San Bernardo di Clairvaux e la sua
visione dei Templari
di Goffredo Viti (+) , Ordine Cistercense
Questo breve intervento vuole rimarcare, senza dire
nulla di nuovo, quali furono i rapporti tra san
Bernardo e l’Ordine dei Templari nei primi decenni di
vita.
Le informazioni che qui riporto hanno come riferimento
bibliografico i seguenti testi:
Guy de Valous, Quelques observations sur la toute
primitive observance des Templiers et la Regula
Pauperum commilitonum Christi Templi Salomonici, in
Mélanges Saint Bernard, XXIV congrès de l’association
bourguignonne des sociètes savantes, Dijon 1953, pp.
32-40;
Patrice Cousin, Les débuts de l’Ordre des Templiers et
saint Bernard, in Ibidem, pp. 41-52;
Opere di san Bernardo, a cura di Ferruccio
Gastaldelli, vol. I, Milano 1984, Liber ad milites
Templi. De laude novae militiae. Per i cavalieri del
Tempio. Elogio della nuova milizia, introduzione,
traduzione e note di Cosimo Damiano Fonseca, pp.
425-483;
Opere di san Bernardo, a cura di Ferruccio
Gastaldelli, voll. VI/1 e 2, Milano 1986 e 1987,
Lettere, parte 1 Lettere. 1-210 e 211-548;
Opere di san Bernardo, a cura di Ferruccio
Gastaldelli, vol. I, Milano 1984, De consideratione ad
Eugenium Papam. La Considerazione a Eugenio papa,
Introduzione di Pietro Zerbi, Traduzione e note di
Ferruccio Gastaldelli, pp. 725-939;
Georges Bordonove, La vita quotidiana dei Templari nel
XIII secolo, Milano 1989;
Aa. Vv., I Templari. Una vita tra riti cavallereschi e
fedeltà alla chiesa. Atti del primo convegno «I
Templari e san Bernardo di Chiaravalle», Certosa di
Firenze, 23 -24 ottobre 1992, Certosa di Firenze 1995.
I fatti dal 1119 al 1127
I primi dati riguardanti la storia dei templari prima
del 1128 ci sono offerti da Guglielmo di Tiro[1].
Egli ci riferisce che verso la fine del 1119 o
l’inizio del 1120 il cavaliere Hugo di Payens decise
di unirsi ad altri sette pii cavalieri, giunti a
Gerusalemme come lui per combattere a favore di Cristo
e formare una comunità religiosa impegnata alla difesa
dei pellegrini e precisamente con lo scopo di
garantire loro sicurezza lungo il viaggio ed il
passaggio tranquillo dei punti d’acqua contro le
incursioni dei ladroni e le insidie dei briganti[2].
Di comune accordo essi prestarono obbedienza al
patriarca di Gerusalemme Garimond ed emisero nelle
sue mani i voti religiosi di castità, obbedienza e
povertà e si impegnarono a vivere secondo la Regola di
Sant’Agostino[3].
Il re Baldovino concesse loro parte del Tempio detto
comunemente il palazzo di Salomone[4]
I compagni di Hugo di Payens furono: Goffroy de
Saint-Omer, Goffroy Bisson, Roland, Payen de
Montdidier, Archambaud de Saint Amand, André de
Montbard e Gonthemar.
Intorno al 1125 il Conte Ugo di Champagne si reca per
la terza volta in Terra Santa e diventa templare.
Nella lettera 31[5]
san Bernardo si congratula con Ugo per aver
abbracciato la milizia sacra e ricorda i benefici
concessi a Clairvaux:
«Se per grazia di Dio sei diventato da conte soldato e
povero da ricco che eri, in questo mi congratulo con
te, com’è giusto, e in te glorifico Dio, sapendo che
«questo è mutamento della destra dell’Eccelso… Potrei
scordare l’antico affetto e i benefici che hai
prodigati con tanta larghezza alla nostra casa?…
Quanto a me, e per quanto è in me, io non essendo
affatto ingrato, tengo conficcato nella memoria il
ricordo della tua munificenza…».
