Augusto Del Noce parlava di
"eterogenesi dei fini". Quando si percorre la strada di un
errore si finisce inevitabilmente col raggiungere
risultati paradossali, cioè completamente diversi da
quelli che si vogliono ottenere. È la legge dell'errore.
La Bibbia ce lo dice sin dall'inizio. Adamo ed Eva
peccarono per essere "liberi", per essere completamente
svincolati da Dio, per fare a meno di Dio nell'illusione
di poter raggiungere una completa autosufficienza, cioè
una sorta di auto-divinizzazione. Ebbene, non solo non
riuscirono in questo intento, ma si trovarono a dover
riconoscere dolorosamente il proprio limite e la propria
precarietà. Si ritrovarono "nudi". Non nudi nel senso
fisico ma in quello ontologico. Il limite umano che prima
non pesava loro e che nemmeno Dio faceva pesare loro, dopo
il peccato diventa enorme, insopportabile: addirittura fa
paura. È la legge dell'errore.
Una legge – quella dell'errore – che ovviamente si spiega
con l'ordine che Dio ha inserito nella natura. Se
s'infrange l'ordine, si ottiene il disordine e, se si
ottiene il disordine, si realizza il paradosso. Un
paradosso che la Provvidenza eleva ad insegnamento. Non è
un caso che già la sapienza antica (quella sapienza che
ancora viveva in una dimensione di ignoranza perché
precedente al Cristianesimo, ma che si fondava su una
recta ratio) parlava della storia come una buona
"cattedra" da cui apprendere. La storia come magistra
vitae, come maestra di vita, come serie non casuale di
avvenimenti, bensì come itinerario significativo di fatti
da cui apprendere. Perché, se molto sfugge alla
comprensione storica, è pur vero che ciò che accade, che
gli sbagli commessi ricevono inevitabilmente un castigo,
come ovviamente ricevono un premio tutte le buone cose che
le civiltà compiono.
C'è chi giustamente ha detto che mentre i singoli uomini,
perché orientati verso la vita ultraterrena, hanno
l'eternità per essere premiati o castigati; per le civiltà
invece è diverso. Esse vivono solo nella storia e, vivendo
solo nella dimensione temporale, ricevono i loro premi e i
loro castighi nella storia stessa. Se socialmente si
sceglie l'errore, se si diffonde il peccato sociale, la
civiltà, compromessa dal peccato, finirà col pagare nel
tempo e nella storia.
Queste riflessioni le lego alla vita di un grande-piccolo
santo. I miei lettori spero mi stiano capendo. Con
"grande-piccolo" intendo un santo che non è molto
conosciuto (almeno qui in Italia), ma che è grande, come
d'altronde sono grandi tutti i santi che la Chiesa ci
offre, fermo restando la differenza di lumen gloriae che
comunque essi beneficiano in Paradiso. Il "piccolo-grande"
santo che mi viene in mente dicendo le cose da cui sono
partito, è lo spagnolo sant'Isidoro contadino. Narro in
breve la sua storia e poi capirete il legame.
BIOGRAFIA DI SANT'ISIDORO
Isidoro nasce intorno al 1070 da una poverissima famiglia
di contadini. Orfano del padre fin da piccolo, va a
lavorare la terra nelle campagne intorno a Madrid. A causa
della guerra, cerca rifugio e lavoro a nord, a
Torrelaguna. Qui conosce la sua futura sposa, Maria
Toribia, anch'ella contadina. Isidoro ha una grande fede.
È analfabeta ma conosce le cose di Dio e sa pregare. Ogni
mattina, all'alba, va alla Messa. Ma soprattutto durante
la giornata, mentre è al lavoro, spesso si apparta per
raccogliersi in preghiera. I suo compagni di lavoro lo
accusano di essere una scansafatiche. Anche il padrone,
Juan de Vargas, inizia a sospettare di lui, ma poi si
accorge che alla sera il lavoro di Isidoro è bello che
compiuto. Alla fine si convince che qualcosa di misterioso
aiuta Isidoro nel suo lavoro. Iniziano ad avvenire anche
miracoli nelle sue proprietà. Ben presto Isidoro diventa
il suo uomo di fiducia e inizia a guadagnare di più, ma
lui e la moglie (dichiarata beata nel XVIII secolo)
decidono di continuare a vivere come sempre e il di più lo
donano ai poveri. Isidoro muore nel 1130. Alla sua morte
la sua fama era pari a quella di El Cid Campeador. Fu
canonizzato da Papa Gregorio XV il 25 maggio del 1622.
