Dominum
et vivificantem
Sullo Spirito Santo nella vita
della Chiesa e del mondo
Ioannes Paulus PP. II
Introduzione
Venerati Fratelli, carissimi
Figli e Figlie,
salute e Apostolica Benedizione!
1. La Chiesa professa la sua
fede nello Spirito Santo come in
colui «che è Signore e dà la
vita». Così essa professa nel
Simbolo di Fede, detto
niceno-costantinopolitano dal
nome dei due Concili - di Nicea (a.
325) e di Costantinopoli (a.
381) -, nei quali fu formulato o
promulgato. Ivi si aggiunge
anche che lo Spirito Santo «ha
parlato per mezzo dei profeti».
Sono parole che la Chiesa riceve
dalla fonte stessa della sua
fede, Gesù Cristo. Difatti,
secondo il Vangelo di Giovanni,
lo Spirito Santo è donato a noi
con la nuova vita, come annuncia
e promette Gesù il grande giorno
della festa dei Tabernacoli:
«Chi ha sete venga a me, e beva
chi crede in me. Come dice la
Scrittura, fiumi di acqua viva
sgorgheranno dal suo seno». E
l'evangelista spiega: «Questo
egli disse riferendosi allo
Spirito, che avrebbero ricevuto
i credenti in lui».
È la stessa similitudine
dell'acqua usata da Gesù nel
colloquio con la Samaritana,
quando parla della «sorgente di
acqua che zampilla per la vita
eterna» e nel colloquio con
Nicodemo, quando annuncia la
necessità di una nuova nascita
«dall'acqua e dallo Spirito» per
«entrare nel Regno di Dio». La
Chiesa, pertanto, istruita dalla
parola di Cristo, attingendo
all'esperienza della Pentecoste ed
alla propria storia apostolica,
proclama sin dall'inizio la sua
fede nello Spirito Santo come in
colui che dà la vita, colui nel
quale l'imperscrutabile Dio uno e
trino si comunica agli uomini
costituendo in essi la sorgente
della vita eterna.
2. Questa fede, professata
ininterrottamente dalla Chiesa,
deve essere sempre ravvivata ed
approfondita nella coscienza del
Popolo di Dio. Nell'ultimo secolo
ciò è avvenuto più volte: da Leone
XIII, che pubblicò l'Epistola
Enciclica Divinum illud munus (a.
1897), interamente dedicata allo
Spirito Santo, a Pio XII, che
nella Lettera Enciclica Mystici
Corporis (a. 1943) si richiamò
allo Spirito Santo come a
principio vitale della Chiesa,
nella quale opera unitamente al
capo del Corpo Mistico, Cristo; al
Concilio Ecumenico Vaticano II,
che ha fatto sentire il bisogno di
una rinnovata attenzione alla
dottrina sullo Spirito Santo, come
sottolineava Paolo VI «Alla
cristologia e specialmente
all'ecclesiologia del Concilio
deve succedere uno studio nuovo ed
un culto nuovo sullo Spirito
Santo, proprio come complemento
immancabile all'insegnamento
conciliare». Nella nostra epoca,
dunque, siamo nuovamente chiamati
dalla sempre antica e sempre nuova
fede della Chiesa ad avvicinarci
allo Spirito Santo come a colui
che dà la vita. Ci viene qui in
aiuto e ci è di sprone anche la
comune eredità con le Chiese
orientali le quali hanno
gelosamente custodito le
straordinarie ricchezze
dell'insegnamento dei Padri
intorno allo Spirito Santo. Anche
per questo possiamo dire che uno
dei più importanti eventi
ecclesiali degli ultimi anni è
stato il XVI centenario del I
Concilio di Costantinopoli,
celebrato contemporaneamente a
Costantinopoli ed a Roma nella
solennità della Pentecoste del
1981. Lo Spirito Santo è meglio
apparso allora, grazie alla
meditazione sul mistero della
Chiesa, come colui che indica le
vie che portano all'unione dei
cristiani, anzi come la fonte
suprema di questa unità, che
proviene da Dio stesso ed alla
quale san Paolo ha dato
un'espressione particolare con le
parole con cui non di rado inizia
la liturgia eucaristica: «La
grazia del Signore nostro Gesù
Cristo, l'amore di Dio Padre e la
comunione dello Spirito Santo sia
