Omaggio al grande Abate e
Dottore della Chiesa
Cronologia della vita di S.
Bernardo di Clairvaux
*
di
Laura Dal Pra’
Infanzia e gioventù (1090‑1114)
1090
Un giorno imprecisato del 1090[i]
nasce Bernardo, terzogenito dei signori di Fontaines‑les‑Dijon,
località a poca distanza da Digione, nella diocesi di
Langres, in Borgogna. La madre Aletta, figlia del
potente Bernard de Montbard e di Humberga des Riceys,
era nata a Châtillon‑sur-Seine verso il 1070 e, benché
attratta dalla vita claustrale, era divenuta, appena
quindicenne, sposa del miles castellionensis Tescelino,
detto il Sauro per il colore dei suoi capelli. Questo
cavaliere[ii]
per rango e cultura inferiore alla moglie, era nato
tra il 1050 e il 1060 da una; famiglia legata con
vincoli di parentela alle migliori casate di Chátfflon.
Svolgeva attività di fidato consigliere di Eudes I e,
successivamente, di Ugo II, duchi di Borgogna. La
sua rettitudine morale, ricordata da Guglielmo di
Saint‑Thierry nella biografia di Bernardo (Vita prima,
lib. I, c. I, 1, in P.L. 185, col. 227), trova
ulteriore conferma nella sua giovanile partecipazione
al viaggio del vescovo di Langres, Raymond, in
Terrasanta. Ben si accordava quindi con le virtù
cristiane della giovane sposa.[iii]
A proposito della nascita di Bernardo, l’autore del
primo libro della Vita prima narra che Aletta, nel
corso della gravidanza, ebbe un sogno premonitore.
Vide un piccolo cane bianco, macchiato di rosso sul
dorso, che abbaiava nel suo ventre. Ciò fu causa di
turbamento profondo, finché un religioso non ne svelò
il significato recondito: “… continuo ille spiritum
prophetiae concipiens, quo David de sanctis
praedicatoribus domino dicit, Lingua canum tuorum ex
inimicis (Psal. LXXVI, 24); trepidanti et anxiae
respondit: “Ne timeas, bene res agitur, optimi catuli
mater eris, qui domus Dei custos futurus, magnos pro
ea contra inimicos fidei editurus est latratus. Erit
enim egregius praedicator, et tanquam bonus canis,
gratia linguae medicinalis in multis multos morbus
curaturus est animarum».[iv]
L’infanzia di Bemardo trascorre tranquilla in
compagnia dei suoi fratelli che ben presto raggiungono
il numero di sette: a Guido, Gerardo e Bernardo si
uniscono infatti Umbelina, Andrea, Bartolomeo e
Nívardo. La madre Aletta, la quale, come
puntigliosamente annota il biografo (Vita prima, lib.
I, c. I, 1, in P.L. 185, col. 227), aveva
personalmente allattato i propri figli, disdegnando
l’impiego di balie, si impegna ad allevarli
nell’austerità e nel timor di Dio. Tale educazione
trova, senza dubbio, fin dal principio, un terreno
fertile nel giovane Bernardo: gravemente ammalato,
egli ha la forza di sottrarsi alle pratiche di una
fattucchiera (Vita prima, lib. I, c. II, 4, in P L.
185, col. 228).
1097‑1098
Il piccolo Bernardo viene inviato alla scuola dei
canonici di SaintVorles a Chátillon‑sur‑Seine, dove i
genitori possiedono una casa di famiglia. Qui ha modo
di apprendere le materie del trivium (grammatica,
retorica, dialettica), mentre sembra essersi accostato
in misura minore a quelle del quadrivium (matematica,
geometria, astronomia, musica).[v]
È proprio nella chiesa di Saint‑Vorles, fondata dal
vescovo Brunone di Roucy tra il 980 e il 1016, che,
secondo la tradizione, Bernardo viene a pregare
l’immagine di Sainte Maríe du Cháteau, primo passo
verso la sua futura devozione alla Vergine.
1107
Alcuni anni trascorrono tranquilli per i signori di
Fontaines. Il 31 agosto del 1107, però, una improvvisa
malattia colpisce la madre di Bernardo. Il lo
settembre, Aletta muore. Era il giorno della festa di
sant’Ambrosiano di Sarmatica, le cui reliquie erano
gelosamente conservate nel castello. L’abate jarenton
del monastero di San Benigno di Digione ne richiede la
salma per deporla nella cripta della chiesa. Sarà
lasciata colà fino al 1250, allorché i monaci di
Clairvaux ottengono da Innocenzo IV l’autorizzazione
di trasportarla al loro monastero, ove rimarrà fino
alla rivoluzione francese.
Tra il 1107 e il 1110, il giovane Bernardo conduce a
ChátilIon una vita spensierata allontanandosi dagli
insegnamenti materni ed abbandonandosi, a detta di
Guglielmo di Saint‑Thierry (Vita prima, lib. I, c. III,
6, in P.L. 185, col. 230), a pericolose amicizie. A
più riprese si trova addirittura costretto a difendere
la propria castità minacciata da insidie femminili
(Vita prima, lib. I, c. III, 6‑7, in P.L. 185, coll.
230‑231).
1111
Gradualmente matura in lui il desiderio di ritirarsi
dal mondo. Nel 1111, si reca all’assedio di Grancey‑Cháteau,
al quale partecipano i fratelli Guido, Gerardo e
Andrea che avevano abbracciato la carriera militare.
Durante una visita in una chiesa, prende la decisione
definitiva di entrare nel chiostro (Vita prima, lib.
I, c. III, 9, in P.L. 185, col. 232). Subito la
comunica ai parenti insieme al proposito di chiedere
accoglienza a Cîteaux, monastero di recente
fondazione, ma già rinomato nella regione per
l’austerità della vita che vi si conduceva. Nel suo
animo coltiva la segreta speranza di convertire alla
vita monastica anche i propri congiunti.
Lo zio Gaudry è pronto a seguire il suo esempio, e
così anche l’adolescente Bartolomeo. Non altrettanto
disposti sono gli altri fratelli. Andrea è convinto ad
associarsi a Bernardo solo in seguito ad una
miracolosa apparizione della madre Aletta (Vita prima,
lib. I, c. III, 10 in P.L. 185, col. 232); Guido, il
primogenito, è invece ostacolato dalla opposizione
della moglie Elisabetta, figlia del conte di Forez e
madre di due bambine. Solo dopo una provvidenziale
malattia «cognoscens quia durum sibi esset contra
stimulum calcitrare»,[vi]
essa lascia libero il marito di seguire la propria
vocazione e, anzi, decide di ritirarsi a sua volta in
monastero.
Si unisce infine anche Gerardo la cui ostinazione,
originata dalle sue ambizioni militari, è sconfitta da
una ferita al fianco riportata in battaglia e predetta
dal fratello Bernardo (Vita prima, lib. I, c. III, 11,
in P.L. 185, coll. 233‑234).
Nello stesso anno, Bernardo e i suoi parenti si
riuniscono nel palazzo di famiglia a Chátillon per un
periodo di preparazione all’entrata in monastero. Nel
frattempo, ad essi si sono uniti Ugo di Vitry, il
cugino Goffredo de la Roche‑Vanneaux e Roberto di
Châtillon.
1113
L’accurato studio condotto dal Bredero sulla Vita
prima induce a rifiutare, una volta per tutte, la
tradizione, favorita e alimentata da Clairvaux con la
diffusione della recensione B, relativa all’anno di
ingresso di Bernardo e dei suoi trenta compagni a
Cîteaux. Perpetuata dalla maggior parte delle
biografie moderne sul santo,[vii]
essa datava al 1112 l’entrata di questo nutrito gruppo
di giovani nel noviziato, festosamente accolti
dall’abate Stefano Harding. 1 suoi timori circa il
futuro del nascente Ordine erano così fugati (Vita
prima, lib. I, c. III, 18, in P.L. 185, coll.
236‑237).
Infatti «en avançant l’entrée de saint Bernard a
Cîteaux, on désiderait rectifier dans la mesure du
possible la donnée inexacte de la Vita prima, quant au
rôle important joué par saint Bernard dans le
développement et l’expansion de l’Ordre cistercien…”.[viii]
In tal modo l’epoca dell’ingresso di Bernardo e dei
suoi nell’abbazia veniva a precedere di almeno un anno
la fondazione del monastero di La Fertè‑sous‑Grosle
(Firmitas), avvenuta il 17 maggio del 1113. Era
istituito così, in maniera implicita, un legame di
causa ed effetto che, alla realtà storica dei fatti,
si dimostra invece inconsistente. Il 1113 costituisce
dunque per Bernardo l’anno di ingresso nel noviziato.
1114
Scaduto questo periodo di prova e di istruzione
monastica, nell’aprile del 1114 i trenta novizi fanno
professione solenne dinnanzi l’abate Stefano Harding.
Poco dopo, proprio uno di loro, Ugo di Vitry, amico di
Bernardo e convinto da lui a ritirarsi nel chiostro,
malgrado l’opposizione di parenti ed amici (Vita
prima, lib. I, c. III, 14‑15 in P.L. 185, coll.
235‑236), è scelto per la carica di abate della nuova
fondazione di Pontigny, sorta il 31 maggio di quello
stesso anno grazie alla generosità di Teobaldo IV
conte di Champagne. Pontigny è la seconda abbazia –
figlia di Cîteaux.
Giovane abate a Clairvaux (1115‑1126)
1115
L’anno seguente, il 25 giugno 1115, due colonie di
monaci provenienti da Cîteaux fondano
contemporaneamente le abbazie di Morimond, sotto la
guida dell’abate Arnoldo di Schwarzenburg, e di
Clairvaux, ambedue in diocesi di Langres. A capo della
seconda, il cui insediamento nella selvaggia regione
tra Troyes e Langres è favorito dal visconte Josbert
de la Ferté,[ix]
viene scelto Bernardo. Lo seguono, tra gli altri,
i fratelli Guido, Gerardo, in qualità di cellerario,
Andrea come portinaio, Bartolomeo, lo zio Gaudry, il
cugino Roberto ancora novizio, e Gualtiero eletto
priore.
Non ancora benedetto abate, Bernardo si dirige a
Langres per ricevere la benedizione dal vescovo
competente Joceran, il quale è però assente per i
preparativi del concilio di Tournus (15 agosto 1115).
Nell’impossibilità di rimandare ulteriormente,
Bernardo si reca allora dal vescovo di Chalons‑sur‑Marne,
Guglielmo di Champeaux, il dotto teologo che, divenuto
canonico regolare, aveva aperto a Parigi la famosa
scuola di San Vittore. Acerrimo avversario di Pietro
Abelardo, di cui pure era stato maestro, egli si sentì
subito stretto da grande amicizia a Bernardo.
Malgrado lo zelo del giovane abate, gli inizi del
nuovo insediamento cistercense non sono dei più
promettenti. Il capitolo sesto della Vita prima parla
di ristrettezze e di penuria di vettovaglie.
Contrattempi che solo interventi miracolosi, dovuti –
ma ciò rimane ancora sottinteso – alla virtù di
Bernardo, riescono in parte ad alleviare (Vita prima,
lib. I, c. V, 25 e c. VI, 27, in P.L. 185, coll.
241‑143). La comunità monastica, ormai in preda allo
scoraggiamento, viene rincuorata dalla
“provvidenziale” visione di Bernardo, presaga di
futura potenza: “vidit undique ex vicinis montibus
tantam diversi habitus et diversae conditionis hominum
multidinem. in inferiorem vallem descendere ut vallis
ipsa capere non posset».[x]
1117
È con ogni probabilità da datare all’incirca a questo
periodo l’abbandono di Clairvaux da parte di Roberto
di Châtillon, dietro istigazione del gran priore di
Cluny che, recatosi nell’abbazia di Bernardo durante
un’assenza di questi, gli aveva prospettato
un’esistenza ben più agiata nella grande abbazia
borgognona.
Il passaggio causa un grande dolore all’abate, oltre a
costituire il primo grave episodio di attrito tra il
potente Ordine cluniacense e i Cistercensi.[xi]
Bernardo non può però porvi rimedio, almeno per il
momento. Dal punto di vista giuridico Quny era infatti
inattaccabile. Roberto era stato offerto ancora in
tenera età dai genitori con parte dell’eredità al
monastero cluniacense e inoltre un privilegio di
Urbano II del 1097 concedeva a Cluny la facoltà di
accogliere – contrariamente a quanto prescritto dalla
Regola benedettina – monaci transfughi anche qualora
si conoscesse il loro monastero di provenienza.[xii]
Roberto farà ritorno a Clairvaux solamente nel 1128.
1118
Nel corso del 1118 si verifica un primo duro attacco
della malattia di stomaco di cui Bernardo soffrirà
quasi costantemente nella sua vita, irriguardoso
com’era verso il proprio corpo, minato da digiuni e
privazioni. Il vescovo Guglielmo di Champeaux, messo
al corrente delle condizioni di salute del suo giovane
amico, interviene al Capitolo generale di Cîteaux,
ottenendo la nomina, per l’arco di un anno, a
superiore di Bernardo.
Il giovane abate deve così assoggettarsi allo stretto
isolamento deciso da Guglielmo: abitare in una casetta
discosta dal chiostro, lontano da ogni preoccupazione
di governo e svincolato da ogni pratica penitenziale
(Vita prima, lib. I, c. VII, in P.L. 185, col. 246).
Il 1118 segna una data importante anche per la storia
dell’abbazia di Clairvaux. Il monastero sale infatti
al rango di proto‑abbazia, in pari grado con Cîteaux,
La Ferté e Pontigny, e con conseguenti privilegi
decisionali nei Capitoli generali. Morimond, fondata
contemporaneamente a Clairvaux, dovrà attendere un
tale riconoscimento fino al 1157.
Il 10 ottobre dello stesso anno l’abbazia bernardina,
ormai superate le iniziali difficoltà, è in grado di
fondare il monastero di Trois Fontaines (dioc. Chalons),
dietro un’offerta di terre da parte di Ugo di Vitry:
si tratta della prima di una lunga serie di filiazioni
che alla morte di Bernardo (1153) conterà già un
centinaio di insediamenti sparsi in tutta Europa.
1119
Bernardo, momentaneamente guarito dall’attacco di
gastrite, viene reintegrato nelle sue funzioni
abbaziali. Il Piccolo gruppo familiare, che si era
ricostituito tra le mura di Clairvaux, è accresciuto
ulteriormente dall’arrivo del giovane fratello
Nivardo. Ormai, della casata di Fontaines, gli amici
rimasti “nel mondo” sono la sorella Umbelina. andata
in sposa a Guglielmo, signore di Marey, e il padre
Tescelino.
Ma Bernardo, che non desiste dal proposito di
convertire ambedue alla vita monastica, aspetta solo
l’occasione propizia per esercitare la propria
influenza. Per Umbelina non tarda a offrirsi: in
visita ai fratelli, viene duramente rimproverata per
lo sfoggio di vesti e ricchezza. Ne segue una seria
crisi morale che nel 1124 la indurrà a ritirarsi nel
monastero femminile di Jully‑les‑Nonnais di cui
diverrà in seguito la priora (Vita prima, lib. I, e.
VI, 30, in P.L. 185, coll. 244‑245).
Anche per il padre Tescelino, le speranze di Bernardo
non vanno a lungo deluse: infatti, in una sosta a
Châtillon durante un viaggio alla volta di Cîteaux,
riesce a convincere il vecchio cavaliere a prendere
l’abito. Morirà l’anno seguente.
1120
Nel 1120 l’abate di Clairvaux trova il modo di aiutare
Norberto, fondatore dei Canonici regolari
premostratensi, a installarsi nella valle di Premontrè,
nel territorio di Laon (ep. 255). Questa circostanza
segna l’inizio di una durevole amicizia e di un
vicendevole appoggio tra l’Ordine cistercense e i
Canonici norbertini.
1121
Per il 1121 non si registra alcun avvenimento degno di
nota nella vita di Bernardo, a parte il dolore causato
dalla scomparsa del suo premuroso amico Guglielmo di
Champeaux.
È al contrario una data determinante per il destino di
Pietro Abelardo, protagonista in seguito di un duro
scontro con l’abate di Clairvaux. Il maestro palatino,
allora quarantaduenne, viene accusato del suo
insegnamento nel concilio di Soissons, convocato
dall’arcivescovo di Reims, Rodolfo. La frettolosa
condanna, di cui lo stesso legato apostolico, Conone
di Palestrina, sembra pentirsi, porta al rogo il
trattato De unitate et trinitate Dei e alla reclusione
perpetua del suo autore nel monastero di Saint‑Medard.
1123
Il 1123 scorre tranquillo a Clairvaux. Unico
avvenimento di nota è l’elezione di Bartolomeo,
fratello di Bernardo, alla carica abbaziale di La
Ferté.
1124
L’anno seguente segna invece l’inizio di cattivi
raccolti e di carestie che colpiscono la regione
borgognona a cavallo dell’inverno 1124‑1125. Se questa
situazione di emergenza trova preparate Cîteaux, La
Ferté e Clairvaux – la quale è addirittura in grado di
organizzate e distribuire soccorsi alla popolazione –,
non altrettanto si può dire per la quarta figlia di
Cîteaux, Morimond, retta da Arnoldo di Schwarzenburg.
L’abate, antico compagno di noviziato di Bernardo a
Cîteaux, rifiuta l’aiuto offerto dagli abati degli
altri insediamenti cistercensi e concepisce
autonomamente l’idea di una fondazione in Terrasanta,
mettendola subito in atto con l’appoggio di alcuni
suoi monaci.
In tale frangente, che metteva in pericolo la stessa
autorità dell’abate di Cîteaux, emerge per la prima
volta in modo inequivocabile il ruolo di “arbitro”
della situazione che Bernardo viene a rivestire. In
assenza dell’abate di Cîteaux in viaggio nelle
Fiandre, è infatti lui che s’incarica di scongiurare
l’iniziativa morimondese. Vista l’inutilità dei propri
sforzi, fa appello a Callisto II e all’arcivescovo di
Colonia (epp. 4, 6, 7, 359). E forse non a caso, dopo
la “provvidenziale” morte di Arnoldo, avvenuta il 3
gennaio 1125, e il recupero dei monaci dissidenti, è
proprio il priore di Clairvaux, Gaucher, che viene
nominato abate di Morimond († 1138), al quale
succederà poi Ottone di Frisinga, nipote di Federico
Barbarossa.[xiii]
In sostanza, dopo questi primi anni di abbaziato,
tutti trascorsi all’interno e a favore della comunità
di Clairvaux, la fama di Bernardo come abate e
taumaturgo[xiv]
è così affermata da permettergli interventi al di
fuori delle mura claustrali sempre più frequenti e
sistematici, come dimostra il volume della sua
corrispondenza.
L’il novembre Bernardo assiste alla consacrazione
della chiesa abbaziale di Foigny, terza filiazione di
Clairvaux, non prima di aver scacciato un nugolo di
mosche che “diabolicamente” la infestava (Vita prima,
lib. I, c. XI, 52, in P.L. 185, col. 256).[xv]
Il 13 novembre muore Callisto II, la cui elezione era
stata sostenuta dalla potente famiglia dei Pierleoni.
Il conclave per la scelta del nuovo pontefice si
svolge nella cappella di San Pancrazio in Laterano,
dopo i rituali tre giorni di intervallo. Alla scelta
del cardinal diacono dei SS. Cosma e Damiano,
Teobaldo, si oppone con un colpo di mano Roberto
Frangipane, il quale riesce a far acclamare col nome
di Onorio II il cardinale vescovo di Ostia, Lamberto.
Teobaldo, allo scopo di evitare eccessi, rinuncia alla
propria elezione. Il fatto segna l’affermazione della
famiglia dei Frangipane, sostenitori del nuovo papa, a
scapito dei Pierleoni.
