Santo Stefano il
Protomartire
†
Gerusalemme, 33 o 34 ca
Benedetto XVI -
Udienza Generale - Aula Paolo VI - Mercoledì, 10
gennaio 2007
Cari fratelli e
sorelle,
...Santo Stefano
è il più rappresentativo di un gruppo di sette
compagni. La tradizione vede in questo gruppo il germe
del futuro ministero dei ‘diaconi’, anche se bisogna
rilevare che questa denominazione è assente nel Libro
degli Atti. L’importanza di Stefano risulta in ogni
caso dal fatto che Luca, in questo suo importante
libro, gli dedica due interi capitoli.
Il racconto lucano parte dalla constatazione di una
suddivisione invalsa all’interno della primitiva
Chiesa di Gerusalemme: questa era, sì, interamente
composta da cristiani di origine ebraica, ma di questi
alcuni erano originari della terra d'Israele ed erano
detti «ebrei», mentre altri di fede ebraica
veterotestamentaria provenivano dalla diaspora di
lingua greca ed erano detti «ellenisti». Ecco il
problema che si stava profilando: i più bisognosi tra
gli ellenisti, specialmente le vedove sprovviste di
ogni appoggio sociale, correvano il rischio di essere
trascurati nell'assistenza per il sostentamento
quotidiano. Per ovviare a questa difficoltà gli
Apostoli, riservando a se stessi la preghiera e il
ministero della Parola come loro centrale compito
decisero di incaricare «sette uomini di buona
reputazione, pieni di Spirito e di saggezza» perché
espletassero l'incarico dell’assistenza (At 6, 2-4),
vale a dire del servizio sociale caritativo. A questo
scopo, come scrive Luca, su invito degli Apostoli i
discepoli elessero sette uomini. Ne abbiamo anche i
nomi. Essi sono: «Stefano, uomo pieno di fede e di
Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timone,
Parmenàs e Nicola. Li presentarono agli Apostoli, i
quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani» (At
6,5-6).
...La cosa più importante da notare è che, oltre ai
servizi caritativi, Stefano svolge pure un compito di
evangelizzazione nei confronti dei connazionali, dei
cosiddetti “ellenisti”, Luca infatti insiste sul fatto
che egli, «pieno di grazia e di fortezza» (At 6,8),
presenta nel nome di Gesù una nuova interpretazione di
Mosè e della stessa Legge di Dio, rilegge l’Antico
Testamento nella luce dell’annuncio della morte e
della risurrezione di Gesù. Questa rilettura
dell’Antico Testamento, rilettura cristologica,
provoca le reazioni dei Giudei che percepiscono le sue
parole come una bestemmia (cfr At 6,11-14). Per questa
ragione egli viene condannato alla lapidazione. E san
Luca ci trasmette l'ultimo discorso del santo, una
sintesi della sua predicazione. Come Gesù aveva
mostrato ai discepoli di Emmaus che tutto l'Antico
Testamento parla di lui, della sua croce e della sua
risurrezione, così santo Stefano, seguendo
l'insegnamento di Gesù, legge tutto l'Antico
Testamento in chiave cristologica. Dimostra che il
mistero della Croce sta al centro della storia della
salvezza raccontata nell'Antico Testamento, mostra che
realmente Gesù, il crocifisso e il risorto, è il punto
di arrivo di tutta questa storia. E dimostra quindi
anche che il culto del tempio è finito e che Gesù, il
risorto, è il nuovo e vero “tempio”. Proprio questo
“no” al tempio e al suo culto provoca la condanna di
santo Stefano, il quale, in questo momento — ci dice
san Luca— fissando gli occhi al cielo vide la gloria
di Dio e Gesù che stava alla sua destra. E vedendo il
cielo, Dio e Gesù, santo Stefano disse: «Ecco, io
contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta
alla destra di Dio» (At 7,56). Segue il suo martirio,
che di fatto è modellato sulla passione di Gesù
stesso: “E così lapidavano Stefano mentre pregava e
diceva: "Signore Gesù, accogli il mio spirito". Poi
piegò le ginocchia e gridò forte: "Signore, non
imputar loro questo peccato". Detto questo, morì”. (cfr
At 7,59-60).
