Pubblichiamo per
gentile concessione dell’autrice
un'interessantissimo testo
sull’Ordine
del Tempio e San Bernardo
San
Bernardo e i Templari
Il mito e la realtà
di
Raffaella Risuleo
Le origini
«Dopo il 1050 i Papi della riforma avevano cercato di
indirizzare gli impulsi bellicosi degli uomini verso mete
più elevate: Gregorio VII aveva parlato dei « soldati di
Cristo» che desideravano combattere per la causa della
Chiesa, utilizzando l’espressione non più come in passato
per descrivere la battaglia monastica contro le forze del
male, ma riferendola a guerrieri laici che concepivano il
combattimento in senso fisico.»[1]
Nel 1095 a Clermond
Papa Urbano II aveva esortato i cristiani a prendere le
armi per soccorrere i loro fratelli
stabilitisi in
Oriente, a quanto si diceva vessati, torturati e uccisi
dai Turchi selgiuchidi.
A tale richiamo risposero migliaia di soldati e contadini,
che unendosi dettero vita alla prima crociata. «La
chiamata di Urbano II rappresenta una versione più
sviluppata di tale concezione, che possedeva il duplice
vantaggio di far fronte all’avvertita minaccia mussulmana
e di ridurre l’alto tasso di conflittualità interna»[2].
Dopo incredibili sofferenze ed esperienze orribili i
crociati meglio organizzati raggiunsero Gerusalemme, e,
nel 1099 la conquistarono con terribile spargimento di
sangue. I conquistatori cristiani portarono usi
Occidentali uniti ad una organizzazione feudale che
riproduceva strutture ormai sorpassate in Occidente,
arretrate e mantenute in vita da una nobiltà che in patria
era ormai emarginata. Essi dovettero subito farsi carico
di risolvere il problema della sicurezza militare delle
installazioni di quel nuovo regno: da una parte infatti le
forze dell’Islam andavano riorganizzandosi e, premevano
alle frontiere in attesa della rivincita, dall’altra gli
Occidentali concepivano, come unico modo per dissuaderli,
il saccheggio dei loro villaggi. La nobiltà franco-siriaca
doveva svolgere opera di mediazione che assicurasse le
posizioni acquisite e le consentisse di vivere in modo
pacifico. Per vivere pacificamente era necessaria una
forza militare stabile: nel 1100 le strade che
circondavano Gerusalemme e gli adiacenti luoghi santi non
erano sicure, i predoni assalivano i pellegrini
provenienti dal porto di
Giaffa. Tuttavia i crociati, una volta sciolto il
loro voto non chiedevano di meglio che reimbarcarsi per
tornare al più presto in Europa, nonostante la propaganda
di quanti erano viceversa decisi a rimanere e a
trasformare l’Oltremare nella loro nuova patria.
«All’epoca in cui i primi Templari presero i voti la «
Santa violenza» era ampiamente accettata, e ben radicata
l’idea che i laici potessero raggiungere la salvezza
impegnandosi in questa causa. Queste circostanze aiutano a
comprendere il senso della crescita di un ordine di monaci
combattenti simbolo di quella che veniva considerata una
religione di pace. È dunque possibile identificare gli
elementi generatori dell’ordine militare come del
movimento crociato entro le tendenze prevalenti
all’interno della società cristiana occidentale alla fine
dell’XI secolo e agli inizi del successivo. Tuttavia
mentre la Crociata fu avviata dal Papa a seguito della
predicazione tenuta ad un concilio in Francia, i Templari
ebbero origine nella società di frontiera in
Outremer, dove
entravano in contatto quotidianamente con i Mussulmani»[3].
Secondo la storiografia più recente gli inizi dell’Ordine
templare furono poco appariscenti: un cavaliere di nome
Ugo di Payns
nell’anno 1118 0 1120 si incaricò di proteggere i
pellegrini che da Gaza si recavano a Gerusalemme, con un
gruppo di compagni che condividevano le sue aspirazioni:
essi ritennero loro dovere e loro missione il porsi a
difesa stabile della Terra Santa, delle vie di
Pellegrinaggio, delle strade, degli Ospizi, delle cisterne
e dei pauperes
che vi peregrinavano. La povertà volontaria e la comunione
dei beni – secondo la pratica penitenziale del tempo –
furono il punto fermo della loro nuova vocazione: rompendo
con una tradizione che a livello non solo sociologico, ma
anche terminologico, era fortissima, essi poterono dirsi
milites e
pauperes a un
tempo. Nessun contemporaneo li ritenne così importanti da
registrare la loro prima fondazione, solo tre cronisti
della seconda metà del dodicesimo secolo, Guglielmo di
Tiro (morto nel 1186), Michele il Siriano ( morto nel
1199) e Walter Map,
(morto tra il 1208 e il 1210), parlarono dell’Ordine alla
luce del rilievo assunto da questo in seguito. La comunità
trovò alloggio in un’ala del palazzo di re Baldovino II,
che sorgeva nel luogo in cui si riteneva fosse stato il
Tempio di Salomone. Il nome di
«Militia
Templi» gli deriva da quello: in origine il gruppo era
denominato «Pauperi
milites
Christi»: Essi
pronunciarono i loro voti di castità, ubbidienza e povertà
dinanzi al patriarca di Gerusalemme. La loro vita si
modellò sulle norme dei «canonici regolari» di Gerusalemme
(che avevano assunto la regola di S. Agostino), ai quali a
quel tempo erano legati. I Templari all’epoca erano
cavalieri e non un Ordine monastico. Nella primitiva
vocazione templare era, quindi, molto forte la componente
penitenziale: i cavalieri che accedevano alla
fraternitas
intendevano essenzialmente scontare i propri peccati.