A questa elezione pontificia risale il primo scontro
frontale tra le due potenti famiglie, premonitore di
quello, ben più denso di conseguenze, dei 1130.
1125
Nel 1125 un nuovo attacco del male colpisce Bernardo.
Guarisce grazie all’intervento della Vergine, apparsa
in compagnia dei santi Benedetto e Lorenzo (Vita
prima, lib. I, c. XXI, 58, in P.L. 185, coll.
258‑259). Nello stesso anno, a Langres, prende parte
attiva alla trasformazione dei Canonici secolari di
Santo Stefano di Digione in Canonici regolari e
all’elezione dell’abate Herbert (ep. 59).
Ai suoi successi si aggiunge la trasformazione del
monastero benedettino di Tart, a poca distanza da
Digione, nel primo insediamento di monache
cistercensi, favorita ad Arnolfo Cornu e sua moglie
Omelina.
Il 23 maggio muore l’imperatore Enrico V a Utrecht
senza lasciare alcun erede. I principi elettori si
accordano sulla nomina di Lotario di Supplinburgo
quale suo successore, scartando la candidatura del
duca Federico di Svevia. Il 30 agosto si ottiene il
riconoscimento pontificio della legittimità
dell’elezione imperiale.
1126
Il 1126 scorre tranquillo senza registrare alcun
avvenimento degno di nota per Bernardo e la sua
abbazia claravallense.
Primi impegni extraclaustrali (1127‑1129)
1127
L’anno seguente offre invece l’occasione all’abate di
intervenire pet la prima volta in una vicenda non più
legata all’ambiente monastico, ma anzi travalicante
questi confini. Infatti al Capitolo generale convocato
a Cîteaux nel mese di settembre, come ogni anno, si
presentano l’abate Ugo di Pontigny ed Enrico le
Sanglier, arcivescovo di Sens, con la richiesta di
appoggio da parte cistercense all’operato di Stefano
di Senlis, arcivescovo di Parigi.
Questo alto personaggio, consigliere apprezzato di
Luigi VI, dopo un’intera vita passata presso la corte,
si era convertito ad una esistenza più confacente al
suo stato religioso, forse su esempio di Suger di
Saint‑Denis – col quale proprio nel 1127 Bernardo si
congratula per la riforma del suo monastero (ep. 78) –
o in seguito alla lettura dell’Apologia bernardina.
Per tale motivo aveva preso la decisione di sostituire
i canonici di Notre-Dame con i chierici dell’abbazia
di San Vittore, provocando così le proteste dei primi
ed il loro appello al giudizio del re.
Dal canto suo il re coglieva subito l’occasione del
diverbio per procedere alla confisca di tutti i beni
dell’arcivescovado.
Il coinvolgimento dell’Ordine cistercense in questo
contrasto derivava dall’affiliazione ad esso di Luigi
VI. Tale pratica era consueta nel Medioevo al fine di
fruire dei suffragi e dei meriti dei religiosi.
La speranza di Ugo di Pontigny e di Enrico le Sanglier
era quindi che l’Ordine cistercense fosse in grado di
intervenire presso il re. L’interdetto scagliato
contro Luigi VI da Enrico, all’indomani
dell’incameramento del patrimonio arcivescovile, aveva
infatti solamente contribuito ad inasprirlo e
irrigidirlo nelle sue posizioni. Bernardo viene
incaricato di redigere una supplica che però rimane
senza risposta. Parimenti senza risultato è il
successivo incontro di Bernardo con Luigi VI, niente
affatto intimorito dalle minacce di divino castigo
pronunciate dall’abate a riguardo del primogenito
regale. Una nuova lettera di Bernardo a Onorio II
convince il pontefice, che nel frattempo aveva tolto
l’interdetto su Luigi VI, provocando perplessità nel
clero francese, di inviare un suo legato per porre
fine alla vicenda.
1128
Si giunge così alla convocazione del concilio di
Troyes, apertosi sotto la guida del cardinale legato,
Matteo d’Albano, il 13 gennaio 1128. Il contrasto tra
re e arcivescovo di Parigi viene appianato.
Sempre in quest’occasione, che vede l’intervento sia
dell’abate Stefano di Cîteaux sia di Bernardo, è
approvato l’Ordine dei Cavalieri del Tempio, guidato
da Ugo di Payns e Goffredo di Saint‑Omer.[xvi]
Tale riconoscimento ecclesiastico era necessario
allo sviluppo di questa iniziativa in quanto
contribuiva in modo determinante alla sua notorietà e,
di conseguenza, al suo successo.
Il legame dei Templari con l’Ordine cistercense – di
cui adottavano la regola con qualche opportuna
modifica – e in particolare con Bernardo che ne
rivestì quasi il ruolo di teorico, scrivendo il De
laude novae militiae, è ribadito dalla nomina a gran
maestro dello zio materno, Andrea di Montbard.
L’intervento bernardino nelle vicende pubbliche
diviene sempre più frequente e non manca di suscitare
le prime critiche. Come il Talbot afferma, «il suo
zelo di riformatore lo spronava a cercar di mettere
ordine anche negli affari altrui, senza esserne
direttamente interessato. Sembra che egli avesse
l’idea che la correzione dell’intera Chiesa, giù giù
fino al suo più umile membro, fosse di sua diretta
responsabilità. Tutto quello che giungeva al suo
orecchio, fosse una diceria su dissensi interni nei
monasteri, o una voce circa la corruzione di un legato
papale, gravava sulla sua coscienza. Come un profeta
dell’Antico Testamento egli impugnava immediatamente
la penna per attaccare qualsiasi abuso. E in queste
occasioni egli dice: Ego liberavi animam meam».[xvii]
Sempre nel 1128, egli prende posizione contro Stefano
di Garlanda, arcidiacono di Notre‑Dame, decano di
Orleans, nonché personaggio influente presso la corte
di Luigi VI. Sarà con malcelata soddisfazione che
apprenderà le circostanze per cui questi, caduto in
disgrazia, è costretto a ridimensionare le proprie
ambizioni.
È forse da collocare cronologicamente in quest’arco di
tempo l’incontro di Bernardo con Norberto, fondatore
dei Canonici regolari di Premontré, il quale gli
predice la venuta dell’anticristo prima della propria
morte (avvenuta nel 1134) (ep. 56). È giocoforza
ricordare lo scoppio scisma del 1130 e l’attiva
campagna dei denigratori di Anacleto II, che non
tarderanno a definirlo proprio in questo modo.
1129
Il 2 febbraio 1129 viene celebrato a Châlons‑sur‑Marne
un nuovo concilio presieduto ancora una volta dal
cardinale legato Matteo d’Albano. Presente all’essemblea,
anche in quest’occasione, è Bernardo: egli induce il
vescovo Enrico di Verdun, contro il quale si erano
levate accuse di simonia, a dimettersi dalla sua
carica.[xviii]
Il mese successivo fa visita, in compagnia di Guido e
Gerardo, alla sorella Umbelina, monaca a Jully‑les‑Nonnais.
Il 14 aprile assiste alla cerimonia dell’incoronazione
di Filippo, figlio primogenito di Luigi VI, nella
cattedrale di Reims.
È in questo periodo che gli viene rivolto dal
cardinale Aimerico un rimprovero per la sua troppo
zelante attività esterna alle mura claustrali. Si
tratta del primo autorevole appunto dei molti che,
soprattutto in seguito, gli saranno rivolti dai suoi
detrattori e contro i quali si troverà spesso nelle
condizioni di doversi difendere.
Lo scisma (1130‑1138)
1130
Con il termine “scisma del 1130” si suole indicare il
dissidio creatosi in occasione della successione a
Onorio II all’interno di due partiti romani,
espressione di interessi prevalentemente locali, ma
anche del diverso modo di intendere la gestione
pontificia. Solo in un secondo tempo coinvolgerà
l’intera cristianità.[xix]
Allo sviluppo e alla conclusione di tale evento si
lega gran parte della produzione letteraria e
dell’attività oratoria e diplomatica di Bernardo,
svolta in un arco di tempo che va dal 1130
all’estinzione ufficiale dello scisma avvenuta nel
1138, ma anche oltre. Ciò comporta la necessità di
soffermarsi in modo più dettagliato su di esso.
I primi di febbraio del 1130, Onorio II, gravemente
ammalato, viene trasportato dal palazzo lateranense al
monastero fortificato di San Gregorio al Celio, per
timore di conseguenze cruente all’annuncio della sua
prossima fine. Infatti, già tra il 7 e l’8 febbraio,
il popolo, dando fede alla notizia della morte del
pontefice, tumultuava preparandosi ai tradizionali
saccheggi e veniva sedato solo con la breve
apparizione di Onorio II alla finestra.
Nella notte tra il 13 e il 14, il pontefice muore. Da
tempo comunque sono iniziati gli intrighi nel collegio
cardinalizio. Lo stesso giorno della morte di Onorio
II, viene eletto, nel monastero di San Gregorio, il
cardinale diacono di Sant’Angelo, Gregorio Papareschi[xx]
col nome di Innocenzo II, grazie all’appoggio della
famiglia Frangipane e del cancelliere Aimerico.[xxi]
L’unico elemento di legittimità di questa elezione è
costituito dalla partecipazione ad essa di cinque
degli otto cardinali ai quali, il 12 febbraio, il
collegio cardinalizio aveva demandato la decisione nel
tentativo di evitare troppo ampie discussioni. Si
tratta però della maggioranza, quando invece era
necessaria una seduta plenaria, da tenersi tre giorni
dopo i funerali del papa. La mattina del 14, i
cardinali, il clero, i maggiorenti cittadini e il
popolo romano, riuniti i San Marco in attesa di
notizie sulla salute di Onorio, vengono informati
dell’avvenuta elezione del cardinale di Santa Susanna,
Pietro di Pisa che vanamente vi si era opposto. Senza
indugio si provvede ad un’altra elezione in cui viene
scelto il cardinale di Santa Maria in Trastevere,
Pietro Pierleoni, che assume il nome di Anadeto II.[xxii]
Anche questa nuova elezione è indebolita dal punto di
vista giuridico da vizi di forma: insufficienza
numerica di cardinali vescovi elettori anche se i
cardinali che la sottoscrissero erano numerosi, il
mancato annullamento della precedente, l’inosservanza
dell’intervallo di tre giorni.
Fino dal giorno successivo alla duplice elezione,
Anacleto Il si impadronisce con saccheggi e ruberie –
a detta di Ernaldo di Bonneval (Vita prima, lib. II,
c. I, 1, in P.L. 185, coll. 268‑269) – dei punti
chiave della città.
Il 23 febbraio ha luogo la consacrazione contemporanea
dei due papi: Anacleto II in San Pietro, nella chiesa
cioè usata tradizionalmente a questo scopo e caduta
nelle sue mani; Innocenzo II in Santa Maria Nova, di
cui è titolare il suo principale sostenitore Aimerico.
«Ma consacrante del Pierleoni era Pietro vescovo di
Porto; del Papareschi, Giovanni di Ostia: e doveva
esservi in questo un elemento di pregiudizio per
l’uno, di vittoria per l’altro. Chè, per tradizione
risalente ai primi tempi del primato di Roma, la
consacrazione del pontefice era attribuita al vescovo
di Ostia; mentre il vescovo di Porto, pur avendo
qualità di secondo consacrante, non adempiva nella
cerimonia che a funzioni minori. E la maggior
legittimità del luogo della consacrazione».[xxiii]
I primi giorni di maggio, Innocenzo II, abbandonato
dai Frangipane e difeso solamente dalla propria
famiglia Papareschi, che a Roma non contava molti
seguaci, prende la risoluzione di lasciare la città
alla volta di Pisa.
I due eletti non avevano tardato a rendere partecipe
tutta la cristianità della loro nomina. Varie lettere
sono inviate da ambedue le cancellerie a Lotario e
agli altri sovrani nel tentativo di procacciarsene
l’adesione, contribuendo così ad allargare le
ripercussioni della lotta romana.
A parte il leggero anticipo delle missive di Innocenzo
II, questo papa vantava presso l’imperatore Lotario un
fedele sostenitore nella persona dell’arcivescovo di
Magdeburgo, Norberto e, in Francia, l’appoggio
determinatogli da molti cardinali, espressione sia del
clero sia dell’Ordine cluniacense e cistercense. Di
contro, Anacleto II poteva far leva in Francia
sull’ampio numero di conoscenze ed amicizie di
carattere personale di cui godeva fin dai tempi della
propria giovinezza. Inoltre si guadagna ben presto
l’appoggio dell’intera Aquitania, grazie all’adesione
al suo partito del potente e dotto vescovo di
Angoulême, Gerardo II,[xxiv]
e del duca Guglielmo X.
È anche tramite Gerardo, in stretti rapporti con il
clero inglese – data la situazione politica dell’Aquitania
– che Anacleto II sembra trovare sostenitori presso la
corte del re Enrico I ed ancor più presso gli alti
prelati. Il fatto trova conferma nelle parole di
Ernaldo quando narra le difficoltà incontrate
dall’abate di Clairvaux nell’indurre il re
d’Inghilterra a mutare campo: «… quem vix persuasit
Innocentium recipere, ab episcopis Angliae penitus
dissuasum”. (Vita prima, lib. II, c. 1, 4, in P.L.
185, col. 127). Non giovano affatto invece le lettere
di Gerardo e della cancelleria di Anacleto II, inviate
al clero e ai sovrani spagnoli, che non tarderanno a
prendere le parti di Innocenzo II.
Mentre Anacleto II consolidava le proprie posizioni a
Roma, Innocenzo II è accolto benevolmente dai pisani,
la cui potenza economica e politica, derivata dallo
sviluppo dei loro traffici marittimi, era solo
frenata, ma certo non indebolita, dal contrasto con
Genova. Nella necessità di poter contare nell’appoggio
di ambedue le città in caso di un’eventuale offensiva
da parte anacletiana, Innocenzo II riesce ad imporre
loro una tregua, in attesa di dirimere la questione
sul controllo della Corsica, causa di tutti i
dissensi.
Poco dopo, nel mese di agosto, giunge via mare in
Francia. Lì attende le decisioni del concilio di
Etampes convocato da re Luigi VI per decidere di
concerto con il clero e gli Ordini monastici a quale
dei due eletti dare appoggio. È presente anche
Bernardo, dietro invito dello stesso re: all’abate di
Clairvaux ed alla sua ispirata orazione è spesso
attribuito il merito del conclusivo orientamento dei
partecipanti all’assemblea in favore di Innocenzo. In
realtà occorre ridimensionare l’effettivo peso di
Bernardo a Etampes, dal momento che l’adesione
dell’Ordine cluniacense era scontata, e quantomeno
presumibile quella di un gruppo di vescovi e dei nuovi
Ordini cistercense – di cui però non bisogna
sopravvalutare la vera portata – e premostratense.
Il consenso va alla scelta fatta dalla pars sanior del
collegio cardinalizio – secondo quanto più si
confaceva agli ideali di riforma monastica della Cluny
di Pietro il Venerabile e di Bernardo (ep. 126) –
tralasciando ogni considerazione sulla maggior o minor
conformità delle due elezioni al diritto canonico.
La notizia dello schieramento francese a fianco di
Innocenzo II viene portata dall’abate Suger di
Saint‑Denis al papa, ospite dell’abbazia di Cluny. Di
lì a poco lo raggiunge quella dell’adesione di Lotario
di Supplinburgo. Anche questa decisione era stata
presa di concerto con le maggiori autorità civili e
religiose dell’impero, nel corso della dieta di
Würzburg, convocata nella prima metà di ottobre.
Figura carismatica di questa assemblea, sebbene di
minor influenza di Bernardo, è Norberto, arcivescovo
di Magdeburgo e fondatore dei Premostratensi.
Da Cluny, Innocenzo II inizia una lunga serie di
visite pastorali nelle varie diocesi francesi,
costellata di molteplici concili e di atti di governo
che non mancano di procurargli ampia notorietà e
consensi. Nel concilio di Clermont, aperto il 18
novembre e culminante con la solenne pronuncia di
anatema contro Anacleto, è presente anche Bernardo. Il
suo intervento prova la considerazione di cui gode
presso il pontefice e proprio un monaco della sua
abbazia, il pisano Baldovino, successore nel 1137
all’arcivescovo di Pisa, Uberto, diviene il primo
cardinale del giovane Ordine cistercense.
1131
Tra la fine di dicembre e i primi giorni del gennaio
1131 ha luogo lo storico incontro tra Innocenzo II e
il re Luigi VI nell’antica abbazia benedettina di
Saint Benoî‑sur‑Loire.
Prima del 13 gennaio, Bernardo, che si trova in
compagnia di Suger presso il papa, viene inviato
presso il re Enrico di Inghilterra, presente allora in
Normandia. Era importante infatti assicurare il suo
favore alla causa. Dopo le prime esitazioni, anche il
re inglese fa atto di sottomissione all’autorità di
Innocenzo II, nel corso di una solenne cerimonia
tenutasi a Chartres il 13 gennaio. La Scozia tuttavia
parteggia ancora per Anacleto II.[xxv]
Nel frattempo, in Italia, Ruggero I di Sicilia aveva
segnato un altro punto a suo favore: il giorno di
Natale del 1130 si era fatto consacrare rex Siciliae
et Calabriae et Apuliae et universae terrae nella
cattedrale di Palermo da un inviato di Anacleto, il
cardinale Comes di Santa Sabina. Il Pierleoni,
riconoscendo e legittimando il dominio normanno, si
era fatto così un potente alleato in vista di uno
scontro armato con le forze imperiali ed innocenziane.
Il 22 marzo a Liegi, l’imperatore Lotario dà il
proprio riconoscimento solenne all’autorità pontificia
di Innocenzo II unitamente alla promessa di scendere
in Italia in suo sostegno di lì a cinque mesi. Come
contropartita, Lotario tenta di recuperare il diritto
all’investitura dei vescovi con il pastorale e
l’anello cui aveva rinunciato il suo predecessore
Enrico V con il concordato di Worms del 23 settembre
1122. La manovra è però sventata decisamente
dall’intervento di Bernardo che «audacter enim
resistens regi, verbum malignum mira libertate
redarguit, mira auctoritate compescuit».[xxvi]
Appianata la questione, Innocenzo II scaglia la
scomunica su Anacleto II e sul duca di Franconia,
Corrado di Hoben staufen, l’avversario di Lotario che
aveva ricevuto la corona imperiale nella chiesa di
San Michele a Monza, dalle mani dello scismatíco
arcivescovo di Milano, Anselmo della Pusterla (29
giugno 1128). Il 29 marzo viene celebrata
l’incoronazione imperiale di Lotario e della moglie
Richinza.
In questo stesso anno ha luogo il primo scontro a
distanza tra Bernardo e Pietro Abelardo[xxvii]
a proposito della sostituzione arbitraria – a giudizio
del primo – del termine cotidianum con
supersubstantialem nella recita del Pater noster,
operata dalle monache del Paracleto.[xxviii]
I due si erano già conosciuti di persona a metà
gennaio in occasione della consacrazione da parte di
Innocenzo II della chiesa di Morigny in Normandia.[xxix]
Nel mese di maggio, Bernardo raggiunge nuovamente il
pontefice a Rouen – dove è presente anche Enrico I
d’Inghilterra – e lo accompagna nelle sue tappe a
Perriers‑sur‑Andelle, Beauvais, fino a Compiègne. Di
lì fa ritorno alla propria abbazia per preparare le
accoglienze a Innocenzo II, desideroso di visitare
Clairvaux. Il periodo che va dalla fine di maggio a
settembre, quando l’attesissimo ospite giunge, è
fecondo di nuove fondazioni della linea claravallense,
allo scopo di ridurre l’affollamento nell’abbazia:
Cherlieu nella diocesi di Besançon e Eberbach in
quella di Magonza sono tra queste. Grande è
l’impressione suscitata dall’austerità della vita
condotta nell’abbazia bernardina sia sul corteo papale
che sullo stesso Innocenzo II (Vita prima, lib. II, c.