Il luogo del martirio di Stefano a Gerusalemme è
tradizionalmente collocato poco fuori della Porta di
Damasco, a nord, dove ora sorge appunto la chiesa di
Saint-Étienne accanto alla nota École Biblique dei
Domenicani. L'uccisione di Stefano, primo martire di
Cristo, fu seguita da una persecuzione locale contro i
discepoli di Gesù (cfr At 8,1), la prima verificatasi
nella storia della Chiesa. Essa costituì l'occasione
concreta che spinse il gruppo dei cristiani
giudeo-ellenisti a fuggire da Gerusalemme e a
disperdersi. Cacciati da Gerusalemme, essi si
trasformarono in missionari itineranti: «Quelli che
erano stati dispersi andavano per il paese e
diffondevano la Parola di Dio» (At 8,4). La
persecuzione e la conseguente dispersione diventano
missione. Il Vangelo si propagò così nella Samaria,
nella Fenicia e nella Siria fino alla grande città di
Antiochia, dove secondo Luca esso fu annunciato per la
prima volta anche ai pagani (cfr At 11,19-20) e dove
pure risuonò per la prima volta il nome di «cristiani»
(At 11,26)....
La storia di Stefano dice a noi molte cose. Per
esempio, ci insegna che non bisogna mai disgiungere
l'impegno sociale della carità dall'annuncio
coraggioso della fede. Era uno dei sette incaricato
soprattutto della carità. Ma non era possibile
disgiungere carità e annuncio. Così, con la carità,
annuncia Cristo crocifisso, fino al punto di accettare
anche il martirio. Questa è la prima lezione che
possiamo imparare dalla figura di santo Stefano:
carità e annuncio vanno sempre insieme. Soprattutto,
santo Stefano ci parla di Cristo, del Cristo
crocifisso e risorto come centro della storia e della
nostra vita. Possiamo comprendere che la Croce rimane
sempre centrale nella vita della Chiesa e anche nella
nostra vita personale. Nella storia della Chiesa non
mancherà mai la passione, la persecuzione. E proprio
la persecuzione diventa, secondo la celebre frase di
Tertulliano, fonte di missione per i nuovi cristiani.
Cito le sue parole: «Noi ci moltiplichiamo ogni volta
che da voi siamo mietuti: è un seme il sangue dei
cristiani» (Apologetico 50,13: Plures efficimur
quoties metimur a vobis: semen est sanguis
christianorum). Ma anche nella nostra vita la croce,
che non mancherà mai, diventa benedizione. E
accettando la croce, sapendo che essa diventa ed è
benedizione, impariamo la gioia del cristiano anche
nei momenti di difficoltà. Il valore della
testimonianza è insostituibile, poiché ad essa conduce
il Vangelo e di essa si nutre la Chiesa. Santo Stefano
ci insegni a fare tesoro di queste lezioni, ci insegni
ad amare la Croce, perché essa è la strada sulla quale
Cristo arriva sempre di nuovo in mezzo a noi.
STORIA
Primo martire
cristiano, e proprio per questo viene celebrato subito
dopo la nascita di Gesù. Fu arrestato nel periodo dopo
la Pentecoste, e morì lapidato. In lui si realizza in
modo esemplare la figura del martire come imitatore di
Cristo; egli contempla la gloria del Risorto, ne
proclama la divinità, gli affida il suo spirito,
perdona ai suoi uccisori. Saulo testimone della sua
lapidazione ne raccoglierà l'eredità spirituale
diventando Apostolo delle genti. (Mess. Rom.)
Patronato: Diaconi,
Fornaciai, Mal di testa
Etimologia: Stefano =
corona, incoronato, dal greco
Emblema: Palma, Pietre
Martirologio Romano:
Festa di santo Stefano, protomartire, uomo pieno di
fede e di Spirito Santo, che, primo dei sette diaconi
scelti dagli Apostoli come loro collaboratori nel
ministero, fu anche il primo tra i discepoli del
Signore a versare il suo sangue a Gerusalemme, dove,
lapidato mentre pregava per i suoi persecutori, rese
la sua testimonianza di fede in Cristo Gesù,
affermando di vederlo seduto nella gloria alla destra
del Padre.
La celebrazione
liturgica di s. Stefano è stata da sempre fissata al
26 dicembre, subito dopo il Natale, perché nei giorni
seguenti alla manifestazione del Figlio di Dio, furono
posti i “comites Christi”, cioè i più vicini nel suo
percorso terreno e primi a renderne testimonianza con
il martirio.
Così al 26 dicembre c’è s. Stefano primo martire della
cristianità, segue al 27 s. Giovanni Evangelista, il
prediletto da Gesù, autore del Vangelo dell’amore, poi
il 28 i ss. Innocenti, bambini uccisi da Erode con la
speranza di eliminare anche il Bambino di Betlemme;
secoli addietro anche la celebrazione di s. Pietro e
s. Paolo apostoli, capitava nella settimana dopo il
Natale, venendo poi trasferita al 29 giugno.