Paul
Russet coglie
molto bene quest’aspetto e definisce il templare «espèce
de croisé à vie,
moine armé,
laïc
religieux»,
evidenziando la situazione paradossalmente
anticanonica
creatasi con il loro nascere. I primi passi dei Templari
furono duri: anche se in realtà sembra che non fossero
nove per nove anni (come sostiene Guglielmo di Tiro nei
suoi scritti) essi erano comunque pochi per il compito che
si erano prefissati. Il reclutamento di nuovi cavalieri
presentava parecchie difficoltà per la penuria di
vocazioni, per le perplessità sollevate dallo strano
esperimento religioso – militare e per la precaria
situazione della Terra Santa crociata. Ciò indusse Ugo di
Payns a inviare
Andrea di Montbard,
zio di Bernardo di
Clairvaux e
Gundemaro in Francia per pregare lo stesso Bernardo
di redigere per loro una regola. Nel 1128 Ugo di
Payns stesso si
recò al sinodo di Troyes
per consultarsi in merito del futuro della comunità: la
fraternitas venne
ufficialmente approvata dalla Chiesa e fu anche abbozzata,
pare col determinante concorso di San Bernardo, la regola,
riveduta poi e messa a punto due anni dopo dal patriarca
di Gerusalemme. La regola dei Templari, per influsso di
Bernardo, risultò modellata su quella benedettina e, in
ultima analisi risulta permeata più da principi di tipo
monastico che cavalleresco: nonostante la redazione di una
Regola, serpeggiavano ancora i dubbi e le incertezze, le
debolezze e i pentimenti. Per il
Demurger i
Templari sono innanzitutto dei religiosi che hanno
pronunciato i tre voti di obbedienza, povertà e castità:
come i monaci essi vivono secondo una regola, ma a
differenza di questi essi non pregano e meditano al riparo
del chiostro, ma combattono sul campo di battaglia per
difendere Dio e la Sua Chiesa. Altri autori sostengono,
invece, che i Templari non erano un Ordine monastico
votatosi all’ideale della cavalleria crociata, ma erano un
Ordine cavalleresco che aveva tratto le sue norme di vita
dalla regola di un Ordine monastico. La forza che li
animava era l’ideale devoto ai crociati: la consapevolezza
di essere guerrieri di Dio, non la pietà monastica. Questo
tratto accomunava i Templari agli altri Ordini
cavallereschi, per tutti era l’elemento essenziale. Essi
divenuti i crociati per eccellenza, se paragonati ai
Gerosolimitani e ai Teutonici presentano un fatto
caratterizzante: mancano dell’elemento
caritativo. La
protezione dei pellegrini e il presidio delle strade da
questi percorse era, infatti, un compito prettamente
militare. L’insediamento dei Templari in occidente,
riflette la chiara consapevolezza di dover creare una rete
di supporto in grado di fornire agli stati crociati nuove
forze, entrate regolari e approvvigionamenti di cibo,
vestiario ed armi. Nel corso della seconda e terza decade
del 1100 i latini d’Oriente si convinsero che l’esistenza
dei loro insediamenti dipendeva dall’organizzazione di
stabili sistemi di supporto logistico piuttosto che dagli
scoppi di entusiasmo per la crociata. Il riconoscimento
dell’Ordine nel 1129 costituì l’evento centrale degli
esordi templari, e nello stesso tempo rivestì per la
politica orientale di Baldovino II una importanza ingente.
San Bernardo e i
Templari
San Bernardo è il riformatore pronto ad accogliere le
novità: incoraggia i benedettini di S.
Denis e di
Cluny a praticare
un’austerità maggiore, segnata dalla semplicità e dalla
povertà, apprezza i nuovi Ordini:
Premonstratensi,
Vittorini,
Certosini, e per i nuovi cavalieri Templari redige un
elogio di una cavalleria nuova.
«Il De laude è redatto con l’abilità ed il talento
letterario consueti a San Bernardo, il quale sfrutta con
estrema intelligenza le correnti di opinione che avevano
costituito la precondizione necessaria all’indizione della
crociata e reso possibile l’istituzione dei Templari.
Pertanto sebbene lo scopo fondamentale fosse quello di
promuovere lo sviluppo spirituale dei Templari, la prima
parte del trattato si configura come una sorte di
panegirico in loro favore, che direttamente o
indirettamente esercitò una profonda influenza sugli
spiriti contemporanei e delle generazioni successive. Il
suo successo risiedeva nella creazione di una immagine»[4].
Tema fondamentale è il rigetto da parte dei Templari
delle superficialità e delle tentazioni della vita
secolare per il servizio del Signore: era questa infatti,
per Bernardo l’autentica vocazione monastica. S. Bernardo
condanna i vizi della
saecularis
militia, della cavalleria laica: la guerra
ingiusta, la superbia, l’ostentazione del lusso, e
soprattutto la vanitas.
Allo spettacolo di corruzione e di prevaricazione offerta
dalla cavalleria mondana si contrappongono i
Christi
milites, i quali
non temono di peccare uccidendo il nemico e non hanno
paura della morte giacché sono certi della grazia del
Signore. Il martirio è il massimo premio per il Templare:
egli è il Cristi miles
nell’antico genuino senso
martiriologico.[5]
L’argomento che fra tutti dava evidentemente più scandalo,
quello che con il Templare vedeva entrare nella
cristianità occidentale la figura del monaco che
combatteva e uccideva, viene risolto da S. Bernardo con
l’introduzione nel suo assunto della categoria del «malicidio».
Egli considera la soppressione del nemico nelle guerre
contro i pagani un epifenomeno dell’eliminazione del male
dal mondo, il trionfo sul nemico diviene simbolo del
trionfo sul peccato, la sconfitta del guerriero cristiano
è sentita come conseguenza dei suoi peccati. L’elogio
comunque del cavaliere – martire, che S. Bernardo fa
seguire alla pagina relativa al
malicidio, rivela
che tale pagina ha addolorato, e imbarazzato il Santo:
meglio sarebbe il non uccidere nessuno, nemmeno i pagani,
se soltanto vi fosse un altro modo di impedire loro di
nuocere ai cristiani.[6]
In ogni caso, si ribadisce qui che la dottrina cristiana
ortodossa non proibisce l’uso legittimo delle armi, e
quest’affermazione sembra chiarire quale fosse il terreno
sul quale avevano attecchito i dubbi relativi alla missione
templare. Quello del cristiano dinanzi alla guerra, è un
problema vecchio quanto la Chiesa stessa, e materia di
continue polemiche, nonostante le varie sistemazioni
teologiche.[7] San
Bernardo in realtà sa e si cura di sapere assai poco dei
problemi effettivi dei Templari e della Terra Santa
crociata: egli non dipinge i Templari quali crede che
siano o quali spera che divengano, bensì quale ritiene
dovrebbe essere una perfetta
fraternitas
religioso – cavalleresca, una
societas di
perfetti monaci che fossero ad un tempo cavalieri
perfetti.[8] S.
Bernardo esalta nei Templari le virtù quali l’obbedienza,
la disciplina, il disinteresse per le vesti e per il cibo,
la povertà, la castità, la concorde vita comune dei
commilitones.