I, 6, in P.L. 185, col. 272).
Il 18 ottobre 1131 si apre il concilio di Reims sotto
la presidenza di Innocenzo II. Tra i tredici
arcivescovi, i 263 vescovi e gli abati di ogni Ordine,
che vi prendono parte, è certa la presenza di
Bernardo. In questa occasione viene ratificata
l’adesione al partito innocenziano di Francia,
Germania, Inghilterra e Spagna cui si uniscono i tre
patriarchi di Antiochia, Gerusalemme e Costantinopoli
fino ad allora esitanti.
Pochi giorni prima, il 13 ottobre, il figlio
primogenito di Luigi VI, Filippo, che due anni prima
era stato associato al regno, era morto in seguito ad
una caduta da cavallo. È facile che tornino alla mente
le dure minacce di castigo divino pronunciate
dall’abate di Clairvaux nel 1127, in occasione del
contrasto nato tra Luigi VI e Enrico di Sens.
Considerazioni di opportunità politica consigliano
allora di procedere alla consacrazione del
secondogenito del re, approfittando della solenne
riunione.
1132
Il 7 gennaio, con la partenza da Auxerre, dove aveva
trascorso le festività natalizie, Innocenzo II inizia
il lento viaggio di ritorno alla volta dell’Italia. A
Lione esonera l’Ordine cistercense dal tributo annuo a
favore di Cluny, ponendolo sotto il diretto patrocinio
della Santa Sede.
Contro questo privilegio rimangono inascoltate le
proteste di parte cluniecense, manifestazioni di un
malumore che non poche volte causerà seri contrasti
tra i due Ordini benedettini.
Valicato il Monginevro, il corteo papale giunge ad
Asti dove, il 10 aprile, Innocenzo II celebra la
Pasqua.
Frattanto Bernardo, dopo un vano tentativo condotto da
Pietro il Venerabile, cerca a sua volta di indurre lo
scismatico duca Guglielmo di Aquitania a mutate
militanza. Con tale intento nel gennaio del 1132,
l’abate di Clairvaux, in compagnia del vescovo
Joscelin de Vierzy, giunge all’abbazia di Montierneuf
di Poitiers, dove sembra ottenere il ravvedimento
dell’anziano feudatario. Si tratta però di un consenso
passeggero, se poco tempo dopo, nelle lettere 126 e
128, Bernardo è costretto a riconoscere il proprio
insuccesso, dovuto probabilmente al grande ascendente
del vescovo Gerardo sul duca Guglielmo. Un tumulto
anti‑innocenziano conduce persino alla distruzione
dell’altare su cui l’abate claravallense aveva
celebrato la messa (Vita prima, lib. II, c. VI, 36, in
P.L. 185, col. 289). Lo scisma aquitanico è quindi
destinato a continuare ancora, favorito anche dalla
riluttanza di Luigi VI ad affrontare in un conflitto
armato il duca Guglielmo X.
Intanto papa Innocenzo II cerca di accrescere in alta
Italia il numero di adesioni alla sua causa. Il 13
giugno si apre il concilio di Piacenza con la
convocazione di tutti i vescovi lombardi, mentre dal
14 luglio è a Modena per sedare i tumulti provocati
dalla predicazione di Arnaldo da Brescia.[xxx]
Il 24 luglio segna l’insperata sconfitta di Ruggero di
Sicilia, a Nocera, ad opera delle truppe del duca di
Capua, Roberto II, e del conte Rainolfo d’Alife.
Battuto ma non prostrato, nonostante il sorgere di
innumerevoli odi mai sopiti e di rivolte contro i suoi
propositi accentratori, il re normanno si ritira in
Sicilia per raccogliere nuove forze.
Mentre Bernardo, chiamato in Italia dal pontefice,
porta a termine i preparativi per una assenza
prolungata dall’abbazia, l’8 novembre Innocenzo II si
incontra a Roncaglia di Piacenza con l’imperatore
Lotario, giunto in suo aiuto con soli 1500 uomini e
300 cavalieri fornitigli dal duca di Boemia, Sobieslao.
In Italia settentrionale le forze dei due papi in
certa misura si equilibrano, con Verona, Brescia,
Crema e Milano anacletiane; Novara, Cremona, Pavia,
Piacenza, Bologna e Pisa innocenziane.
Nel meridione con Ruggero e nel centro con l’influenza
diretta del pontefice di Roma, lo schieramento è
decisamente anacletiano. A ciò si aggiungano le
simpatie pierleonesche della potente abbazia di
Montecassino, il cui antico abate Oderisio era stato
deposto arbitrariamente da papa Onorio II, favorito
dei Frangipane. Anacleto non tarda a rendere salda
quest’alleanza, favorendo in tutti i modi l’abbazia e
ribadendone la libertà di governo. Al contrario questa
manovra rimane senza esito nei riguardi di Farfa, la
cui fondazione imperiale ed antiromana pesa sulla
scelta di campo.
Dopo l’incontro di Roncaglia, Innocenzo II si dirige
alla volta di Pisa, dov’è raggiunto da Bernardo.
Lotario continua invece la sua discesa lungo la
penisola, impiegando tutto l’inverno nell’attraversare
la Toscana, regione sì di tendenza innocenziana,
grazie all’azione dei Vallombrosani di Bernardo degli
Uberti e dei Camaldolesi, ma scarsamente propensa a
interventi attivi.
A Pisa da molto tempo si attende la composizione, in
via definitiva, della pluriennale quesione del
controllo della Corsica che vedeva opposte tra loro
Pisa e Genova, due potenti città marinare la cui
alleanza era potenzialmente molto utile alla causa del
papa. Proprio per tale motivo, urgeva una soluzione
del conflitto, al quale la tregua, imposta da
Innocenzo II ancora nel 1130, non aveva portato che
temporaneo rimedio. Fin dal 1078 il vescovo di Pisa,
dietro concessione di Gregorio VII, deteneva il
diritto di legazia sulla Corsica – aprendone così le
porte alla supremazia politica di questa città – e con
il 1091 e 1092, date dell’erezione ad arcivescovado
della sede pisana, le chiese corse ne erano divenute
suffraganee. Dal 1118 Genova inizia le ostilità contro
Pisa, sentendo, seriamente minacciate le proprie
possibilità di espansione commerciale nonché
territoriale nell’isola.
1133
Il trattato di pace, sottoscritto da Pisa e Genova tra
il 20 e il 26 marzo 1133 a Corneto, grazie alla
mediazione di Innocenzo II e al contributo dello
stesso Bernardo, pone fine al contrasto.
All’arcivescovo di Pisa viene concesso il primato
sulla Sardegna, su tre vescovadi corsi (Aleria,
Ajaccio, Sagona) e su quello di Populonia cui era
annessa l’isola d’Elba, in cambio della perdita degli
altri della Corsica. Genova viene invece innalzata a
sede arcivescovile, con i tre rimanenti vescovadi
corsi (Mariana, Nebbío e Accia) e quelli di Bobbio e
Brugnato che, con il loro distacco dalla giurisdizione
metropolitana di Milano, costituiscono un serio
avvertimento di Innocenzo II alla città caparbiamente
anacletiana e antimperiale.
Contrariamente alle apparenze, come acutamente osserva
lo Zerbi, Genova risulta essere «la meno favorita
dalla pace conclusa: se infatti la città ligure era
ormai per dignità ecclesiastica sullo stesso piano
della rivale, e ad essa si sostituiva in una metà
dell’ambita Corsica, d’altra parte Pisa, oltre a
rimanere saldamente attestata in quest’isola, si
vedeva ufficialmente additata una nuova direttiva di
espansione nell’altra area contesa, quella sarda, a
proposito della quale nulla era invece detto di
eventuali diritti genovesi. E a Genova certo si sapeva
che sulla Sardegna l’arcivescovo di Pisa vantava già
un diritto di legazia, che di lì a poco, nel 1138,
sarà confermato. Infine, il ricco territorio di
Populonia, comprendente anche l’isola d’Elba con le
sue miniere di ferro, premeva molto ai pisani; e la
concessa giurisdizione metropolitana su quel vescovado
giovava a rafforzare le posizioni e ad accrescere
l’influenza della città non soltanto in campo
religioso».[xxxi]
Forse proprio per questa sostanziale posizione di
svantaggio creatasi nei riguardi di Genova con tale
accordo, si crede utile inviare Bernardo a trattato
firmato – e non prima, come suppone la storiografia
tradizionale[xxxii]
– in questa città, confidando sulla sua capacità
persuasiva. Sempre per questa ragione, dopo il primo
entusiasmo e le prime azioni belliche, Genova sembra
ben presto preferire la posizione neutrale, della
quale trova occasione di lamentarsi lo stesso Bernardo
(ep. 129).
L’abate di Clairvaux venne inviato a Genova a fine
marzo o primi di aprile con questa delicata missione
«più conforme in verità alle sue attitudini, che non
erano certo quelle del politico o del diplomatico, ma
dell’oratore suasivo e affascinante».[xxxiii]
La sua predicazione raccoglie ampi consensi,
determinando le condizioni favorevoli alla nascita
della tradizionale voce che vedeva Bernardo vescovo di
Genova.[xxxiv]
Una volta svolto brillantemente il suo incarico,
l’abate si affretta a tornare presso Innocenzo II, in
compagnia del quale raggiunge Lotario a Valentano,
presso il lago di Bolsena, per poi entrare a Viterbo.
In questa occasione, la proposta di Anacleto, già
altre volte avanzata, di sottoporre al giudizio
imperiale la duplice elezione del 1130, sembra trovare
terreno fertile presso Lotario, desideroso di
concludere al più presto la spedizione in Italia.
Questa campagna lo stava trattenendo troppo a lungo
lontano dalla propria patria, minacciata continuamente
dalle mire sveve. Solo il pronto intervento di
Innocenzo II, informato da Norberto, cancelliere
dell’imperatore, porta al fallimento il disegno
anacletiano, grazie alla tesi dell’impossibilità di
porre a giudizio degli uomini ciò che era stato
sancito divinamente (anche ep. 126 di Bernardo).
Entrato finalmente in Roma, ai primi di aprile, con
l’aiuto degli oppositori di Anacleto, Innocenzo II
prende possesso del Laterano. Ed è proprio nella
basilica di San Giovanni in Laterano che il 4 giugno
viene celebrata la solenne incoronazione
dell’imperatore. Per Lotario tale cerimonia era
importante nell’intento di rinsaldare la propria
credibilità presso i sudditi tedeschi, dal momento che
il suo rivale Corrado di Svevia era stato incoronato
dall’arcivescovo milanese. La basilica di San Pietro,
ove per tradizione avrebbe dovuto avere luogo, era
saldamente nelle mani di Anacleto II, il quale aveva
preferito la posizione difensiva, fiducioso della
precarietà del successo innocenziano e dell’ostilità
popolare verso gli occupanti. Le sue speranze si
rivelano fondate allorché Lotario, preoccupato per la
prolungata assenza dalla Germania, intraprende la via
del ritorno tra giugno e luglio, mentre Innocenzo,
rimasto solo a Roma a fronteggiare la situazione, è
costretto in settembre, per la seconda volta, a
rifugiarsi a Pisa.
Bernardo era ormai da tempo partito alla volta di
Clairvaux, non prima però di aver partecipato
all’ingresso di Innocenzo a Roma. Dal pontefice era
stato investito di pieni poteri decisionali al
riguardo della delicata questione sorta intorno alla
successione alla sede metropolitana di Tours.
Alla morte dell’arcivescovo Ildeberto di Lavardin, una
parte del Capitolo aveva eletto il diacono Filippo,
monaco di Fontaines‑les‑Blanches, noncurante del fatto
che questo fosse molto giovane e provvisto solamente
degli ordini minori. Il neo‑eletto si era affrettato a
raggiungere Roma per la ratifica della nomina. Con
grave sgomento di Bernardo, Filippo si rivolse ad
Anacleto II. Trovandosi al suo ritorno però di fronte
ad una nuova elezione che aveva portato alla
consacrazione di Ugo di La Ferté, egli era fuggito con
le insegne pontificali e gli oggetti preziosi della
cattedrale. Bernardo cassa l’elezione di Filippo, il
quale, rifugiatosi presso Anacleto II, ottiene in
cambio l’arcivescovado di Taranto, e lascia al
giudizio personale del papa quella di Ugo.[xxxv]
Poco dopo, un grave fatto di sangue getta
nell’inquietudine e nello stupore il clero francese
riformatore. Il 20 agosto, Tommaso, priore di San
Vittore di Parigi, che più volte aveva accusato
l’arcidiacono Tibaldo Notier di gestire corrottamente
la propria carica, viene ucciso dai sicari di questi,
mentre era in compagnia del vescovo Stefano di Senlis.
L’alto prelato si rifugia a Clairvaux presso Bernardo
(epp. 156, 157, 158, 159), donde invia relazione
scritta al pontefice. Per questo delitto, rimasto
oscuro nei suoi particolari e sul quale pesava il
sospetto dell’appoggio dello stesso re Luigi,[xxxvi]
viene convocato a novembre il concilio di Jouarre. Per
l’uccisione, di poco posteriore e di moventi analoghi,
di Arcibaldo, vicedecano di Orleans, la condanna dei
colpevoli viene invece demandata direttamente al papa.
Le lievi pene comminate agli assassini provocano le
proteste di Pietro il Venerabile e di Bernardo, oltre
che dei Certosini, le quali tuttavia non giungono ad
alcun risultato se si eccettuano i rimproveri di
Innocenzo II agli arcivescovi giudicanti.
1134
A Pisa, intanto, dietro le pressanti richieste di
Roberto di Capua, scacciato dal proprio principato da
Ruggero II che da tempo era sbarcato nuovamente sul
continente con truppe fresche, si era raggiunto un
accordo per una spedizione della flotta pisana e
genovese contro il normanno, da effettuarsi in
primavera. Ma le abili manovre di Ruggero riescono ad
ostacolare definitivamente il progetto, come si può
desumere dall’inutile lettera di avvertimento e di
incitamento inviata da Bernardo ai genovesi (ep. 129)
e da quella in toni analoghi ai pisani (ep. 130).
Dimodoché Ruggero ha buon gioco nel sottomettere oltre
alla Puglia, conquistata l’anno precedente, il
principato di Capua, il ducato di Napoli e Benevento.
Alla fine dell’anno, Goffredo di Lèves, legato
pontificio per l’Aquitania, richiede per la seconda
volta l’intervento di Bernardo nella grave questione
dello scisma nella regione. Il duca Guglielmo aveva
finalmente acconsentito ad un abboccamento nel proprio
castello di Parthenay. Durante la celebrazione della
messa il duca, rimasto all’ingresso della chiesa a
causa della scomunica che pesava sul suo capo, viene
colto da crisi epilettica. Solo l’intervento
miracoloso di Bernardo riesce a calmarlo (Vita prima,
lib. II, c. VI, 37‑38, in P.L. 185, coll. 289‑290).
L’episodio è divenuto uno dei nuclei principali della
narrazione agiografica di Ernaldo e, proprio per
questo motivo, non è possibile discernere i moventi
politici alla base del mutamento di campo di
Guglielmo. Tuttavia, lo scisma aquitanico può dirsi
definitivamente rientrato. D’altronde non bisogna
sottovalutare l’importanza del piano emotivo su cui
molto spesso l’azione e la parola di Bernardo fa
volutamente leva, producendo mutamenti di
comportamento inspiegabili dal punto di vista
razionale. Non è certo un caso se il duca Guglielmo
troverà una pia morte il 9 aprile 1137, lungo la
strada che lo portava in pellegrinaggio espiatorio a
Santiago di Compostella. Al contrario, l’anziano
vescovo di Angouléme, ancora fermo sulle sue
posizioni, morirà il Ì marzo 1136: la sua morte è
impietosamente descritta da Ernaldo (Vita prima, lib.
I1, c. VI, 39, in P.L. 185, col. 290‑291).
1135
Tra febbraio e marzo del 1135 Bernardo si reca in
Germania per intercedere presso Lotario in favore di
Federico e Corrado di Hohenstaufen, sbaragliati
dall’imperatore nella campagna dell’anno precedente.
Una solenne cerimonia a Bamberga (17 marzo 1135) vede
la riconciliazione, previo atto di sottomissione, di
Federico con l’imperatore. Di lì a qualche mese, nella
dieta di Mulhausen del 29 settembre, anche Corrado si
sottometterà all’autorità di Lotario.
La presenza dell’abate, i cui legami con la curia
innocenziana erano noti a tutti, voleva anche
ricordare all’imperatore tedesco il suo impegno di
soccorrere il papa con una nuova spedizione in Italia,
tanto più che la sconfitta degli Hobenstaufen
preludeva alla definitiva pacificazione del regno.
Conclusasi questa breve missione, Bernardo si reca
direttamente in Italia, in vista del prossimo concilio
di Pisa, giungendo nel mese di maggio in terra
lombarda.
Torna utile, per una migliore comprensione del ruolo
da lui giocato in tale occasione, riassumere
brevemente le linee della questione della sede
arcivescovile di Milano, sorta nel quadro dello
scisma.
Dal 1126 la sede metropolitana di Milano era occupata
da Anselmo V della Pusterla, il quale, già con papa
Onorio II, aveva avuto motivi di dissidio, convinto
com’era dell’opportunità di tener fede alle
prerogative della Chiesa ambrosiana. Il pallio
infatti, inviato tramite un legato papale, anziché
consegnato personalmente al neo‑arcivescovo,
costituiva il simbolo della sua autonomia da Roma.[xxxvii]
La scelta di mantenere intatto questo privilegio,
cui tutti i milanesi tenevano in quanto segno della
loro passata e presente potenza, unita all’appoggio
dato dalla città a Corrado Hohenstaufen, poneva Milano
allo scoppio dello scisma quasi automaticamente dalla
parte anacletiana. Ed infatti Anacleto, pochi mesi
dopo la sua elezione, invia solennemente il pallio
all’arcivescovo Anselmo.
Vittoriosi sulle innocenziane città di Pavia, Cremona,
Novara, solo l’abile mossa di Innocenzo II di privare
il territorio metropolitano di ben due vescovadi –
Genova, diventa sede arcivescovile, e Bobbio – riesce
a produrre nei milanesi le prime esitazioni‑ A poco a
poco si fa strada l’opposizione ad Anselmo della
Pusterla, il quale alla fine è costretto a sottostare
a un giudizio pubblico, culminante con la sua
espulsione dalla città. L’allontanamento, collocabile
tra il marzo e l’aprile del 1135, fu determinato anche
dall’intervento alla riunione pubblica di un gruppo di
monaci capis albis et grisiis. Probabilmente erano
della comunità cistercense dipendente da Morimond,
stanziatasi presso Milano fin dal 1134 e, definiti
heretici dall’arcivescovo, essi apparivano invece al
popolo «quasi si forent angeli de celis».[xxxviii]
Al concilio di Pisa (30 maggio – 6 giugno), le cui
deliberazioni vertono soprattutto sull’evolversi dello
scisma nella penisola italiana con una nuova scomunica
del clero anacletiano, Anselmo della Pusterla viene
dichiarato deposto dalla sua carica. Per meglio
sottolineare l’avvenuto cambiamento di rotta della
città ed affrontare il pur sempre forte partito
anselmiano, viene deciso l’invio di un’autorevole
delegazione composta dai cardinali Matteo d’Albano e
Guido di Pisa, da Bernardo e dal vescovo Goffredo di
Chartres.[xxxix]
Il soggiorno di Bernardo e dei suoi compagni a Milano
nel mese di luglio è descritto in toni trionfalistici
da Ernaldo di Bonneval (Vita prima, lib. II, c. II,
9‑12 e c. III, 13‑20, in P.L. 185, coll. 273‑280). 1
milanesi e la gente del contado sono attratti in massa
dai suoi molteplici miracoli e docilmente giurano
fedeltà a Innocenzo II e Lotario. La sede ambrosíana
vacante viene offerta all’abate di Clairvaux che però
si schermisce. Al suo rifiuto viene scelto il vescovo
Robaldo d’Alba.