Prima del 1128 i Templari non avevano una propria
regola scritta. Comunque la tradizione orale,
scrupolosamente conservata, permetterà ai
rappresentati dell’Ordine di fare una esatta e
dettagliata relazione ai padri del concilio riunitosi
a Troyes l’11 gennaio 1128.
I fatti del 1128
Il 1128 fu caratterizzato principalmente dalla
celebrazione del concilio di Troyes. L’opera del
concilio, per quanto riguarda l’approvazione
dell’Ordine dei Templari, non fu rivoluzionaria,
rispetto all’esperienza vissuta nel decennio
precedente, e lo stesso san Bernardo e gli stessi
padri del Concilio tennero in debita considerazione
l’esistenza degli usi praticati anteriormente al 1128.
Il prologo della regola approvata a Troyes ci offre
delle espressioni, dovute ai redattori, che ci
chiarisce molto bene il contesto e lo spirito dello
stesso concilio:
«Deo duce in unum convenimus, et modum et observantiam
equestris oridinis per singula capitula ex ore ipsius
magistri Hugonis audire meruimus… quod nobis videbatur
bonum et utile, collaudavimus, quod vero nobis
videbatur absurdum vitavimus»[6].
Una attenta lettura della Regola, approvata al
Concilio di Troyes, ci potrebbe permette di
controllare quali siano i punti che si riferiscono
maggiormente alla Regola di sant’Agostino e quali
derivanti dalla Regola di san Benedetto.
I templari nell’Epistolario di san
Bernardo
Oltre la lettera 31 del 1125 e di cui già abbiamo
accennato, tra le Lettere di san Bernardo ne troviamo
altre otto che in qualche modo si riferiscono ai
Templari.
Lettera 175. Indirizzata nel 1130 a Guglielmo di
Messines, patriarca di Gerusalemme. Il patriarca gli
aveva scritto diverse lettere e, finalmente Bernardo
si decide a rispondergli in modo molto amichevole e
gli raccomanda i cavalieri templari:
«…Vi prego di dirigerei vostri occhi sui cavalieri del
Tempio e di aprire le viscere della vostra così grande
pietà a così valorosi difensori della Chiesa. Sarà
gradito a Dio e piacevole agli uomini che voi
manifestiate il vostro favore a chi ha offerto la
propria vita a difesa dei fratelli»[7].
Lettera 206.
scritta probabilmente intorno al 1140 e indirizzata
alla Regina di Gerusalemme, Melisenda. In questa
lettera, Bernardo raccomanda alla Regina un proprio
consanguineo:
«Gli uomini hanno udito che ho presso di voi un
tantino di benevolenza, e molti che sono in procinto
di partire per Gerusalemme chiedono di essere
raccomandati da me a vostra Eccellenza. Fra questi vi
è questo giovane mio consanguineo, un giovane, come mi
dicono, molto valoroso e di buon carattere…»[8].
Lettera 288.
