Cercare, adorare, cambiare strada
Siamo
venuti dall'oriente per adorare il re
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Cercare la verità ci è necessario, anzi
indispensabile - più dell'aria che respiriamo, più
dell'acqua che beviamo - ma è possibile? Dove trovare una
via sicura, rapida, efficace, che ci porti verso "la
verità tutta intera"?
Dobbiamo tornare al vangelo dei Magi: nel racconto di s.
Matteo emergono tre reazioni diverse all'annuncio della
nascita di Gesù: quella di Erode, quella dei sacerdoti, e
quella dei Magi.
1. La reazione di Erode è improntata allo sconcerto: il re
"si turba" e convoca subito una riunione dei responsabili
ufficiali della vita religiosa del paese: i membri
dell'aristocrazia sacerdotale di Gerusalemme, e gli
scribi, gli interpreti accreditati della legge. Ma
l'intenzione segreta di Erode non è quella di conoscere la
verità dei fatti, quanto piuttosto di ordire un inganno
per far fuori l'ennesimo pretendente al trono, e forse
stavolta un rivale invincibile e perciò il più temibile.
Questa intenzione viene allo scoperto nella
raccomandazione finale che Erode rivolge ai Magi, di
andare e poi tornare a riferirgli l'esatto domicilio di
questo millantato "re dei Giudei".
Erode rappresenta il "tipo" che ha già fatto la sua
scelta: non cerca sinceramente la verità, perché è
ostinatamente convinto di averla già trovata. È accecato
da quello che s. Agostino chiamava "l'amore di sé fino al
disprezzo di Dio". È stregato dall'idolo del potere che,
pur di indurlo a stroncare qualsiasi minaccia al suo
trono, porterà il sanguinario tiranno a ordinare la feroce
strage degli innocenti.
L'atteggiamento dei sacerdoti è quello degli "esperti"
delle Scritture: le conoscono a memoria e sanno dire
esattamente dove-come-quando deve essersi verificato
l'evento - a Betlemme, secondo gli antichi oracoli
profetici - ma loro non si muovono. Da gente che non
attendeva altro che la venuta del Messia, ci si doveva
aspettare che si precipitassero di corsa a Betlemme, e
invece restano comodamente installati nelle loro case o
pomposamente insediati sulle loro cattedre. Essi - diceva
s. Agostino - si comportano come le pietre miliari - oggi
noi diremmo, i cartelli stradali - indicano la strada, ma
restano attaccati al palo che li sorregge.
Quello dei sacerdoti e degli scribi di Gerusalemme è
l'atteggiamento di chi non cerca la verità, perché la
conosce già. Ma l'errore di fondo non è quello di
conoscerla, bensì quello di ridurla a un argomento da
insegnare ad altri, al massimo da discutere; non la
trattano come messaggio da vivere. È quanto avviene nella
vita di noi cristiani, quando riduciamo Cristo ad
argomento di cui parlare, a oggetto di discussione, più
che a persona che mi interpella, a soggetto che mi chiama
a rinunciare a tutto per seguirlo.
Non sono né la via del sapere "carnale", il sapere ridotto
a calcolo - rappresentato da Erode - e neanche quella del
sapere intellettuale, il sapere scambiato per informazione
ed erudizione - rappresentato dai sacerdoti e dagli scribi
- le vie che portano alla verità, ma la via della
stella, seguita dai Magi. Loro non ci hanno pensato
due volte a mettersi in cammino: hanno lasciato palazzi e
stanze dei bottoni, notorietà, comfort e, forse, anche
dolce vita, e hanno intrapreso un aspro cammino per andare
ad adorare il Bambino Gesù.
Perché quel Messia bambino è la Verità, la verità fatta
carne e sangue: fatta pane per la nostra fame d'amore,
fatta acqua per l'arsura dei nostri desideri infiniti,
fatta luce per la nostra rischiosa ricerca, fatta via per
il nostro incerto, e spesso penoso cammino.
2. Ma vediamo più da vicino che cosa significa cercare
Dio.
Come per i Magi, cercare Dio vuol dire camminare,
fissando gli abissi del cielo e sondando i crepacci del
cuore: occorre guardare in alto, guardare dentro, guardare
oltre... Adattando un proverbio cinese, si potrebbe dire:
"Se vuoi andare per la via diritta che porta a Cristo,
lega il tuo carro ad una stella". La stella è la parola di
Dio, come si legge nella stessa Scrittura, che si
autoaccredita come "lampada che brilla in un luogo oscuro,
finché non spunti il giorno e la stella del mattino
si levi nei nostri cuori" (1Pt 1,19).