Così dipinti essi servono da modello non solo ai cavalieri
laici, ma anche a parecchi monaci: non oziano mai, sono
sempre pronti ad obbedire al Maestro, non conoscono
invidia, mormorii, malumori, trascurano il loro aspetto
esteriore, detestano le
vanitates quali i giochi, gli spettacoli e la
caccia: la loro lunga barba, strana nell’occidente del XII
secolo è il segno più evidente della vita penitenziale. In
realtà S. Bernardo ricordando che il Templare non gioca,
non caccia e non ascolta giullari, intende colpire gli usi
laicali coltivati da vescovi e abati a dispetto delle
disposizioni canoniche e allo stesso modo ricordando la
disadorna povertà d’aspetto dei Templari fustiga
l’opulenza e la vanità di tanti prelati.[9]
Il contegno dei Templari in battaglia gli offre ulteriori
spunti di critica per la cavalleria laica: il
cavaliere laico è imprudente e impetuoso, ha un coraggio
incauto e irriflessivo spesso irrazionale, viceversa i
Templari si schierano in battaglia non turbolenti o
impetuosi, ma disciplinati e riflessivi. A proposito della
prudenza in guerra, S. Bernardo non lascia dubbi sul fatto
che questa sia accompagnata da coraggio e da valore: la
prudenza nell’impostare il combattimento è per lui
essenzialmente una virtù. Per S. Bernardo i Templari, come
ordine possiedono pienamente e la
sapientia e la
fortitudo. Nel
Cardini troviamo un’interessante interpretazione a
proposito di tali virtù. Le
Chansons de Geste
sottolineano come il perfetto cavaliere possieda due doti
complementari: Prouesse
e Sagesse,
Fortitudo e
Sapientia. Nella
realtà queste due doti, egli osserva, raramente si
accompagnano e convivono in modo equilibrato nella stessa
persona, ecco che il paradigma perfetto dell’eroe
cristiano si ha sovente attraverso ciò che egli definisce
il «compagnonaggio»
di due eroi, entrambi prodi e saggi, ma dei quali l’uno
possiede in prevalente quantità la prima dote, l’altro la
seconda: Rolando è prode, Olivieri è saggio.
[10] Si
stabilisce così attraverso il «
compagnonaggio»
un fenomeno che nella realtà doveva accompagnarsi ai riti
della «fratellanza d’armi», una sorta di «coppia di eroi»
che solo insieme, integrandosi a vicenda, offrono
l’immagine del perfetto cavaliere. Nei Templari,
viceversa, Sapientia
e Fortitudo
convivono nella stessa persona: perfetti monaci e al tempo
stesso perfetti cavalieri. Bernardo ripercorre i problemi
specifici più spinosi, dall’uccisione dei nemici in
battaglia, all’appropriazione del bottino, all’assenza di
polemiche e di
murmurationes all’interno dell’ordine come se tutto
andasse liscio: sa che in realtà non è così e che la sua
finzione apparirà ai destinatari del De Laude, come un
duro rimprovero. Egli infatti non intende constatare una
perfezione che sa non essere raggiunta, ma indica il modo
corretto e spiritualmente più valido per superare le
difficoltà e far si che i cavalieri entrati nel Tempio, vi
trovino quella conversio
che cercano. Quanto al carattere della
conversio
templare, S. Bernardo ne sottolinea il radicale valore.
Laddove papa Urbano, nell’incitare alla liberazione dei
luoghi santi nella prima crociata, sottolineava i benefici
sociali che sarebbero derivati dalla Crociata, S. Bernardo
pone l’accento sul carattere penitenziale che
l’arruolamento nel Tempio comporta: mentre Urbano si
accontentava che la cavalleria del suo tempo cambiasse
aria, S. Bernardo esige che cambi vita. Esige che i
cavalieri trovino la loro Gerusalemme, non solo nel senso
della peregrinatio,
bensì in quello della conquista della grazia di Dio e del
regno dei cieli. Egli vedeva nella crociata una forma di
pellegrinaggio in cui i cristiani si rendevano partecipi
della passione di Cristo e perciò suoi eredi. Al contrario
i musulmani apparivano gli invasori del patrimonio di
Cristo. Bernardo poteva così rappresentare i Templari come
la perfetta realizzazione di questo ruolo cristiano:
vivere in Terra Santa, nei luoghi dell’esistenza e del
sacrificio del Cristo, difendendoli dalla profanazione
degli infedeli[11].
Poiché ai Templari spettava la difesa dei Luoghi Santi,
Bernardo deve aver sperato che una volta compreso il
pieno significato del proprio ruolo, essi sarebbero stati
permeati da un fortissimo senso della missione. Per
maggiore comprensione basta pensare alle frasi conclusive
che fecero da tema conduttore e da motto dell’azione
Templare: «Non a noi, Signore, non a noi, ma al tuo nome
dà gloria».[12]
Lo stretto coinvolgimento di Bernardo garantiva che i
Templari sarebbero divenuti oggetti di ampio interesse
all’interno della cerchie monastica[13].
In realtà le perplessità sugli ordini militari erano
forti: esisteva una ostilità profondamente radicata
verso l’idea di una partecipazione monastica alle crociate
o ai pellegrinaggi – condivisa dallo stesso S. Bernardo –
non è difficile immaginare perciò che alcuni
contemporanei, portati a credere in una divisione
funzionale degli ordini sociali, potessero trovare il
dualismo Templare un’idea bizzarra[14].
Per comprendere appieno l’intervento di Bernardo a favore
dei Templari e la loro lode occorre tenere presente che
egli scrive partendo da quella crisi e dalla cognizione
delle cause intime di essa per costruire un’exortatio che
serva a rinfrancarli, a dar loro coscienza di tutta
l’originalità e la profondità della loro vocazione, a
rispondere ai dubbi che nascevano all’interno dell’ordine
non meno che alle critiche che lo colpivano dall’esterno
chiarendo gli aspetti della vocazione dei pauperes milites
Chisti. S. Bernardo in realtà non è un fautore della
guerra in sé, nemmeno di quella considerata «Santa «, come
invece si è spesso tentato di presentarlo, in virtù
dell’equivoco nato soprattutto sulla base del De Laude, e
anche per la sua attività di predicatore della seconda
crociata. In realtà la sua lode alla nova militia è una
critica dura, nei confronti della cavalleria mondana: il
lodare la nova militia si risolve in un elogiarla per
essere un tipo di cavalleria che non è più tale in quanto
sta divenendo ordine monastico, anche se sui generis. Per
quanto concerne la crociata egli si dette a propagandarla
su ordine del papa: egli riteneva la guerra tra cristiani
e infedeli come una condizione della pace tra cristiani,
perché la lotta ai nemici di Cristo era per lui
inevitabile, e infine perché la crociata gli appariva come
un’occasione di penitenza e conversione per i cavalieri
mondani la cui vanità aveva condannato nel De Laude.
Questa giustificazione penitenziale, accompagnava, nel
sistema di valori di S. Bernardo, l’esperienza crociata
così come aveva accompagnato quella della nascita
dell’ordine del Tempio[15].
