Templari di San Bernardo
Congregazione laicale cattolico-cavalleresca di ispirazione templare
 
 
 
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Un avvertimentimento importante

I pellegrini crescono, ma attenzione:

sono sempre di più quelli che seguono le orme di Coelho anziché cercare l’Apostolo...

Il j’accuse di Cardini
Zaino e New Age sulla Via di Santiago

DI FRANCO CARDINI

Nell’autunno del 1960 i pelle­grinaggi, a parte quelli di Lourdes e di Fatima, non erano di moda, e nemmeno troppo studiati. Avevo vent’anni, stavo per entrare nell’Università e mi trovavo in quell’età nella quale càpita di mutar ambienti e amicizie. Ero inquieto e disorientato. Non ricordo più troppo bene neppure chi mi dette l’idea: mi accodai così, per caso, a un gruppo di giovani camminatori degli scout, poi procedetti da solo salvo brevi tratti di strada con accompagnatori casuali. Feci il mio «Camino de Santiago», da Roncisvalle fino al capoluogo della Galizia, da solo. Circa 400 km, più d’un mese di cammino. Era una Spagna arcaica, severa, arida fino al León e piovosa come sempre nel Cantabrico. Le strade principali erano strette e tortuose, malamente asfaltate; i villaggi erano poveri e cupi; le città odoravano di fiori di gelsomino e d’olio di frittura. L’unica segnaletica stradale era costituita dal simbolo del partito unico franchista, la «Falange»: cinque frecce e un giogo di legno verniciati di rosso, l’antica insegna dei Re Cattolici. Si viaggiava isolati o in piccoli gruppi formati casualmente. C’era già qualche «ospizio» per pellegrini in funzione: luoghi modesti, con camere in comune e talvolta una doccia spartana. Ma nei paesi la gente era cordiale, il parroco o l’alcalde ci trovavano sempre da mangiare e da dormire; altrimenti, ci aiutavano i militi della Guardia Civil. Forse fu quel viaggio alla radice della mia passione per il medioevo e per lo studio dei pellegrinaggi. Il seguito ho più volte fatto di nuovo il cammino, mai più però a piedi: sempre in auto o in pullman, con amici, colleghi o studenti. Santiago di Compostela è tra l’altro sede frequente di convegni. I miei passi di pellegrino e di studioso si sono tuttavia rivolti più spesso all’altro capoli­nea della grande via peregrinorum medievale, Gerusalemme. Eppure, se non altro come membro della Confraternita Compostellana fondata anni fa a Perugia da un caro e vecchio amico, l’illustre ispanista Paolo Caucci von Saucken, da tempo mi riproponevo di ripetere il «Camino»: ciò rientra nei miei doveri di confratello. Non ce l’ho ancora fatta a ripercorrerlo del tutto. Ai primi di maggio mi è stata però offerta dal direttore di RadioRai, Sergio Valzania, l’occasione di farne almeno un buon tratto, i circa 250 km tra Burgos e León, attraverso la mia amata Castiglia. Si trattava di un’avventura che per certi tratti mi ha ricordato La Via Lattea, il film girato quarant’anni or sono dal grande Luís Buñuel: due «viaggiatori » dialoganti sulla strada dei pellegrini e i loro dialoghi trasmessi in diretta dalla Rai. I due protagonisti del dialogo erano il cattolico Valzania e un laico, scientista e ateo doc, Piergiorgio Odifreddi: ma per una settimana, appunto tra Burgos e León, io ho sostituito Valzania nell’opporre le ragioni cattoliche della fede all’odifreddiana fede nella ragione. Stabilire come sia andato il confronto non sta a me: gli ascoltatori hanno dimostrato, con molte e mail, di apprezzarlo. Certo, nessuno aveva l’intenzione di battere l’antagonista, e tanto meno di convertirlo. Debbo comunque dichiarare per onestà, e lo faccio volentieri, che Odifreddi mi ha sorpreso: mi aspettavo un talebano dell’ateismo razionalista e invece mi sono trovato dinanzi un interlocutore intransigente ma anche aperto. Dal canto mio, ho fatto sul serio il pellegrino: ho camminato spesso in silenzio, ho pregato e – giunto alla casa per pellegrini gestita dalla nostra confraternita, a Puente Fitero – ho indossato l’abito di essa con tanto di conchiglie e ho partecipato anch’io con i miei confratelli alla ceri­monia della lavanda dei piedi degli altri pellegrini. Eppure, questa bella avventura a piedi per la Castiglia, durata una decina di giorni, se per un verso mi ha commosso e arricchito, per un altro mi ha lasciato addosso apprensione e inquietudine. E la ragione me l’ha in parte spiegata Lino, il valoroso hospitalero volontario della nostra casa, raccontandomi che di là è passato Paulo Coelho, che peraltro non ha compiuto del tutto il pellegrinaggio in quanto si è arrestato sul monte Cebreiro, prima di Santiago. È noto che l’ormai celebre scrittore ha dedicato alla sua esperienza un libro, Il Camino de Santiago, dove l’esperienza del pellegrinaggio cristiano è rivissuta in termini d’iniziazione new age, con tanto di ricerca dei «campi magnetici» di forza. Le parole di Lino e il ricordo di quel libro ambiguo, che anche a me è capitato di sfogliare, mi hanno aiutato a veder chiaro su un fenomeno che sta mutando di significato.

