Un
giorno, conversando con
amici, Ratzinger (ancora
cardinale) se ne uscì
con una battuta: “Per me
una conferma della
divinità della fede
viene dal fatto che
sopravvive a qualche
milione di omelie ogni
domenica”.
Se
ne sentono infatti di
tutti i colori. Non c’è
solo il prete che – è
notizia di ieri – in una
basilica della Brianza
diffonde una preghiera
islamica in cui si
inneggia ad Allah.
Ci
sono quelli che
consigliano la lettura
di Mancuso o Augias… E
si trovano
“installazioni” di arte
contemporanea nelle
cattedrali che fanno
accapponare la pelle.
D’altra parte pure i
cardinali di Milano
hanno dato sfogo alla
“creatività”.
Leggo dal sito di Sandro
Magister: “Nel
2005, l’11 maggio, per
introdurre un ciclo
dedicato al libro di
Giobbe è stato chiamato
a parlare in Duomo il
professor Massimo
Cacciari: oltre che
sindaco di Venezia,
filosofo ‘non credente’
come altri che in anni
precedenti avevano preso
parte a incontri
promossi dal cardinale
Martini col titolo,
appunto, di ‘Cattedra
dei non credenti’.
Cacciari ha tessuto
l’elogio del vivere
senza fede e senza
certezze”.
Insomma nelle chiese si
può trovare di tutto.
Tranne la centralità di
Gesù Cristo.
Infatti – nella
disattenzione generale –
i vescovi italiani hanno
estromesso dalle chiese
(o almeno vistosamente
allontanato dall’altare
centrale e accantonato
in qualche angolo)
proprio Colui che ne
sarebbe il legittimo
“proprietario”, cioè il
Figlio di Dio, presente
nel Santissimo
Sacramento.
Non sembri una banale
battuta. Al Congresso
eucaristico nazionale
che si sta aprendo ad
Ancona dovrebbero
considerare gli effetti
devastanti prodotti
dall’incredibile
documento della
Commissione Episcopale
per la liturgia del 1996
che è il vademecum in
base al quale sono state
progettate le nuove
chiese italiane e i
relativi tabernacoli, o
sono state “ripensate”
le chiese più antiche.
Non si capisce quale sia
lo statuto teologico di
cui gode una Commissione
della Cei (a mio avviso
nessuno). Ma la cosa
singolare è questa: che
nell’ambiente
ecclesiastico – a
partire da seminari e
facoltà teologiche –
trovi legioni di teologi
pronti (senza alcuna
ragione seria) a mettere
in discussione i Vangeli
(nella loro
attendibilità storica) e
le parole del Papa, ma
se si tratta di testi
partoriti dalle loro
sapienti meningi, e
firmati da qualche
commissione episcopale,
ti dicono che quelli
devono essere
considerati sacri e
intoccabili.
Dunque in quel testo del
1996, fra le altre cose
discutibili, si
“consiglia vivamente” di
collocare il tabernacolo
non solo lontano
dall’altare su cui si
celebra, ma pure dalla
cosiddetta area
presbiterale.
Relegandolo “in un luogo
a parte”.
Le
motivazioni – come
sempre – sono
apparentemente “devote”.
Si dice infatti che il
tabernacolo potrebbe
distrarre dalla
celebrazione
eucaristica.
Motivazione ridicola e –
nella sua enfasi
sull’evento celebrativo
a discapito della
presenza nel tabernacolo
– anche pericolosamente
somigliante alle tesi di
Lutero.
L’effetto inaudito di
queste norme è il
seguente: nelle chiese
si assiste da qualche
anno a un accantonamento
progressivo del
tabernacolo, cioè del
luogo più importante
della chiesa, quello in
cui è presente il
Signore.
Prima lo si è collocato
in un posto defilato
(una colonna o un altare
laterale), quindi in una
cappella, parzialmente
visibile. Alla fine
probabilmente sarà del
tutto estromesso dalle
chiese.
Come risulta essere
nell’incredibile
edificio di San Giovanni
Rotondo in cui è stato
portato il corpo di san
Pio.
L’edificio, progettato
da Renzo Piano, non ha
inginocchiatoi e la
figura centrale e
incombente è l’enorme e
spaventoso drago rosso
dell’apocalisse
rappresentato trionfante
nell’immensa vetrata:
ebbene il tabernacolo lì
non c’è.
Non so a chi sia venuto
in mente questo
progressivo occultamento
dei tabernacoli nelle
chiese (che avrebbe
fatto inorridire padre
Pio). Esso non
corrisponde affatto
all’insegnamento del
Concilio Vaticano II,
visto che l’istruzione
post-conciliare “Inter
Oecumenici” del 1964
affermava che il luogo
ordinario del
tabernacolo deve essere
l’altare maggiore.