È questa spiritualità cristica centrata sulla morte che ha
formato i milites: la vita del Templare è per Cristo,
mentre la sua morte va compresa come compimento
dell’appartenenza a lui. Sotto questo profilo lo stato di
vita del Templare è uno stato di prossimità o di prossima
possibilità al martirio cristiano, dove a valere è la
motivazione della fede.[16]
Tuttavia S. Bernardo non può non riservare la sua
preferenza alla scelta propriamente monastica: egli è
consapevole delle difficoltà a dover giustificare
l’aspetto bellicoso della vocazione templare essendo un uomo
di pace, non di guerra cristiana. La preoccupazione vera
di S. Bernardo verte tutta sullo stile di vita e sui
costumi dei soldati del Tempio che devono essere
determinate dalla legge di Cristo. Si è parlato di «una
utopia» della vita quasi monacale di questi soldati di
Cristo, d’altra parte, è proprio in questa quasi
monasticità regolata dalla «lex Christi» che S. Bernardo,
manifesta la sua più alta e felice capacità magistrale nei
riguardi della milizia templare. Ma come poté dunque colui
che nel 1125 aveva rimproverato al Conte di Champagne,
l’ingresso nella societas templare, determinare, appena
tre anni dopo, il definitivo accoglimento di essa come
Ordine monastico e addirittura scrivere di lì a poco in
sua lode quel trattato che, è senza dubbio una delle più
belle pagine da lui scritte?[17]
S. Bernardo per comprendere e giustificare la missione dei
Templari dovette compiere uno sforzo grave: egli era
fedele alla visione monastica tradizionale e non amava le
innovazioni, soprattutto quelle che aprivano il
chiostro a orizzonti mondani che rischiavano di distrarre
dalla preghiera e dalla contemplazione; saldo nel
principio della «stabilitas loci», diffidava dei viaggi e
dei pellegrinaggi stessi, considerandoli una inutile fonte
di tentazioni. Pur conoscendo il mondo cavalleresco perché
vi apparteneva per nascita, considerava qualunque attività
militare incompatibile con lo stato clericale: queste sue
nette e irrevocabili convinzioni vengono puntualmente
ribadite nel De Laude. In che cosa dunque si potevano dal
suo punto di vista, non solo difendere e apprezzare ma
addirittura esaltare i Templari? In questo
sostanzialmente: che i cavalieri presenti nell’ordine
erano si cavalieri, ma al tempo stesso veri monaci:
monachi mansuetudo…militis fortitudo; e che come veri
monaci osservavano l’obbedienza, la castità e la povertà.[18]
Ma come entrò S. Bernardo, che alla Gerusalemme terrestre
e alle sue vicende non si era mai interessato, in contatto
con i Templari?.È assai probabile che siamo stati i
Templari stessi ad indirizzarsi a lui o a esservi
indirizzati: nonostante l’età egli si avviava già ad
essere il leader spirituale dell’Occidente cristiano
quando, nel 1127, Ugo di Payns intraprese il suo viaggio
in Europa. Ma vi era anche di più: i legami di parentela e
di conoscenza indiretta forse ma comunque personale tra il
Maestro del Tempio e l’abate di Clairvaux. Il Castello di
Montigny possesso del lignaggio di Ugo era presso Montbard
culla della famiglia di origine della madre del Santo e
più tardi uno zio, fratello di sua madre, Andrea di
Montbard, entrato nell’Ordine ne sarebbe divenuto a sua
volta maestro (nel 1153). Superate le prime perplessità
l’idea di creare un ordine di monaci – cavalieri dovette
affascinare S. Bernardo al punto di indurlo a farsi in un
certo senso garante e padre spirituale dell’iniziativa di
Ugo di Payns. Sia o no di S. Bernardo l’idea dell’Ordine
monastico – militare, o lo sia tutto o in parte, si deve
sottolineare che prima del Concilio di Troyes non pare che
Ugo di Payns e i suoi seguaci pensassero di uscire dalla
logica del gruppo penitenziale laico; e si deve
sottolineare che viceversa il nuovo Ordine rispondeva in
modo coerente agli ideali Cistercensi di una progressiva
totale monasticizzazione della società.[19]
Negli Ordini tradizionali v’era già posto per due dei
tre ordines dei quali parlavano i teorici, vale a dire per
gli oratores e per i laboratores: con i Templari anche i
bellatores fanno finalmente ingresso nella vita monastica,
risolvendo in modo radicalmente innovatore il problema
costituito dal divieto di portare le armi che fino ad
allora aveva tenuto rigorosamente separati i monaci dai
laici combattenti.[20]
Poco sappiamo circa lo specifico ruolo di S. Bernardo sia,
nella sanzione dell’Ordine del Tempio ricevuta all’atto del
Concilio di Troyes, sia nella stesura della Regola. S.
Bernardo è considerato il principale ispiratore della
formulazione del contenuto e, come in più punti risulta
palese, dell’effettiva enunciazione della nuova regola,
tuttavia inizialmente essa fu sottoposta ad una ampia
discussione da parte del Concilio. L’esperienza della vita
religiosa assunse un peso determinante, a fronte di una
scarsa comprensione delle esigenze legate al combattimento
in Oriente. Il risultato è una regola monastica che
riflette ampiamente lo spirito ascetico e le tendenze
antimaterialistiche dell’epoca, generatrici degli ordini
riformati dell’XI secolo, in particolare dei cistercensi,
ma sostanzialmente incapace di adattare questi principi
alla lotta dei Templari contro gli infedeli.[21]
È certo che da allora in poi Ugo di Payns non trascurò di
ricorrere all’abate di Clairvaux per indurlo a
perfezionare nei particolari la sua visione della
spiritualità templare. Senza dubbio, l’appoggio di S.
Bernardo costituiva per lui elemento di basilare
importanza per fugare ogni dubbio o scoraggiare ogni
polemica sul nuovo Ordine.
