Le notizie
biografiche
su Galgano
si basano
sugli
atti del
processo
di
canonizzazione:
pubblicato
per la
prima
volta
dallo
storico
senese
Sigismondo
Tizio,
nei primi
decenni
del XVI
secolo,
nel
secondo
tomo delle
sue
monumentali
“Historiae
Senenses”,
e più
recentemente
da
Fedor
Schneider,
negli anni
Venti del
Novecento,
in
“Quellen
und
Forschungen
aus
Italienischen
Archiven
und
Bibliotheken”,
il
processo
di
canonizzazione
di San
Galgano è
considerato
da storici
del
calibro di
André
Vauchez
(Professore
di Storia
medievale
all'Università
di Parigi
– Nanterre;
Direttore
dell’École
Française
de Rome)
e di
Règine
Pernoud
(Conservatore
degli
Archivi
Nazionali
Francesi)
come il
più antico
processo
di
canonizzazione
di cui ci
siano
pervenuti
gli atti.
Il
processo
di
canonizzazione
si svolse
a
Montesiepi
dal 4 al 7
agosto
1185,
ossia
quattro
anni dopo
la morte
del
sant’uomo,
negli atti
di esso
furono
raccolte
le
deposizioni
di venti
testimoni,
tra cui la
madre
stessa
di Galgano,
gli
eremiti
che lo
avevano
conosciuto
e numerose
persone
che
avevano
ricevuto
miracoli
per
sua
intercessione.
Accanto
agli atti
del
processo,
e in gran
parte
basate su
diesse, si
pongono
alcune
biografie
redatte
fra gli
anni Venti
del XIII
secolo e
la meta
del XIV
secolo;
esse sono,
nell’ordine
• la
“Vita
Sancti
Galgani de
Senis”,
composta
da un
anonimo
monaco
cistercense
(metà
del XIII
sec.), cui
è talvolta
attribuito
il nome di
“Orlando”
o
“Rolando”
da Pisa;
• la
“Vita
beati
Galgani”,
scritta da
un anonimo
monaco
agostiniano
(prima
metà del
XIV sec.);
• la
“Legenda
sancti
Galgani
confexoris”,
del
monaco
vallombrosano
Blasius
(Biagio;
prima metà
del XIV
sec.);
• la
“Leggenda
di santo
Galgano”,
scritta da
un anonimo
scrittore
in lingua
volgare.
(Il
termine
“Leggenda”
non
deve
lasciarci
fuorviare:
nel
medioevo
venivano
intitolati
così i
testi che
dovevano
essere
“letti”
da
parte del
sacerdote
ai fedeli,
in
occasione
delle
varie
solennità
e feste –
in latino
“ad
legenda”,
gerundio
del verbo
“legere”,
“per
leggere”).
A queste
fonti si
aggiungono
una
ventina di
biografie,
composte
tra la
seconda
metà del
Cinquecento
e gli
inizi del
Novecento,
che
raccolgono
le notizie
presenti
nei testi
precedenti
e le
tradizioni
trasmesse
oralmente
fra i gli
abitanti
di
Chiusdino.
Nessun
dubbio,
quindi,
possiamo
avanzare
sull’esistenza
storica di
San
Galgano:
oltretutto
i primi
documenti
che citano
il nome
del Santo
sono del
1191
(diploma
dell’Imperatore
Enrico VI
a favore
dei monaci
di
Montesiepi)
e del
1196
(diploma
di Filippo
di Toscana
a favore
dei monaci
suddetti;
atto di
donazione
di
Mateldina
di
Chiusdino
all’eremo
di
Montesiepi),
quindi
risalgono
ad appena
dieci /
quindici
anni dopo
la morte
del Santo,
un periodo
troppo
breve per
una
invenzione
agiografica.
Galgano
vide la
luce a
Chiusdino
– ove
esiste
ancora la
massiccia
casa
natale, in
Via
della
Cappella
– in
data
incerta
intorno al
1150 da
una
famiglia
della
piccola
nobiltà
locale,
legata da
rapporti
di
vassallaggio
verso il
vescovo di
Volterra,
signore
feudale di
Chiusdino;
è certo il
nome della
madre,
Dionisia,
mentre
quello del
padre,
Guido,
appare per
la prima
volta in
una
biografia
del santo
datata
alla prima
metà del
XIV
secolo.