con tutti voi». Da questa
esortazione hanno preso, in un
certo senso avvio e ispirazione le
precedenti Encicliche Redemptor
homonis e Dives in misericordia,
le quali celebrano l'evento della
nostra salvezza compiutosi nel
Figlio, mandato dal Padre nel
mondo, «perché il mondo si salvi
per mezzo di lui» e «ogni lingua
confessi che Gesù Cristo è il
Signore a gloria di Dio Padre». Da
questa stessa esortazione nasce
ora la presente Enciclica sullo
Spirito Santo, che procede dal
Padre e dal Figlio e con il Padre
e il Figlio è adorato e
glorificato: Persona divina, egli
è al cuore stesso della fede
cristiana ed è la sorgente e la
forza dinamica del rinnovamento
della Chiesa. Essa è stata attinta
dal profondo dell'eredità del
Concilio. I testi conciliari,
infatti, grazie al loro
insegnamento sulla Chiesa in sé e
sulla Chiesa nel mondo, ci
stimolano a penetrare sempre più
nel mistero trinitario di Dio
stesso, seguendo l'itinerario
evangelico, patristico e
liturgico: al Padre - per Cristo -
nello Spirito Santo. In tal modo
la Chiesa risponde anche a certe
istanze profonde, che ritiene di
leggere nel cuore degli uomini
d'oggi: una nuova scoperta di Dio
nella sua trascendente realtà di
Spirito infinito, come lo presenta
Gesù alla Samaritana; il bisogno
di adorarlo «in spirito e verità»
la speranza di trovare in lui il
segreto dell'amore e la forza di
una «nuova creazione» sì, proprio
colui che dà la vita. Ad una tale
missione di annunciare lo Spirito
la Chiesa si sente chiamata,
mentre insieme con la famiglia
umana si avvicina al termine del
secondo Millennio dopo Cristo.
Sullo sfondo di un cielo e di una
terra che «passano», essa sa bene
che acquistano una particolare
eloquenza le «parole che non
passeranno». Sono le parole di
Cristo sullo Spirito Santo,
sorgente inesauribile dell'«acqua
che zampilla per la vita eterna»,
quale verità e grazia salvatrice.
Su queste parole essa vuol
riflettere, a queste parole vuol
richiamare i credenti e tutti gli
uomini, mentre si prepara a
celebrare - come si dirà più
avanti - il grande Giubileo che
segnerà il passaggio dal secondo
al terzo Millennio cristiano.
Naturalmente, le considerazioni
che seguono non intendono
esplorare compiutamente la
ricchissima dottrina sullo Spirito
Santo, né privilegiare una qualche
soluzione di questioni ancora
aperte. Esse hanno lo scopo
precipuo di sviluppare nella
Chiesa la coscienza che «è spinta
dallo Spirito Santo a cooperare,
perché sia portato a compimento il
disegno di Dio, il quale ha
costituito Cristo principio di
salvezza per il mondo intero».
I - Lo spirito del Padre e del
Figlio, dato alla Chiesa
1. Promessa e rivelazione di
Gesù turante la Cena pasquale
3. Quando era ormai imminente per
Gesù Cristo il tempo di lasciare
questo mondo, egli annunciò agli
apostoli «un altro consolatore».
L'evangelista Giovanni, che era
presente, scrive che, durante la
Cena pasquale precedente il giorno
della sua passione e morte, Gesù
si rivolse a loro con queste
parole: «Qualunque cosa chiederete
nel nome mio, io la farò, perché
il Padre sia glorificato nel
Figlio... Io pregherò il Padre, ed
egli vi darà un altro consolatore,
perché rimanga con voi sempre, lo
Spirito di verità». Proprio questo
Spirito di verità, Gesù chiama
Paraclito - e parákletos vuol dire
«consolatore», e anche
«intercessore», o «avvocato». E
dice che è «un altro» consolatore,
il secondo, perché egli stesso,
Gesù, è il primo consolatore,
essendo il primo portatore e
donatore della Buona Novella. Lo
Spirito Santo viene dopo di lui e
grazie a lui, per continuare nel
mondo, mediante la Chiesa, l'opera
della Buona Novella di salvezza.