Inidirizzata nel 1153 a suo zio Andrea di Monrbard,
fratello della madre di Bernardo Aleth. Andrea,
attraverso il matrimonio del fratello Gauderico si
imparentò con la famiglia di Ugo di Payens, fondatore
dei Templari. Sebbene viene ricordato da Guglielmo di
Tiro tra i primi compagni di Ugo di Payens sembra che
divenne Templare in Terra Santa solo intorno al 1129 e
salì i gradi gerarchici fino a diventare Gran Maestro
verso il 1153. Avendo saputo che Bernardo era
gravemente malato, scrisse al nipote per manifestargli
l’intenzione di venirlo a trovare. La lettera 288 è la
risposta di Bernardo alle premure di Andrea:
«…Che abbondanza ricava l’uomo “dall’immensità del
lavoro con cui si affatica sotto il sole”? Perciò
eleviamoci sopra il sole e la nostra considerazione
riguardi i cieli, facendo ascendere in anticipo la
nostra mente là dove ci troveremo in seguito col
corpo. Lì, mio Andrea, lì è il frutto della tua
fatica: lì sarà la tua ricompensa. Tu militi sotto il
sole ma a servizio di chi s’erge sopra il sole. Pur
militando qui, aspettiamo la ricompensa di lassù. La
retribuzione della nostra milizia non proviene dalla
terra, non si trova qui giù: “di lontano, dagli
estremi confini giunge il premio”. Sotto il sole c’è
povertà; l’abbondanza è al di là del sole… Da un lato
desidero che tu venga, dall’altro lo temo»[9]
(Bernardo teme che l’assenza di Andrea «maxima
columna» del territorio di Gerusalemme, possa
risultare dannosa per i cristiani della Palestina
esposti agli attacchi dei musulmani).
Lettera 289.
Scritta nel 1153 alla Regina Melisenda esortandola sul
modo di comportarsi ora che il marito è morto,
sostenendo la parte di vedova virtuosa di fronte a Dio
e di Regina di fronte agli uomini. Ma non manca un
passaggio riservato ai Templari:
«…Per fortuna è intervenuto Andrea, mio carissimo zio
materno, al quale non posso non credere, che con un
suo scritto mi ha comunicato notizie migliori, che
cioè tu ti comporti in pace e con mansuetudine, che
avvalendoti dei più saggi governi rettamente te e il
tuo stato, che ami e consideri tuoi familiari i
fratelli del Tempio, e che cerchi di porre destramente
e provvidamente rimedio ai pericoli che incombono
sulla tua terra, secondo la saggezza fornitati da Dio
e valendoti dei migliori consigli ed aiuti»[10].
Lettera 354. Lettera scritta tra il 1143-1144, sempre
alla Regina Melisenda, figlia del Re Baldovino e
moglie di Folco d’Anjou. Essendo morto il marito, la
consiglia sul modo di comportarsi nella reggenza del
figlio. Non tocca il mondo templare[11].
Lettera 355.
Scritta nel 1141, ancora alla Regina Melisenda per
raccomandarle alcuni monaci premonstratensi che si
sono recati in pellegrinaggio a Gerusalemme. Non parla
di Templari.
«…Se non erro, li troverete (questi monaci di
Premontré) uomini pieni di saggezza, “accesi nello
spirito, pazienti nelle tribolazioni”? altamente
capaci nelle opere e nelle parole. Si sono rivestiti
dell’armatura di Dio e hanno impugnato la spada dello
Spirito, che è il verbo di Dio, non per “squarciare
carne e sangue, ma contro le malefiche forze
spirituali che insidiano il Cielo”»[12].
Lettere 392 e 393. Entrambe scritte
nel 1138 e dirette a Rodolfo, patriarca di Antiochia
esortandolo a nutrire soprattutto sentimenti di
umiltà. Non parlano dei Templari[13].
Liber ad milites templi. De laude novae
militiae[14]
L’incontro ufficiale di Bernardo con la Fraternitas
dei Cavalieri del Tempio avvenne in occasione del
Concilio di Troyes nel 1128 quando, tutto lascia
supporre con il suo determinante aiuto, venne redatta
la Regola che, nella redazione definitiva, avrebbe
trasformato il gruppo spontaneo dei milites, già
votato alla pratica penitenziale, in Ordine vero e
proprio.
Il trattato fu scritto, dietro insistenza del gran
Maestro Ugo di Payens, con ogni probabilità, tra gli
anni 1132-1135.
Il nuovo Cavaliere
Il cavaliere templare, secondo il progetto di san
Bernardo è un monaco-guerriero, un laico-cavaliere,
nello stesso tempo legato al mondo religioso e al
mondo profano, inserito a diverso titolo nell’«Ordo
monachorum» e in quello «laicorum» rappresenta, sempre
secondo la visione di san Bernardo, un nuovo tentativo
di trasferire la vita laicale nell’alveo della
struttura tipicamente monastica[15].