Il nome
“Galgano”
è per
nulla
originale,
benché
possa
richiamare
alla mente
il nome di
Galvano,
uno dei
cavalieri
della
Tavola
Rotonda, e
quindi
tutta la
cosiddetta
“materia
di
Bretagna”,
era
abbastanza
diffuso
nella
Toscana
del Medio
Evo, anche
prima
della
nascita
del
Nostro;
probabilmente
i genitori
del santo
imposero
questo
nome al
proprio
figlio,
come
omaggio a
Galgano
Pannocchieschi,
vescovo di
Volterra
fra il
1149 o ’50
ed il 1168
o ’69,
che ebbe
dall’imperatore
Federico
Barbarossa
il dominio
temporale
sulla
città e
sul
contado
con il
titolo di
conte, ed
in quanto
tale fu
dunque
signore di
Chiusdino.
Sugli anni
della
fanciullezza
e
dell’adolescenza
di Galgano
o sulla
sua
educa¬zione
e
formazione
non
sappiamo
niente. La
madre, che
fu
testimone
al
processo
di
canonizzazione
del
figlio,
tacque del
tutto su
quest’argomento;
in realtà
la società
dell’epoca
cercava di
abbreviare
il più
possibile
l’infanzia
ed ai
fanciulli
ben presto
veniva
chiesto di
comportarsi
come
altrettanti
piccoli
adulti.
È certo
che
Galgano
sia stato
cavaliere.
Probabilmente
l’accesso
del
giovane
alla
cavalleria,
fu la
naturale
conseguenza
della sua
appartenenza
ad una
famiglia
che
esercitava
tradizionalmente
la
funzione
ufficiale
di
rappresentanza
e di
tutela
dell’ordine
costituito,
una sorta
di mano
armata del
principe,
nel nostro
caso il
vescovo di
Volterra,
per la
protezione
delle
terre e
dei beni
della
patria, da
intendersi
come il
paese ed
il
distretto
di
Chiusdino.
Recentemente
si è
scritto di
una
presunta
appartenenza
di Galgano
e del
padre ad
una sorta
di
confraternita
militare
dedicata
all’arcangelo
Michele.
Si tratta
purtroppo
di una
delle
tante
sciocche
invenzioni
su San
Galgano,
diffuse
negli
ultimi
venti o
trenta
anni: non
esiste
alcuna
prova
dell’esistenza
di questi
cavalieri
di san
Michele
né
nelle
biografie
galganiane,
né in
altro tipo
di
documenti
dell’epoca
– e
nemmeno di
epoca
successiva
– che
interessino
Chiusdino
o la
realtà
senese o
volterrana
o toscana
in genere.
Né si può
portare
quale
prova, la
devozione
della
famiglia
di Galgano
a san
Michele
arcangelo,
poiché
questa
devozione
riguarda
l’intera
comunità
chiusdinese:
a san
Michele
infatti,
era (ed è)
dedicata
la chiesa
parrocchiale
di
Chiusdino!
È certo
anche che
il culto
michelita
era
accolto
fra le
mura del
castello
di
Chiusdino,
poiché in
tutta la
Toscana
esisteva
una
diffusa
venerazione
per
l’arcangelo,
impiantata
presumibilmente
durante la
dominazione
longobarda;
tutta la
regione
era ed è
costellata
di chiese
dedicate a
san
Michele
La
consapevolezza
di
appartenere
ad un
nobile
lignaggio,
dedito
all’esercizio
delle armi
per antica
tradizione,
l’agiatezza,
l’ozio, la
vanità
delle
proprie
leggiadre
forme,
produssero
nel
giovane
Galgano un
carattere
altero e
pomposo,
dedito
molto alla
soddisfazione
delle
proprie
inclinazioni
malgrado
gli
ammonimenti
dei
piissimi
genitori.