Di questa continuazione della sua
opera da parte dello Spirito Santo
Gesù parla più di una volta
durante lo stesso discorso di
addio, preparando gli apostoli,
riuniti nel Cenacolo, alla sua
dipartita, cioè alla sua passione
e morte in Croce. Le parole, alle
quali faremo qui riferimento, si
trovano nel Vangelo di Giovanni,
Ognuna di esse aggiunge un certo
contenuto nuovo a quell'annuncio e
a quella promessa. Al tempo
stesso, esse sono intrecciate
intimamente tra di loro non solo
dalla prospettiva dei medesimi
eventi, ma anche dalla prospettiva
del mistero del Padre, del Figlio
e dello Spirito Santo, che forse
in nessun passo della Sacra
Scrittura trova un'espressione
così rilevata come qui.
4. Poco dopo l'annuncio
surriferito Gesù aggiunge: «Ma il
consolatore, lo Spirito Santo, che
il Padre manderà nel mio nome,
egli vi insegnerà ogni cosa e vi
ricorderà tutto ciò che vi ho
detto». Lo Spirito Santo sarà il
consolatore degli apostoli e della
Chiesa, sempre presente in mezzo a
loro - anche se invisibile - come
maestro della medesima Buona
Novella che Cristo annunciò.
Quell'«insegnerà» e «ricorderà»
significa non solo che egli, nel
modo a lui proprio, continuerà ad
ispirare la divulgazione del
Vangelo di salvezza, ma anche che
aiuterà a comprendere il giusto
significato del contenuto del
messaggio di Cristo; che ne
assicurerà la continuità ed
identità di comprensione in mezzo
alle mutevoli condizioni e
circostanze. Lo Spirito Santo,
dunque, farà sì che nella Chiesa
perduri sempre la stessa verità,
che gli apostoli hanno udito dal
loro Maestro.
5. Nel trasmettere la Buona
Novella, gli apostoli saranno
associati in modo speciale allo
Spirito Santo. Ecco come continua
a parlare Gesù: «Quando verrà il
consolatore, che io vi manderò dal
Padre, lo Spirito di verità che
procede dal Padre, egli mi renderà
testimonianza; e anche voi mi
renderete testimonianza, perché
siete stati con me fin dal
principio». Gli apostoli sono
stati i testimoni diretti,
oculari. Essi «hanno udito» e
«hanno veduto con i propri occhi»,
«hanno guardato» e perfino
«toccato con le proprie mani»
Cristo, come si esprime in un
altro passo lo stesso evangelista
Giovanni. Questa loro umana,
oculare e «storica» testimonianza
su Cristo si collega alla
testimonianza dello Spirito Santo:
«Egli mi renderà testimonianza».
Nella testimonianza dello Spirito
di verità l'umana testimonianza
degli apostoli troverà il supremo
sostegno. E in seguito vi troverà
anche l'interiore fondamento della
sua continuazione tra le
generazioni dei discepoli e dei
confessori di Cristo, che si
susseguiranno nei secoli. Se la
suprema e più completa rivelazione
di Dio all'umanità è Gesù Cristo
stesso, la testimonianza dello
Spirito ne ispira, garantisce e
convalida la fedele trasmissione
nella predicazione e negli scritti
apostolici, mentre la
testimonianza degli apostoli ne
assicura l'espressione umana nella
Chiesa e nella storia
dell'umanità.
6. Ciò si rileva anche dalla
stretta correlazione di contenuto
e di intenzione con l'annuncio e
la promessa appena menzionata, che
si trova nelle parole successive
del testo di Giovanni: «Molte cose
ho ancora da dirvi, ma per il
momento non siete capaci di
portarne il peso. Quando però
verrà lo Spirito di verità, egli
vi guiderà alla verità tutta
intera; perché non parlerà da sé,
ma dirà tutto ciò che avrà udito e
vi annuncerà le cose future».
Nelle precedenti parole Gesù
presenta il consolatore, lo
Spirito di verità, come colui che
«insegnerà» e «ricorderà», come
colui che gli arenderà
testimonianza»; ora dice: «Egli vi
guiderà alla verità tutta intera».