All’apogeo della popolarità, Bernardo si reca a Pavia,
Cremona e Piacenza, portando con sé le speranze dei
milanesi di riavere i prigionieri di queste città
innocenziane contro le quali avevano fino allora
combattuto. Tuttavia, come giustamente osserva il
Palumbo, «quando Bernardo volle passare dal campo
religioso a quello politico contingente e far
abbandonare a Milano e alle altre città lombarde –
Pavia, Cremona, Piacenza – la loro reciproca ostilità,
allora il suo sforzo, pur a lungo durato, si rivelò
inutile».[xl]
Deluso nelle sue aspettative, è già in viaggio alla
volta di Clairvaux, quando viene costretto da una
lettera di Innocenzo II a tornare una seconda volta a
Milano. Il papa era preoccupato dell’esitazione del
nuovo arcivescovo Robaldo a recarsi a Roma per la
postulazione del pallio.[xli]
Il compito di Bernardo consisteva ora nel
convincere i milanesi a rinunciare al privilegio della
Chiesa ambrosiana, facendo sì che il concetto della
supremazia della Chiesa romana venisse in tal modo
ribadito.
Questa seconda permanenza dell’abate a Milano, nel
mese di ottobre, si svolge in un clima freddo, come ci
indica implicitamente il suo biografo, prodigo di
dettagli per il primo contatto con la cittadinanza e
invece parco di parole e di miracoli per questo
secondo (Vita prima, lib. II, c. IV, 24, in P.L. 185,
coll. 281‑282). Su Bernardo e sulla sua popolarità
pesa ormai l’insuccesso sulla questione dei
prigionieri delle altre città. Solo nel 1136 i
milanesi cederanno alle richieste di Innocenzo II,
lasciando libero Robaldo di andare a ricevere dalle
mani del papa il pallio.
Nel mese di novembre, vista l’inutilità dei propri
sforzi nei confronti delle città lombarde, Bernardo fa
ritorno alla sua abbazia.
Con il rientro dello scisma aquitanico e milanese,
solo Roma e l’Italia meridionale, controllata da
Ruggero, restano dalla parte di Anacleto. Ormai tutte
le alleanze si stringono attorno a Lotario e Innocenzo
II.
Promesse d’intervento vengono profferite anche da
Pisa, Genova, nonché dall’imperatore bizantino.
1136
Nel settembre 1136, l’imperatore tedesco, ben
altrimenti equipaggiato rispetto alla spedizione del
1132, ripassa le Alpi attraverso il valico del
Brennero, toccando Verona, Milano, Parma e
sconfiggendo Cremona, Pavia, Vercelli, Torino,
Piacenza e Bologna. Al termine di questa prima
offensiva, Lotario decide di divedere il proprio
esercito in due tronconi: uno al comando del genero
Enrico di Baviera col compito di reprimere le
ribellioni in Toscana e il conflitto scoppiato tra
Pisa e Lucca; l’altro più consistente e ai suoi ordini
da dirigere lungo il versante adriatico verso la
Puglia.
A Lucca, assediata dal duca di Baviera, compare
nuovamente Bernardo, partito in febbraio da Clairvaux
assieme al fratello Gerardo. È il terzo viaggio in
Italia. Grazie alla sua mediazione, la città toscana
scampa alla distruzione totale al termine
dell’assedio, dietro pagamento di un tributo in
argento. Le truppe imperiali possono continuare i loro
spostamenti senza essere ulteriormente trattenute.
Nello stesso mese di marzo, Innocenzo II lascia Pisa
per congiungersi con Enrico di Baviera, assieme al
quale partecipa alla resa di Grosseto prima e di
Viterbo poi. La città è luogo di un primo contrasto
tra Enrico e il pontefice. Il primo reclama il tributo
di guerra per le proprie truppe, il secondo lo esige
in nome della sovranità sulla regione. Bernardo
intanto teme sulla sorte di Gerardo, caduto gravemente
ammalato, ma poi ristabilitosi in seguito alle
preghiere dell’abate (Sermo 26 in Cantica, n. 14, in
Opera, I (1957), pp. 180‑191).
Nell’aprile del 1136, mentre Lotario prosegue la sua
marcia alla volta di Bari, il piccolo contingente
imperiale agli ordini del duca bavarese si dirige
verso Roma, avendo il compito di insediare Innocenzo
nella città, senza ingaggiare però uno scontro diretto
con le forze preponderanti di Anacleto II. Roma e il
suo contado vengono dunque aggirati col proposito di
ricogiungersi al più presto con il grosso dell’armata
imperiale ormai vicina alla sua meta. Una sconfitta di
Ruggero in Italia meridionale avrebbe reso una volta
per tutte completo l’isolamento religioso e politico
del papa di Roma.
A maggio le truppe di Enrico di Baviera si accampano
nelle terre dell’abbazia di Montecassino. Il
sostanziale appoggio cassinese al partito anadetiano e
normanno era stato messo in forse dalla notizia
dell’approssimarsi dei soldati imperiali. Una dura
lotta intestina, all’interno della comunità monastica,
si era conclusa infine col prevalere dell’antica linea
anti‑innocenziana e la conseguente elezione dell’abate
Rainaldo. Con la resa del settembre del 1137, la
ratifica dell’elezione di Rainaldo verrà respinta e,
dopo un discorso di Bernardo al Capitolo, si procederà
alla nomina del fedele Vibald, abate di Stavelot e
favorito di Lotario.[xlii]
Il piccolo esercito prosegue quindi verso sud,
entrando trionfalmente a Capua, dove viene reinsediato
il principe Roberto, e, il 23 maggio, a Benevento. Il
30 dello stesso mese, il contingente bavarese si
riunisce a Bari con l’armata di Lotario, dopo che
questa ebbe compiuto vittoriosamente l’itinerario
adriatico.
Ruggero si trova ben presto a malpartito, stretto tra
le vittorie dei suoi avversari sulle città a lui
fedeli e le rivolte nate da antichi contrasti mai
placati. La conquista di Salerno, di poco posteriore,
segna il momento del massimo pericolo per il re
normanno, e, nello stesso tempo, comporta il ritiro
dal conflitto della flotta dei pisani, delusi della
promessa fatta a loro insaputa da Lotario di evitare
il saccheggio della ricca città nel caso di una pronta
resa.
Desideroso di intraprendere al più presto il viaggio
di ritorno, l’imperatore investe Rainulfo d’Alife
della sovranità sui territori occupati, avviandosi
quindi verso il nord. A Farfa, il 5 ottobre, ha luogo
l’ultimo colloquio tra il papa e Lotario. Di comune
accordo essi decidono di inviare Bernardo in Puglia
per una missione di cui però l’abate non fa cenno
nella sua lettera (ep. 144). Poi, mentre Innocenzo II
conclude i preparativi per l’entrata a Roma, Lotario
prosegue il cammino verso la Germania, reso aspro
dall’ostilità delle popolazioni. Ammalatosi, muore il
3 dicembre a Breitenwang. Il 1° agosto dello stesso
anno era aspirato il re francese Luigi VI, altro
grande esponente della lotta contro lo scisma, che
tanta parte aveva avuto nella prima fase
dell’affermazione innocenziana.
Lo scopo dell’invio di Bernardo tra le popolazioni del
meridione si comprende con la necessità di opporre al
pericolo normanno, oltre che un valido uomo d’armi
qual era Rainolfo d’Alife, una personalità religiosa
di grande prestigio, capace di far leva emotiva sulla
gente. Infatti, consapevole dell’instabilità delle
conquiste imperiali, una volta abbandonate
dall’esercito tedesco, Ruggero si affretta a sbarcare
nuovamente in Calabria, recuperando una ad una le
città e ì territori che aveva perduto. Solo la Puglia,
saldamente tenuta da Rainolfo, oppone resistenza.
Nell’imminenza di uno scontro forse decisivo tra gli
eserciti avversari, Bernardo compie un ultimo
tentativo di convincere Ruggero a deporre le armi,
recandosi nel suo accampamento e preannunciandogli una
dura sconfitta. Così narra Ernaldo di Bonneval, che
tuttavia commette un errore storico, forse imputabile
al suo intento celebrativo, quando scrive che era
stato Ruggero in persona a voler chiamare presso di sé
il santo abate (Vita prima, lib. II, c. VII, 43, in
P.L. 185, coll. 293‑294).
La battaglia ha luogo il 30 ottobre a Rignano e si
conclude con la ritirata del re di Sicilia a Salerno.
Bernardo lo segue e ottiene da lui la convocazione,
tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre, di un
contraddittorio tra i rappresentanti di Anacleto (il
cardinale cancelliere Matteo, il cardinale Pietro di
Pisa e un certo cardinale Gregorio) e quelli di
Innocenzo (il cancelliere Aimerico, il cardinale
Gregorio di Santa Croce, Guido di Castello e lo stesso
Bernardo). Se il ravvedimento di Pietro di Pisa al
discorso infuocato di Bernardo, che prese la parola
alla conclusione di questo incontro durato otto
giorni, comporta un grande successo per lo
schieramento innocenziano, non altrettanto si può dire
per le posizioni di Ruggero, cui questo confronto
verbale era servito per saggiare le intenzioni delle
due parti. In particolare, per capire fino a qual
punto Innocenzo II era disposto a trattare, in cambio
del riconoscimento normanno della propria autorità.
Bernardo fa ritorno presso il papa in compagnia di
Pietro di Pisa, che si vede riconfermata la porpora
cardinalizia in virtù del suo ravvedimento (Vita
prima, lib. II, c. VII, 45‑46, in P.L. 185, coll.
294‑295). Due delegati delle opposte fazioni, dietro
richiesta di Ruggero, desideroso di consultarsi con i
consiglieri siciliani, lo seguono a Palermo per una
seconda assemblea. Inutile dire che anche per questa
nuova riunione si trattava di un astuto espediente
diplomatico, conclusosi con la riaffermazione della
fedeltà normanna ad Anacleto, dopo aver avvertito
probabilmente l’intransigenza e l’indisponibilità
della parte innocenziana a trattare.
Intanto Innocenzo II era entrato in Roma, dove però le
forze dell’avversario mantenevano ancor saldi in pugno
San Pietro, il Laterano e molti fortilizi. La
resistenza si preannunciava lunga.
1138
Un insperato colpo di fortuna favorisce Innocenzo: il
25 gennaio 1138 una morte improvvisa coglie Anacleto.
La notizia è accolta con impietosa gioia da Bernardo (ep.
147), cui fa eco il suo biografo (Vita prima, lib. II,
c. VII, 47, in P.L. 185, coll. 295‑296). I suoi
richiami all’Antico Testamento contribuiscono
efficacemente a dare l’idea dell’inesorabilità del
giudizio divino: «Advenerat tempus, in quo completa
Ammorrhaei malitia, angelus percutiens gladium jam
vibrabat, et pertransiens domos, quarum superliminaria
sanguis Agni imbuerat. ad domum Petri Leonis veniens,
salutare in ea non reperit signum. Percussit igitur
miserum, nec tamen illico defungitur: sed datur per
triduum poenitentiae locus. Ille patientia Dei
abutitur, et in peccato suo moritur desperatus».[xliii]
È un colpo duro per gli oppositori di Innocenzo II, ma
non basta a fiaccare la loro ostinazione. Attorno alla
metà di marzo, ottenuto il consenso di Ruggero per una
nuova elezione, scelgono, quale successore di
Anacleto, il cardinale prete dei SS. Apostoli,
Gregorio, col nome di Vittore IV. Questa nuova nomina
pontificia ubbidiva ad una serie di considerazioni di
carattere politico, incentrate sul desiderio di
trattare con Innocenzo II non in posizione di completo
svantaggio. Un artificioso prolungamento dello scisma
che non porterà agli effetti sperati. Vittore IV,
infatti, si trova ben presto privo di sostenitori, o
perché convinti dal denaro elargito da Innocenzo, o
perché intimoriti dalle possibili conseguenze della
loro inutile ostinazione. Resosi conto della
situazione sempre più precaria, prende dunque la
decisione di riconciliarsi con Innocenzo II, riuscendo
così a conservare la propria dignità cardinalizia. Il
29 maggio, dopo un colloquio notturno con Bernardo,
Vittore IV fa atto di penitenza davanti al pontefice
vittorioso (ep. 317).
Il compito dell’abate di Clairvaux in Italia si è
concluso, ed egli si affretta a tornare al proprio
monastero. Il suo contributo alla soluzione dello
scisma è ricompensato dal papa con la donazione
all’Ordine cistercense del monastero delle Tre Fontane
“Ad Aquas Salvias” presso Roma.
Langres
Lungo la via del ritorno, Bernardo è raggiunto dalle
notizie sull’elezione episcopale di Langres che lo
rendono inquieto. Nell’agosto del 1137, o più
probabilmente del 1136, era morto il vescovo di
Langres, Villain d’Aigremont, nella cui diocesi era
situata l’abbazia di Clairvaux. Il Capitolo e
l’arcivescovo di Lione avevano deciso di rivolgersi a
Bernardo, allora a Roma, per la scelta del successore
in accordo con il papa.
È dunque con comprensibile sorpresa che l’abate, nel
viaggio di ritorno, apprende la notizia dell’avvenuta
elezione del cluniacense Guglielmo di Sabran,
candidato di Pietro il Venerabile e del duca di
Borgogna. Bernardo si reca immediatamente
dall’arcivescovo di Lione ottenendone un ravvedimento
solo temporaneo; le pressioni di Pietro il Venerabile
inducono infatti Luigi VII a concedere l’investitura
dei regalia a Guglielmo di Sabran, che viene quindi
consacrato dai diocesani di Lione, Autun e Mâcon.
Le rinnovate proteste dell’abate di Clairvaux, che non
esita ad appellarsi a Roma, conducono all’annullamento
dell’elezione. La sede di Langres è allora offerta
allo stesso Bernardo: egli vi rinuncia a favore di
Goffredo de la Roche, priore di Claírvaux. Il re, dopo
qualche esitazione, dato che si trattava di
assecondare i Cistercensi a scapito di più potenti
alleati – Cluny, il duca di Borgogna, l’arcivescovo di
Lione –, gli concede i regalia. Il 28 ottobre 1138 ha
luogo così la solenne consacrazione del nuovo vescovo
di Langres (epp. 164‑170).
In questo caso, l’atteggiamento preso da Bernardo
risulta dettato dalla preoccupazione di vedere, a capo
della diocesi in cui sì trovava la propria abbazia, un
esponente di un Ordine monastico con il quale i
momenti di pacifica convivenza spesso si alternavano a
polemiche ed antagonismi.[xliv]
Diversamente, per la vicenda di poco anteriore
dell’arcivescovado di Reims ci si può appellare solo
al suo costante interessamento verso ogni problema
della Chiesa.
Reims
Il caso di Reims avrebbe potuto costituire un
pericoloso precedente da combattere, secondo il punto
di vista bernardino, in maniera decisa.
Gli abitanti di questa città, approfittando della
morte dell’arcivescovo Raynauld (13 gennaio 1138),
costituiscono un corpo municipale con l’appoggio di
Luigi VII, interessato alle entrate dell’arcivescovado
che, durante la vacanza della sede, aveva diritto di
percepire. Bernardo chiede la immediata convocazione
del Capitolo per la scelta del successore di Raynauld
(ep. 318) e papa Innocenzo II ingiunge al re di
sciogliere le associazioni comunali. La situazione
viene normalizzata con l’elezione del nuovo
arcivescovo nella persona di Samson di Mauvoisin,
arcidiacono di Chartres, dopo il rifiuto opposto da
Bernardo alla carica che gli era subito stata offerta
(ep. 449). Le aspirazioni municipalistiche non vengono
però ancora meno. Si protrarranno finché Luigi VII,
che, malgrado le pressioni pontificie, si era limitato
ad ammonire la cittadinanza a non cadere in eccessi,
non si vedrà costretto ad abolire il comune nel 1140.
Controversie dottrinali (1139‑1145)
1139
Il 4 aprile 1139 si aprono i lavori del II concilio
Lateranense cui partecipano circa ottocento vescovi ed
abati, tra i quali anche Bernardo. Si tratta della più
importante assemblea tenutasi dalla fine dello scisma,
con l’intento di riorganizzare i ranghi ecclesiastici
sconvolti da nove anni di lotte faziose. Apertosi in
un clima di fiducia grazie al ricordo
dell’atteggiamento clemente di Innocenzo II durante le
fasi cruciali dello scisma, diviene però subito chiaro
che il pontefice non intende affatto chiudere la
vicenda con un colpo di spugna e procede, al
contrario, ad approntare una serie di provvedimenti
punitivi nei riguardi degli ecclesiastici di passato
anacletiano. Lo stesso Pietro di Pisa che, con il suo
pentimento del 1136, aveva tanto giovato alla causa
innocenziana, meritandosi la conservazione della
porpora, viene ora a perdere le sue prerogative
cardinalizie, malgrado lo sdegnato intercedere di
Bernardo presso il papa (ep. 213). Il concilio si
conclude con la nuova scomunica a Ruggero II.
Ciò non impedisce al re normanno di approfittare della
morte di Rainolfo d’Alife, avvenuta il 30 aprile 1139,
per operare, il 25 maggio successivo, lo sbarco delle
proprie truppe a Salerno. Innocenzo II replica
immediatamente raccogliendo un esercito agli ordini di
Roberto di Capua, Riccardo di Rupecanina e Teobaldo,
prefetto di Roma. Lo scontro decisivo ha luogo a San
Germano il 22 luglio, in seguito al quale, Innocenzo
II viene fatto prigioniero. Tre giorni dopo, con lo
storico trattato di Mignano, Ruggero ottiene
l’annullamento della scomunica, il riconoscimento
pontificio del regno di Sicilia, nonché la investitura
del ducato di Puglia e del principato di Capua per i
suoi due figli, in cambio di 600 scifati d’oro.
Inoltre conclude il fidanzamento tra il figlio Ruggero
II, nuovo duca di Apulia, ed Elisabetta, figlia del
conte di Champagne. Verrà accompagnata nel suo viaggio
in Sicilia da alcuni monaci claravallensi, richiesti
da Ruggero a Bernardo per una eventuale, ma non
precisata, fondazione cistercense nel suo regno.
È in questo stesso periodo che Bernardo viene per la
prima volta a contatto con un altro preoccupante
problema. Durante il periodo di quaresima, l’amico
Guglielmo di Saint‑Thierry ne richiama l’attenzione
con una lettera riguardante alcune proposizioni errate
dell’insegnamento teologico di Pietro Abelardo, cui
allega la disputatio, cioè la confutazíone delle
affermazioni del filosofo.
Il problema circa i prodromi della vicenda è molto
dibattuto tra gli storici. Basti accennare al dubbio
se si sia trattato effettivamente di una iniziativa di
Guglielmo, o se questa fosse piuttosto stata provocata
dall’abate di Clairvaux, per permettersi di
intervenire poi come “chiamato in causa”.
