Ancora una volta,
riecco l’invocazione
scaramantica: «Ci
vorrebbe l’ora di…».
Stavolta, quella nuova, da
istituire subito nelle
scuole pubbliche, sarebbe
«l’ora di Islam». C’è
qualcosa di drammatico,
ma anche di grottesco,
nella parabola, vecchia
ormai di due secoli, delle
funzioni che si sogna di
affidare alla «scuola di
Stato». C’è, qui, un mito
nato — come tanti — dagli
schemi ideologici di
giacobini e girondini.
Non lo scettico
Voltaire ma il fervoroso
Rousseau fu il
maestro di quei signori:
si nasce buoni, il peccato
originale è una favola
disastrosa, date ai
fanciulli dei maestri
acconci ed avrete il regno
della bontà,
dell’altruismo, del
civismo. Sorgono
difficoltà sempre nuove?
Ma dov’è il problema?
Basterà inserire nella
scuola pubblica delle
apposite «ore di…» che
educhino al bene e al
buono i nuovi virgulti; e
tutto sarà ripianato.
Da noi, il Cuore
deamicisiano è l’icona
caricaturale di
questi nuovi templi di
un’umanità plasmata dalla
Ragione e strappata alla
superstizione. Succede,
però, che proprio
nell’Occidente laicamente
formato, abbiano trovato
folle entusiaste le
ideologie mortifere che
hanno devastato i due
secoli seguiti al trionfo
delle utopie roussoiane.
Ma poiché gli ideologi
hanno per motto «se la
realtà non coincide con la
teoria, tanto peggio per
la realtà», il mito ha
continuato ad agire. Il
sesso fra gli adolescenti
crea gravidanze incongrue
e favorisce violenze? Si
istituiscano nelle scuole
«corsi di educazione
sessuale». Alcol e droghe
devastano i giovanissimi?
Ecco gli esperti per gli
appositi «corsi contro le
dipendenze». C’è strage su
moto e automobili? Subito
«corsi di educazione
stradale».
La convivenza
sociale è sempre più
turbolenta? Ecco
dei bei «corsi di
educazione civica».
Si potrebbe continuare, ma
la realtà è chiara: a ogni
problema, una risposta
affidata alla scuola. Con
il risultato, segnalato da
pedagogisti ovviamente
inascoltati, o di effetti
irrilevanti o addirittura
di aggravamento delle
situazioni: il confuso
istinto di ribellione dei
giovani porta a
sperimentare e a praticare
ciò che è condannato nelle
prediche degli adulti,
soprattutto se insegnanti.
Trasgredire al professore
dà tanto gusto come, un
tempo, trasgredire al
parroco.
E ora, tocca
all’Islam, la cui presenza
tra noi, ogni
giorno in crescita, è tra
gli eventi che meritano
l’inflazionato aggettivo
di «storico». Non siamo
davanti a una
immigrazione, ma a una di
quelle migrazioni che si
verificano una o due volte
in un millennio. Per
quanto importa, sono tra i
convinti che, sulla lunga
durata, l’Occidente si
rivelerà per l’islamismo
una trappola mortale. I
nostri valori e, più
ancora, i nostri vizi,
corroderanno e, alla fine,
faranno implodere una fede
il cui Testo fondante non
è per nulla in grado di
affrontare la critica cui
sono state sottoposte le
Scritture
ebraico-cristiane.
Una fede che, in
1400 anni, non è mai
riuscita ad uscire
durevolmente
dalle zone attorno ai
tropici, essendo una Legge
nata per remote
organizzazioni tribali.
Una fede che, priva di
clero e di
un’organizzazione
unitaria, impossibilitata
a interpretare il Corano —
da applicare sempre e solo
alla lettera — è incapace
di affrontare le sfide
della modernità e deve
rinserrarsi dietro le sue
mura, tentando di
esorcizzare la paura con
l’aggressività. Ma poi:
panini al prosciutto, vini
e liquori, minigonne e
bikini, promiscuità
sessuale, pornografia,
aborti liberi e gratuiti,
«orgogli» omosessuali,
persino la convivenza con
cani e gatti, esseri
impuri, e tutto ciò di cui
è fatto il nostro mondo —
nel bene e nel male — farà
sì che chi si credeva
conquistatore si ritroverà
conquistato.
Ma questo, dicevo,
in una prospettiva
storica: per
arrivarci passerà molto
tempo e molti saranno i
travagli, magari i drammi.
Per adesso, che fare?
Sorprende che, proprio da
destra, si proponga lo
pseudorimedio che è, da
sempre, quello caro alle
sinistre: nelle scuole
«corsi di Islam», quello
buono, quello politically
correct . L’idea non ha né
capo né coda.
Brevemente:
poiché, a parte casi
particolari, gli
allievi islamici sono
ancora pochi in ogni
classe, bisognerebbe
riunirli tutti assieme in
una classe sola, almeno
per quelle ore. Ed ecco
pronta la madrassa, la
scuola coranica, che esige
che i credenti in Allah
stiano unicamente con
altri credenti. Stretti in
comunità, a cura della
nostra Repubblica, chi
farà loro lezione? E che
gli si insegnerà? Gli
ingenui, o insipienti,
promotori della proposta
si cullano forse nel mito
di un «Islam moderato»,
pensano che esistano
schiere di intellettuali
musulmani «laici,
pluralisti, democratici»,
pronti ad affrontare
concorsi per cattedre di
Islam «corretto»?
Ignorano che
incorrerebbe in una fatwa
di morte il muslìm
che presentasse
la sua religione come una
verità tra le altre? Non
sanno che relativismo e
neutralità religiosa sono
frutti dell’illuminismo
europeo, ma bestemmie per
il credente coranico?
Ignorano che l’anno
islamico inizia da
Maometto e che il tempo e
il mondo sono solo del suo
Allah? Non sanno che è
impensabile il concetto
stesso di «storia delle
religioni» per chi è
convinto che c’è una sola
fede e le altre sono o
incomplete o menzognere? I
politici pensano, allora,
di affidare le «ore di
Islam» a non islamici, di
far spiegare il Corano —
in modo «laico e neutrale»
— a chi non lo crede la
Parola eterna e immutabile
di Dio?
Fossi un
assicuratore, mai
stipulerei una polizza
sulla vita per
simili, improbabili,
introvabili docenti. Se
l’insegnamento nelle
istituende «madrasse della
Repubblica italiana»
differisse anche di poco
da quello delle moschee,
l’esplosione di violenza
sarebbe inevitabile. E,
come troppo spesso è
successo con i fautori
delle «ore di…», le buone
intenzioni produrrebbero
frutti disastrosi.