IL SEGRETO DEL "BENESSERE"
Torniamo ai nostri ragionamenti. Cosa colpisce di ciò che
abbiamo letto? Ovviamente il fatto che sant'Isidoro ogni
tanto interrompeva il lavoro per raccogliersi in
preghiera. Veniva accusato perché, secondo una logica
tipicamente umana, per raccogliersi in preghiera occorre
del tempo e questo tempo ovviamente veniva tolto al
lavoro, con la preoccupazione che quello che non fosse
riuscito a fare lui sarebbe stato sulle spalle di altri. E
invece, a fine giornata, ciò che riusciva a mietere
sant'Isidoro era molto più abbondante di ciò che erano
riusciti a mietere gli altri.
Mi viene da pensare all'attuale crisi economica, reale o
sedicente (a volte mi viene la tentazione di pensarlo, ma
adesso questa questione non ci interessa): da quando gli
uomini hanno iniziato a pensare che i soldi sono tutto,
non ci sono più soldi. Tutti si lamentano. Lamenti che
molto spesso sono un'offesa all'intelligenza. Io che ho da
poco passato i cinquant'anni mi ricordo molto bene (se non
altro perché ne parlavano sempre) i sacrifici che hanno
dovuto fare i miei nonni e i mie genitori in tempi in cui
sperare a pranzo di avere la cena qualche ora dopo e a
cena di avere la colazione la mattina seguente era
preoccupazione tutt'altro che rara. Qui non si tratta di
demonizzare pauperisticamente il denaro né di negare
ingenuamente che anche in passato ci fosse chi avidamente
rincorreva, costi quel che costi, ricchezze e patrimoni.
No, non si tratta di questo. Piuttosto nella nostra epoca
in cui è stato fatto fuori Dio con un diffuso ateismo
pratico per cui, anche se non si afferma teoricamente che
Dio non esiste, si vive come se Dio non esistesse,
giocoforza il denaro diventa tutto perché la vita terrena
diventa il tutto. Il non potersi permettere le vacanze ai
tropici o il cellulare di ultima generazione, diventa il
segno di una vita che perderebbe di dignità. Non a caso
molte persone che oggi si lamentano della crisi economica
parlano del fatto che è una situazione che "toglie la
dignità". O disgraziati che si suicidano per questi motivi
lasciano biglietti con su scritto: "non si può vivere
senza dignità". Come se non avere soldi o essere perfino
costretti a mendicare fossero cose che tolgano la dignità.
Ecco il paradosso. L'uomo contemporaneo può anche trovarsi
nelle condizioni di non avere soldi, ma considera i soldi
come il tutto della vita. Da qui il castigo. Sì: il
castigo! Avete capito bene, cari lettori. Anche la crisi
economica può essere un castigo. Un castigo per far capire
all'uomo che non può ridurre se stesso a consumatore o a
accumulatore, che non può farsi prendere dall'ansia di
produrre senza pensare a se stesso e raccogliersi in Dio
per capire il mistero di se stesso. Finanche la Domenica
ci hanno tolto. I centri commerciali hanno sostituito le
parrocchie. Anche qui una riflessione: centri commerciali
aperti sette giorni su sette, ma vendite in crisi. Prima:
sei giorni su sette e vendite non in crisi.
Sant'Isidoro non la pensava così. Non era laureato alla
Bocconi. Non aveva frequentato la London School of
Economics. Non frequentava i salotti buoni
dell'economia... Ma aveva capito bene quale fosse la vera
legge del lavoro: farsi aiutare da Dio, mettere Dio al
primo posto, dare credito non a un consulente finanziario
ma solo a Colui che ha detto: «Cercate prima di tutto il
regno di Dio, il resto vi sarà dato in aggiunta».
Fonte: Il Giudizio Cattolico, 15 maggio 2013
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