Del grande e veneratissimo martire s. Stefano, si
ignora la provenienza, si suppone che fosse greco, in
quel tempo Gerusalemme era un crocevia di tante
popolazioni, con lingue, costumi e religioni diverse;
il nome Stefano in greco ha il significato di
“coronato”.
Si è pensato anche che fosse un ebreo educato nella
cultura ellenistica; certamente fu uno dei primi
giudei a diventare cristiani e che prese a seguire gli
Apostoli e visto la sua cultura, saggezza e fede
genuina, divenne anche il primo dei diaconi di
Gerusalemme.
Gli Atti degli Apostoli, ai capitoli 6 e 7 narrano gli
ultimi suoi giorni; qualche tempo dopo la Pentecoste,
il numero dei discepoli andò sempre più aumentando e
sorsero anche dei dissidi fra gli ebrei di lingua
greca e quelli di lingua ebraica, perché secondo i
primi, nell’assistenza quotidiana, le loro vedove
venivano trascurate.
Allora i dodici Apostoli, riunirono i discepoli
dicendo loro che non era giusto che essi disperdessero
il loro tempo nel “servizio delle mense”, trascurando
così la predicazione della Parola di Dio e la
preghiera, pertanto questo compito doveva essere
affidato ad un gruppo di sette di loro, così gli
Apostoli potevano dedicarsi di più alla preghiera e al
ministero.
La proposta fu accettata e vennero eletti, Stefano
uomo pieno di fede e Spirito Santo, Filippo, Procoro,
Nicanore, Timone, Parmenas, Nicola di Antiochia; a
tutti, gli Apostoli imposero le mani; la Chiesa ha
visto in questo atto l’istituzione del ministero
diaconale.
Nell’espletamento di questo compito, Stefano pieno di
grazie e di fortezza, compiva grandi prodigi tra il
popolo, non limitandosi al lavoro amministrativo ma
attivo anche nella predicazione, soprattutto fra gli
ebrei della diaspora, che passavano per la città santa
di Gerusalemme e che egli convertiva alla fede in Gesù
crocifisso e risorto.
Nel 33 o 34 ca., gli ebrei ellenistici vedendo il gran
numero di convertiti, sobillarono il popolo e
accusarono Stefano di “pronunziare espressioni
blasfeme contro Mosè e contro Dio”.
Gli anziani e gli scribi lo catturarono trascinandolo
davanti al Sinedrio e con falsi testimoni fu accusato:
“Costui non cessa di proferire parole contro questo
luogo sacro e contro la legge. Lo abbiamo udito
dichiarare che Gesù il Nazareno, distruggerà questo
luogo e cambierà le usanze che Mosè ci ha tramandato”.
E alla domanda del Sommo Sacerdote “Le cose stanno
proprio così?”, il diacono Stefano pronunziò un lungo
discorso, il più lungo degli ‘Atti degli Apostoli’, in
cui ripercorse la Sacra Scrittura dove si testimoniava
che il Signore aveva preparato per mezzo dei
patriarchi e profeti, l’avvento del Giusto, ma gli
Ebrei avevano risposto sempre con durezza di cuore.
Rivolto direttamente ai sacerdoti del Sinedrio
concluse: “O gente testarda e pagana nel cuore e negli
orecchi, voi sempre opponete resistenza allo Spirito
Santo; come i vostri padri, così anche voi. Quale dei
profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi
uccisero quelli che preannunciavano la venuta del
Giusto, del quale voi ora siete divenuti traditori e
uccisori; voi che avete ricevuto la Legge per mano
degli angeli e non l’avete osservata”.
Mentre l’odio e il rancore dei presenti aumentava
contro di lui, Stefano ispirato dallo Spirito, alzò
gli occhi al cielo e disse: “Ecco, io contemplo i
cieli aperti e il Figlio dell’uomo, che sta alla
destra di Dio”.
Fu il colmo, elevando grida altissime e turandosi gli
orecchi, i presenti si scagliarono su di lui e a
strattoni lo trascinarono fuori dalle mura della città
e presero a lapidarlo con pietre, i loro mantelli
furono deposti ai piedi di un giovane di nome Saulo
(il futuro Apostolo delle Genti, s. Paolo), che
assisteva all’esecuzione.
In realtà non fu un’esecuzione, in quanto il Sinedrio
non aveva la facoltà di emettere condanne a morte, ma
non fu in grado nemmeno di emettere una sentenza in
quanto Stefano fu trascinato fuori dal furore del
popolo, quindi si trattò di un linciaggio
incontrollato.
