Pietre che cantano
Autore: Alessandro MASSOBRIO
Il mistero della cattedrale continua ad affascinare le
diverse generazioni. È la bellezza che attira l’uomo verso
l’Assoluto. Romaniche e gotiche, sono la testimonianza di
un’epoca e di una cultura che mettevano Dio al primo
posto.
«Mi rifiuto di affermare che esista, in ultima analisi, un
elemento decisivo: io ritengo che tutto sia determinato da
tutto e che tutto determini tutto». Queste parole dello
storico del Medioevo francese, Georges Duby, che
l’architetto Roland Bechmann pone ad epigrafe del suo
libro su Le radici delle cattedrali, la dice lunga sulla
complessità della spiegazione di un fenomeno. Quello della
fioritura nell’Europa occidentale di quelle grandi chiese
episcopali, a cui noi moderni siamo soliti attribuire, per
l’appunto, il nome di cattedrali. Cattedrale da cathedra,
il sedile destinato, in occasione delle solenni festività,
ad accogliere il vescovo o il dignitario di primaria
importanza. Sopra il capo del quale la volta – spesso, a
ogiva – s’impenna come se volesse dissolversi nello
spazio, mentre intorno a lui le pareti perdono di
spessore, trasformandosi, grazie alle finestre istoriate,
in muraglie di luce.Che cosa ne ha prodotto la nascita?
Che cosa ne ha determinato la graduale scomparsa? Sono
interrogativi che non possono essere soddisfatti da una
sola risposta. Noi sappiamo soltanto che tra il 500 e il
1500 d.C. l’Europa conosce due grandi stagioni dell’arte
sacra. La romanica prima, la gotica poi. La seconda
soprattutto lascia sbalorditi per la perentorietà con cui
si afferma, per le soluzioni architettoniche che propone,
per la densa simbologia di cui si ammanta. La cattedrale
romanica, in fondo, è una ripresa dei motivi della
basilica paleocristiana e pagana. La pianta a croce latina
prevede una copertura dello spazio interno in cui le
spinte centrifughe siano compensate da pesanti armature
murarie. Nascono così i contrafforti, che bilanciano il
peso della volta cosiddetta a tutto sesto. Le cattedrali
romaniche – quella di Modena, di Parma, di Sant’Ambrogio a
Milano, considerata l’autentica madre di questo stile
architettonico – sono strutture massicce, su cui si alza
il campanile come un pilum, una lancia, piantata nel
terreno. Paiono macchine da guerra, che si apprestano,
sotto i rispettivi gonfaloni, all’assedio di quella
cittadella che si chiama Gerusalemme celeste. Alla
conquista della quale è chiamata l’intera Chiesa
militante. Poi, d’improvviso, tutto questo cambia. A
partire dai primi decenni dopo il Mille,
nell’Ile-de-France e poi in Borgogna, Germania,
Inghilterra, Fiandra e solo più tardi in Italia, il
panorama subisce una radicale trasformazione. L’arco
ogivale, detto a sesto acuto, imprime alla struttura una
spinta verso l’alto. L’illuminazione diventa elemento
imprescindibile, tanto è vero che i muri perimetrali
subiscono una sorta di “smaterializzazione”, ad opera
delle vetrate e del rosone, che troneggia al centro della
facciata. La spinta delle volte viene ulteriormente
alleggerita dagli archi rampanti, grazie ai quali le forze
in gioco vengono suddivise in più componenti. È nata
quella che i francesi chiamano art gotique. L’arte della
Vergine, di san Bernardo, di Dante. Ma quali ne sono le
cause? Come si è detto, sarebbe difficile individuarne una
a scapito delle altre. Certamente concorrono condizioni
materiali ed economiche non indifferenti: il
disboscamento, che riduce il legname delle impalcature; la
necessità di collocare queste stesse impalcature sempre
più in alto onde evitare il diffondersi di incendi; la
crescente impennata dei prezzi della pietra, il cui costo
sale vertiginosamente nel corso del trasporto e della
quale quindi si impone una economizzazione. Ma c’è anche
altro. C’è, per esempio – come già si è detto – il
richiamo che la Vergine e il suo culto esercitano sugli
uomini dell’XI, XII, XIII secolo. La Madonna che, prima
del Mille, si limitava a costituire uno degli elementi del
quadro della Redenzione e Incarnazione di Nostro Signore,
diviene ora il vertice di una piramide devozionale che,
per usare un’espressione paolina, attira a sé tutte le
cose. Nella sola Francia, le cattedrali dedicate a Maria
si moltiplicano a vista d’occhio, tanto che i devoti le
chiamano, tout court, le Notre-Dame. Ce ne sono a Reims, a
Digione, a Rouen, a Strasburgo, a Chartres, a Parigi. Un
ateo dichiarato come lo scrittore Henry Adams riconosce
che Maria esercita su tutto il tardo Medioevo un’enorme
forza attrattiva. La gara consiste nell’issare sul
pinnacolo più alto della propria cattedrale l’immagine
della Madre del Salvatore e senza dubbio non si tratta di
una gara economicamente agevole. Alla spesa concorrono
offerte di corporazioni e donazioni episcopali, regalie di
principi, risparmi di gente povera e dimenticata. Poi,
quando tutto è stato predisposto, giungono loro: i Maestri
Comacini. Che provengano da Como è soltanto una delle
tante spiegazioni etimologiche che tentano di diradarne la
leggenda. Certo è che si tratta di corporazioni di
lapicidi, di architetti, di capomastri e muratori che in
pochi anni, come a Troyes e Montpellier, sono in grado di
aggiungere nuove meraviglie a quelle del mondo antico.