Il Liber ad milites
templi de laude novae militiae
Per rafforzare e chiarire i punti ancora deboli e oscuri
Ugo di Payns chiese a S. Bernardo uno scritto: egli si
fece dapprima pregare poi non poté esimersi dall’accettare
di scrivere un opera a elogio dei Templari probabilmente
per evitare che il suo silenzio creasse scandalo od
alimentasse la crisi dell’ordine che era in atto, com’è
provato da una lettera di Ugo di S. Vittore. Scritto tra
il 1128 e il 1136,[22]
si compone di un prologo e 13 capitoli. I primi 4 sono
dedicati alla nova militia templare e al suo modo di vita,
in puntuale contrapposizione rispetto alla cavalleria
laica; il quinto capitolo è dedicato alla lettura
simbolica della sede dell’ordine: il tempio e quindi al
valore della conversio templare; gli altri ai principali
Luoghi Santi di Palestina, ciascuno dei quali è fatto non
già centro di una descrizione storico- geografica-
religiosa com’era uso nella letteratura coeva degli
«itineraria» scritti dai ed ad uso dei pellegrini, ma
oggetto di una meditazione a carattere teologico –
mistico. Da un lato S. Bernardo, che personalmente non ha
mai visitato la Terra Santa, è intimamente inclinato a
interiorizzarla, a trascenderla nella sua geograficità,
per coglierne e affermarne la verità e trasferirne il
senso sul piano dell’esperienza interiore e con
l’assunzione della speciale visibilità del monastero e
precisamente del monastero di Clairvaux.[23]
Sotto questo profilo i «Loca Sancta» considerati come
luoghi fisici perdono il loro rilievo e la loro
attrattiva. Per S. Bernardo, tali Luoghi Santi, o luoghi
di Cristo, costituiscono «le inestimabili ricchezze del
popolo cristiano» che i Templari, secondo i termini
costitutivi del loro ordine, si sono impegnati a difendere
sino al sacrificio della loro vita; questi stessi luoghi,
oggetto dell’impegnativa occupazione di colui che è stato
chiamato «crociato permanente», ricevono in S. Bernardo
una lievitazione allegorica, che è quella che gli preme e
che lo stimola a sviluppare e a proporre tutta una
suggestiva teologia dei misteri della vita di Cristo, che
offre l’oggetto più costante e più significativo della
contemplazione e che forma la sostanza più profonda della
vita spirituale del Templare. Ci si accorge subito che il
Santo è a suo agio soprattutto in questa illustrazione che
lo porta a oltrepassare le modalità e la consistenza
fisica e sensibile dei luoghi che il Templare si impegna a
custodire, facendolo indugiare su quanto invece sanno
scoprire o gustare gli spirituales sensus. Guidati da
questi sensi spirituali, l’abate di Clairvaux conduce i
Templari sui luoghi che lui geograficamente ignorava
(anche se poteva rappresentarseli grazie alla conoscenza
della Scrittura o ad altri strumenti disponibili), e che
invece erano ben noti ai Templari a cui invece rimaneva
oscuro il senso spirituale ben noto a Bernardo. Egli
aprendo il mistero dei luoghi santi con questo genere di
lettura estendeva ai Templari la Cristologia che veniva
delineando e proponendo ai suoi monaci, in più con quella
vicinanza di cui i militi in Palestina potevano godere: se
S. Bernardo si muoveva all’interno di una «geografia
spirituale» essi si trovano davanti a una «geografia
terrena» che l’abate di Clairvaux via via illuminava
dall’interno, e senza essere impedito coi «sensi
spirituali», a sua volta, di vederli, ammirarli, sentirne
il profumo e il gusto, di visitarli e di concentrare su di
essi da tutta la Scrittura, contenuti ed allusioni.[24]
I Templari, custodi della Terra Santa, sono quindi, per
Bernardo, guardiani della Hierusalem Interior che sta nel
cuore di ogni fedele. Difendere la Terra Santa con le armi
è simbolo di questa più profonda difesa della Parola di
Dio, che ciascun monaco – cavaliere è tenuto ad attuare
nel silenzio della propria anima. La guerra tra cristiani
e infedeli altro non diviene che il riflesso della lotta
di ciascuno contro il male, la morte, il peccato, e la
vita del cavaliere si presenta al santo come un’imitatio
Christi. Che il De Laude sia ben poco celebrativo,
nonostante il titolo che porta – e che in realtà
costituisca un’esortazione accorata nella quale si
potrebbero addirittura facilmente scorgere ammonizioni e
rimproveri, risulta evidente fin dal prologo.[25]
L’interpretazione di questo come di uno scritto
propagandistico atto a procurare nuove reclute al Tempio è
invecchiata e superata in quanto parziale. L’aspetto
propagandistico c’era, tuttavia era superato dal
significato interno: il De Laude è destinato ai
Templari perché lo meditino. Il novum militiae genus è
tale, soprattutto, perché combatte non solo e non tanto la
battaglia dei cavalieri ma anche e prima di tutto quella
dei monaci: la battaglia contro i nemici di Cristo, ma
anche quella contro il demonio e il peccato. I due tipi di
battaglia, sono qui riuniti in una, a condurre la quale è
il monaco – cavaliere.[26]
Questa è la grande novità templare.
Conclusioni
I Templari esaltarono il lungo sodalizio con S. Bernardo e
il suo Ordine a tal punto che, a dispetto della verità
storica, giunsero a considerare la militia del Tempio una
filiazione Cistercense – in modo sostanzialmente non
dissimile da decine abbazie in Europa, ma con la
differenza che figlie di Clairvaux o di Cîteaux esse lo
erano a tutti gli effetti. Alain Demurger, precisa che
«sarebbe ugualmente eccessivo vedere i Templari come
cistercensi militarizzati, per i quali monachesimo e vita
contemplativa sarebbero l’ideale da raggiungere mentre il
servizio militare costituirebbe solo un interludio
nell’ambito di una esistenza essenzialmente ascetica.
Monaco o soldato? No, monaco e soldato insieme, il
problema sta appunto qui».[27]
Tuttavia, è netta sensazione che da parte cistercense
fossero evitati gli entusiasmi e che l’attitudine verso il
problema tendenzialmente fosse improntata a più
prudenza e realismo. Così mentre Goffredo di Auxerre,
segretario – biografo del primo abate e lui stesso 4°
abate di Clairvaux si limita a parlare di S. Bernardo come
dello «specialis patronus», di un commendator et adjutor
del Tempio, diversamente altri, estranei all’ordine
Cistercense, fanno uso del binomio patronus et pater, come
riporta anche nel Cartulair général de l’Ordre du Temple
il Marquis d’Albon.
La regola latina
[28]
Ugo di Payns descrisse «Il comportamento e l’osservanza
della sua militia» in un discorso tenuto prima del
Concilio il 13 gennaio, giorno della festa di Santa
Ilaria.. Essa aderiva essenzialmente a pochi e semplici
concetti: partecipazione comunitaria agli uffici del coro
assieme ai canonici regolari, pasti comuni, vestiario
semplice, presenza modesta, nessun contatto con le donne.
Differiva dai canonici per il fatto di svolgere
frequentemente servizio esterno e pertanto ai cavalieri
veniva concesso un cavallo ( in seguito 3) e un ridotto
numero di servitori. Nei periodi di servizio la presenza
agli uffici veniva sostituita dalla recita di un certo
numero di preghiere. Pur essendo sottoposto alla
giurisdizione del patriarca di Gerusalemme, l’Ordine
doveva ubbidienza al Maestro. Queste disposizioni
informali costituirono la base della regola latina,
comprendente settantadue articoli. Secondo la
testimonianza di Jean Michel, che si definisce» l’umile
estensore delle presenti pagine» i padri riuniti in
Concilio vagliarono criticamente l’esposizione del Maestro
elogiando o respingendo quanto veniva proposto. Si trattò
di una disamina alla quale persino i laici presenti che
Jean Michel descrive come «illetterati» offrirono il loro
contributo. Ai cavalieri professi erano concesse vesti
bianche. Lo stile d vita generale rifletteva la modestia
dei costumi iniziali: vestiario semplice e
indifferenziato, testa tonsurata, un pagliericcio, una
coperta e un copriletto ciascuno per dormire, pasti in
comune consumati in silenzio durante i quali doveva
tenersi la lettura di un testo sacro. La dieta era
strettamente regolamentata perché «è risaputo che conduce
alla corruzione del corpo» la carne era consentita solo
tre volte alla settimana, ad eccezione delle grandi
festività e dei periodi stabiliti di digiuno. Dopo i pasti
si rendeva grazie a Dio e quanto era d’avanzo andava
distribuito a servitori e poveri, ad eccezione dei pani
intatti che venivano ritirati. La regola stabiliva che un
decimo di tutto il pane doveva essere donato in elemosina.