La morte
del padre,
avvenuta
in data
incerta ma
sembra
intorno al
1178;
produsse
un
cambiamento
nel
carattere
del
giovane
chiusdinese.
Sette
giorni
dopo il
luttuoso
evento,
Galgano,
narrò alla
madre di
aver fatto
un sogno:
«San
Michele
arcangelo
lo
chiedeva a
sua madre
per farne
un
soldato; e
mentre la
madre lo
consegnava
all’angelo
[…] lui
stesso
seguiva
l’angelo».
Già questa
esperienza
aveva
prodotto
un
profondo
cambiamento
nell’indole
di Galgano,
un
desiderio
di mutare
vita, che
ad essa
un’altra
se ne
aggiunse:
«Dopo
che furono
passati un
po’ di
anni»,
disse
ancora
Dionisia
nella sua
deposizione,
«poiché
spesso
Galgano si
era
soffermato
a meditare
su questa
importante
visione,
Michele,
principe
degli
angeli,
gli
apparve in
sogno,
dicendogli:
Seguimi.
Al che,
subito
alzatosi
[Galgano]
lo
seguiva
con gioia,
andando
con lui
fino ad un
certo
fiume,
sopra il
quale era
un
grandissimo
ponte, che
non poteva
essere
attraversato
se non con
molta
difficoltà.
Sotto il
ponte gli
sembrò che
vi fosse
anche un
mulino.
[L’arcangelo
e Galgano]
dopo
aver
attraversato
[il
ponte]
giunsero
in un
luogo
delizioso,
un prato
bellissimo,
pieno di
fiori che
spargevano
un odore
meraviglioso.
Ed uscendo
dal prato
gli sembrò
di entrare
in una
grotta
sotterranea,
e di
giungere
al
Montesiepi,
dove trovò
i dodici
apostoli
che
stavano in
una casa
rotonda
piena di
profumo e
mirabilmente
costruita».
Nel sogno
gli
apostoli
invitarono
Galgano a
sedersi in
mezzo a
loro e gli
porsero un
libro
aperto,
invitandolo
a
leggervi:
«portando
a lui un
libro
aperto,
affinché
leggesse»,
ma il
giovane,
non
sapendo
leggere,
garbatamente
accantonò
il libro:
«egli
stesso,
invece,
poiché non
sapeva
leggere,
lo
abbandonò.
Levati
dunque gli
occhi al
[Galgano]
vide
un’immagine
e,
interrogando
gli
apostoli,
chiese che
cosa fosse
quell’immagine.
Rispondendogli,
gli
dissero
che era
l’immagine
e la
rappresentazione
della
Maestà
Divina.
Poiché
[Galgano]
guardava
l’immagine
e la casa
[gli
Apostoli]
gli
dissero:
“A
somiglianza
di questo
[edificio
che tu
vedi]
costruisci
qui una
casa in
onore di
Dio, della
Beata
Maria e
dei dodici
apostoli e
rimarrai
qui per
molti
anni».
Galgano
incontrò
l’opposizione
della
madre che
tentò di
distoglierlo
da questa
intenzione,
addirittura
fidanzandolo
ad una
fanciulla
di
Civitella,
in
Maremma,
cui a
partire
dal XVI
secolo è
attribuito
il nome di
Polissena.
Fu proprio
recandosi
a
conoscere
la
promessa
sposa che
Galgano,
alla
vigilia di
Natale del
1180, ebbe
una nuova
esperienza
mistica:
sul
cammino di
Civitella
il cavallo
di Galgano
improvvisamente
si fermò:
«equus
stetit»
-
disse
Dionisia
durante il
processo
per la
canonizzazione
del figlio
–
«avendolo
[Galgano]
spronato
con i
talloni
per farlo
andare
avanti,
senza
riuscire a
farlo
muovere,
voltò
verso la
pieve
detta di
Luriano e
lì vi
pernottò.