Lungo la strada si fanno molti incontri. Mi sono imbattuto in induisti, in bahai, in intere comitive di giapponesi buddhisti o scintoisti, in una bella signora ebrea e in tre studenti musulmani di Algeri; e tanti agnostici in cerca di paesaggi e di emozioni. C’erano, certo, anche i cristiani e i cattolici, uomini e donne, giovani e vecchi, a piedi e in bici. Tra i viandanti il senso di amicizia e di fraternità era comune, non ostentato, naturale, commovente. Ma, rispetto alla mia giovanile esperienza di quasi mezzo secolo fa, qualcosa mancava. Mancava, o era molto carente, il senso cristiano del viaggio come preghiera e come immagine dell’itinerario della vita. La meditazione zen per i più giovani, la memoria del flower power per i più anziani, uno spirito sincretistico ecopacifista comune un po’ a tutti stanno prevalendo e invadendo le vie che portano a Santiago e che d’altronde, dal canto loro, sono ormai stipate da ogni sorta di frutti del mercato turistico. Ristoranti, alberghi, souvenir. Il santo apostolo di Galizia resiste, ma attorno a lui i «pellegrini della Modernità» si sono impadroniti della strada e di una parte della sua anima per gestirla in modo molto lontano dal suo originario senso. Dispiacersi? Allarmarsi? Certo che no. Le antiche chiese e i gloriosi santuari sono ancora là e continuano a parlarci. Attenzione però a non lasciarsi ingannare dalla straordinaria affluenza di pellegrini; attenti a non definirla con troppa leggerezza un revival della fede. Qui c’è troppo Coelho, un bel po’ di Dan Brown, parecchio Noam Chomsky, alquanto di Gandhi e di Amartya Sen, una spruzzatina di Arundhati Roy, qualche sparso residuo del vecchio Guénon. Sulla via di Frómista – dove ho avuto la gioia d’incontrare per purissimo caso e di riabbracciare dopo tanto tempo un mio vecchio amico d’adolescenza, l’oggi illustre matematico Umberto Tiberio – mi è capitato di fare un tratto di strada con un’assortita compagnia d’una ventina di pellegrini messi insieme dal caso. A un certo punto, ho tirato fuori di tasca il mio vecchio rosario: mi hanno guardato con stupore, con simpatia, ma come una bestia rara. Solo un paio di loro avevano pensato a portarsene uno in viaggio. Santiago postmoderno. È una sfida da raccogliere. Forse, anche questa è Provvidenza. Ma che sia un segno di rinascita della fede, non sempre è vero. Eppure, noialtri della Confraternita continueremo a pattugliare l’antico «Camino», nel nome di Dio e dell’Apostolo. Al puesto que Dios me dié, come diceva il vecchio canto di guerra di chi combatteva per la Spagna cristiana. «Manca il senso cristiano del viaggio come preghiera. Uno spirito ecopacifista, sincretismi e meditazione zen stanno ormai invadendo il Camino postmoderno».

da Avvenire del 27 maggio 2008

 

 Scudetto della Congregazione T.S.B.

 

 
   

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