Questo «guidare alla verità tutta
intera», in riferimento a ciò di
cui gli apostoli «per il momento
non sono capaci di portare il
peso», è in necessario
collegamento con lo spogliamento
di Cristo per mezzo della passione
e morte di Croce, che allora,
quando pronunciava queste parole,
era ormai imminente. In seguito,
tuttavia, diventa chiaro che quel
«guidare alla verità tutta intera»
si ricollega, oltre che allo
scandalum Crucis, anche a tutto
ciò che Cristo «fece ed insegnò».
Infatti, il mysterium Christi
nella sua globalità esige la fede,
poiché è questa che introduce
opportunamente l'uomo nella realtà
del mistero rivelato. Il «guidare
alla verità tutta intera» si
realizza, dunque, nella fede e
mediante la fede: il che è opera
dello Spirito di verità ed è
frutto della sua azione nell'uomo.
Lo Spirito Santo deve essere in
questo la suprema guida dell'uomo,
la luce dello spirito umano. Ciò
vale per gli apostoli, testimoni
oculari, che devono ormai portare
a tutti gli uomini l'annuncio di
ciò che Cristo «fece ed insegnò»
e, specialmente, della sua Croce e
della sua Risurrezione. In una
prospettiva più lontana ciò vale
anche per tutte le generazioni dei
discepoli e dei confessori del
Maestro, poiché dovranno accettare
con fede e confessare con
franchezza il mistero di Dio
operante nella storia dell'uomo,
il mistero rivelato che di tale
storia spiega il senso definitivo.
7. Tra lo Spirito Santo e Cristo
sussiste, dunque, nell'economia
della salvezza, un intimo legame,
per il quale lo Spirito opera
nella storia dell'uomo come «un
altro consolatore», assicurando in
maniera duratura la trasmissione e
l'irradiazione della Buona
Novella, rivelata da Gesù di
Nazareth. Perciò, nello Spirito
Santo Paraclito, che nel mistero e
nell'azione della Chiesa continua
incessantemente la presenza
storica del Redentore sulla terra
e la sua opera salvifica,
risplende la gloria di Cristo,
come attestano le successive
parole di Giovanni: «Egli (cioè lo
Spirito) mi glorificherà, perché
prenderà del mio e ve
l'annuncerà». Con queste parole
viene ancora una volta confermato
tutto ciò che dicevano gli
enunciati precedenti:
«Insegnerà..., ricorderà...,
renderà testimonianza». La suprema
e completa autorivelazione di Dio,
compiutasi in Cristo, testimoniata
dalla predicazione degli apostoli,
continua a manifestarsi nella
Chiesa mediante la missione
dell'invisibile consolatore, lo
Spirito di verità. Quanto
intimamente questa missione sia
collegata con la missione di
Cristo, quanto pienamente essa
attinga a questa missione di
Cristo, consolidando e sviluppando
nella storia i suoi frutti
salvifici, è espresso dal verbo
«prendere»: «Prenderà del mio e ve
l'annuncerà». Quasi a spiegare la
parola «prenderà», mettendo in
chiara evidenza l'unità divina e
trinitaria della fonte, Gesù
aggiunge: «Tutto quello che il
Padre possiede è mio; per questo,
ho detto che prenderà del mio e ve
l'annuncerà». Prendendo del «mio»,
per ciò stesso egli attingerà a
«quello che è del Padre». Alla
luce di quel «prenderà», dunque,
si possono spiegare ancora le
altre parole sullo Spirito Santo,
pronunciate da Gesù nel Cenacolo
prima della Pasqua, parole
significative: «È bene per voi che
io me ne vada, perché, se non me
ne vado, non verrà a voi il
consolatore; ma quando me ne sarò
andato, ve lo manderò. E quando
sarà venuto, egli convincerà il
mondo quanto al peccato, alla
giustizia e al giudizio».
Occorrerà ritornare ancora su
queste parole con una riflessione
a parte.
2. Padre, Figlio e Spirito
Santo
8. Caratteristica del testo
giovanneo è che il Padre, il
Figlio e lo Spirito Santo vengono
nominati chiaramente come Persone,
la prima distinta dalla seconda e
dalla terza, e anche queste tra di
loro. Gesù parla dello Spirito
consolatore, usando più volte il
pronome personale «egli» e, al
tempo stesso, in tutto il discorso
di addio, svela quei legami che
uniscono reciprocamente il Padre,
il Figlio e il Paraclito.