Sulle loro tecniche Roland Bechmann ha osservato: «Se noi
dovessimo costruire le cattedrali dei gotici con i mezzi
di cui essi disponevano, non ne saremmo capaci». Da qui
l’idea di un sapere esoterico, segretamente tramandato,
che farebbe di queste maestranze i detentori di conoscenze
ereticali o addirittura gli antenati dei moderni
frammassoni. In realtà, la cattedrale è un prodigio di
forze in equilibrio statico, che contengono e custodiscono
un altrettanto grande prodigio di simboli in equilibrio
dinamico. Si riferiva probabilmente alle cattedrali
Charles Baudelaire quando parlava di «foreste di simboli
dagli occhi familiari». È il simbolo, infatti, il pensiero
che si riveste di immagini e l’immagine che rimanda ad
altro da sé, a costituire il mistero delle cattedrali del
Medioevo. Un mistero che il mondo moderno, deciso a
rifiutare all’arte qualsiasi valore che non sia puramente
estetico, ha disimparato a decifrare. Limitandosi così ad
elevare a Dio case che sembrano destinate a tutto. Meno
che a contenere quello stesso Dio cui sono destinate. Un
centro polifunzionale L’Italia, paese saldamente legato
alla classicità, assiste tardi all’affermazione del
gotico. Solo nel secolo XIII qualche grande cattedrale, ad
imitazione di quelle francesi, incomincia a svettare in un
panorama cittadino caratterizzato dalla linea curva e
dall’arco a tutto sesto. Tradizionalmente si ritiene che
siano stati prima i cistercensi e poi i francescani, con
la Basilica del Santo, ad Assisi, ad introdurre presso di
noi lo stile dell’ogiva. In realtà, san Francesco – come
afferma lo Speculum perfectionis – prescriveva ai suoi di
«rifiutare i templi di grandi dimensioni e riccamente
ornati». Fu semmai il suo successore nel governo
dell’ordine, san Bonaventura, a imprimere anche
all’architettura quel senso di amore per il creato che
caratterizza la dottrina del fondatore. Un amore per il
creato che si esprime bene in chiese le cui selve di
colonne di pietra richiamano quelle vegetali, create dalla
mano paterna di Dio. Per tutto il Duecento assistiamo così
ad una fioritura di cattedrali gotiche italiane – a Siena,
a Firenze, ad Orvieto e poi più tardi anche a Milano, il
cui duomo risente comunque già di quello stile flamboyant,
fiammeggiante, che si rivela come una più marcata eredità
nordica – alla cui realizzazione spesso vengono chiamate
maestranze straniere. La cattedrale, anche in Italia,
mantiene quella sua caratteristica di ambiente
polifunzionale che fa di essa il centro non soltanto
religioso della vita cittadina. In primo luogo,
naturalmente, il duomo è deputato alle solenni funzioni
liturgiche. È lì che il vescovo ha la sua cattedra e lì
sono custodite le reliquie che richiamano, anche da assai
lontano, la devozione dei fedeli. Ma alla cattedrale non
mancano anche funzioni più strettamente civili. Grazie al
campanile, da cui si propaga ovunque la gran voce delle
campane, essa diffonde messaggi urgenti e chiama la
popolazione in assemblea. Ma la centralità della
cattedrale diventa anche per i cittadini un comodo spazio
di incontro e di scambio. Sotto gli archi a sesto acuto
accade di discutere di affari, sotto le finestre istoriate
si stipulano contratti e si assume manovalanza. Alcuni
documenti attestano addirittura l’utilizzazione del sacro
recinto per fiere di cavalli. A conferma di quanto fragili
fossero le transenne che, nell’Evo Medio, separavano, per
l’appunto, il sacro dal cosiddetto profano. Anche la
cultura non viene dimenticata. Spesso il transetto si
trasforma, infatti, in palcoscenico per rappresentazioni
di soggetto religioso, i cosiddetti misteri. La
cattedrale, insomma, svolge le funzioni del foro romano e
dell’agorà greca. Un luogo di incontro, un contenitore
chiuso, un monumento nel senso che in essa si conserva la
memoria della comunità.Ma trascureremmo un elemento
estremamente importante se non citassimo un’ulteriore
funzione che il tempio viene a svolgere tra i cittadini di
un centro urbano medioevale. Esso è anche infatti un
potente agente didascalico ed educativo. In secoli nei
quali l’analfabetismo è endemico, in cui l’unica forma di
istruzione è quella orale, la cattedrale si rivela, con le
finestre istoriate, con i frontoni animati da
bassorilievi, con i doccioni in pietra, una sorta di muta
enciclopedia, che si esprime tramite l’immagine. Non a
caso si è parlato a suo proposito di “Bibbia dei poveri”.
Attraverso un linguaggio accessibile a tutti, infatti, le
storie vetero e neotestamentarie sono rese di pubblica
fruizione. E questo, in un tempo, in cui, come si è visto,
tempo sacro e tempo profano venivano ad intersecarsi, non
era davvero poco.
Bibliografia: Angela
Cerinotti, Le cattedrali del mistero, Demetra, 1997.Roland
Bechmann, Le radici delle cattedrali, trad. it. di G.
Amoretti, Marietti, 1984. Jacques Le Goff, Gli
intellettuali nel Medioevo, trad. it. di C. Giardini,
Mondadori, 1979. Dominique Macaulay, La cattedrale, trad.
it di A. Dolci, Nuove Edizioni Romane, 1981.
da IL TIMONE -
Gennaio 2006 (pag. 22-24)
|