San Francesco e l'islam
Autore: Marco MESCHINI
Un santo realista, un “folle di Dio” con i piedi ben
piantati per terra. La figura del patrono d’Italia
“purificata” dal pacifismo che la circonda. Amante del
dialogo, ma per la conversione degli infedeli.
Quando si parla di rapporti tra mondo cristiano e
mondo islamico, capita spesso che qualcuno citi il
caso di san Francesco (1181-1226), più o meno in
questi termini: «Si dovrebbe testimoniare il Vangelo
come fece Francesco, in sottomissione e silenziosa
discrezione; e quindi non si dovrebbe cercare di
convertire nessuno, come san Francesco non voleva che
si facesse». Ebbene, è corretta una simile visione?
In parole…
Innanzitutto va detto che questa interpretazione del
pensiero e dell’azione del santo di Assisi deriva in
particolare da un libro notevole e influente, scritto
dallo storico Giovanni Miccoli e intitolato Francesco
d’Assisi. Realtà e memoria di un’esperienza cristiana.
In quel volume Miccoli sostenne che Francesco voleva
«realizzare una presenza cristiana priva di ogni
ricerca di proselitismo». In altri termini, il santo
assisiate avrebbe visto ogni tentativo di annuncio
attivo del Vangelo – orientato cioè alla conversione
dei non cristiani – come una sorta di “ingerenza”,
persino di violenza e di contrario allo spirito
evangelico, intriso di sottomissione, rinuncia,
povertà “assoluta” e testimonianza “pura”. Per
sostenere questa tesi Miccoli cita la Regola non
bollata (cioè non approvata dalla Chiesa, stesa tra il
1209 e il 1221) che al capitolo 16 recita: «I frati
che vanno tra gli infedeli [e in specie tra i
saraceni] possono vivere e comportarsi con loro,
spiritualmente, in due modi. Un modo è che non
suscitino liti o controversie, ma siano soggetti, per
amore di Dio, a ogni umana creatura, e confessino di
essere cristiani». Queste parole, certamente di
Francesco, sembrano confermare quella let-tura;
tuttavia è necessario proseguire nel testo di quello
stesso capitolo 16, che aggiunge immediatamente: «Un
altro modo è che, quando vedessero che piace al
Signore, annuncino la parola di Dio, affinché quelli
credano in Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito
Santo, creatore di ogni cosa, il Figlio redentore e
salvatore; e siano battezzati e diventino cristiani,
poiché chi non rinasce dall’acqua e dallo Spirito
Santo, non può entrare nel regno di Dio». Si tratta di
parole molto chiare, che indicano al frate francescano
(e, potremmo dire, al cristiano in genere) la
necessità di cogliere le occasioni propizie per
testimoniare esplicitamente e “attivamente” la buona
novella, «affinché quelli credano in Dio onnipotente,
Padre e Figlio e Spirito Santo, creatore di ogni cosa,
il Figlio redentore e salvatore». Sono contenuti
essenziali del Cristianesimo, ovvero la Trinità e la
figura umana e divina di Cristo, morto e risorto per
la salvezza dell’umanità. E si badi che si tratta
proprio di quei punti che l’Islam nega esplicitamente:
per l’Islam, infatti, Allah è Dio uno e indivisibile e
l’idea cristiana della Trinità è un’assurdità quando
non, peggio, una forma di idolatria, ovvero di
abominio da distruggere. Ed è poi vero che il Corano
riconosce in Cristo un grande profeta, precursore di
Maometto; ma appunto Cristo, in quest’ottica, non è
nient’altro che un uomo, per quanto eccezionale
(inferiore comunque a Maometto), e non può in alcun
modo essere Dio. Tanto è vero che, per il Corano,
Cristo non è mai morto in croce e quindi non è neppure
– e tantomeno – resuscitato. Sono punti essenziali di
diversità tra Cristianesimo e Islam, che Francesco
mostra di conoscere esattamente e di voler mettere a
fuoco nell’attività missionaria dei suoi frati. Lo
scopo, poi, non è “semplicemente” di testimonianza, o
meglio lo è nel suo senso più pieno, orientato cioè
alla salvezza delle anime, che devono essere
«battezzate» e «diventare cristiane», il che significa
necessariamente staccarsi dal corpo dell’Islam per
entrare nel corpo storico e mistico della Chiesa e di
Cristo. Mi paiono parole nette, che smontano da sé il
preteso “irenismo” a oltranza di Francesco: il santo
di Assisi sperava e voleva che anche i musulmani (come
gli altri infedeli) conoscessero la Grazia di Cristo,
quella stessa che lo aveva toccato da giovane e gli
aveva radicalmente trasformato l’esistenza. Come ha
ben scritto Claudio Leonardi, uno dei massimi esperti
mondiali della mistica cristiana medievale, «Francesco
non ha timore di fare proseliti: il proselitismo, cioè
la conversione e l’in-gresso dell’infedele tra i
fedeli di Cristo e della Chiesa, è nella logica della
predicazione e di ogni azione apostolica, anche se la
conversione resta solo opera divina».
…e opere
Quanto abbiamo visto sin qui riguarda soprattutto il
pensiero e la parola scritta di Francesco. Tuttavia
egli si pose questo problema anche dal punto di vista
pratico: volle cioè portare personalmente il Vangelo
in terra islamica. Dopo un paio di tentativi falliti,
fu nel 1219 che il santo riuscì a entrare in contatto
con gli infedeli, durante la quinta crociata.