La conversazione era strettamente limitata alle necessità
funzionali e le espressioni scurrili e ignominiose
unitamente alle risa erano del tutto proibite, norme
legate ad un tema ricorrente nella regola: il bisogno di
evitare l’ira, la malizia, le lagnanze o i ricordi della
vita precedentemente condotta. Aderire all’Ordine
significava rinunciare alla volontà e perciò ridurre
fortemente la libertà d’azione individuale; la disciplina
veniva fatta valere secondo l’uso monastico attraverso un
sistema di penitenze che si estendeva dalle trasgressioni
di minore entità, di cui si occupava il Maestro, fino ai
comportamenti che potevano condurre all’espulsione. Erano
concesse deroghe ai gravi debilitati, malati o anziani. Le
questioni più importanti venivano discusse e decise in
seno al capitolo presieduto dal Maestro. I frati costretti
a viaggiare e quindi a star lontani dalla magione erano
tenuti « ad osservare la regola per quanto in loro
potere».
Il Maestro, che presto sarebbe divenuto una delle figure
di maggior rilievo dell’apparato militare nel regno di
Gerusalemme, nel 1129 veniva presentato nei termini di un
tradizionale abate benedettino, cui la regola imponeva di
esercitare in ogni frangente la moderazione. S. Bernardo
si era prodigato per limitare i comportamenti di impronta
materialistica, e tuttavia riconosceva che il Tempio era «
un nuovo tipo di ordine presente nei luoghi santi» in cui
si combinavano cavalleria e religione e che, diversamente
ai cistercensi aveva bisogno di possedere case, terre,
servi e tributi ed aveva pieno titolo a farsi garante di
protezione, opponendosi a quelli che la regola chiama «gli
innumerevoli persecutori della santa chiesa». Bernardo
vedeva sicuramente nei cavalieri professi il nucleo
dell’ordine, infatti la regola non dice molto riguardo
agli altri componenti. Vennero fissate condizioni che
consentivano ai cavalieri di prestare servizio ad
terminum, ovvero per un periodo determinato in attesa di
tornare alla vita secolare. Erano ammessi anche fratres
coniugati, ossia frati che già avevano contratto il
vincolo del matrimonio, ed in caso di morte la moglie
aveva diritto ad una parte dei possessi per il proprio
sostentamento. In due punti si parla di clientes, termine
tradotto nella versione francese con sergens, i sergenti o
frati servienti, che in futuro avrebbero costituito un
elemento essenziale dell’Ordine. Anche quelli che la
regola chiamava famuli, persone a quanto pare legate
all’ordine in modo da poter godere di benefici spirituali,
indossavano il saio bruno o nero. L’accesso alle donne era
impedito «perché è attraverso la femmina che l’antico
nemico distolse molti dalla via diretta in Paradiso». La
regola originaria, data all’ordine nel concilio di Troyes
il 1129 comprendeva solo 72 articoli in lingua latina,
ampliata attorno al 1267 fino ad includerne 686, scritti
in francese per facilitarne la comprensione ai frati. Le
esigenze militari e disciplinari resero necessarie
ulteriori aggiunte, poiché la regola latina era
influenzata più dal chiostro che dai campi di battaglia:
sezioni intere sono dedicate alla gerarchia militare, alla
condotta conventuale, ai capitoli e all’applicazione di un
complesso sistema di penitenze furono aggiunte prima del
1187, fra gli anni quaranta e l’inizio degli anni
sessanta, anche se le nuove sezioni non sono
contemporanee. Intorno alla metà del tredicesimo secolo la
chiarificazione del sistema delle penitenze portò ad un
ulteriore ampliamento della regola, l’estensore di
quest’ultima sezione, riportando casi occorsi nella storia
dell’ordine a dimostrazione delle proprie argomentazioni,
offre preziose informazioni sulle attività templari.
Ancora successiva è la versione catalana della regola.
Geografia cristologica di s. Bernardo.
a) Il tempio
Il tempio che richiama la vita religiosa del «devotus
exercitus» che adesso vi dimora e i cui sacrifici sono «la
carità fraterna, l’obbedienza devota, la povertà
volontaria» ( in altre parole la vita dei Templari
profondamente trasformata). Il Tempio evoca a S. Bernardo
la chiesa nella sua genesi e la salvezza nella sua fonte.
Esso gli si presenta carico di simbolicità: con la scusa
del Tempio è tutta la terra promessa ad apparirgli «terra
buona e optima»[29]
b) Gerusalemme
Pensando ai pellegrini che hanno visitato Gerusalemme egli
dichiara:» pienamente saziati e abbondantemente nutriti
della ricchezza della sua dolcezza, coloro che ti hanno
vista diffondono dappertutto il ricordo della tua
abbondante fragranza e ripetono sino agli ultimi confini
della terra e coloro che non ti hanno veduta la
magnificenza della tua gloria e raccontano le meraviglie
che in te si compiono»: di essi i Templari sono gli
assidui testimoni. S. Bernardo non ha mai visto
Gerusalemme ma è anch’egli un autentico pellegrino anche
se spirituale.[30]
c) Betlemme
Casa del pane e ristoro delle anime sante: etimologia che
permette a S. Bernardo il discorso sul « Pane vivo disceso
dal Cielo». Prendendo spunti dal contesto della natività
come popolarmente animato, con animali, fieno e
mangiatoia, congegna una pittoresca e suggestiva
riflessione: l’uomo peccando ha smentito la sua originaria
dignità e si è fatto simile agli animali disabituandosi «
a nutrirsi con il pane della divina Parola». Per questo il
verbo da « pane degli angeli» si è fatto carne e quindi
fieno perché l’uomo avesse come cibo « il fieno della
carne» del Verbo, e risalisse, grazie al Dio fatto uomo
alla primitiva dignità, ridiventando uomo. Uomini si
diviene quando «mangiando il pane della divina Parola» con
la fede, si conosce il verbo in profondità, oltre la sua
stessa carne. Riferito ai Templari oltre la visibilità che
si presenta ai Templari allo stesso modo chiamati a
conoscere Cristo di là dalle sue tracce visibili nella
Terra Santa. [31]
d) Nazaret
Apparso a Betlemme come Pane Vivo il Verbo incarnato è
vissuto a Nazaret «a cui viene attribuita
l’interpretazione di Fiore». Su Cristo Fiore S. Bernardo
scrive uno dei passi più belli dove impegna la sua arte di
fantasticare, scrivere e di rappresentare in immagine la
sua teologia di Cristo: il Dio bambino è vissuto a Nazaret
come Fiore nel quale allega il frutto, affinché il profumo
del fiore precedesse il sapore del frutto e il nettare
santo potesse essere infuso dalle narici dei profeti alla
bocca degli apostoli e ristorasse del Suo intenso sapore i
cristiani, rimanendo gli Ebrei appagati di un
impercettibile profumo». Per S. Bernardo la Profezia e
l’Antico Testamento, di Cristo sente solo il profumo, ma
non lo gusta ancora. La Cristologia del santo è qui
espressa usandon impressioni e linguaggio sensoriale dove
