Annuncio della fede
e “questione educativa”
“La fede non è
mai fuori dal corso caotico e convulso della
storia”. A ribadirlo è stato mons. Mariano
Crociata, segretario generale della Cei,
intervenendo il 17 giugno al convegno dell’Ufficio
catechistico della Cei, svoltosi a Reggio Calabria
sul tema: “La nostra lettera siete voi (2 Cor
3,2). Ascoltare le domande, comunicare il Vangelo,
condividere l’incontro con il Cristo”. “La
tentazione più grande - ha spiegato il vescovo -
non è quella di una fede senza la storia, che ha
il sapore dell’alienazione, ma di una storia
condotta e pensata staccata dalla fede, magari in
funzione di essa”. “In un mondo in uscita da Dio”,
la “tentazione” consiste cioè nel “guardare ciò
che sta accadendo senza riuscire a proiettarvi la
luce e il giudizio della fede. Come se solo dalle
dinamiche immanenti ai processi socio-religiosi
dovessero dipendere i criteri di comprensione e di
azione per rispondere ai problemi che la fede e la
Chiesa incontrano oggi”. Secondo mons. Crociata, è
questo “uno degli inevitabili conti da pagare al
processo di uscita da una mentalità da
cristianità, dalla abitudine mentale di molti,
nelle nostre realtà ecclesiali, a pensare e a
praticare il cristianesimo come l’unica religione
di tutti gli italiani”. Di qui il legame con la
questione educativa: “Il camino pastorale della
Chiesa italiana non può essere rappresentato come
la risposta ordinaria, abitudinaria, alle esigenze
della vita dei credenti e delle comunità
cristiane, ma piuttosto come lo sforzo di far
fronte ad un’emergenza, che oggi percepiamo
acutamente sul decisivo piano educativo”. Per
mons. Crociata, “non solo il processo di
umanizzazione e di maturazione umana, ma anche
l’azione pastorale della Chiesa si lega
costitutivamente” alla questione educativa, al
centro degli Orientamenti pastorali del prossimo
decennio, e “si intreccia con il cammino di
ricerca e di incontro con Dio”.
Ripartire
dall’essenziale.
“Bisogna ripartire dall’essenziale”, cioè dalla
“questione di Dio”, perché serve “un nuovo
inizio”, in un presente “minacciato dalla
dispersione, dall’oblio, dalla perdita”. Ne è
convinto mons. Crociata, secondo il quale “la
disarticolazione culturale ed etica del tempo
presente impone alla Chiesa un richiamo vitale
all’esigenza di riappropriarsi della visione
ordinaria dello scenario credente ed ecclesiale,
sia nella sua configurazione interna sia in vista
della sua iniziativa evangelizzatrice e
missionaria”. Gli Orientamenti pastorali della Cei
degli ultimi decenni intendono “salvaguardare il
carattere popolare della persistenza cristiana e
cattolica del nostro Paese e scongiurare velleità
variamente ritornanti a ripiegare dentro recinti
rigorosamente delimitati di appartenenze elette”,
ha ricordato il segretario generale. Altro rischio
da evitare, quello di “una religiosità diffusa di
sapore vagamente cristiano ma di un cristianesimo
ormai estenuato e inconsistente”.
“Qualità” e
“seconda conversione”.
Per mons. Crociata, senza la “qualità della nostra
fede e della nostra vita ecclesiale tutte le
attività pastorali non produrranno i frutti che
sono destinate a sollecitare e accompagnare perché
siano suscitati e generati”. Poiché oggi “non si
nasce cristiani, ma si può solo diventarlo, quello
della seconda conversione non è una questione che
riguardi soltanto quella categoria detta dei
ricomincianti, ma tocca innanzitutto i cosiddetti
praticanti, tocca tutti”. “Assicurare una qualità
sempre più curata delle cose essenziali della vita
cristiana per l’esistenza di una comunità
ecclesiale, l’ascolto della Parola nelle forme più
varie ed adeguate, dalla lectio divina alla
catechesi sistematica fino ai corsi di teologia,
la celebrazione come centro vivo del tempo della
comunità, le relazioni personali plasmate da uno
stile evangelico e aperte oltre i confini del
recinto ecclesiale”. È questo il “nodo decisivo
non solo di una ordinaria azione pastorale, ma
anche di ogni iniziativa missionaria”, da tradurre
nel vissuto quotidiano delle nostre parrocchie.
Ciò che serve, in altre parole, è uno “stile”
ecclesiale “affettivamente intenso e
comunitariamente ordinato”, una “cura della
oggettività ecclesiale” che “consente di guardare
con vero spirito missionario quanti si avvicinano
o possono essere accostati e raggiunti
sistematicamente o occasionalmente dalle nostre
comunità ecclesiali”.
Lo “sguardo
positivo” del credente.
“Lo sguardo del credente su colui che si professa
non credente, o si mostra estraneo e indifferente,
è uno sguardo positivo, improntato alla speranza,
motivato dalla certezza di fede che Dio è
all’opera nel cuore dell’altro”. Per mons.
Crociata, “solo un cercatore di Dio può
accompagnarne un altro”. Di qui l’attenzione da
riservare alla “soggettività personale”, che per
chi crede comporta “uno sguardo positivo nei
confronti delle possibilità della soggettività e
della libertà. E comporta anche la considerazione
nuova di tutte le dimensioni dell’umano, che
scaturiscono dal nuovo protagonismo della
soggettività e che promettono una partecipazione
personale crescente, anche nel rapporto con Dio”,
grazie al “nuovo rilievo” che assumono oggi,
“accanto alla razionalità e alla volontà libera,
l’affettività, le emozioni, la fantasia, la stessa
corporeità”. “Ascolto e dialogo”, in questa
prospettiva, “si intrecciano con tutte le
dimensioni della vita”, e la relazione personale
acquista “un carattere decisivo”.
Sir – 19 giugno
2009
Leggi l’intervento integrale
di mons. Mariano Crociata:
intervento-mons-crociata-convegno-ucd.pdf
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