Pertanto, «lo Spirito... procede
dal Padre» e il Padre «dà» lo
Spirito. Il Padre «manda» lo
Spirito nel nome del Figlio, lo
Spirito «rende testimonianza» al
Figlio. Il Figlio chiede al Padre
di mandare lo Spirito consolatore,
ma afferma e promette, altresì, in
relazione alla sua «dipartita»
mediante la Croce: «Quando me ne
sarò andato, ve lo manderò».
Dunque il Padre manda lo Spirito
Santo nella potenza della sua
paternità, come ha mandato il
Figlio. ma, al tempo stesso, lo
manda nella potenza della
redenzione compiuta da Cristo - e
in questo senso lo Spirito Santo
viene mandato anche dal Figlio:
«Ve lo manderò». Bisogna qui
notare che, se tutte le altre
promesse fatte nel Cenacolo
annunciavano la venuta dello
Spirito Santo dopo la partenza di
Cristo, quella contenuta nel testo
di Giovanni 16, 7 s. include e
sottolinea chiaramente anche il
rapporto di interdipendenza, che
si direbbe causale tra la
manifestazione dell'uno e
dell'altro: «Quando me ne sarò
andato, ve lo manderò». Lo Spirito
Santo verrà, in quanto Cristo se
ne andrà mediante la Croce: verrà
non solo in seguito, ma a causa
della redenzione compiuta da
Cristo, per volontà ed opera del
Padre.
9. Così nel discorso pasquale di
addio si tocca - possiamo dire -
l'apice della rivelazione
trinitaria. Al tempo stesso, ci
troviamo sulla soglia di eventi
definitivi e di parole supreme,
che alla fine si tradurranno nel
grande mandato missionario,
rivolto agli apostoli e, per loro
mezzo, alla Chiesa: «Andate,
dunque, e ammaestrate tutte le
nazioni», mandato che contiene, in
certo senso, la formula trinitaria
del battesimo: «Battezzandole nel
nome del Padre e del Figlio e
dello Spirito Santo». La formula
rispecchia l'intimo mistero di
Dio, della vita divina che è il
Padre, il Figlio e lo Spirito
Santo, divina unità della Trinità.
Si può leggere il discorso di
addio come una speciale
preparazione a questa formula
trinitaria, nella quale si esprime
la potenza vivificante del
Sacramento, che opera la
partecipazione alla vita di Dio
uno e trino, perché dà la grazia
santificante come dono
soprannaturale all'uomo. Per mezzo
di essa questi viene chiamato e
reso «capace» di partecipare
all'imperscrutabile vita di Dio.
10. Nella sua vita intima Dio «è
amore», amore essenziale, comune
alle tre divine Persone: amore
personale è lo Spirito Santo, come
Spirito del Padre e del Figlio.
Per questo, egli «scruta le
profondità di Dio», come
amore-dono increato. Si può dire
che nello Spirito Santo la vita
intima del Dio uno e trino si fa
tutta dono, scambio di reciproco
amore tra le divine Persone, e che
per lo Spirito Santo Dio «esiste»
a modo di dono. È lo Spirito Santo
l'espressione personale di un tale
donarsi, di questo essere-amore. È
Persona-amore. È Persona-dono.
Abbiamo qui una ricchezza
insondabile della realtà e un
approfondimento ineffabile del
concetto di persona in Dio, che
solo la Rivelazione ci fa
conoscere. Al tempo stesso, lo
Spirito Santo, in quanto
consostanziale al Padre e al
Figlio nella divinità, è amore e
dono (increato), da cui deriva
come da fonte (fons vivus) ogni
elargizione nei riguardi delle
creature (dono creato): la
donazione dell'esistenza a tutte
le cose mediante la creazione. la
donazione della grazia agli uomini
mediante l'intera economia della
salvezza. Come scrive l'apostolo
Paolo: «L'amore di Dio è stato
riversato nei nostri cuori per
mezzo dello Spirito Santo, che ci
è stato dato».