Qualunque sia lo status quaestionis, la prima mossa di
Bernardo è di scrivere il Tractatus contra capitula
errorum Petri Abaelardi, indirizzandolo a Innocenzo II
con un più breve scritto per i prelati di curia.[xlv]
1140‑Sens
Vista l’inutilità delle ammonizioni dirette di far
ravvedere il filosofo, Bernardo procede senz’altro a
denunciarlo alle autorità ecclesiastiche, rivolgendosi
non tanto al competente vescovo di Parigi, Stefano di
Senlis, che avrebbe potuto trovarsi imbarazzato
dall’ascendente di Abelardo sugli studenti e sui
maestri della città, quanto al suo devoto amico
Enrico, arcivescovo di Sens.
Lo scopo è quello di giungere ad una condanna delle
tesi di Abelardo con il coinvolgimento dei soli
vescovi. La convocazione giunta a Clairvaux per il 2
giugno 1140, data dell’apertura del concilio di Sens,
in seguito alla sfida lanciata da Abelardo ad un
pubblico dibattito presieduto dall’arcivescovo di Sens,
coglie perciò Bernardo di sorpresa. Egli è consapevole
della forza dialettica del suo avversario e rimane a
lungo indeciso ad accettare la sfida (ep. 187).
Resosi conto che un suo rifiuto avrebbe potuto
favorire l’avversario, accoglie l’invito e il 2 giugno
si presenta a Sens. Ivi, senza indugio, provoca una
riunione preliminare dei vescovi presenti al concilio,
facendo condannare ancor prima del dibattito, previsto
per il giorno seguente, e senza la partecipazione di
Abelardo, una serie di affermazioni del filosofo.
L’indomani, a questa prima presa di posizione dei
vescovi che poneva Abelardo di fronte ad un’accusa e a
una condanna più che a un pubblico dibattito, il
‘maestro palatino ‘ risponde con l’appello al papa,
suprema autorità nel campo della teologia.[xlvi]
A quel punto l’assemblea avrebbe perso di significato
se l’abate di Clairvaux non avesse superato l’impasse,
derivato dall’appello al pontefice, con un cavillo che
gli permetteva egualmente di mettere a tacere
l’avversario: ogni giudizio sulla persona veniva
demandato a Innocenzo II, mentre quello sulle dottrine
era lasciato al concilio dei vescovi. Si procede così
alla condanna di quattordici proposizioni tratte dalla
Theologia christiana, dall’Introductio ad theologiam
di Abelardo, e dal Liber sententiarum, e all’invio dei
resoconti del processo a Roma.
Anche Bernardo si affretta a spedire varie lettere al
pontefice e alla curia, nel timore che Abelardo, già
in viaggio verso Roma, possa trovarvi dei sostenitori.
Ma il vecchio filosofo è ancora in terra francese
quando è raggiunto dalla notizia che Innocenzo II,
anticipando i tempi, lo aveva condannato al silenzio
perpetuo e al rogo dei suoi libri. Non gli rimane
altro che chiedere rifugio presso il caritatevole
abate Pietro dì Cluny, sotto la cui protezione morirà
il 21 aprile 1142. Una delle poche voci levatesi in
sua difesa sarà quella del suo discepolo Pietro
Berengario di Poitiers, autore del libello Berengarii
schotastici apologeticum (in P.L. 178, coll.
1857‑1870), spesso aspro nei riguardi dell’abate di
Clairvaux.
Sono sempre più numerosi gli storici che, pur mettendo
in dubbio la legittimità dell’operato di Bernardo,
sono giunti a riconoscervi, in prospettiva, un merito
del santo. La condanna di Pietro Abelardo e, più
tardi, quella di Gilberto de la Porrée, hanno infatti
messo in guardia contro gli abusi della nascente
dialettica, contribuendo, nello stesso tempo, ad una
migliore formulazione del pensiero del “maestro
palatino” che poté così sopravvivere nel tempo,
malgrado la distruzione delle sue opere.
Inoltre, proprio in questa occasione, si giustifica
pienamente l’uso del termine ‘ultimo dei padri ‘ per
Bernardo. La sua strenua difesa dei dogmi cristiani
fin allora indiscussi ed indiscutibili, lo rivela, di
fronte alle nuove correnti speculative della
scolastica, un esponente – sia pure di grandissima
autorità – di un periodo che stava per chiudersi.[xlvii]
York
Sempre
nello stesso anno, il 6 febbraio 1140, la morte
dell’arcivescovo di York, Thurstan e il problema della
sua successione diveniva il centro di una lunga serie
di lotte all’interno della gerarchia ecclesiastica
inglese, coinvolgenti la stessa casa regnante. A
questa vicenda, destinata a protrarsi per quattordici
anni, non mancò di interessarsi Bernardo, come
ampiamente dimostra il suo epistolario (epp. 346, 347,
353, 360, 235, 236, 238‑240, 252, 320, 321). Infatti,
all’elezione di William Fitzherbert, nipote di re
Stefano, voluta solamente da una parte del capitolo
della cattedrale, fece seguito nel 1147 la sua
deposizione con l’accusa di simonia e la conseguente
sostituzione con Henri Murdac, già monaco di Clairvaux.
Fin qui l’azione determinante di Bernardo. Nel 1154,
deceduti sia Henri Murdac, sia Eugenio III che lo
aveva consacrato, sia Bernardo che lo aveva sostenuto,
nulla impedirà più a William Fitzherbert di divenire
per la seconda volta arcivescovo di York sotto il
pontificato di Anastasio IV, dimostrando così
l’infondatezza delle accuse mossegli un tempo.
Anche in questa occasione, dunque, l’abate di
Clairvaux aveva fatto sentire tutto il peso della
propria influenza, riuscendo ancora una volta a
determinare il corso di una questione estranea al suo
ambiente monastíco. Definitive a questo proposito le
parole del Baker: «… senza l’intervento di san
Bernardo, Fitzherbert sarebbe probabilmente
sopravvissuto sia all’opposizione condotta contro di
lui, sia all’inchiesta papale, e sarebbe quindi
riuscito ad affermarsi come arcivescovo».[xlviii]
1141
Nel 1141, dopo un breve contrasto tra re Luigi VII e
il clero francese circa la consacrazione a vescovo di
Poitiers dell’abate di Alleux Grimoard, avvenuta senza
la previa investitura regale, per il quale Bernardo fa
pressioni sul consigliere del re, Jocelin, vescovo di
Soissons (ep. 342), si verifica un nuovo e ben più
grave attrito.
Le prime mosse si susseguono velocemente. Divenuta
vacante la sede arcivescovile di Bourges, il Capitolo
elegge Pierre de la Cbatre, parente del cancelliere
Aimerico, respingendo il favorito di Luigi VII.
Innocenzo II convoca a Roma il neo‑eletto per
consacrarlo personalmente e nel contempo dichiara
indegno di ogni beneficio ecclesiastico il candidato
del re, Luigi VII risponde impedendo al nuovo
arcivescovo l’entrata in Bourges, provocando così la
reazione del pontefice che lancia Pinterdetto su tutte
le città che accolgono la corte regale.
Il già serio dissidio con la Chiesa è aggravato dalla
ribellione del conte di Champagne, Teobaldo, colpevole
di ospitare nelle sue terre lo sfortunato arcivescovo
di Bourges e di opporsi all’annullamento del
matrimonio della nipote con il conte Raoul di
Vermandois. Solo in questo modo, quest’ultimo avrebbe
potuto sposare, con l’appoggio del re, la sorella di
Eleonora di Aquitania, Petronilla (o Adelaide) di
Guyenne.
1142
Il concilio di Lagny del 20 giugno 1142 proclama la
validità del matrimonio, provocando l’inizio delle
ostilità tra Luigi VII e il conte di Champagne. I
tentativi di conciliazione portati avanti da Bernardo,
legato da vincoli di amicizia e di riconoscenza al suo
protettore Teobaldo (epp. 218, 219), rimangono
sterili.
Questo grande feudatario cerca di stringere attorno a
sé un cerchio di alleanze tramite i fidanzamenti dei
propri figli con membri delle casate di Fiandra e di
Soissons, manovra che non manca di impensierire il re
francese.
1143
Nel frattempo, il 24 settembre 1143, muore papa
Innocenzo II, uno dei protagonisti, sia pure da
lontano, della vicenda. Due giorni dopo, diviene
pontefice Guido da Castello col nome di Celestino II,
ex discepolo di Pietro Abelardo e antico protettore di
Arnaldo da Brescia, durante la legazia in Boemia.
1144
È la diplomazia e la moderazione di questo papa, ma
ancor più quelle di Lucio Il che gli succede il 12
marzo 1144, che consentono di sbloccare la situazione
dopo il fallimento dell’incontro di Corbeil tra Luigi
VII, Bernardo, Suger di Saint‑Denis e il vescovo di
Auxerre.
Il nuovo pontefice toglie subito l’interdetto che
gravava su Luigi VII, il quale, in cambio, concede
libertà di elezione per le Chiese di Chalons e Parigi
i cui vescovi erano deceduti. Poco dopo, a
Saint‑Denis, un nuovo incontro porta all’accordo. Il
re, mosso dal timore di perdere l’appoggio del clero
francese e dei grandi feudatari del regno, ritira le
truppe dalla Champagne, accorda l’investitura dei
regalia all’arcivescovo di Bourges, e si impegna per
un pellegrinaggio espiatorio in Terrasanta. In cambio,
il conte di Champagne rinuncia ai due fidanzamenti
progettati e alla contestazione dell’unione di Raoul
di Vermandois con la sorella della regina.[xlix]
Ritornato a Clairvaux, in lutto per la morte dei
fratelli Andrea e Bartolomeo, Bernardo è raggiunto da
una lettera del prevosto di Steinfeld, Evervin (Evervini
epist., in P.L. 182, col. 676) che lo ragguaglia su
una setta eretica di tipo cataro ed evangelico,
diffusa lungo il Reno e nelle Chiese del nord.[l]
Poco dopo, il clero di Liegi denuncia al pontefice
Lucio II l’espandersi preoccupante nella regione di
un’eresia vicina al manicheismo.
Ma a Roma la situazione politica è tale da
distogliere, per il momento, l’attenzione della Chiesa
da queste correnti eterodosse. Infatti, già negli
ultimi giorni di pontificato di Innocenzo II, il
popolo romano aveva reinsediato in Campidoglio il
senato, mettendo in dubbio – una volta di più – la
saldezza del potere temporale del papato.
1145
Dopo una vana richiesta di aiuto a Corrado III,
imperatore di Germania, tramite anche lettere di
Bernardo (ep. 244), il 15 febbraio 1145, Lucio II
decide di dare l’assalto al Campidoglio, sede del
senato, ma colpito da una sassata muore. Lo stesso
giorno viene eletto, come suo successore, l’abate
cistercense delle Tre Fontane, Bernardo Paganelli, col
nome di Eugenio III.[li]
Egli risponde con la minaccia di interdetto alle
pretese del senato di approvare o respingere
l’elezione pontificia. A questo punto, i rivoltosi gli
impediscono l’accesso alla basilica di San Pietro
per la consacrazione, se non a patto di rinunciare
alla potestà civile, costringendolo a riparare a Farfa,
dove ha luogo la solenne cerimonia.
La situazione estremamente difficile che ha ereditato
dai predecessori di cui Bernardo mostra di essere
pienamente consapevole nella sua lettera al popolo
romano (ep. 243)[lii]
– e risoltasi per il momento in un suo esilio, non gli
impedisce di occuparsi del focolaio di malcontenti e
disordini costituito dal diffondersi del neo‑manicheismo
nelle zone meridionali della Francia. Le idee
sostenute da Pietro di Bruys, condannato al rogo a
Saint‑Gilles tra il 1132 e il 1133, sono riprese e
propagandate dal monaco Enrico,[liii]
fondendo imperativi morali con dottrine eretiche: da
un lato, aderenza ai dettami evangelici, ideale di
una Chiesa libera da ogni preoccupazione terrena,
rifiuto della sua gerarchia, dall’altro, negazione del
battesimo degli infanti ed errate convinzioni sul
matrimonio.
Per porre fine ad una predicazione così pericolosa per
i ranghi ecclesiastici. Eugenio III incarica il
cardinale, vescovo di Ostia, Alberico, di intervenire
con ogni autorità.
Eresia
A questo scopo, probabilmente confidando nella sua
popolarità, il legato pontificio invita l’abate di
Clairvaux ad unirsi a lui. Accettata prontamente la
richiesta, Bernardo inizia la sua peregrinazione nelle
zone eretiche infiammando con la sua parola i fedeli
di Bordeaux, Bergerac, Périgueux, Sarlat, – dove ha
luogo una miracolosa conversione in massa della
popolazione, grazie ai pani benedetti dal santo (Vita
prima, lib. III, c. VI, 18, in P.L. 185, coll.
313‑314). Dopo una sosta a Cabors, giunge a Tolosa,
luogo fino a poco tempo prima delle prediche di
Enrico, protetto dal conte Ildefonso di Saint‑Gilles.
Anche qui la parola di Bernardo ottiene il generale
ravvedimento della cittadinanza, mentre gli eretici
sono costretti alla fuga. Il 28 giugno giunge ad Albi.
Le fonti stesse hanno cura di sottolineare il successo
strepitoso di Bernardo in confronto al fallimento
della predicazione del legato Alberico. Dopo una nuova
tappa ad Auxerre, l’abate fa ritorno a Clairvaux, dove
è raggiunto dalla notizia dell’arresto di Enrico.
L’intervento di Bernardo nella campagna contro
l’eresia enriciana si rivelò dunque determinante per
il buon esito di essa. Tuttavia lo stesso Goffredo di
Clairvaux ebbe modo di avanzare qualche perplessità
sulla reale portata della missione nella sua Epistola
ad dominum Archenfredum. Egli scrive: “«Terra tam
multiplicibus errorum doctrinis seducta, opus haberet
longa praedicatione; sed dominus abbas nec tanto
labori sufficere videtur, et multo magis timet
molestus esse fratribus suis…».[liv]
E difatti la mancata consapevolezza della «capacità
suggestiva delle nuove dottrine»,[lv]
specie sulle masse popolari, riscontrabile nella
gerarchia ecclesiastica come in Bernardo (ep.
242), impedì a lungo un’adeguata azione su larga
scala, intrapresa poi da san Domenico e il suo Ordine.
Rimane da rilevare la convinzione bernardina di potere
fare uso dell’arma della persuasione nei confronti
degli eretici, ammettendo il ricorso alla forza
solamente nei casi più ostinati (Sermo 64 in Cantica,
n. 8 e Sermo 66 in Cantica, nn. 1, 2, 12, 14, in
Opera, 11 (1958), pp. 170, 178‑179, 186‑187, 188).
Nel frattempo il contrasto tra senato romano e Eugenio
III è giunto ad una svolta. Il papa, la cui posizione
si è rafforzata grazie ad una politica di alleanze con
i conti della Campania, costringe i senatori ad un
accordo basato sulla restaurazione del potere
temporale del papato, sul ripristino della prefettura
– carica controllata dal pontefice – e sul
mantenimento del senato, a condizione che i cinquanta
membri eletti annualmente dal popolo risultino a lui
graditi.
Con questa intesa, Eugenio III può finalmente entrare
con solenni cerimonie in Roma. Ma nel gennaio 1146
altri disordini lo costringeranno di nuovo a fuggire.
Nel novembre del 1145, il papa è informato dal vescovo
di Gilbeck della richiesta fatta dal principe Raimondo
di Antiochía a Luigi VII e a Corrado III di inviare
soccorsi ai regni cristiani di Terrasanta, gravemente
minacciati dopo la caduta di Edessa nel 1144. Eugenio
III accoglie subito l’appello, emanando il l° dicembre
1145 una bolla che invita il re francese alla
crociata.
Probabilmente non gli è ancora pervenuta, quando Luigi
VII annuncia una sua iniziativa militare a Bourges (25
dicembre). Il suo prudente consigliere, l’abate Suger
di Saínt‑Denís, che disapprova il gesto, gli consiglia
però di rimandare la decisione ad un’assemblea
plenaria da tenersi a Vezelay per Pasqua.
Crociata e nuove controversie (1146‑1149)
1146
Il l° marzo 1146, papa Eugenio III emana una nuova
bolla con la quale indice solennemente la seconda
crociata, enumerando tutti i vantaggi spirituali e
materiali a favore di coloro che avrebbero partecipato
alla difesa del santo sepolcro[lvi]
ed incaricando Bernardo della sua predicazione in
Francia, Baviera, Germania e Fiandre.
Superata una certa riluttanza nell’assumerà questo
gravoso compito,[lvii]
anche l’abate di Clairvaux si porta a Vezelay per la
grande riunione del 31 marzo. Dopo la lettura
della bolla pontificia, il discorso e i miracoli
compiuti da Bernardo, a prova della benevolenza divina
sull’impresa, inducono il re e numerosi feudatari a
prendere la croce. Anche due vescovi, Arnoul di
Lisieux e Goffredo de la Roche di Langres, cugino di
Bernardo, si fanno crociati. L’entusiasmo è tale da
proporre l’abate quale capo della spedizione militare.
La proposta è subito respinta dall’interessato.
Constatando l’impossibilità di portare la propria voce
in ogni contrada, prima di iniziare il giro di
predicazione, Bernardo appronta per i suoi segretari
il modello della lettera da inviare a tutte le regioni
europee, variabile in qualche punto a seconda dei
destinatari.[lviii]
Al suo sforzo, che lo vede presente in varie città
francesi fino all’autunno del 1146, si unisce quello
di altri abati cistercensi, come Rainald di Morimond,
che incitavano i feudatari locali ad unirsi
all’impresa. Ben presto però si fanno sentire le
difficoltà di organizzare una simile spedizione su
scala nazionale, previste probabilmente da Suger che a
lungo vi si era opposto. Per drenare la maggior
quantità di risorse, Luigi VII è costretto ad
aggravare le tasse sui sudditi, clero e monasteri
compresi. Non tardano le proteste, tra le quali spicca
quella di Pietro il Venerabile (ep. 36, lib. IV),
indignato dal fatto che gli ebrei, al pari dei servi,
fossero esentati da ogni tributo. Il malcontento
popolare si concentra su di essi, sfociando in una
vera ondata antisemita, allorché si diffuse la notizia
di una presunta uccisione sacrificale di un bimbo
cristiano perpetrata in occasione della Pasqua ebraica
a Norwich. Le persecuzioni, più gravi nel nord della
Francia, raggiungono però il massimo in Germania,
fomentate dalla predicazione non autorizzata di un
monaco cistercense di nome Rodolfo. Bernardo,
avvertito da una lettera dell’arcivescovo di Magonza,
si affretta a sconfessarne l’operato, costringendolo a
ritirarsi in un monastero (ep. 365).
Contemporaneamente si appresta ad intraprendere la
predicazione della crociata nei paesi tedeschi,[lix]
in compagnia di Geoffroy d’Auxerre, all’inizio
dell’autunno. Dopo aver attraversato le Fiandre
(Bruges, Afflighem, Liegi), raggiunge quindi Worms e
Magonza.[lx]
Alla fine di novembre, a Francoforte, ha luogo
l’incontro con l’imperatore Corrado III che
Bernardo vorrebbe indurre a farsi crociato. Ma la
Germania divisa ed inquieta, l’ostilità di Ruggero di
Sicilia e la rivoluzione romana, consigliano
l’imperatore di rifiutare la proposta. Lo stesso
Eugenio III «exilé, de Rome, où le parjure Arnaud de
Brescia avait regroupé autour de lui les éléments
anarchiques, avait jeté son dévolu, pour la croisade,
sur la France et sur l’Italie; il comptait sur l’empereur
pour rétablir l’autorité et le prestige du Saint Siège
à Rome».[lxi]
Si può quindi parlare di grande forza carismatica di
Bernardo, se il 27 dicembre a Spira, appena due giorni
dopo un nuovo deciso rifiuto di Corrado III e contro
ogni considerazione di opportunità politica, l’abate
di Clairvaux ottiene inaspettatamente la sua adesione,
durante la celebrazione della messa.