Fu proprio su questi binomi che si inserì l’intervento
di Bernardo preoccupato di dare strutture monastiche
ai milites Christi, impegnati nella guerra santa
contro gli infedeli, nella vigilanza al Sepolcro di
Cristo, nella protezione ai pellegrini in viaggio
verso i Luoghi Santi.
A Troyes è visibile la mano dell’abate Bernardo. Al
nudus nudum Christum sequi, si aggiungeva per i
Cavalieri del Tempio l’altro ideale Christum ducem
militum sequi. La sequela Christi diventa un perfetto
modello di vita, simile per molti versi a quello
delineato da Bernardo per i suoi monaci. Non a caso la
concessione del mantello bianco, pur emblematica del
suo valore nella proiezione escatologica della scelta
templare, accostava l’abito del cavaliere del Tempio a
quello del monaco di Cîteaux.
Su questa componente monastica della vocazione
templare Bernardo si intratterrà proprio nella stesura
del trattato De laude novae militiae. Questo trattato
più che espressione dell’orientamento dell’abate di
Clairvaux a favore della guerra, rappresenta, invece,
il più compiuto tentativo di verifica della
originalità della vocazione templare colta nei suoi
contenuti ascetici e in consapevole contrapposizione
tra i valori della militia Dei e quelli della militia
saeculi.
La struttura del De laude novae militiae[16]
Il trattato, dopo la lettera dedicatoria a Ugo di
Payens, si articola in tredici capitoli, di cui i
primi quattro hanno carattere sistematico in quanto
finalizzati a delineare l’istituto della nova militia,
quella templare, contrapponendola alla militia
profana:
Prologo
I. Esortazione ai cavalieri del Tempio
II. La cavalleria secolare
III. La nuova cavalleria
IV.Il comportamento dei Cavalieri del Tempio
Il quinto capitolo, indugia, in chiave simbolica sul
nome della sede dell’Ordine
V. Il Tempio
Gli altri otto capitoli costituiscono un itinerario
attraverso i principali Luoghi Santi (Betlemme,
Nazareth, il monte degli Ulivi e la valle di Giosafat,
il Giordano, il Calvario, il Sepolcro, Betfage,
Betania) con lo scopo di consentire un approfondimento
dei valori teologico-mistici sottesi sia al nome che
agli eventi connessi alle singole località.
Il De laude novae militiae nell’intenzione di Bernardo
non è un testo celebrativo, ma esortativo, indirizzato
a dare aiuto ai novi milites contro l’hostilem
tirannidem, il nemico per eccellenza, di cui gli
infedeli sono solo simbolo e figura.
Le caratteristiche di questa nova militia sono
individuati da Bernardo su un duplice piano, quello
della professio monastica ( combattere contro il
demonio e il peccato che si annidano continuamente
nell’animo di ciascuno di noi) e quello della lotta
contro il nemico terreno, incarnazione del demonio.
Emerge così la figura del monaco-cavaliere, cioè di
colui che combatte e, vincitore o vinto che sia, è
destinato a ricevere il premio: l’alloro del trionfo o
la corona del martirio. Queste prospettive non fanno
temere al Templare neppure la morte.
