi commette abominio e falsità;
ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita
dell'Agnello" (vv. 24-27).
La nuova Gerusalemme è il punto di riferimento che dà
senso a tutta la storia umana, è il punto di arrivo di
tutte le nazioni e di tutti i popoli, è la città ideale
aperta e pronta a ricevere tutti, è la città che esclude
ogni impurità e ogni falsità, che affratella nazioni e
popoli amano amano che vengono immersi in questa pienezza
luminosa che è la manifestazione di Dio, del suo amore
senza limiti. Le misure della città sono alla dismisura
dell'altezza, lunghezza, larghezza della carità di Cristo
e superano ogni comprensione.
Il cristiano
che legge l'Apocalisse
Per il cristiano che legge l'Apocalisse, ogni pagina dei
capitoli 21 e 22 è un modo di dire il suo essere in
Cristo, le ricchezze che fin da ora gli sono date quale
primizia, anticipo, pregustazione di ciò che sarà
definitivo e in parte già lo è. Possiamo chiederci come
tale ricchezza tocca l'attuale Gerusalemme storica.
Chi ama questa
Gerusalemme e tutte le città storiche che partecipano alle
sue sofferenze, comprende la risposta alla domanda, anche
se non è facile esprimerla in maniera razionale e logica.
Provo comunque a farlo: la Gerusalemme attuale è attratta
dalla forza dei simboli al di là di se stessa e quindi ha
un suo destino; destino di cui è simbolo, destino da cui è
attirata verso la pienezza alla quale richiama
continuamente con il suo nome e con la sua storia. In
altre parole, c'è una permanente tensione dialettica tra
la Gerusalemme storica e la Gerusalemme celeste; l'una
richiama l'altra e quella celeste attrae quella della
storia e, con essa, attrae tutta la storia umana.
Conclusione
Domandiamoci a che cosa ci stimola la visione che
abbiamo cercato di contemplare.
A me pare che stimoli anzitutto a scoprire la pienezza in
cui siamo e a esserne grati a Dio: pienezza che è il
cammino storico dell'umanità, che si rivela a noi quale
cammino positivo, di senso, e non soltanto di pura attesa,
ma cammino già di partecipazione alle ricchezze
inestimabili, inesauribili di Cristo, come singoli, come
gruppo, come città, come società e come umanità.
Se, con la grazia del Signore, con gli occhi della fede,
ci sforziamo di scoprire la pienezza in cui siamo,
dobbiamo lasciarci trascinare da questa dinamica storica.
Dinamica che ci indica dove la storia va e ci aiuta a
capire come anticiparla nel- la fraternità e nella
giustizia, sperando e operando affinché, attraverso la
vittoria del bene sul male, anzi traendo il bene dal male,
la luce della Gerusalemme celeste irradi e dia gioia e
sicurezza fin da ora a tante persone che camminano con
noi.
Ancora, la visione che abbiamo cercato di contemplare ci
stimola a coinvolgere la Gerusalemme storica, e tutte le
città che soffrono delle sue sofferenze, in questo cammino
che trascina il mondo verso la definitiva pienezza.
[Tratto da: Lettura ecumenica della Parola, 9-10 settembre
1994, in AA.VV. Gerusalemme patria di tutti, EDB,
Bologna 1995]
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