1147
Bernardo prende la via del ritorno, continuando la sua
predicazione, costellata di prodigi comprovanti la
giustezza della causa crociata. Il 6 febbraio rientra
a Clairvaux.
Il 16 febbraio ha luogo la riunione di Etampes con
l’intervento di Luigi VII, degli ambasciatori di
Corrado III e di Ruggero, cui partecipa anche
Bernardo. I siciliani offrono il trasporto via mare
delle truppe, molto più veloce e sicuro dalle insidie
bizantine. Ma la decisione di andare via terra,
rifacendo all’incirca il percorso della prima
crociata, era già stata presa da francesi e tedeschi,
provocando lo sdegno dei legati di Ruggero e il loro
abbandono dell’assemblea.
Viene stabilito inoltre che, durante l’assenza di
Luigi VII, il governo del paese venisse affidato a
Suger di Saint‑Denis, affiancato dall’arcivescovo di
Reims e dal conte Raoul di Vermandois; la partenza dei
crociati sarebbe avvenuta l’8 giugno da Metz.
Il 13 marzo Bernardo e Pietro il Venerabile sono
presenti alla dieta di Francoforte su invito di
Corrado III. In quella sede, viene decisa una
offensiva militare contro gli slavi pagani che premono
alle frontiere della Sassonia e della Moravia, i cui
partecipanti, fregiati da una croce posta sopra un
cerchio, avrebbero beneficiato di ogni privilegio
concesso ai crociati di Terrasanta.
Questa spedizione, guidata da Enrico di Sassonia, con
luogo di riunione a Magdeburgo il 29 giugno, avrebbe
permesso a Corrado III di partecipare all’impresa per
il sepolcro senza timore di attacchi contro le
frontiere dell’Impero.
In aprile, Bernardo è nuovamente a Clairvaux ove
accoglie papa Eugenio III che, con il suo viaggio in
Francia e il solenne incontro con Luigi VII a Digione,
aveva voluto dare la sua personale benedizione alla
imminente spedizione.
Il 12 giugno, il re francese parte da Metz con i suoi
crociati, mentre Corrado III era già in marcia da
maggio. È a questo punto che termina l’apporto diretto
dell’abate di Clairvaux al massimo avvenimento
militare del suo tempo. Egli non invia alcun suo
delegato al seguito delle truppe, ma due antichi
cistercensi sono tra loro, il vescovo Goffredo de la
Roche e il vescovo Ottone di Frisinga, più qualche
monaco di Morimond che riportò in patria una reliquia
di san Giorgio.[lxii]
Gilberto de la Porrée
Bernardo può tornare ad interessarsi del governo della
propria abbazia e della vita interna del clero
francese. Gli è così possibile essere presente alla
discussione apertasi il 22 aprile 1147 a Parigi alla
presenza di Eugenio III intorno al caso di Gilberto de
la Porrée.
Durante un sinodo diocesano dell’anno precedente,
erano state infatti levate gravi accuse per errori
dottrinali del dotto vescovo di Poitiers da due suoi
arcidiaconi che non avevano esitato a fare appello al
Papa, recandosi personalmente a Siena presso di lui.
Eugenio III aveva rinviato la discussione alla sua
visita imminente in Francia, dando modo a Gilberto di
essere presente insieme ai suoi due accusatori.
A Parigi, dopo qualche giorno di dibattito, si decide
di rimandare il giudizio ad un’altra riunione da
tenersi in occasione del concilio di Reims, convocata
per il 22 marzo 1148. Su incarico papale, l’abate
premostratense Godescalco di San Martino avrebbe
dovuto raccogliere le accuse sull’insegnamento di
Gilberto, corredandole, com’era consuetudine, con
citazioni dei padri.
1148
È in quest’occasione che Bernardo, da semplice
spettatore, diviene il principale accusatore del
vescovo di Poitiers, assumendo, dietro richiesta di
Eugenio III, il compito di esporre le dottrine
teologiche errate con la loro confutazione patristica,
dal momento che l’incaricato Godescalco era caduto
ammalato. Al termine del dibattito, i cardinali,
notoriamente favorevoli a Gilberto, riservano a sé il
giudizio, provocando le proteste del clero francese
che si vedeva sminuito nella sua autorità. Dieci
arcivescovi e molti vescovi ed abati si riuniscono
quindi nella residenza di Bernardo. La consapevolezza
delle alte protezioni di cui godeva l’accusato porta
alla decisione “di scrivere un documento
esplicitamente contro le tesi di Gilberto perché
sembrava questo l’unico modo per evitare che i
cardinali lasciassero in sospeso il giudizio”.[lxiii]
Il documento consisteva in un simbolo di fede da
contrapporre agli errori teologici di Gilberto e
formulato in quattro punti;[lxiv]
un testo che Eugenio III si trovò costretto ad
accettare, condannando automaticamente la dottrina del
vescovo.
E così, secondo quanto scrive Goffredo di Auxerre,
segretario di Bernardo,[lxv]
nell’assemblea si giunse alla condanna dell’insegnamento
del maestro porretano e all’ingiunzione del papa di
correggere l’incriminato commento al De Trinitate di
Boezio.
Non concordano con lui però gli altri due storici
contemporanei che si sono occupati della questione:
Ottone di Frisinga[lxvi]
e Giovanni di Salisbury.[lxvii]
Il primo, per il quale il fatto di essere un monaco
cistercense non implicava automaticamente un’adesione
al partito bernardino, mette in piena luce la
pressione esercitata dal santo sui vescovi ed abati
francesi per giungere ad una dichiarazione di fede che
costringesse i cardinali favorevoli a Gilberto a
prendere posizione contro di lui. La manovra, che il
vescovo Ottone avvicina esplicitamente agli
avvenimenti che portarono alla condanna di Abelardo,[lxviii]
non mancò di suscitare le proteste dei cardinali
che vedevano leso il loro diritto di giudicare simili
controversie dottrinali a favore della Chiesa
gallicana, e un’impudente fiducia dell’abate nel
proprio ascendente su Eugenio III.[lxix]
Neppure le pronte spiegazioni di Bernardo
riuscirono a placare gli animi, dal momento che dal
processo non sortì alcuna condanna nei confronti di
Gilberto e del suo insegnamento, salvo l’ordine di
emendare i passi incriminati. Sappiamo che tale
correzione non ebbe luogo poiché il vescovo di
Poitiers, il quale al termine del processo si era
assunto tale compito, giudicò sufficiente la redazione
di un nuovo prologo ove non manca un preciso attacco
agli incompetenti che presumono di dibattere su
argomenti teologici.[lxx]
Anche Giovanni di Salisbury rileva nella sua opera
l’analogia tra il comportamento di Bernardo verso
Gilberto e quello tenuto dal santo nei confronti di
Pietro Abelardo. Ma, cosa ancor più grave, egli pone
l’incontro di Bernardo con il clero francese per la
definizione del simbolo di fede all’inizio e non al
termine della discussione. Un fatto che, se risultasse
attendibile, renderebbe legittima l’ira dei cardinali
«dicentes quod abbas arte simili magistrum Petrum
aggressus erat».[lxxi]
Lo storico, come già Ottone di Frisinga, sembra
considerare l’esito del processo favorevole a Gilberto
de la Porrée e mette in evidenza il suo carattere non
ufficiale, tenendo conto – egli puntualizza – che si
svolse dopo la chiusura dei lavori del concilio di
Reims.
Qualunque sia la vera sequenza dei fatti, «i brani dei
Gesta Fríderici e della Historia pontificalis sono
indizi di grande importanza storica circa la
perplessità con cui i contemporanei, e tra essi anche
uomini di notevole prestigio, guardarono a certi
atteggiamenti dell’abate; pur riconoscendone la
santità, essi non potevano fare a meno di notarne la
sconcertante impulsività».[lxxii]
Dopo la chiusura del processo di Reims, Eugenio III si
reca nuovamente all’abbazia di Clairvaux per una breve
visita dal 24 al 26 aprile.
Quindi, in compagnia di Bernardo che lo segue fino a
Losanna, si rimette in viaggio alla volta di Roma.
Alla metà di ottobre, giunge all’abbazia bernardina il
legato irlandese Malachia O’Morghair per una breve
sosta lungo la strada verso Roma ‑ per incontrarsi con
il pontefice. Ma l’anziano arcivescovo che, con la
fondazione del monastero di Mellifont, aveva tanto
contribuito all’espansione cistercense nell’isola,
assalito da febbri, il 2 novembre muore. Il suo corpo
viene seppellito con tutti gli onori nella chiesa
abbaziale e, su insistenza dell’abate di Inislownagh e
dei Cistercensi irlandesi, Bernardo compone il De vita
et rebus gestis sancti Malachiae, che verrà poi
utilizzato per il processo di canonizzazione (avvenuta
il 6 luglio 1190).
Nello stesso anno, muore anche Guglielmo di Saint‑Thíerry,
amico di Bernardo e suo primo biografo.
1149
Intanto la disfatta dei crociati in Terrasanta si è
fatta completa. Sulla via del ritorno, la nave di
Luigi VIII e quella di Eleonora di Aquitania vengono
addirittura attaccate dai bizantini, messi però in
fuga dalla flotta siciliana. In settembre il re
francese è ospite a Potenza di Ruggero, il quale,
ormai in guerra aperta contro Manuele Comneno, cerca
di far leva sul suo risentimento nei confronti dei
bizantini.
Il biasimo popolare circa la sorte della crociata
colpisce in primo luogo il suo principale apostolo,
Bernardo,[lxxiii]
sebbene le cause della sconfitta fossero piuttosto da
ricercarsi nella mancanza di unità tra i capi della
spedizione, nelle gelosie e rivalità dei cavalieri,
nell’incapacità tattica degli strateghi, come lo
stesso abate rileva nel suo De consideratione (l. II,
c. II) e nell’epistola 238.
Il tramonto (1150‑1153)
1150
Malgrado ciò, Suger lancia l’idea di una nuova
spedizione, volta soprattutto a punire i bizantini
della loro perfidia, da condursi con le forze riunite
di Ruggero, Luigi VII e Corrado III.
Bernardo e Pietro il Venerabile vi aderiscono
prontamente, adoperandosi per riconciliare
l’imperatore tedesco con Ruggero. Ma i loro sforzi si
scontrano contro lo scoglio costituito dall’alleanza
tra Germania ed impero bizantino che includeva il
progetto di scendere in Italia contro il dominio
normanno. Ruggero, dapprima favorevole alla proposta
di Suger, è costretto così a dissociarsene,
preoccupato della difesa delle proprie frontiere.
L’abate di Saint‑Denis ripiega quindi sull’idea di
un’offensiva limitata alle truppe francesi contro i
musulmani ed in base a questa si muove. In aprile ha
luogo una riunione di vescovi e nobili a Laon per
discutere sull’opportunità di una spedizione. La
decisione è rimandata ad una nuova convocazione per il
7 maggio a Chartres. Intanto viene consultato Eugenio
III. Al 25 aprile data la lettera di risposta del
papa, il quale, pur promettendo tutti i privilegi
concessi alla seconda crociata, lascia intendere la
sua titubanza nell’imbarcarsi in una nuova impresa,
tra le polemiche suscitate dall’insuccesso dell’anno
precedente, nonché nell’allearsi con l’antico nemico
Ruggero, inimicandosi viceversa il maggior sostenitore
storico del papato, l’imperatore germanico.
Il tono freddo di Eugenio III non manca di essere
avvertito da Luigi VII. Nell’assemblea di Chartres,
egli e i suoi feudatari, pur garantendo la propria
adesione, lasciano al clero francese la direzione
della nuova crociata. Bernardo è quindi eletto capo
della spedizione.
Un secondo concilio, convocato a Compiègne per il 15
luglio 1150, non ebbe mai luogo, e la stessa bolla di
Eugenio III del 19 giugno, confermante le nuove
funzioni di Bernardo, venne cassata poco dopo, dietro
insistenza dello stesso Ordine cistercense.
1151
Ma il definitivo colpo di grazia al progetto viene
dalla morte del suo principale animatore Suger di
Saint‑Denis, avvenuta il 13 gennaio 1151. Una morte
senz’altro imprevista, se egli aveva già provveduto ad
inviare cospicui fondi a Gerusalemme ed a raccogliere
un buon numero di soldati.
Nell’aprile dello stesso anno, l’intervento di
Bernardo permette la riappacificazione di Luigi VII
con il fratello Enrico, monaco di Clairvaux e vescovo
di Beauvais. Costui infatti si era reso colpevole
dell’abolizione di una imposta sul tesoro episcopale a
favore della nobiltà locale, provocando le proteste e
l’intervento del re.
Poco dopo, anche la successione alla sede episcopale
di Auxerre, vacante dopo la morte del suo antico amico
Ugo di Vitry, richiede la mediazione bernardina. La
vicenda delle varie candidature, di cui è
continuamente messo al corrente Eugenio III, si
conclude con la scelta di Alano, abate di Arrivour –
monastero della linea claravallense –, effettuata da
una commissione di tre membri, M compreso Bernardo (epp.
275, 276, 280, 282).
Nel frattempo il panorama politico internazionale era
mutato. Già nel giugno del 1150, la borghesia romana,
sotto la parola di Arnaldo da Brescia, si era
sollevata nuovamente contro il pontefice. L’esito
della vicenda è reso ancora più incerto dalla morte di
Corrado III il 15 febbraio 1152, cui succede Federico
I.
1152
Emissari di Arnaldo e legati papali alla corte
germanica cercano di procurarsi l’appoggio del giovane
imperatore. Gli sforzi di Arnaldo, che intendeva
privare il papato del potere temporale per affidarlo
ad un imperatore affiancato da due consoli e da un
senato, sono però annullati dalla manovra di Eugenio
III che riesce ad accordarsi con i senatori da poco
eletti.
Rientrato solennemente a Roma il I° novembre 1152,
consolida ulteriormente la propria posizione con un
trattato in difesa del papato, firmato da Federico I
(23 maggio 1153).
1153
Poco tempo dopo, l’8 luglio 1153, muore a Tivoli. Gli
succede Corrado, cardinale di Santa Sabina, col nome
di Anastasio IV.
La notizia della scomparsa del suo antico discepolo,
coglie Bernardo già prostrato da un ultimo viaggio
compiuto all’inizio dell’anno a Metz, allo scopo di
riportare la pace tra il vescovo e il fratello Renaud
da una parte e Matteo di Lorena ed Enrico di Salm
dall’altra.
Le fatiche della missione, coronata dal successo e da
numerosi miracoli di Bernardo (Vita prima, lib. IV, c.
VIII, 49, in P.L. 185, col. 349), lo avevano però
fiaccato definitivamente, tenuto conto che mai aveva
goduto eccellente salute.
E così all’ora terza (circa le nove del mattino) del
20 agosto 1153, Bernardo esala l’ultimo respiro,
vestito della tunica del suo grande amico Malachia O’Morghair.
Due giorni dopo, viene seppellito con tutti gli onori
sotto l’altar maggiore della chiesa di Clairvaux,
insieme alle reliquie di san Taddeo apostolo, ricevute
in dono proprio in quell’anno da Gerusalemme.
______________________________
*
Avvertenza. La presente cronologia, già pubblicata in
questa rivista nel n. 3, 1984, viene qui riproposta
integralmente nel nono centenario della nascita di san
Bernardo. L'intento del lavoro non è di offrire una
completa biografia di san Bernardo, che rimane ancora
di problematica realizzazione, dato le ampie lacune
che sussistono. Si è voluto, piuttosto, approntare uno
strumento di lavoro che permetta, con una rapida
consultazione, di avere un quadro abbastanza preciso
dell'attività bernardina in ogni momento. A tale scopo
è stata evidenziata la scansione cronologica ‑ di qui
il titolo del contributo ‑ accettando, nel caso di
datazioni discordi, la tesi più documentata. Nel
contempo, un essenziale apparato di note fornisce
indicazioni bibliografiche di aggiornamento sulle più
complesse vicende di cui san Bernardo è protagonista.
[i] In alcune
biografie del santo è possibile trovare indicato come
anno di nascita anche il 1091.
[ii] Nei
numerosi documenti amministrativi che di lui restano
nelle biblioteche e archivi della zona soggetta
alla sua giurisdizione, è usato il titolo di
cavaliere, essendo venuto meno dal 1063 quello dì
conte e di duca. Lo stemma della sua casata è
costituito da uno scudo di argento attraversato da una
sola banda, distinta in due ordini di scacchi.
[iii] Sulla
famiglia di san Bernardo, cfr. M. CHAUME, Les origines
familiares de saint Bernard, in Saint Bernard et son
temps.
Recueil de
mémoìres et communicatìons présentés au congrès,
publié par ies soins de l'Accademie des sciences, arts
et belles‑lettres de Dijon, Dijon 1928‑1929, vol. I,
pp. 75‑112; J. RICHARD, Le milieu familial, in Bernard
de Clairvaux, Paris 1953, pp. 3‑15; J. LAURENT, A
propos de l'ascendance maternelle de sain Bernard.
Seigneurs de Monthard et seigneurs des Ricey, in
Mélanges saint Bernard, XXIV congrès de l'Association
bourguignonne des societés savantes, Dijon 1953, pp.
9‑18; A. FUSCIARDI, Genealogia della famiglia di san
Bernardo dal secolo IX al XX, in 'Notizie cistercensi',
VII (1974), pp. 64‑88.
[iv] Vita
prima, lib. I, c. I, 2, in P. L., 185, coll. 227‑228.
Riporto qui di seguito la traduzione del Magagnotti: «
... il quale mosso subitamente dallo spirito
profetico, con cui Davìdde dei Santi predicatori disse
al Signore: La lingua dei vostri cani s'imbratta nel
sangue de vostri nemici da lui sparso, rispose alla
madre ansiosa e tremante: Non temete, il tutto va
bene, sarete madre di un ottimo cagnolino, il quale
dovendo essere custode della casa del Signore, ha da
far sentire in favore di lei grandi latrati contra gl’inimici
della fede. Imperciocché sarà un valente predicatore,
e a guisa di un buon cane, colla grazia della sua
lingua medicinale in molti ha da curare le malattie
dell'anima». La vita di San / Bernardo / primo abate
/ di Chiaravalle scritta già in Latino da diversi
contemporanei e accreditati / Autori, e da essi pure
in sette Libri divisa; / ora nel nostro Volgare
tradotta, ed accresciuta di una diffusa Prefazione, /
di varie Appendici, di molte Istoriche e Monastiche
Annotazioni, / e di un indice dovizioso delle cose più
ragguardevoli: / dedicata all'eminentissimo, e
reverendiss. principe / il signor cardinale / Carlo
Rezzonico / Vescovo di Padova / da Pietro Magagnotti /
teologo del Collegio di Padova e Parroco di Santa
Caterina. In Padova, appresso Giuseppe Comino, 1744,
p. 4.
[v] Cfr. J.
MARILIER, Les premières années.
Les études à
Chatillon, in Bernard de Clairvaux, cit., pp. 17‑27.
[vi] Vita prima, lib. I, e.
111, 10, in P. L., 185, col. 233. «… conoscendo esser
cosa malagevole il ripugnare
alle divine chiamate…» La Vita, cit., p. 10.
[vii] Basti
riferirsi a quella, peraltro molto puntuale, di
Anselme Dimier, Sur les pas de saint Bernard, in ‘Cîteaux’,
XXV (1974), pp. 223‑248.
[viii] A. H.
BREDERO, Etudes sur la “Vita prima” de saint
Bernard, in
‘Analeeta sacri Ordinis cisterciensis’, XVII (1961),
pp. 3‑72: 71.