A questo punto Bernardo coglie in negativo il
significato della saecularis militia, cioè della
cavalleria profana, succube del peccato, fautrice
della guerra ingiusta, superba, vanitosa, effeminata,
iraconda, vanagloriosa, avida. L’insistenza sugli
aspetti negativi della saecularis militia apre a
Bernardo il passaggio obbligato per mettere in
evidenza il carattere della nova militia che non teme
di peccare uccidendo il nemico e non ha paura della
morte, in quanto ha la certezza della grazia del
Signore, anzi considera un segno privilegiato della
grazia lo stesso martirio. San Bernardo avverte il
bisogno di giustificare l’immagine di un monaco che
pur combatteva e uccideva. A questo punto Bernardo,
senza non lieve imbarazzo, introduce il concetto del
malecidio. l’uccisione del nemico nella guerra contro
i pagani non fa che contribuire ad eliminare il male
dal mondo, e far trionfare il bene sul male e sul
peccato. Bernardo ritiene che sarebbe meglio non
uccidere nessuno, nemmeno i pagani, nonostante che in
questo periodo non sia proibito dalla morale cristiana
il ricorso all’uso legittimo delle armi.
Comunque Bernardo tenta di offrire i connotati
caratteristici dei Cavalieri del Tempio, in netta
antitesi con quelli della cavalleria profana: la fuga
dall’ozio, l’obbedienza totale, la modestia del
tratto, la prudenza del combattimento, la continenza,
la rinunzia al lusso, specialmente all’opulenza del
vestiario e alla ricercatezza degli ornamenti. Tutti
questi atteggiamenti costituiscono i tratti più
autentici di una profonda e radicale conversio del
cavaliere votato alla milizia di Cristo[17].
Il significato della «Peregrinatio» in
Bernardo
Lo specifico della «conversatio»[18]
templare per Bernardo è la radicale revisione di
vita accompagnato da una forte carica soteriologica.
Anche in questo caso Bernardo si esprime su un duplice
livello, quello della ricerca di Gerusalemme connessa
alla «peregrinatio» verso la città Santa e più ancora
quello della conquista della grazia di Dio e il
possesso del regno dei Cieli attraverso la stessa
«peregrinatio» in Terrasanta. Proprio su questo
duplice binario si colloca l’itinerario ai Luoghi
Santi che Bernardo inculca ai Templari. Questo
itinerario, in definitiva, è un pretesto per suggerire
un ben altro cammino, quello della continua ricerca di
Dio, attraverso alcuni punti nodali della storia della
Salvezza.
Betlemme offre suggestive riflessioni sul mistero
dell’Incarnazione; Nazareth sull’attesa messianica; il
monte degli Ulivi e la valle di Giosafat sulla
misericordia e sulla giustizia di Dio; il Giordano sul
Battesimo; il Calvario e il Sepolcro sull’evento
centrale del cristianesimo costituito dalla
Redenzione, dalla Morte e dalla Resurrezione del
Signore; Betfage sulla necessità della purificazione
attraverso la penitenza; Betania sull’obbedienza.
In questa prospettiva la scelta di far professione
templare diventa un vero « Itinerarium mentis et
cordis in Deo» alla ricerca di una Gerusalemme
interiore, dove, debellato il male, la morte e il
peccato, il monaco-cavaliere incontra il Cristo, e
questo incontro tende a giustificare la sua intera
avventura umana.
Conclusione
Al termine di questa brevissima esposizione ritengo
che sia quanto mai utile qualche riflessione
conclusiva.
Rispetto all’intera produzione letteraria di Bernardo,
lo spazio riservato ai Templari è veramente esiguo.
Alcune lettere e un trattato la cui portata storica è
forse ancora da analizzare. L’attenzione di Bernardo
verso i templari forse va vista e compresa anche nel
contesto di un intreccio di rapporti familiari e
amichevoli. Lo zio di Bernardo Andrea di Montbard è un
del primo nucleo di cavalieri Templari: Il matrimonio
del fratello Gauderico lo imparentò con Ugo di Payens,
fondatore dei Templari. Infine, il conte Ugo di
Champagne, grande benefattore di Clairvaux, ma
soprattutto di Trois-Fontaines, nel 1125 diventa
anch’egli templare.