il gusto dice che il compimento dell’esperienza di Cristo,
prima soltanto odorato. In condizione di speciale
sensibilità vengono certamente a trovarsi i Templari, ma
con l’avvertenza ancora che questi sensi sono attivi solo
in un oltrepasso della pura sensorialità.[32]
e) Il monte degli
Ulivi e la valle di Giosafat
Contengono il messaggio sulla « molteplicità delle
misericordie» e sul giudizio divino. « Si ascende al monte
degli Ulivi e si discende nella valle di Giosafat» per
meditare sulle ricchezze della misericordia di Dio senza
mai dimenticare l’orrore del giudizio «; da qui
l’esortazione all’umiltà e l’urgenza del pentimento: un
tema non inappropriato in un discorso ai Templari per i
quali la Terra Santa è il traguardo e l’indice di una
conversione e di una scelta penitenziale.[33]
f) Il Giordano
Nella sosta la Giordano « che si vanta di essere stato
consacrato dal Battesimo di Cristo, S. Bernardo ripassa la
storia della salvezza legata a questo fiume e soprattutto
ricorda la presenza della Trinità: 2 nel Giordano il Padre
è stato ascoltato, lo Spirito Santo è stato veduto, il
Figlio è stato Battezzato».[34]
g) Il Calvario
Tra le stazioni immaginarie del suo pellegrinaggio
geografico – cristologico quello che trattiene più a lungo
e con più intenso pensiero S. Bernardo riguarda il
calvario e il sepolcro. « Sale sulla croce il nostro uomo
senza capelli offrendosi al mondo, a servizio al mondo, e
come con il viso scoperto e la fronte nuda, realizzando la
giustificazione dei peccati, come non arrossì per
l’ignominia di quella morte infamante e dolorosa, come non
inorridì per la condanna, pur di strapparci all’eterno
disonore e restituirci alla gloria»: una restituzione che
è il fine stesso dell’incarnazione che è l’abbassamento
del Verbo per il nostro innalzamento alla dignità perduta
con la colpa.
h) Il Sepolcro
S. Bernardo è particolarmente attratto dal sepolcro di
Gesù, speciale oggetto della cura dei Templari – e
dell’avvenuta crociata – presso il quale sviluppa un vero
minuscolo trattato teologico sulla morte redentiva di
Cristo e sul suo valore. Il sepolcro osserva Bernardo «
tiene tra i luoghi santi e desiderabili in certo modo il
primato» perché « il ricordo della morte di Gesù eccita la
pietà più che non il ricordo della sua vita». «Chi lo
contempla da vicino, deve, credo, sentirsi pervaso da una
devozione dolcissima». È esattamente quanto possono fare i
Templari le cui considerazioni sul Sepolcro sono
suggerite. Il sepolcro è la meta riposante dei pellegrini
in Terra Santa dopo il loro pericoloso viaggio e si
direbbe che S. Bernardo si immedesimi nelle persone dei
pellegrini. L’impegno teologico maggiore è svolto da S.
Bernardo quando, con intento che si direbbe formalmente
teologico o di « intelletto della fede» e con metodo che
richiama quello dialettico, cerca di comprendere il
significato della morte di Cristo in rapporto alla
remissione del peccato dell’uomo. « La vita di Cristo è
per me una regola di vita, la sua morte è il mio riscatto
dalla morte. La prima ha edificato la mia vita, l’altra ha
distrutto la mia morte. La sua vita è stata operosa, la
sua morte preziosa ma indubbiamente necessaria». «Poiché
per noi era necessario pienamente vivere e morire
serenamente, egli ha insegnato a vivere con la sua vita e
con la sua morte ha dato sicurezza alla nostra morte, in
quanto è morto con la certezza di risorgere a ha dato a
tutti coloro che muoiono la speranza della resurrezione».[35]
i) Betfage e
Betania
Betfage e Betania gli richiamano» il mistero della
confessione e del ministero sacerdotale» e «la virtù
dell’obbedienza» esemplarmente esercitata da Cristo che si
è fatto obbediente fino alla morte. Il suo itinerario
termina con Betania, la «casa dell’ubbidienza», il
villaggio di Maria e di Marta. Questa scelta non è priva
di significato: il conflitto tra Maria, « la
contemplazione» e Marta «l’azione», era uno dei più
sentiti negli Ordini monastici, non meno che in quello
templare e S. Bernardo vuol ricordare che né l’una né
l’altra e neppure la penitenza stessa, hanno valore se
fuori dall’obbedienza. L’obbedienza è per Bernardo la
prima virtù del cristiano, quella del quale Gesù si è
fatto modello obbedendo al Padre fino alla morte: « non
mea voluntas, sed tua fiat».[36]
S. Bernardo di
Clairvaux
Nasce al castello di Fontaine, presso Digione il 1090,
muore a Clairvaux il 1153.
Figlio di Tecelin, signore di Fontaine e di Alette di
Montbard.
Nel 1113 entrò in monastero a Citeaux portando con sé
trenta nobili compreso alcuni fratelli e parenti. Nel 1115
l’abate di Cîteaux gli affidò l’incarico di fondare
l’abbazia di Clairvaux, di cui fu primo abate. Alla sua
morte l’ordine contava ben 700 monaci e 80 monasteri
affiliati, tra cui le omonime abbazie italiane. Grazie a
Bernardo la vasta e multiforme influenza religiosa fino ad
allora esercitata dai monaci di Cluny, divenne prerogativa
di Cîteaux. Nel 1128 Bernardo iniziò ad occuparsi di
affari pubblici sostenendo il vescovo di Parigi e
l’arcivescovo di Sens contro Luigi il Grosso. Appoggiò Ugo
di Payns, creatore dell’Ordine dei Templari facendogli
ottenere il riconoscimento ufficiale del papato: Quando
alla morte di ONORIO II furono eletti due papi, egli si
schierò contro Anacleto dalla parte di Innocenzo II,
contribuendo con il suo appoggio al suo trionfo. Da allora
l’influenza sulla corte pontificia fu enorme. Nel 1140
ottenne la condanna di alcune proposizioni di Abelardo, da
lui ritenute contrarie alla fede. La seconda crociata ebbe
in lui un ardente e eloquente sostenitore (1145-46)Fu un
trascinatore di folle. Profondamente conservatore e
particolarmente legato all’ordinamento feudale, si schierò
contro il comune di Reims. Fu canonizzato nel 1174 da
Alessandro III ad Anagni. In teologia, non ha un sistema
compiuto, tuttavia può essere considerato il padre della
mistica cristocentrica. Fu un contemplativo e la sua
accentuata tendenza mistica fu soprattutto ostile al
razionalismo della scuola di Abelardo. Tre sono secondo il
suo pensiero le vie per elevarsi a Dio: la vita pratica,
la vita contemplativa, la vita estatica. Ebbe un
particolare culto per la Vergine. Con la stessa energia
combatté Abelardo, Arnaldo da Brescia e gli eretici delle
sponde del Reno. Fu intransigente contro i nemici della
Chiesa, ebbe però il coraggio di denunciare gli abusi che
la mettevano in pericolo e indirizzò al papa Eugenio III,
suo discepolo, energici avvertimenti. Ci ha lasciato
trattati di spiritualità, liturgici, dogmatici, e
polemici: De contemptu Dei, De Considerazione, De
diligendo Deo, Contra quaedam capitula errorum Abelardi.