L’episodio è a volte liquidato come un evento minore e
secondario della sua biografia, perché Francesco
rimase solo qualche giorno presso i musulmani, senza
peraltro ottenere un particolare successo. Ma, anche
in questo caso, è una lettura riduttiva: che un uomo
del Medioevo provi per tre volte a superare il
“confine”, geografico e spirituale, che divideva la
Cristianità del tempo dal mondo islamico; che lo
faccia a suo rischio e pericolo, accompagnato solo da
un altro frate (di nome Illuminato); che cerchi di
parlare – e ci riesca! – con il sultano d’Egitto,
ovvero con l’autorità somma del potere islamico in
quel momento; e infine che torni indietro sano e
salvo… beh, son tutte cose eccezionali, non
secondarie, come scrisse Dante nella Di-vina Commedia
(Paradiso 11,100-105). Orbene, che cosa accadde? Nel
giugno del 1219 Francesco e Illuminato raggiunsero il
campo dei crociati che assediavano Damietta da qualche
tempo. Tra la fine di quel-l’estate e l’inizio
dell’autunno, i due frati attraversarono la “terra di
nessuno” che divideva i crociati dai musulmani e
chiesero di parlare con il sultano al-Kamil,
discendente del grande Saladino. Sul fatto che i due
si incontrarono e che, tramite interpreti, si
parlarono, nessuno oggi dubita più. Ciò che divide gli
storici è semmai il contenuto del loro discorso, che
diventa altamente dibattuto per il suo valore
simbolico. Non abbiamo nessun ricordo personale del
santo, né cronache musulmane che ci riportino i
contenuti di quel celebre incontro. Tuttavia, tra le
fonti di parte cristiana ne spicca una contenuta nella
biografia di Francesco scritta da san Bonaventura
alcuni decenni dopo e che riporta la testimonianza di
frate Illuminato. Eccone un passo decisivo. Il sultano
si sarebbe così rivolto al santo: «Il vostro Dio ha
insegnato nei suoi Vangeli che non si deve rendere
male per male… Quanto più dunque i cristiani non
devono invadere la nostra terra?». Niente male:
al-Kamil usò il Vangelo come strumento per accusare i
crociati di violenza e aggressione. Ma sentiamo la
replica di Francesco: «Non sembra che abbiate letto
per intero il Vangelo di Cristo nostro Signore.
Altrove dice infatti: “Se un tuo occhio ti
scandalizza, cavalo e gettalo lontano da te”…, con il
che ci volle insegnare che dobbiamo sradicare
completamente… un uomo per quanto caro o vicino –
anche se ci fosse caro come un occhio della testa –
che cerchi di toglierci dalla fede e dall’amore del
nostro Dio. Per questo i cristiani giustamente
attaccano voi e la terra che avete occupato, perché
bestemmiate il nome di Cristo e allontanate dal suo
culto quelli che potete. Se però voleste conoscere il
creatore e redentore, confessarlo e adorarlo, vi
amerebbero come loro stessi». Insomma, in un colpo
solo Francesco difese l’opera dei crociati e propose
al sultano la conversione. È vero che questo dialogo
non è direttamente attribuibile a Francesco; tuttavia
è l’unico resoconto disponibile di un testimone
oculare, frate Illuminato, e non c’è un motivo
specifico per non utilizzarlo, sia pure con cautela.
Il Francesco che emerge è un santo eccezionale, che
brucia dal desiderio di testimoniare in parole e opere
la verità di Cristo e del suo Vangelo; e che si espone
personalmente alla violenza e alla morte per suo
amore. Sempre secondo le fonti cristiane, in effetti,
Francesco propose al sultano anche un “giudizio di
Dio” con i sufi islamici presenti: ovvero li sfidò ad
affrontare i carboni ardenti per dimostrare la
veridicità delle rispettive fedi. Ma quelli
rifiutarono, e tra di loro vi fu forse un certo Fakhr
al-Farîsi, celebre consigliere del sultano, sulla cui
tomba è scritto che ebbe «un famoso caso con un monaco
cristiano». Sappiamo anche che a quel punto Francesco
propose di affrontare da solo la prova del fuoco, ma
il sultano si oppose. Il santo poté quindi predicare
ai musulmani, ma – sembra – senza ottenere successo.
Tornò quindi al campo crociato e poi in Italia.
Conclusioni Francesco sapeva che i musulmani negano la
divinità di Cristo, «bestemmiando» – tecnicamente
parlando, non moralmente – il suo nome. Per questo si
adoperò in parole e opere perché divenissero
cristiani. Anche in questo caso, dunque, Francesco è
il perfetto cavaliere di Dio. Pacifico, ma non
pacifista. Amante, ma non succube. Innamorato di Dio,
e non delle lodi del mondo.
Ricorda
«Francesco d’Assisi è il prodotto più rappresentativo
ed ortodosso della Chiesa delle crociate. (…) Non è
affatto il personaggio che generalmente ci viene
presentato adesso. Non era il precursore dei teologi
della liberazione. Né tantomeno fu l’araldo di un
cristianesimo dolciastro, melenso,
ecologico-pacifista: il tipo che ride sempre, lo scemo
del villaggio che parla con gli uccellini e fa
amicizia con i lupi». (Franco Cardini, in Vittorio
Messori, Pensare la storia. Una lettura cattolica
dell’avventura umana, Sugarco, 2006, pp. 164-165).
Bibliografia
La letteratura francescana, a cura di Claudio
Leonardi, 4 voll., Fondazione Lorenzo Valla, 2004. M.
Meschini, Le crociate di Terrasanta, I Quaderni del
Timone, Ed. Art, 2006. Giovanni Miccoli, Francesco
d’Assisi. Realtà e memoria di un’esperienza cristiana,
Einaudi, 1991.
da IL TIMONE - Marzo 2007 (pag. 22-24)