Quando poi trovano il Messia-bambino, i Magi aprono gli
scrigni e gli offrono i loro doni. Conoscere Dio è
adorare, è ri-conoscerlo nella forma povera da lui
scelta per non schiacciarci con il peso della sua gloria:
e la povertà di Dio è sempre sconcertante, scandalosa! Di
fronte a quel piccolo bambino - apparentemente così uguale
a tanti altri - i Magi hanno fatto il salto della fede e
lo hanno adorato. Solo la fede permette di superare lo
scandalo della ragione, perché solo la fede permette di
arrivare alla conclusione giusta di fronte al presepe di
Betlem: "Umano così poteva essere solo Dio". E adorare si
traduce concretamente nel verbo "offrire". Ma cosa
possiamo offrire noi miseri all'Altissimo che non ha
bisogno di nulla? "Accogli, Signore, i nostri doni in
questo misterioso incontro tra la nostra povertà e la tua
grandezza: noi non ti offriamo oro, incenso e mirra, ma ti
doniamo le cose che tu stesso ci hai donato, e tu donaci
in cambio te stesso".
Offrire è "ri-donare" quanto si è ricevuto, ma il dono più
gradito a Dio è la nostra povertà. Come si racconta in una
delicata leggenda natalizia. Oltre i tre Magi, che, vista
la stella, si erano già messi in cammino, c'era un quarto
re, il quale si era dovuto attardare per poter preparare
il suo dono. Aveva venduto tutto e acquistato tre gemme
preziose: uno zaffiro, un rubino, un diamante e, montato
sul suo dromedario, si era messo finalmente in cammino. Ma
non ce la fece a raggiungere i primi tre, perché durante
il viaggio aveva dovuto soccorrere un uomo assalito dai
briganti e per pagare l'albergatore che si sarebbe preso
cura di lui, impegnò il suo zaffiro. Più avanti gli capitò
di incontrare un drappello di soldati che portavano a
vendere schiava una povera ragazza incatenata, e per
riscattarla, dette via il suo rubino. Finalmente arrivò a
Betlemme, ma trovò la città a ferro e fuoco: gli sgherri
di Erode stavano uccidendo tutti i bambini. Si avvicinò e
fu colpito da una povera mamma che tentava di strappare il
suo bambino dalle mani di un soldato. Impietositosi, diede
il suo diamante al soldato che, abbagliato dal suo
splendore, si lasciò sfuggire la povera donna con la sua
creatura. Più tardi, passando vicino a una baracca, fu
incuriosito dalla voce di una mamma che cantava una dolce
ninna-nanna. Entrò e trovò un uomo che stava preparando i
bagagli per fuggire in Egitto, e riconobbe Maria e il
Bambino in quella mamma e nel bambino, per la cui
liberazione aveva impegnato la sua ultima perla preziosa.
Allora crollò in ginocchio, perché non aveva più il suo
dono da offrire. Ma il Bambino tese le sue manine verso le
mani vuote del re e sorrise. Non avere più nulla da
offrire gli procurò la felicità: quella di prendere il
Bambino tra le sue braccia...
Infine - è il terzo messaggio dei Magi - cercare Dio è
cambiare strada.
I Magi non sono né turisti né vagabondi: hanno cercato,
hanno trovato. Poi "per un'altra strada fecero ritorno al
loro paese" e certamente non si saranno tenuti la cosa per
sé. Perché quando si è trovata la parola che cambia la
vita, allora la gioia straripa, proprio come avvenne per
loro che - racconta testualmente Matteo - "gioirono di una
gioia grande assai". La parola incontrata è incontenibile
e il minimo che si possa fare è passarla agli altri. Il
cristiano è un portavoce, un passa-parola.
Da tante parti sale il grido: dov'è il vostro Dio? Cosa
rispondi, tu fratello prete, tu monaca di clausura, tu
laico impegnato nel mondo: hai incontrato Dio? Dov'è la
sua casa, quale stella hai seguito? Dimmelo perché venga
anch'io ad adorarlo; diccelo perché vogliamo anche noi
fargli dono della nostra povera vita.
Credere amando, amare adorando, adorare donando, come i
santi Magi: non è forse qui il senso di tutto?
Commento di Mons. Francesco Lambiasi
tratto da "Il pane della Domenica. Meditazioni sui vangeli
festivi"
Ave, Roma 2007 |
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