Ci sono rimasti ben 340 sermoni, molte lettere e numerose
composizioni poetiche. La prima edizione delle sue opere
risale al 1475 (Magonza) una buona edizione è quella di
Mabillion ( Parigi 1667-1690). Leclercq dal 1957 al 1977
ha curato l’edizione critica delle opere di Bernardo
eliminando tutti i trattati apocrifi. Dal 1984 è il corso
l’edizione bilingue, curata da Ferruccio Gastaldelli.
____________________________________
[1] Barber, M.,
La storia dei Templari, p. 53.
[2] Barber, M,,
La storia dei Templari, p. 53.
[3] Barber , M.
La storia dei Templari, p. 53.
[4] BARBER, M.,
Op. Cit., p. 59.
[5] CARDINI F., I
primi tempi dell'ordine del Tempio, sta in I templari -Una
vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti
del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle,
Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G.
Viti, Firenze 1995, p.111
[6] CARDINI, F.,
Op. Cit., p. 112
[7] CARDINI F.,
Op. Cit. , p.112
[8] CARDINI F., I
primi tempi dell'ordine del Tempio, sta in I templari- Una
vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti
del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di
Chiaravalle, Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a
cura di G. Viti, Firenze 1995, p.113
[9] CARDINI F.,I
primi tempi dell'ordine del Tempio, sta in I templari- Una
vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa -
atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di
Chiaravalle, Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a
cura di G. Viti, Firenze 1995., p.114
[10] I personaggi
sono tratti dalla Chanson de Roland. - CARDINI F., I primi
tempi dell'ordine del Tempio, sta in I templari- Una
vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti
del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle,
Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti,
Firenze 1995, p.116.
[11] Barber, M.,
La storia dei Templari, "I Templari vivevano ed
operavano nel contesto fisico dei luoghi santi, che erano
per questo a loro familiari: chiarendone l'intimo
significato San Bernardo desiderava invece svelare una
dimensione interiore fondamentale agli occhi di Bernardo e
degli intellettuali suoi pari. Se fosse stato possibile
mostrare loro come guardare ai Luoghi Sacri, i Templari
sarebbero stati in grado di trascendere la mera apparenza
esteriore e incoraggiati così a ricercare un significato
spirituale più profondo",p.60.
[12] Salmo (
T. M. 115),1
[13] Barber, M.,
La storia dei Templari, Op., Cit., p. 64.
[14] "Bernardo
riconosce apertamente i problemi derivanti dalla natura
contrastante dei monaci - cavalieri, e, si sforza di
adattare il suo messaggio alle esigenze del nuovo Ordine
e del tipo di persone ad esso attratte"
[15] LEONARDI,C.,
La tradizione cavalleresca e San Bernardo sta in I
templari- Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla
Chiesa - atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di
Chiaravalle, Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a
cura di G. Viti, Firenze 1995, p.17 "Bernardo traveste il
miles da monaco, cerca di fare della guerra un'opera
monastica mediante una grande struttura culturale, che è
quella del monachesimo cristiano: pensa cioè di portare
dentro la tradizione cavalleresca la componente monastica,
di determinare, nella realtà della guerra, una dimensione
spirituale"
[16] INOS BIFFI,
La figura di Cristo e i "Loca Sancta" nella vita dei
Templari, sta in I templari- Una vita tra riti
cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti del I
Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle, Certosa
di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze
1995, p.21.
[17] CARDINI, F.
I primi tempi dell'Ordine del Tempio :sta in I templari-
Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa
- atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di
Chiaravalle, Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a
cura di G. Viti, Firenze 1995, p. 103.
[18] CARDINI ,F.
I primi tempi dell'Ordine del Tempio sta in I templari- Una
vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti
del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle,
Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti,
Firenze 1995, p.104
[19] DIMER A. Der
heilige Bernhard und die "conversio", "Anima",
VIII,1953 p.72"extra Cistercium,nulla salus".
[20] CARDINI, F,
I primi tempi dell'Ordine del Tempio, sta in I templari-
Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa -
atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di
Chiaravalle, Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a
cura di G. Viti, Firenze 1995, p.106.
[21] BARBER M La
storia dei Templari, op. cit.,p.25.
[22] Più
verosimilmente tra il 1132 e il 1135 come sostiene Franco
Cardini.
[23] INOS BIFFI ,
La figura di Cristo e i "LOCA Sancta" nella vita dei
Templari, p 20. sta in I templari- Una vita tra riti
cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti del I Convegno
"I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle", Certosa di
Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze
1995., p.20. Ne è evidente esempio la lettera ad
Alessandro vescovo di Lincoln circa il monaco Filippo che
incamminandosi verso Gerusalemme si fermerà poi a
Clairvaux.
[24] INOS BIFFI
La figura di Cristo e i "Loca Sancta" nella vita dei
templari , sta in I templari- Una vita tra riti
cavallereschi e fedeltà alla Chiesa - atti del I Convegno
"I Templari e S. Bernardo di Chiaravalle", Certosa di
Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze
1995, p.24.
[25] CARDINI F. I
primi tempi dell'Ordine del Tempio sta in I templari-
Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà alla Chiesa -
atti del I Convegno "I Templari e S. Bernardo di
Chiaravalle", Certosa di Firenze 23 - 24 Ottobre 1992 a
cura di G. Viti, Firenze 1995 , p108.
[26] IDEM, sta in
I templari- Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà
alla Chiesa - atti del I Convegno "I Templari e S.
Bernardo di Chiaravalle, Certosa di Firenze 23 - 24
Ottobre 1992 a cura di G. Viti, Firenze 1995, p. 109.
[27] Demurger,
A., Vita e morte dell'Ordine dei Templari, Milano 1992,
p.38.
[28] Barber
M., La storia dei Templari ,ed. Piemme,1997.
[29] INOS BIFFI.
[30] INOS BIFFI.
[31] INOS BIFFI.
[32] INOS BIFFI.
[33] INOS BIFFI,
[34] INOS BIFFI,
[35] INOS BIFFI,
[36] CARDINI F.
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