E
non piace nemmeno al
Papa come si vede
nell’Esortazione post
sinodale “Sacramentum
Caritatis” dove egli
sottolinea il legame
strettissimo che deve
esserci fra celebrazione
eucaristica e
adorazione.
Sottolineatura emersa
dall’XI Sinodo dei
Vescovi dell’ottobre
2005 che ha richiesto la
centralità ed eminenza
del tabernacolo.
Basterà per tornare
sulla retta via?
Nient’affatto. Come
dimostra il
comportamento – a volte
di aperta contestazione
al Papa – tenuto da
certi vescovi quando il
suo famoso “Motu
proprio” ha restaurato
la libertà di celebrare
anche con l’antico
messale.
Purtroppo le idee
sbagliate dei liturgisti
“creativi” continueranno
a prevalere sul papa,
sul Concilio e sul
Sinodo (forse faranno
strada anche altre
balordaggini come la
“prima comunione” a 13
anni). Fa da corollario
a questa estromissione
di Gesù eucaristico
dalle chiese, la
stupefacente pratica del
biglietto di ingresso
istituito perfino per
alcune Cattedrali.
Degradate così a musei.
La protestantizzazione o
la museizzazione delle
chiese è un fenomeno
dagli effetti spaventosi
per la Chiesa Cattolica.
Si dovrebbero prendere
subito provvedimenti.
Per capire cosa era – e
cosa dovrebbe essere –
una chiesa cattolica
voglio ricordare la
storia di due persone
significative.
La
prima è
Edith Stein,
una donna straordinaria,
filosofa agnostica, di
famiglia ebrea, che
divenne cattolica, si
fece suora carmelitana
ed è morta nel lager
nazista di Auschwitz.
E’
stata proclamata santa
da Giovanni Paolo II nel
1998 e nell’anno
successivo compatrona
d’Europa.
La
Stein ha raccontato che
un primo episodio che la
portò verso la
conversione accadde nel
1917 quando lei,
giovinetta, vide una
popolana, con la cesta
della spesa, entrare nel
Duomo di Francoforte e
fermarsi per una
preghiera:
“Ciò fu per me
qualcosa di
completamente nuovo.
Nelle sinagoghe e nelle
chiese protestanti, che
ho frequentato, i
credenti si recano alle
funzioni. Qui però entrò
una persona nella chiesa
deserta, come se si
recasse ad un intimo
colloquio. Non ho mai
potuto dimenticare
l’accaduto”.
Lì
infatti c’era Gesù
eucaristico.
Un
altro caso riguarda il
famoso intellettuale
francese
André Frossard.
Era il figlio del
segretario del Partito
comunista francese.
Era ateo, aveva
vent’anni e quel giorno
aveva un appuntamento
con una ragazza. L’amico
con cui stava
camminando, essendo
cattolico, gli chiese di
aspettarlo qualche
istante mentre entrava
in una chiesa.
Dopo alcuni minuti
Frossard decise di
andare a chiamarlo
perché aveva fretta di
incontrare “la nuova
fiamma”. Lo scrittore
sottolinea che lui non
aveva proprio nessuno
dei tormenti religiosi
che hanno tanti altri.
Per loro, giovani
comunisti, la religione
era un vecchio rottame
della storia e Dio un
problema “risolto in
senso negativo da due o
tre secoli”.
Eppure quando entrò in
quella chiesa era in
corso un’adorazione
eucaristica e, racconta,
“è allora che è
accaduto
l’imprevedibile”.
Dice:
“il ragazzo che ero
allora non ha
dimenticato lo stupore
che si impadronì di lui
quando, dal fondo di
quella cappella, priva
di particolare bellezza,
vide sorgere
all’improvviso davanti a
sé un mondo, un altro
mondo di splendore
insopportabile, di
densità pazzesca, la cui
luce rivelava e
nascondeva a un tempo la
presenza di Dio, di quel
Dio, di cui, un istante
prima, avrebbe giurato
che mai era esistito se
non nell’immaginazione
degli uomini; nello
stesso tempo era
sommerso da un’onda, da
cui dilagavano insieme
gioia e dolcezza, un
flutto la cui potenza
spezzava il cuore e di
cui mai ha perso il
ricordo”.
La
sua vita ne fu
capovolta. “Insisto.
Fu un’esperienza
oggettiva, fu quasi un
esperimento di fisica”,
ha scritto. Frossard è
diventato il più celebre
giornalista cattolico.
In una chiesa di oggi
non avrebbe incontrato
il Verbo fatto carne, ma
le chiacchiere di carta.
Da
Libero, 3 settembre 2011