Il giorno
seguente –
dunque
giovedì 25
dicembre
1180,
solennità
del Natale
– come
giunse al
medesimo
luogo
[del
giorno
prima]
e come il
cavallo
non poté
andare
avanti,
lasciò le
briglie
sciolte
sul collo
del
cavallo e
pregò
devotamente
il Signore
perché lo
conducesse
al luogo
in cui
avrebbe
riposato
per
sempre»,
il colle
di
Montesiepi
che il
giovane
chiusdinese,
novello
Antonio,
avrebbe
scelto
quale
propria
Tebaide.
Quale
segno di
rinuncia
perpetua
alla
guerra,
Galgano
conficcò
il suo
spadone di
cavaliere
nel
terreno.
«In
terram»,
è scritto
sia nel
verbale
della
deposizione
di
Dionisia
durante il
processo
di
canonizzazione
che nelle
più
antiche
biografie,
in terra,
dunque,
non nella
roccia.
Questo
gesto
aveva per
i
cavalieri
del Medio
Evo un
alto
significato
spirituale:
la spada
capovolta
ricordava
la croce!
Col suo
gesto,
Galgano
non
rifiutava
la
militia
saeculi,
ma la
superava,
la
trascendeva,
non
rinunciava
alla spada
ma la
poneva al
servizio
di una
cavalleria
diversa da
quella
vissuta
fino ad
allora,
diversa e
soprattutto
più alta,
così come
la sua
conversione
esigeva:
capovolgere
la spada e
conficcarla
in terra a
modo di
croce,
infatti,
significava
ribaltare
la
destinazione
dell’arma,
da
strumento
di
violenza,
ancorché
in difesa
del
diritto, a
simbolo e
strumento
di
riconciliazione
fra Dio e
gli uomini
e quindi
di
salvezza;
con questo
gesto
dunque, il
cavaliere
Galgano
arruolava
se stesso
nella
milizia di
un
dominus
ben
più grande
di quello
terreno,
il Signore
Gesù
Cristo.
C’è chi ha
voluto
vedere nel
gesto di
Galgano un
legame tra
di lui e
la
Matière de
Bretagne,
ma in
realtà da
una parte,
nella
storia di
Galgano,
la spada
viene,
storicamente,
piantata,
dall’altra,
nelle
leggende
di Artù,
la spada
viene,
o più
precisamente
verrebbe,
estratta,
sancendo
così il
diritto
del
giovane
figlio di
Uter
Pendragon
al trono
di
Bretagna,
e
soprattutto
se da una
parte
Galgano ha
piantato
la spada
nella
terra,
dall’altra
Artù ha
estratto
la spada
non dalla
roccia ma
da
un’incudine
posta su
una roccia.
A nulla
valsero a
distoglierlo
da questa
impegnativa
decisione
le
preghiere
della
madre
Dionisia e
dei
parenti, o
gli
argomenti
degli
antichi
compagni
di
bagordi, o
la visita
dell’avvenente
fidanzata,
che egli
anzi
sembra
abbia
convinto a
prendere
il velo
(Alla
fanciulla
è
attribuita
la
fondazione
del
monastero
di San
Prospero,
presso
Siena). La
notizia
della
conversione
di Galgano
si sparse
presto nei
dintorni,
suscitando
le
reazioni
più
disparate,
dallo
stupore
alla
derisione
ma non
lasciando
nessuno
indifferente
e presto
il giovane
vide
accorrere
al suo
eremo
nobili e
popolani
in gran
numero.
Nel
verbale
del
processo
di
canonizzazione
si leggono
almeno
cinque
testimonianze
relative a
questi
pellegrinaggi
presso il
santo,
mentre lui
era in
vita,
evidentemente
per
chiedere
le sue
preghiere
o il suo
consiglio.
È certo
che
l’esempio
di Galgano
trascinasse
altre
persone:
come
molte
altre
esperienze
eremitiche,
anche
quella di
Galgano
costituì
il
prodromo
per la
fondazione
di una
nuova
comunità
monastica.