[ix] Cfr. R.
POSSIER, La fondation de Clairvaux et la famille de
saint Bernard, in Mélanges saint Bernard, cit., pp. 19‑27.
[x] Vita prima, lib. I, e.
V, 26, in P.L., 185, col.
242. «Vide da ogni parte
delle vicine montagne discendere nella valle inferiore
una moltitudine si grande dì uomini di vestimento e
genere diverso, che la valle stessa capire non gli
poteva». La Vita, cit., p. 22.
[xi] Il
problema del transitus di Roberto, connesso
strettamente ai primi attacchi bernardini contro il
modo di vita cluniacense – Ep. 1 e Apologia – è stato
oggetto di particolare attenzione nella moderna
storiografia. Per il complesso problema, cfr. A. H.
BREDERO, Cluny et Cîteaux au XII siècle: les origines
de la controverse, in ‘Studi medievali’, XII (1971),
pp. 135‑175; P. ZERBI, Intorno allo scisma di Ponzio
abate di Cluny (1122‑1126), in Studi storici in onore
di Ottorino Bertolini, Pisa 1972, pp. 835‑891; J.
LECLERCQ‑A. IL BREDERO‑P. ZERBI, Encore sur Pons de
Cluny et Pierre le Vénérable, in ‘Aevum’, XLVIII
(1974), pp. 135‑149; J. B. VAN DAMME, Bernard de
Clairvaux et Pons de Cluny. Controverse au sujet d’une
controverse, in ‘Cîteaux’, XXV (1974), pp. 271‑286; A.
PIAZZONI, Crisi monastica tra Cistercensi e
Cluniacensi, in ‘Benedictina’, XXIX (1982), pp. 91‑122
e 405‑436.
[xii] Cfr.
P.L., 151, col. 487. Vedi anche lo studio di G.
PICASSO, San Bernardo e il ‘transitus’ dei monaci, in
Studi su san Bernardo di Chiaravalle nell’ottavo
centenario della canonizzazione, Atti del convegno
internazionale (Certosa di Firenze 6‑9 sett. 1974),
Roma 1975, pp. 181‑200 (per Roberto in particolare le
pagine 187‑188).
[xiii] Per la
«crisi morimondese», cfr. L. GRILL, Clairvaux und
Morimond, die Mutterabtei der österreichische
Cistercienserklöster, in Festschrift zum 800 –
Jahrqecliichtnis des Todes Bernhards von Clairvaux,
Múnchen 1953, pp. 31‑118; E. KRAUSEN, Morimond, die
Mutterabtei der bayrischen Zisterzen, in ‘Analecta
sacri Ordinis cisterciensis’, XIV (1958), pp. 334‑345
e A. H. BREDERO, Etudes, cit., pp. 66‑70.
[xiv] Per
quest’ultimo aspetto della sua attività, l’apertura
verso l’esterno si registra., stando alle Vite, già a
partire dal 1122.
[xv] Cfr. HERMAN,
De miraculis S. Mariae Laudunensis, lib.
III, e. XI, in
P.L. 156, col. 1000 e A. DIMIER, Le miraele des
mouches de Foigny, in ‘Cîteaux’, VIII (1957), pp.
57‑62.
[xvi] Cfr. P.
COUSIN, Les débuts de l’ordre des Templiers et saint
Bernard, in Mélanges saint Bernard, cit., pi). 41‑52;
M. BARBER, The origins of the Order of the Temple, in
‘Studia monastica’, XII (1970), pp. 219‑240.
[xvii] C.H. TALBOT, San
Bernardo nelle sue lettere, in San Bernardo.
Pubblicazione commemorativa nell’VII centenario della
sua morte, Milano 1954, p. 156. La studioso continua con
un’atra utile osservazione che andrebbe ulteriormente
approfondita: «È difficile quindi di accettare senza
riserve le sue asserzioni che, a meno che non avesse
ricevuto dalle autorità superiori l’ordine in
intromettersi in questioni di disciplina ecelesiastica
se ne sarebbe rimasto tranquillamente nella sua cella
a Chiaravalle, meditando le sacre scritture e
occupandosi delle osservanze monastiche della sua
abbazia». Cfr. anche J. LECLERCQ, Psicologia e vita
spirituale in san Bernardo, in Studi su san Bernardo,
cit.. pp.
215‑243.
[xviii] Cfr.
ep. 48; e LAURENT DE LIEGE, Virdunensium episcoporum
historia, in Rec. Hist.
Gaules, XIII, 636.
[xix] Per la
ricostruzione storica dello scisma del 1130, cfr. P.
P. PALUMBO, Lo scisma del MCXXX. I precedenti, la vicenda
romana e le ripercussioni europee della lotta fra
Anacleto e Innocenzo II, Roma 1942; F.J. SCHMALE,
Studien rum Schisma des Jahres 1130, Köln‑Graz 1961 (‘Forschungen
zur Kirchlichen Rechtsgeschichte und zum Kirchenrecht’
3); P.F. PALUMBO, Nuovi studi (1942-1962) sullo scisma
di Anacleto II, in ‘Bullettino dell’Istituto, storico
italiano per il medioevo e archivio muratoriano’, LXXV
(1963), pp. 71‑103 e MARIO DA MILANO, La duplice
elezione papale del 1130. 1 precedenti immediati e i
Protagonisti, in Contributi dell’Istituto di storia
medievale, I, Raccolta di studi in memoria di Giovanni
Soranzo, Milano 1968 (pubblicazioni dell’Università
Cattolica del Sacro Cuore), pp. 265‑302.
[xx] Monaco
benedettino, divenuto abate del monastero dei SS.
Nicola e Primitivo in Gabi e quindi cardinale
diacono di santa maria Nova.
[xxi] Aimery
de la Chatre, che ebbe un ruolo determinante in tutte
le complesse fui dello scisma, era di nobile famiglia
borgognona ed amico personale sia di Bernardo (epp.
15, 20, 48, 51. 54, 157, 160, 163, 181 e 144, in
cui accenna all’amore filiale verso il cancelliere al
quale dedicherà il trattato De diligendo Deo) sia di
Pietro il Venerabile. Viene chiamato dal papa francese
Callisto II nel 1123 a rivestire la carica di
cancelliere, con la contemporanea. nomina a cardinale.
[xxii] Membro
della facoltosa e potente famiglia dei Pierleoni, di
origine ebraica, ma convertitasi al cristianesimo
sotto Leone IX, dopo aver condotti gli studi a Parigi,
era divenuto monaco nell’abbazia di Cluny. Pasquale
II, dietro pressioni dei parenti, lo richiama però a
Roma. in seguito gli viene data la porpora
cardinalizia col titolo di San Callisto.
[xxiii] P.P.
PALUMBO, op. cit., pp. 227‑228.
[xxiv] 24 Già
legato apostolico di Gelasio II, Callisto II e Onorto
II, nonché insostituibile consigliere di Pasquale
II che riuscì a liberare nel concilio Lateranense del
1112 dai pericolosi impegni contratti con Enrico V,
grazie alla sua profonda conoscenza del diritto
canonico. Pur avendo ricevuto l’offerta di Anacleto II
della conferma delle proprie funzioni di legato in
Aquitania fin dal maggio 1130, Invia, tramite lettera,
la propria adesione al concilio di Reims del 1131
(vedi oltre) che riconosce papa Innocenzo II,
sollecitando poco dopo la conferma pontificia del
proprio incarico. Profondamente deluso dal fatto che
gli viene preferito Goffredo di Lèves, vescovo di
Chartres e amico di Bernardo, Gerardo di Angoulême
passa senza ripensamenti allo schieramento opposto,
adoperandosi attivamente al suo successo. Azione resa
ancor più efficace dalla cumulazione della carica
arcivescovile di Bordeaux, alla morte di Arnaldo di
Cabnac (29 aprile 1131), a quella, già saldamente
tenuta, di vescovo di Angoulême. È interessante notare
che nella narrazione di Ernaldo di Bonneval della vita
di san Bernardo non si fa cenno alcuno del successivo
mutamento di campo, Preoccupato com’è il biografo a
gettar in cattiva luce l’avversario di Bernardo più
che di offrire un racconto corretto dei fatti (Vita
prima, lib. II, c. VI, 32‑39, in P.L. 185, coll.
286-291). Anche questo episodio si può con facilità
comprendere nell’ambito dell’aspra. e spesso subdola
campagna anti-anacletiana promossa dal partito
innocenziano, che pure In tale occasione aveva dato
prova di una considerevole ottusità politica
nell’affrontare questo piccolo scisma aquitanico. Ma
forse troppo poco ancora sappiamo delle molteplici
ripercussioni delle vicende del 1130. Almeno in questo
caso, è doveroso non sottovalutare la reale portata
dell’influenza bernardina sui fatti, fin dall’inizio
ostile al fasto e alla potenza del vescovo di
Angoulême.
Su questo
argomento, cfr. anche H. CLAUDE, Autour du schisme
d’Anaclet: saint Bernard et Girard d’Angoulême, in
Mélanges saint Bernard, cit., pp. 80‑94.
[xxv] Cfr.
A. DIMIER, Saint Bernard, est‑il allé en
Angleterre?, In ‘Collectanea Ordinis Cisterciensium
reformatorum’, IX (1947), pp. 16‑19.
L’autore rifiuta con validi
argomenti l’idea di molti studiosi che Bernardo in
quell’occasione abbia raggiunto l’Inghilterra per
portarsi a colloquio con il re. Certamente non può
risultare strano che Enrico I soggiorni In Normandia,
visto che in quel momento si trattava di un feudo
della corona inglese.
[xxvi] Vita
prima, lib. II, c. I, 5, in P.L., 185, coll. 271‑272.
«Imperocché resistendo coraggiosamente al re, con
meravigliosa libertà corresse la maligna istanza, e
con maravigliosa autorità la represse”. La Vita, cit.,
p. 60.
[xxvii]
Pietro Abelardo, primogenito di Berengario e Lucia,
nato a Pallet, villaggio bretone presso Nantes, nel
1079 aveva condotto i propri studi dapprima presso
il nominalista Roscellino, poi alla scuola parigina
del realista Guglielmo di Champeaux (1099 o 1110).
Divenuto presto famosa per la sua dialettica, trova un
feroce avversario nella persona di questo suo antico
maestro. Ostacolato in tutti i modi nel tentativo di
conseguire una cattedra, compie gli studi teologici
con Anselmo di Laon. Tra il 1113 e il 1114 conquista
finalmente la cattedra parigina. Per breve tempo,
però, perché lo scandalo scoppiato per la sua
travolgente relazione con la giovane Eloisa e, di lì a
poco, l’evirazione perpetrata dai parenti della
giovane, conduce Abelardo alla decisione di entrare
nell’abbazia di Saint‑Denis.Le sue disavventure non
finivano però con l’ingresso nel chiostro.All’astio
che suscitano le sue critiche alla rilassatezza della
vita monastica, si aggiungono le accuse sempre più
pesanti di eresia, nell’insegnamento del suo pensiero,
che culminano nel processo di Soissons nel 1121 e la
conseguente condanna. Dopo altre disastrose esperienze
con la comunità di Saint‑Denis, costruisce un piccolo
oratorio intitolato allo Spirito Santo consolatore –
Paracleto –, ove continua in solitudine gli studi.
Divenuto abate di Saint‑Gildas de Rhuys, nel 1130 a
Morigny ottiene da Innocenza II il permesso di
istallare, al Paracleto, Eloisa come badessa e le sue
monache, scacciate da Argenteuil. Nel 1135 torna a
Parigi dove riprende l’insegnamento con grande
successo. Ciò non farà altro che attirargli nuove
accuse e una seconda condanna al concilio di Sens dove
agisce come protagonista Bernardo (vedi pp. 41‑43).
L’esito di quest’ultimo scontro con la cultura
tradizionalista prostra definitivamente l’anziano
filosofo che il 21 aprile 1142 muore nel piccolo
monastero di Saint Marcel, presso Châlons, sotto la
protezione di Pietro il Venerabile. Su richiesta di
Eloisa, il suo corpo viene tumulato al Paracleto. Le
sue opere, moltepdici grazie alla sua feconda
attività, sono bruciate pubblicamente, nella chiesa di
San Pietro in Vincoli a Roma.
[xxviii] 28
Su questo primo contrasto tra le due grandi
personalità, vedi il recente studio di P. ZERBI, Panem
nostrum supersubstantialem. Abelardo polemista ed
esegeta nell’ep. X, in Raccolta di studi in memoria di
S. Mochi Onory, Milano 1972 (‘Contributi dell’Istituto
di storia medioevale dell’Università Cattolica del
Sacro Cuore’), pp. 624‑638. Lo stesso Abelardo nella
sua lettera Ad Bernardum (Ep. X in P.L., 178, coll.
335 segg.) spiega il suo punto di vista: se san
Matteo, apostolo ed evangelista, presente quando
Cristo insegnò agli uomini il Pater noster, riporta
supersubstantialem nel suo Vangelo (VI, 9), questo
termine è senz’altro più attendibile del cotidianum
usato da san Luca, che non fu testimonio oculare, come
neppure il suo maestro san Paolo. Ma l’operazione di
recupero storica e filologico di Abelardo, che trovava
nello stesso sant’Agostino la sua piena legittimazione
(‘Ratio et veritas consuetudini praeferenda est’) non
poteva non essere osteggiata da uno strenuo difensore
della tradizione qual era Bernardo di Clairvaux.
[xxix] Per i
contatti precedenti al concilio di Sens del 1140, cfr.
E. LITTLE, Relations between St. Bernard and Abelard
before 1139, in Saint Bernard of Clairvaux, Studies
commemorating the eight Century of his canonisation, a
cura di M. B. Pennington,
Kalamazoo (Mich.) 1977, pp. 155‑168.
[xxx] 30 Nato a Brescia in
un anno imprecisato a cavallo dell’XI e XII secolo,
era divenuto canonico regolare e acceso predicatore
contro gli abusi del clero corrotto di cui chiedeva la
riforma. I suoi discorsi alla
base di notevoli disordini verificatisi nella città,
gli valsero nel concilio Lateranense nel 1139 la
condanna all’esilio dall’Italia. Rifugiatosi in
Fiancia presso Pietro Abelardo, ne accoglie
l’insegnamento ed è coinvolto nella sua condanna al
concilio di Sens del 1140. Ciò è frutto anche
dell’aperta ostilità nei suoi confronti di Bernardo il
quale, nell’Epistola 189 inviata a Innocenzo II
all’indomani della chiusura del concilio, non aveva
mancato di rilevare la presenza: «Il collegare infatti
così strettamente il filosofo audace all’irrequieto
riformatore religioso, che il pontefice aveva già
allontanato da Roma, era certo, nell’intenzione
dell’abate, un efficace espediente polemico, dotato di
una carica esplosiva tale da nuocere ad entrambi,
Abelardo e Arnaldo…». (P. ZERBI, San Bernardo di
Chiaravalle e il concilio di Sens, in Studi su san
Bernardo, cit., p. 63).Non riuscendo malgrado ciò a
zittire Arnaldo, il quale continuava a tenere lezioni
presso Parigi, Bernardo si adopera in più modi per
ottenere l’espulsione dalla Francia, poi da Zurigo,
dove si era rifugiato, ed infine per alienarlo dalla
protezione del cardinale legato Guido (epp. 189, 195,
196, 330). Nonostante la vigilanza dell’abate, Arnaldo
ricompare a Roma per compiere un pellegrinaggio
espiatorio, dopo il Perdono ottenuto da Eugenio III a
Viterbo. Ma l’inquietudine dei romani che rendeva
precaria la stessa residenza papale e non mancava di
cogliere occasione per sfociare in aperta ribellione,
non tarda a risvegliare In Arnaldo le antiche idee,
convinto com’era che la sottrazione del potere
temporale alla Chiesa avrebbe comportato un ritorno
alla primitiva povertà evangelica. Appoggia così con
la sua parola la rivolta della città contro il
pontefice, culminata con l’offerta di Roma
all’imperatore Corrado (1149). Ma con l’elezione di
Federico Barbarossa (9 marzo 1152), che Eugenio riesce
a trarre dalla propria parte, le cose si mettono male
per i seguaci di Arnaldo, che, nel dicembre del 1152,
assistono ad una riconciliazione tra il papa e la
cittadinanza romana. Di li a poco, sotto Adriano IV,
succeduto in breve tempo a Anastasio IV, eletto papa
alla morte di Eugenio III, Arnaldo viene catturato e
giustiziato. Cfr. A. FRUGONI, Arnaldo da Brescia nelle
fonti del secolo XII, Roma 1954 (‘Studi storici’ 8‑9)
e IDEM, Arnaldo da Brescia, in Dizionario biografico
degli italiani, IV, Roma 1962, pp. 247‑250. Per una
prospettiva più ampia, cfr. R. MANSELLI, Profilo della
storia religiosa italiana del secolo XII, in Il secolo
XII: religione popolare ed eresia, Roma 1983, pp.
311‑331.
[xxxi] P.
ZERBI, i rapporti di san Bernardo di Chiaravalle con i
vescovi e le diocesi d’Italia, in Vescovi e diocesi in
Italia nel Medioevo (sec. IX‑XIII), Atti del II
convegno di storia della Chiesa in Italia (Roma, 5‑9
settembre 1961), Padova 1964 (‘Italia sacra. Studi e
documenti di storia ecelesiastica’ 5), p. 239.
[xxxii] Per
la discussione di questo problema, vedi lo studio di
cui a nota (31), in particolare le pp. 238‑239, n.
4.
[xxxiii] P.
ZERBI, I rapporti di san Bernardo di Chiaravalle
con i vescovi e le diocesi d’Italia, cit., p. 238. In
questo suo contributo lo studioso tende a
ridimensionare il ruolo di Bernardo nella vicenda
dello scisma del 1130.
[xxxiv] Cfr.
R. TOSO D’ARENZANO, San Bernardo e la città di Genova,
In ‘Aevum’, XXXV (1961), pp. 419‑454; 448‑451.
[xxxv]
L’interessamento di Bernardo verso Filippo non termina
qui. Con la vittoria innocenziana e il concilio
Lateranense del 1139, il giovane ecclesiastico era
stato deposto dalla carica di arcivescovo di Taranto
e non aveva tardato a rifugiarsi tra le file dei
monaci di Clairvaux. Bernardo tenterà di ottenergli il
perdono di Eugenio III nel 1148 ed una seconda volta
indirizzando al papa la lettera 257. Ambedue gli
sforzi rimarranno però senza esito. Tuttavia in questo
frangente si dimostra più pietoso l’abate di Clairvaux,
se al momento della propria morte, il priore in carica
all’abbazia. era proprio Filippo.
[xxxvi] A
parte il rancore di vecchia data che Luigi VI covava
contro Stefano di Sanlis, del quale Tomaso era
consigliere ed amico, non sembra strano che le sue
simpatie vadano al clero corrotto piuttosto che alla
sua parte riformatrice, aliena da qualsiasi
compromesso temporale e troppo legata all’autorità
pontificia. Non a caso sono Proprio gli elementi più
intransigenti dell’ala riformistica, i Cistercensi ed
i Certosini, che levano più alte le voci di protesta
contro gli assassini rimasti pressoché impuniti.
[xxxvii] Si
tratta di una stola lunga e stretta, di lana bianca,
con due lembi pendenti, ornata da sei croci nere e
da frange che il papa, i patriarchi, gli arcivescovi e
alcuni vescovi portano sulle spalle nelle cerimonie
solenni, (cfr. M. RIGHETTI, Storia liturgica, v. I,
Milano 1950 (11 ed.), pp. 528‑530). È chiaro che la
politica sempre più accentratrice e «romana» dei
pontefici non poteva vedere di buon occhio queste
superstiti mire autonomistiche. Cfr. anche P. ZERBI,
La Chiesa ambrosiana di fronte alla Chiesa romana dal
1120 al 1135, in ‘Studi medievali’ IV (1963), pp.