Alla vigilia del Concilio di Troyes, celebratosi nel
1128, tra i Templari, che non sono ancora molti, ben
tre e di grande spicco, sono legati a Bernardo, due
con parentela ed un con profonda amicizia. Ancora non
si conosce con esattezza il reale contributo di
Bernardo alla causa Templare sia nell’approvazione
dell’Ordine che nella stesura della prima Regola,
approvata proprio nello stesso Concilio di Troyes.
Nonostante la presenza, non casuale, di Bernardo al
Concilio, la massima attenzione di Bernardo nei
confronti dei Cavalieri del Tempio si riscontra nel
trattato Per i Cavalieri del Tempio. Elogio della
nuova Milizia. A dispetto del titolo, il trattato non
è da considerarsi un testo celebrativo, ma esortativo.
Dal testo e dal contesto si ricava che Bernardo ha
inteso esporre un ideale di vita. L’analisi degli
avvenimenti concreti nella storia di questo Ordine
cavalleresco che ha avuto solo 185 anni di vita ci
potrà dimostrare fino a che punto l’ideale tracciato
da Bernardo sia stato realmente inteso, compreso e
tradotto nel vissuto quotidiano.
Certosa di Firenze, 10 maggio 2001
P. Goffredo Prof. Viti, O. Cist.Docente di Storia
Medievale e ModernaFacoltà Teologica dell’Italia
Centrale
_________________________
[1] G. di
Tiro, Belli sacri historia, libro 12, cap. 7.
[2] Ibidem,
«Prima autem eorum professio, quodque eis a domino
patriarcha et reliquis episcopis in remissionem
peccatorum iniunctum est : ut vias et itinera, maxime
ad salutem peregrinorum, contra latronum insidias, pro
viribus conservarent».
[3] Ibidem,
«In manibus domini patriarchae, Christi servitio se
mancipantes, more canonicorum regularium, in castitate
et obedientiae, et sine proprio velle perpetuo vivere
professi sunt».
[4] Ibidem,
«Quibus quoniam neque ecclesia erat neque certum
habebant domicilium, rex in palatio suo, quod secus
templum Domini ad australem habet, eis ad tempus
concessit habitaculum: Canonici vero Templi Domini
plateam, quam circa praedictum habebant palatium, ad
opus officinarum quibusdam conditionibus
concesserunt::: Qui quoniam juxta templum Domini, ut
praeduximus, in palatio regio mansionem habent,
fratres militiae templi dicuntur». Anche Giacomo di
Vitry, nella sua Historia orientalis, Libro I, cap. 65
riferisce in modo analogo: «Est praeterea Hierosolymis
templum aliud immensae quantitatis et amplitudinis, a
quo fratres militiae templi Templarii nominantur, quod
templum Salomonis nuncupantur, forsitan ad
distinctionem alterius, quod specialiter templum
Domini appellatur»
[5] Opere di
san Bernardo, Lettere, ed. F. Gastaldelli, vol. VI/1,
Milano 1986, pp. 160-161.
[6] Regula
pauperum commilitonum Christi Templi Salomonici,
Prefatio, II.
[7] Opere di
San Bernardo, Lettere, vol. VI/1, cit., pp. 738-739.
[8] Ibidem,
pp. 882-883.
[9] Opere di
San Bernardo, Lettere, vol. VI/2, cit., pp. 258-261.
[10] Ibidem,
pp. 262-265.
[11] Ibidem,
pp. 410-413.
[12] Ibidem,
pp. 412- 415.
[13] Ibidem,
rispettivamente pp. 508-513 e 512-519.
[14] Opere di
san Bernardo, a cura di Ferruccio Gastaldelli, vol. I,
Milano 1984, Liber ad milites Templi. De laude novae
militiae. Per i cavalieri del Tempio. Elogio della
nuova milizia, introduzione, traduzione e note di
Cosimo Damiano Fonseca, pp. 425-483.
[15] Ibidem,
pp. 429-431.
[16] Ibidem,
pp. 433-434.
[17] Ibidem,
p. 433.
[18] Ibidem,
pp. 433.434.