Sul
Montesiepi,
probabilmente
Galgano
diede vita
ad una
forma di
cenobitismo
su scala
ridotta, e
abbastanza
libero e
rurale,
organizzato
intorno ad
una regola
orale,
ispirata a
più testi
monastici,
collocabile
all’interno
di quel
vasto
movimento
spirituale
che dopo
il Mille
animò gli
ambienti
popolari,
chiericali
e
monastici,
come
reazione
polemica
nei
confronti
dei mali
morali e
disciplinari
che
derivavano
alla
Chiesa
dall’inserimento
degli enti
ecclesiastici
dapprima
nel quadro
dell’economia
curtense e
nelle
strutture
della
società
feudale e
successivamente
nel
modello
economico
dei
comuni,
dominato
dall’ansia
degli
affari e
del
guadagno;
un’altissima
tensione
spirituale
che, se da
una parte
provocò il
sorgere di
movimenti
eterodossi,
dall’altra,
in maniera
più severa
e
coerente,
condusse
al
recupero
dello
stile di
vita che
era stato
proprio
dei Padri
del
deserto, i
solitari
asceti che
sono
all’origine
del
monachesimo
cristiano.
Nella
primavera
del 1181
Galgano si
recò dal
Papa
Alessandro
III per
ottenere
l’approvazione
della sua
comunità.
Galgano
non trovò
difficoltà
a farsi
ricevere
dal
pontefice
e si
trattenne
presso la
curia
pontificia,
il tempo
necessario
non solo
per
presentare
al papa il
suo
progetto
ma anche
per
permettere
al
pontefice
di
esaudire
le sue
richieste
ed infine
ottenne
da
Alessandro
III ciò
che più
gli stava
a cuore,
il
consenso
per
continuare
la sua
esperienza
sul
Montesiepi
e in più
il dono di
alcune
reliquie,
cioè
quelle dei
martiri
Fabiano,
Sebastiano
e Stefano
I. Fu
forse
proprio
nell’ambito
dell’istituzione
di una
nuova
famiglia
religiosa,
che il
papa
consegnò
al santo
le
reliquie
da
collocare
nella
chiesa
della
comunità,
una volta
che ne
fosse
stata
ultimata
la
costruzione
e fosse
stata
consacrata.
Contro il
santo si
mossero
alcune
persone
mosse dal
fuoco
dell’invidia;
esse si
portarono
sul
Montesiepi
e lì
tentarono
di
svellere
la spada
ma non
riuscirono
ad
estrarla,
nemmeno
scavando
tutto
intorno,
per questo
la
spezzarono.
Queste
persone
incorsero
tuttavia
nell’ira
divina e
due di
essi
trovarono
improvvisamente
una morte
orribile,
infatti
uno cadde
in un
fiumicello
d’acqua ed
annegò ed
un altro
fu
folgorato
da un
fulmine;
il terzo
fu
aggredito
da un lupo
che gli
azzannò le
braccia,
ma fece in
tempo a
pentirsi e
benché
mutilato
non morì.
Fin dalla
fine del
XIV secolo
i nemici
di Galgano
sono stati
identificati
nientemeno
che nel
pievano di
Chiusdino,
nell’abate
di Serena
ed in un
converso
della
medesima
abbazia;
probabilmente
i tre
volevano
impedire a
Galgano di
insediare
sul
Montesiepi
una nuova
famiglia
religiosa:
i monaci
di Serena
ed il
pievano di
Chiusdino
potevano
avere
intuito
che
Galgano
voleva
dare una
veste
istituzionale
alla sua
comunità e
temere che
l’incontro
col papa
avrebbe
potuto
avere
successo
(come in
effetti
ebbe) e
costituire
il
prodromo
di una
nuova
fondazione
monastica
che
avrebbe
finito per
soppiantare
Serena
(come in
effetti
avvenne).
Ritornato
dalla
Città
Eterna,
Galgano si
pose in
contatto
con i
monaci di
un
monastero
dell’ordine
guglielmita,
presumibilmente
il
monastero
di San
Salvatore
di
Giugnano,
altrimenti
detto di
San
Guglielmo,
fra i
castelli
di
Roccastrada
e
Montemassi,
nella
valle del
fiume
Bruna,
assai
vicino a
Montesiepi.