Mentre il giovane diacono protomartire crollava
insanguinato sotto i colpi degli sfrenati aguzzini,
pregava e diceva: “Signore Gesù, accogli il mio
spirito”, “Signore non imputare loro questo peccato”.
Gli Atti degli Apostoli dicono che persone pie lo
seppellirono, non lasciandolo in preda alle bestie
selvagge, com’era consuetudine allora; mentre nella
città di Gerusalemme si scatenò una violenta
persecuzione contro i cristiani, comandata da Saulo.
Tra la nascente Chiesa e la sinagoga ebraica, il
distacco si fece sempre più evidente fino alla
definitiva separazione; la Sinagoga si chiudeva in se
stessa per difendere e portare avanti i propri valori
tradizionali; la Chiesa, sempre più inserita nel mondo
greco-romano, si espandeva iniziando la straordinaria
opera di inculturazione del Vangelo.
Dopo la morte di Stefano, la storia delle sue reliquie
entrò nella leggenda; il 3 dicembre 415 un sacerdote
di nome Luciano di Kefar-Gamba, ebbe in sogno
l’apparizione di un venerabile vecchio in abiti
liturgici, con una lunga barba bianca e con in mano
una bacchetta d’oro con la quale lo toccò chiamandolo
tre volte per nome.
Gli svelò che lui e i suoi compagni erano dispiaciuti
perché sepolti senza onore, che volevano essere
sistemati in un luogo più decoroso e dato un culto
alle loro reliquie e certamente Dio avrebbe salvato il
mondo destinato alla distruzione per i troppi peccati
commessi dagli uomini.
Il prete Luciano domandò chi fosse e il vecchio
rispose di essere il dotto Gamaliele che istruì s.
Paolo, i compagni erano il protomartire s. Stefano che
lui aveva seppellito nel suo giardino, san Nicodemo
suo discepolo, seppellito accanto a s. Stefano e s.
Abiba suo figlio seppellito vicino a Nicodemo; anche
lui si trovava seppellito nel giardino vicino ai tre
santi, come da suo desiderio testamentario.
Infine indicò il luogo della sepoltura collettiva; con
l’accordo del vescovo di Gerusalemme, si iniziò lo
scavo con il ritrovamento delle reliquie. La notizia
destò stupore nel mondo cristiano, ormai in piena
affermazione, dopo la libertà di culto sancita
dall’imperatore Costantino un secolo prima.
Da qui iniziò la diffusione delle reliquie di s.
Stefano per il mondo conosciuto di allora, una piccola
parte fu lasciata al prete Luciano, che a sua volta le
regalò a vari amici, il resto fu traslato il 26
dicembre 415 nella chiesa di Sion a Gerusalemme.
Molti miracoli avvennero con il solo toccarle,
addirittura con la polvere della sua tomba; poi la
maggior parte delle reliquie furono razziate dai
crociati nel XIII secolo, cosicché ne arrivarono
effettivamente parecchie in Europa, sebbene non si sia
riusciti a identificarle dai tanti falsi proliferati
nel tempo, a Venezia, Costantinopoli, Napoli, Besançon,
Ancona, Ravenna, ma soprattutto a Roma, dove si pensi,
nel XVIII secolo si veneravano il cranio nella
Basilica di S. Paolo fuori le Mura, un braccio a S.
Ivo alla Sapienza, un secondo braccio a S. Luigi dei
Francesi, un terzo braccio a Santa Cecilia; inoltre
quasi un corpo intero nella basilica di S. Loernzo
fuori le Mura.
La proliferazione delle reliquie, testimonia il grande
culto tributato in tutta la cristianità al
protomartire santo Stefano, già veneratissimo prima
ancora del ritrovamento delle reliquie nel 415.
Chiese, basiliche e cappelle in suo onore sorsero
dappertutto, solo a Roma se ne contavano una trentina,
delle quali la più celebre è quella di S. Stefano
Rotondo al Celio, costruita nel V secolo da papa
Simplicio.
Ancora oggi in Italia vi sono ben 14 Comuni che
portano il suo nome; nell’arte è stato sempre
raffigurato indossando la ‘dalmatica’ la veste
liturgica dei diaconi; suo attributo sono le pietre
della lapidazione, per questo è invocato contro il mal
di pietra, cioè i calcoli ed è il patrono dei
tagliapietre e muratori.
Autore:
Antonio Borrelli
Da Santiebeati.it