136‑216.
[xxxviii]
LANDULFI DE S. PAULO, Historia mediolanensis, in
Monumenta Germaniae Historica, ed. di G. M. Pertz, XX,
Hannover 18 8, c. LIX, p. 46.
[xxxix]
Sulla questione milanese, cfr. le epp. 132, 133, 134,
137, 314.
[xl] P.F.
PALUMBO, op. Cit.,
P. 540.
[xli] Era
stato proprio Robaldo d’Alba che, nel 1128,
durante l’analogo contrasto tra Anselmo V della
Pusterla e il pontefice, aveva consigliato il suo
metropolita a permanere sulla scelta delle prerogative
ambrosiane. Anche a causa di questo suo antico
atteggiamento anti‑romano, gli riusciva difficile
ottemperare senza forti opposizioni alle reiterate
richieste di Innocenzo II.
[xlii] Cfr.
PIETRO DIACONO, Chronica Montis Cassinensis, in
Monumenta Germaniae Historica, ed. di G. H. pertz, IV,
Hannover 1887, pp. 118 e ss. Dal suo racconto
talvolta parziale si deduce la sua antipatia verso il
partito innocenziano e verso lo stesso Bernardo. È da
aggiungere che il nuovo abate Vibald, una volta
partito il suo augusto protettore, si troverà ben
presto a dover fronteggiare il suo predecessore
Rainaldo, forte dell’appoggio normanno, e dopo una
breve resistenza sceglierà la fuga in Germania. Verrà
quindi eletto un altro Rainaldo il cui operato si
rivelerà subito di ispirazione innocenziana.
[xliii]
Vita prima, lib. II, c. Vii, in P. L., 185, col.
295.«Era già giunto il tempo in cui ridottasi al colmo
la malizia dell’Amorreo, l’angelo percussore avventava
la spada, e oltrepassando le case, le soglie delle
quali erano spruzzate dal sangue dell’agnello, venendo
alla casa di Pier‑Leone, né ritrovandovi il segno
salutevole, percosse quel miserabile, non riducendolo
però repentinamente a morte, ma lasciandogli tempo di
penitenza per tre giorni. Colui abusandosi della
pazienza di Dio, morì nel suo peccato da disperato»,
La Vita, cit., P. 89.
[xliv]
Cfr. G. CONSTABLE, The disputed election at Langres in
1138, in ‘Traditio’, XIII (1957), pp. 119‑152.
[xlv] Un’accurata
esposizione storica dello scontro tra questi due
personaggi è costituita dall’intervento dello Zerbi:
P. ZERBI, San Bernardo e il
concilio di Sens, in Studi
su san Bernardo, cit., pp. 49‑73.
Altri contributi
sul processo: G. DELAGNBAU, Le concile de Sens de
1140. Abélard et saint Bernard, in ‘Revue spologétique’,
LII (1931), pp. 385‑408; J. RIVIERE, Le «Capitula»
d’Abélard condamnés aux concile de Sens, in
‘Recherches des thèologie ancienne et médiévale’, V
(1993), pp. 5‑22; NICOLAU D’OLWER, Sur quelques
lettres de saint Bernard. Avant ou après le concile de
Sens, in Mélanges saint Bernard, cit., pp. 100‑108; J.
JEANNIN, La dernière maladie d’Abélard: une alliée
imprévue de saint Bernard, ibidem, pp. 109‑115 e E.
LITTLE, The source of the Capitula of Sens of 1140, In
Studies in Medieral Cistercian History.
II, a cura di J. R.
Sommerfeldt, Kalamazoo (Mich.) 1976. pp. 87‑91.
[xlvi] Cfr.
anche Vita prima, lib. III, e. V, 13‑14, in P.L.,
185, coll. 310‑311. È interessante notare che l’autore
del terzo libro della biografia, Goffredo di Clairvaux,
non menziona affatto la riunione preliminare dei
vescovi guidati da Bernardo, mentre sottolinea con
enfasi «l’annichilimento» di Abelardo dinnanzi
all’abate.Il concilio di Sens è incluso, assieme alla
lotta di Bernardo contro Gerardo di Angouléme, alle
elezioni di Langres e di York, da Anselme Dimier nel
suo contributo: A. DIMIER, Outrances et roueries de
saint Bernard, In Pierre Abélard.
Pierre le
Vénérable. Les courantes philosophiques, littéraires
et artistiques en occident au milieu du xiie siècle,
Atti e memorie del colloquio internazionale (Cluny 2‑9
luglio 1972), Paris 1975, pp. 655‑670.
[xlvii]
Così il Leclereq spiega la diversità tra le due
poffizioni: «Cette théologie [la ‘patristical’] ne
cherche pas, en premier lieu, à devenir une science
spéculative: c’est seulement à partir d’Abélard que le
mot revêtira cette signification; elle ne tend pas a
dégager du donné révélé des consequences nouvelles,
des “conclusions théologiques”. Elle consiste plutôt
dans l’inventaire de la révélation. La scolastique
sera une “recherche”, ses mots d’ordre seront:
“Quaeritur” et “Solet quaeri”. La patristique est une
possession une confessio fidei. Elle devient souvent,
du fait des hérésies, une defensio fidei; mais sur ce
terrain même, elle demande ses arguments à l’Ecriture
et à la tradition plus volontiers qu, aux
considérations spéculatives. Cette mentalité
patristique se prolonge dans le monachisme au cours.
de tout le moyen‑âge”. E ancora: “Aux procédés que les
écoles appliquaient à la pagina sacra – la disputatio,
la quaestio –, et d’où devaient sortir les Summae
sententiarum, ils [i monaci] préféraient la lectio
divina et, quand ils écrivaient, le “florilège”
destiné, non à la recherche intellectuelle mais à la
prière et à la méditation, oratio meditativa». J.
LECLERCQ, Saint Bernard théologien, in San Bernardo,
cit., pp. 31‑32. Cfr. inoltre, T. I. RENNA, Bernard
versus Abélard: an Ecelesiological Conflict, in
Simplicity and ordinariness, Studies in Medieval
cistercian History, IV, a cura di I. R. Sommerfeldt,
Kalamazoo (Mich.) 1980, pp. 94‑117.
[xlviii] D. BAKER, San
Bernardo e l’elezione di York in Studi
su san Bernardo, cit., p.
179. Cfr. inoltre, R. MANSELLI, Il senato romano ed
Eugenio III. A proposito di san Guglielmo, arcivescovo
di York in ‘Bullettino dell’archivio paleografico
italiano’, II-III (1956‑57), pp. 127‑134.
[xlix] Cfr.
le epp. 216‑227 e 358 di Bernardo e Vita prima,
lib. IV, e. III, e. III, 12, in P. L., 185, coll.
328‑329.
[l] Cfr. R.
MANSELLI, Evervino di Steinfeld e san Bernardo di
Clairvaux, in Studi sulle eresie, cit., pp. 89‑109.
[li] Cfr.
le epp. 238 e 239 per rendersi conto dei sentimenti
contrastanti di Bernardo alla notizia dell’elezione di
Eugenio III: costernazione e timore sulle capacità di
governo del suo antico monaco, gioia e fiducia nelle
scelta dei cardinali. Sul pontificato di Eugeino III,
cfr. H. GLEBER, Papst Eugen III, Jena 1936, e AA. VV.,
Il beato Eugenio III, Pisa 1954.
[lii] Cfr.
F. MILLOSEVICH, Rapporti tra san Bernardo di
Chiaravalle e la città di Roma, in Atti dei V
congresso nazionale di studi romani, a cura di C.
Galazzi Paluzzi, Poma 1942, v. III, p. 86. Utile
anche l’osservazione del Brezzi: «… si deve
riconoscere che egli non cercò, né riuscì, a
comprendere i bisogni e le esigenze degli abitanti,
non avvertì il valore del moto grandioso dei comuni
italiani che anelavano ad una giusta autonomia nel
loro ambito. Egli, sia per la sua origine nobiliare
(apparteneva infatti all’alta feudalità borgognona),
sia per la sua convinzione dell’assoluta supremazia
papale sopra qualsiasi potestà temporale, non
concedeva ai borghesi e popolani di Roma alcuna
libertà». P. BREZZI, San Bernardo e Roma, in Studi
romani, II (1953), pp. 496‑509: 504. Identico
atteggiamento aveva tenuto del resto in occasione
della vacanza della sede episcopale di Reims nel 1138,
durante la quale i cittadini avevano costituito il
municipio.
[liii] Le
poche notizie su di lui ci inducono a Pensare che
fosse Istruito e forse monaco. Nel 1135 venne
arrestato dall’arcivescovo di Arles che lo invia al
concilio di Pisa, presieduto da Innocenzo II; lì,
grazie all’abiura delle proprie dottrine, ottiene una
condanna più lieve del previsto: l’obbligo di
ritirarsi in un monastero. Bemardo, presente al
concilio, si offre di accoglierlo a Ciairvaux (Vita
prima, lib. VI, c. III, 5, in P. L., 185, col. 412).
Ma passate le Alpi, Enrico torna alla sua pericolosa
predicazione. Cfr. R. MANSELLI, Il monaco Enrico e la
sua eresia, in ‘Bulletino dell’Istituto storico
italiano per il Medioevo’, LXV (1953), pp. 1‑63 e
IDEM, Il monaco Enrico, In Studi sulle eresie del
secolo XII, Roma 1953, pp. 1‑23.
[liv]
GOFFREDO DI CLAIRVAUX, Epistola ad dominum
Archenfredum, in P.L., 185, col. 412. «La terra
sedotta da tante erronee dottrine abbisognerebbe di
una lunga predicazione: ma né il signor abate ha forze
convenevoli per fatica si grande, e molto più egli
teme di non essere molesto al suoi fratelli…». La
Vita, cit., p. 233.
[lv] R.
MANSELLI, Evervino di Steinfeld e san Bernardo, in
Studi sulle eresie, cit., p. 108.
[lvi] La
seconda bolla di Eugenio III rappresenta la prima vera
e propria codificazione dei diritti e dei doveri dei
crociati: la protezione dei loro beni durante
l’assenza dalla patria, la regolamentazione delle
indulgenze, ecc. Cfr. per questo, E. CASPAR‑P. RASSOW,
Die Kreuzzugsbullen Eugens III, in ‘Neues Archiv’,
XXXV (1924), pp. 285‑305.
[lvii] Ep.
245 a Eugenio III. A prescindere dalla sua
attenzione ‑verso i Templari che raccomanda al
patriarca di Gerusalemme, a quello di Antiochia e alla
regina Melisenda (epp. 175, 207, 289 e 392), Bernardo
non si era fino allora mai interessato alla Terrasanta.
Neppure l’offerta fattagli da Baldovino II di 1.000
scudi d’oro e di un luogo per la fondazione di un
monastero cistercense, che egli dirotta ai
Premostratensi (epp. 253, 355), gli aveva fatto mutare
atteggiamento.
Del resto
«comment l’abbé de Clairvaux aurait‑il pu visiter et
aider un mona, stère attué dans un pays fort éloigné,
au recrutement problématique d’autant plus que vers ce
moment déjà, le texte fondamental de la législation
cistercienne – la Charte de charité – avait reçu
quelques modifications importantes, dont l’exemption
épiscopale? cette exemption loin de faciliter la tâche
de l’abbé‑père l’aurait rendue plus difficile dans le
cas présent, vu l’éloignement excessif du nouveau
monastère». E. WILLEMS, Cîteaux et la seconde
croisade, in ‘Revue d’histoire ecclésiastique, XLIX
(1954), pp. 116‑151: 122.
Agli occhi di Bernardo era
preferibile consolidare l’espansione dell’Ordine in
Europa, prima di avventurarsi in terre così lontane,
secondo un’idea già avvertibile vent’anni prima nella
sua censura della decisione di Arnoldo di
Schwarzenburg, abate di Morimond, di recarsi in
Palestina per fondarvi nuovi insediamenti.Cfr. B.
HAMILTON, The Cistercian in the Crusade States, in One
yet two.
Monastic
tradition Bast and West, a cura di B. Pennington,
Kaiamazoo (mich.)
1976, pp.
405‑407.
[lviii] Cfr.
J. LECLERCQ, L’encyclique de saint Bernard en faveur
de la croisade, in ‘Revue bénédictine’, LXXXI (1971),
pp. 282‑308; e anche E. PFEIFFER, Die Stellung des
Hl. Bernhard zur Kreuzzugsbewegung nach seine
Schriften, in ‘Cistercienser Chronik’, XLVI (1934),
pp. 273‑283 e 304‑311; IDEM, Die Cistercienser und der
zweite Kreuzzug, ibidem, XLVII (1935), pp. 8‑10,
44‑54, 78‑81, 107‑114, 145‑150; E. DELARUELLE, L’idée
de croisade chez saint Bernard, In Mélanges saint
Bernard, cit., pp. 53‑67.
[lix]
Cfr. A. H. BREDERO, Studien zu den Kreuzzugsbriefen
Bernhards von Clairvaux und seiner Reise nach
Deutschland im Jahre 1146, in ‘Mitteilungen des
Instituts für österreichischen Geschichtsforschungen»,
LXVI (1958), pp. 331‑343.
[lx] Abbastanza attendibile
la narrazione di questo viaggio bernardino in
Germania. Cfr. Historia miraculorum in itinere
germanico patratorum, in P. L., 185, coll.
327‑414.
[lxi] E.
WILLEMS, art. cit, p. 132‑133.
Cfr. inoltre P.
GELDNER, Die Politik Königs Konrads III in ihren
Beziehungen zum N. Bernhard von Clairvaux und zu den
deutschen Cisterciensern, in Mélanges saint Bernard,
cit., pp. 126‑133.
[lxii] Cfr. E.
WILLEMS, art. cit., p. 138 e ss.
[lxiii] L. CIONI, Il
concilio di Reims nelle fonti contemporanee, in ‘Aevum’,
LIII (1979), pp.
273‑300: 280. Sul processo, cfr. anche S. GAMMERSBACH,
Gilbert von Poitiers und seine Prozesse im Urteil der
Zeitgenosse, Köln 1959 e N. H. HARING, The Case of
Gilbert de la Porée Bishop of Poitiers (1142‑1154), in
‘Medieval Studies’, XIII (1951), pp. 1‑40, oltre a
quelli citati qui di seguito.
[lxiv] Cfr. N. H.
HARING, San Bernardo e Gilberto vescovo di Poitiers,
in Studi su san Bernardo, cit., pp. 85‑87
e IDEM, Das so genannte Glaubensbekenntnis des Reimser
Konsistoriums von 1148. in ‘Scholastik’, XL (1965),
pp. 55‑90.
[lxv] Goffredo di Auxerre
tocca in quattro occasioni l’argomento del processo:
nella scriptura, nella biografia di Bernardo (vita
prima, lib. III, c. V, 15, in P.L. 195, col. 312), nel
Libellus contra capitula Gisleberti e nell’Epistula
ad cardinalem Albinum, albanensem episcopum.
Tutti questi
scritti sono editi da N. H. HARING, The writings
against Gilbert by Poitiers by Geoffrey of Auxerre, in
‘Analecta cisterciensia’, XXII (1966), pp. 3‑81.
[lxvi] OTTONE DI FRISINGA,
Gesta Friderici
imperatoris, in Monumenta Germanìae Historica, ed. di
G. H. Pertz, XX, Hannover 1868, lib. I, e. XLVII‑LII,
pp. 376‑385. Opera scritta tra il 1156 e il 1158.
[lxvii]
GIOVANNI DI SALISBURY, Historia pontificalis, ed. R.
L. Poole, Oxford 1927, pp. 16‑41 (o in P.L., 199,
coll. 8‑15). La sua redazione è posteriore al 1164.
[lxviii]
OTTONE DI PRISINGA, op. cit., lìb. I, e. XLIX e LII,
pp. 378‑380.
[lxix]
Possono giovare a questo proposito le osservazioni
d’insieme dello Zerbi: «Sembra esistessero attorno a Innocenzo
II e ad Eugenio III elementi filobernardiani ed altri
ostili: il primo nucleo, i cui componenti sono
parzialmente identificabili con i destinatari delle
lettere di Bernardo in curia per ottenere la condanna
di Abelardo ( … ), sembra coincidere in buona parte
con un gruppo «francese» di curia, forte di cardinali
provenienti dal movimento monastico e canonicale di
Francia ed anche di Renania (il cancelliere Almerico,
il cluniacense Alberico d’Ostia, il cistercense
Stefano di Palestrina, il vittorino Ugo, ecc.); mentre
gli avversari esprimono una tendenza schiettamente
«romana», gelosa custode dell’autonomia e delle
prerogative della curia nel confronti dell’influente
abate francese». P. ZERBI, Bernardo di Chiaravalle, in
Biblioteca sanetorum, v. III, Roma 1963, col. 24.
[lxx]
GILBERTO DE LA PORREE, De Trinitate, I, Prologus
primus, ed.
N.H. HARING,
Toronto 1966, pp. 53‑56.
Il riferimento è implicito
per Bernardo. Il risentimento del dotto vescovo, nei
confronti di Bernardo, non sembra placarsi. Giovanni
di Salisbury riporta nella sua opera la risposta un
poco sprezzante di Gilberto all’offerta dell’abate di
incontarsi per discutere su alcuni scritti di sant’Ilario,
qualche tempo dopo il processo: «Ille vero respondit
iam satis quod hucusque contenderant, et abbatem, si
plenam intelligentiam Hylaxii affeetaret, prius in
disciplinis liberalibus et aliis prediscendis plenius
instruii oportere». GIOVANNI DI SALISBURY, op. cit.,
p. 26.
[lxxi]
GIOVANNI DI SALISBURY, op. cit., pp. 19‑20.
[lxxii] L.
CIONI, art. cit., p. 297. Per quanto riguarda la
discordanza fra queste due opere circa il momento
della riunione nella resistenza di Bernardo, la
studiosa avanza un’nteressante ipotesi: «Bisogna
ricordare a questo proposito che Ottone non fu
presente al processo e che dunque da altri ricevette
informazioni su di esso. Si può supporre che egli
abbia ricevuto notizie degli avvenimenti riguardanti
il concilio In ambiente cistercense, dal quale del
resto proveniva, o comunque favorevole all’abate di
Clairvaux. Gli sarebbe stata fornita una versione dei
fatti in cui l’atteggiamento di san Bernardo appariva
meno discutibile e più giustificabile. Per Giovanni,
invece, ammettere che l’abate avesse preso
l’iniziativa prima dello svolgimento del processo
costituiva imbarazzo meno grave di quanto non fosse
per gli amici di san Bernardo».
(p. 299).
[lxxiii]
«For the majority of Christians he had been the prime
mover of these campaigns; many miracles, also, had
seemed to confirm Good’s favor and interest in his
work. For this reason, as his friend and
biographer Geoffrey says, either the simplicity or the
malignity of certain men raised a great scandal
against him because of his preaching of the journey to
Jerusalem? Geoffrey goes on to emphasize, by woy of
excuse, that this preaching was undertaken only at the
express command of the Pope and the urging of Louis
VII». G. CONSTABLE, The second crusade os been by
contemporaries, in ‘Traditio’, IX (1953), pp. 213‑279:
266‑267, Vedi inoltre IDEM, A report of a lost sermon
by St. Bernard on the Failure of the second crusade,
in Studies in Medieval Cìstercian History, speneer
(Mass.) 1971, pp, 49‑54.Cfr. Vita prima, lib.
III. c. IV, 9‑10, in P.L.,
185, coll. 308‑309.
Laura Dal Pra' - Casamari
1990