L’esperienza
eremitica
sul
Montesiepi
durò meno
di un
anno:
il 30
novembre
1181
Galgano
morì
santamente,
ed
il 3
dicembre
successivo
fu
piamente
sepolto
accanto
alla sua
spada.
Negli anni
che
intercorsero
fra la
morte di
Galgano e
la sua
canonizzazione,
la sua
tomba
divenne
mèta di
pellegrinaggi
e la
convinzione
che il
sant’uomo
fosse un
potente ed
efficace
intercessore
presso il
trono
dell’Altissimo,
che si era
manifestata
lui
vivente,
andò
consolidandosi
ed
estendendosi:
gli
atti del
processo
di
canonizzazione
infatti
riferiscono
numerosi
miracoli,
ovvero
guarigioni
di persone
attratte,
o
contratte
(Un
termine
molto
generico
col quale
tuttavia
potrebbero
essere
stati
indicati
dei
paralitici
o degli
artritici,
dei
poliomielitici
o degli
spastici),
liberazione
di
prigionieri,
guarigioni
da febbri
persistenti
o
addirittura
dalla
lebbra,
liberazione
di
posseduti
dal
demonio e
così via.
I
pellegrinaggi
che si
compivano
verso il
Montesiepi
e i
miracoli
che
avvenivano
per
l’intercessione
del santo,
attirarono
l’attenzione
del
vescovo di
Volterra,
Ugo, che
si recò
sul
Montesiepi
per
condurre
una prima
indagine
conoscitiva
delle
virtù e
dei
miracoli
di Galgano.
L’inchiesta
ebbe esiti
positivi
ed egli
autorizzò
la
costruzione
di una
cappella a
custodia
della
tomba del
santo e
della sua
spada.
Dopo Ugo,
il suo
successore
sulla
cattedra
volterrana,
Ildebrando
Pannocchieschi,
ottenne
l’apertura
di un
processo
da parte
del sommo
pontefice
Lucio III.
Il
papa
nominò tre
commissari
con il
compito di
verificare
la santità
del
giovane
chiusdinese:
siamo
certi che
fra di
essi fu
Corrado di
Wittelsbach,
cardinale
vescovo
della
Sabina ed
arcivescovo
di Magonza;
per gli
altri due
si pensa a
Melior,
cardinale
prete del
titolo dei
Santi
Giovanni e
Paolo, e
forse allo
stesso
Ildebrando
Pannocchieschi,
vescovo di
Volterra.
Non
sappiamo
se ci fu
una vera e
propria
canonizzazione
da parte
del sommo
pontefice
o se la
commissione
avesse
ricevuto
dal papa
la facoltà
di
procedere
alla
canonizzazione,
attraverso
la
iurisdictio
delegata,
comunque
Galgano
fu
iscritto
nell’albo
dei santi.
Il
“Martyrologium
Romanum”,
catalogo
di tutti i
Santi
cristiani
comprendente
il sunto
della loro
vita e
l’indicazione
dei giorni
in cui
essi
vengono
festeggiati
e che
viene
periodicamente
aggiornato,
contiene
ovviamente
il nome di
San
Galgano.
Nell’editio
typica
promulgata
da papa
Gregorio
XIII
nel
1584,
e così in
ogni
edizione
fino a
quella
promulgata
da papa
Pio XII
nel
1956,
se ne
fissava la
festa al
3
dicembre.
La nuova
edizione
promulgata
da papa
Giovanni
Paolo II
nel
2001,
secondo le
indicazioni
del
Concilio
Ecumenico
Vaticano
II, così
come
l’edizione
promulgata
dalla
Conferenza
Episcopale
Italiana
del
2006,
ne portano
la festa,
per la
Chiesa
universale,
al 30
novembre,
giorno
della sua
morte.
La
parrocchia-prepositura
di San
Michele
Arcangelo
in
Chiusdino
e la
confraternita
del santo,
continuano
a
rispettare
l’antica
tradizione
e a
celebrare
la festa
di San
Galgano il
3
dicembre.