3. Il donarsi salvifico di Dio
nello Spirito Santo
11. Il discorso di addio di Cristo
durante la Cena pasquale è in
particolare riferimento a questo
«donare» e «donarsi» dello Spirito
Santo. Nel Vangelo di Giovanni si
svela quasi la «logica» più
profonda del mistero salvifico
contenuto nell'eterno disegno di
Dio, come espansione
dell'ineffabile comunione del
Padre, del Figlio e dello Spirito
Santo. È la «logica» divina, che
dal mistero della Trinità porta al
mistero della redenzione del mondo
in Gesù Cristo. La redenzione
compiuta dal Figlio nelle
dimensioni della storia terrena
dell'uomo - compiuta nella sua
«dipartita» per mezzo della Croce
e della Risurrezione - viene, al
tempo stesso, nella sua intera
potenza salvifica, trasmessa allo
Spirito Santo colui che «prenderà
del mio». Le parole del testo
giovanneo indicano che, secondo il
disegno divino, la «dipartita» di
Cristo è condizione indispensabile
dell'«invio» e della venuta dello
Spirito Santo, ma dicono anche che
allora comincia la nuova
comunicazione salvifica di Dio
nello Spirito Santo.
12. È un nuovo inizio in rapporto
al primo, originario inizio del
donarsi salvifico di Dio, che si
identifica con lo stesso mistero
della creazione. Ecco che cosa
leggiamo già nelle prime parole
del Libro della Genesi: «In
principio Dio creò il cielo e la
terra..., e lo spirito di Dio (ruah
Elohim) aleggiava sulle acque».
Questo concetto biblico di
creazione comporta non solo la
chiamata all'esistenza dell'essere
stesso del cosmo, cioè il donare
l'esistenza, ma anche la presenza
dello Spirito di Dio nella
creazione, cioè l'inizio del
comunicarsi salvifico di Dio alle
cose che crea. Il che vale prima
di tutto per l'uomo il quale è
stato creato ad immagine e
somiglianza di Dio: «Facciamo
l'uomo a nostra immagine, a nostra
somiglianza». «Facciamo»: si può
ritenere che il plurale, che il
Creatore qui usa parlando di sé,
suggerisca già in qualche modo il
mistero trinitario, la presenza
della Trinità nell'opera della
creazione dell'uomo? Il lettore
cristiano che conosce già la
rivelazione di questo mistero, può
scoprirne il riflesso anche in
quelle parole. In ogni caso, il
contesto del Libro della Genesi ci
permette di vedere nella creazione
dell'uomo il primo inizio del
donarsi salvifico di Dio a misura
dell'«immagine e somiglianza» di
sé, da Lui concessa all'uomo.
13. Sembra, dunque che anche le
parole pronunciate da Gesù nel
discorso di addio debbano essere
rilette in riferimento a quell'«inizio»
così lontano, ma fondamentale, che
conosciamo dalla Genesi «Se non me
ne vado non verrà a voi il
consolatore; ma, quando me ne sarò
andato, ve lo manderò».
Descrivendo la sua «dipartita»
come condizione della «venuta» del
consolatore, Cristo collega il
nuovo inizio della comunicazione
salvifica di Dio nello Spirito
Santo al mistero della redenzione.
Questo è un nuovo inizio, prima di
tutto perché tra il primo inizio e
tutta la storia dell'uomo -
cominciando dalla caduta originale
- si è frapposto il peccato, che è
contraddizione alla presenza dello
Spirito di Dio nella creazione ed
è, soprattutto, contraddizione
alla comunicazione salifica di Dio
all'uomo. Scrive san Paolo che,
proprio a causa del peccato, «la
creazione... è stata sottomessa
alla caducità..., geme e soffre
fino ad oggi nelle doglie del
parto» e «attende con impazienza
la rivelazione dei figli di Dio».
14. Perciò, Gesù Cristo dice nel
Cenacolo: «È bene per voi che io
me ne vada». «Quando me ne sarò
andato, ve lo manderò». La
«dipartita» di Cristo mediante la
Croce ha la potenza della
redenzione - e ciò significa anche
una nuova presenza dello Spirito
di Dio nella creazione: il nuovo
inizio del comunicarsi di Dio
all'uomo nello Spirito Santo. «E
che voi siete figli ne è prova il
fatto che Dio ha mandato nei
nostri cuori lo Spirito del suo
Figlio, che grida: Abbà, Padre!»:
scrive l'apostolo Paolo nella
Lettera ai Galati. Lo Spirito
Santo è lo Spirito del Padre, come
testimoniano le parole del
discorso di addio nel Cenacolo.
Egli è, al tempo stesso, lo
Spirito del Figlio: è lo Spirito
di Gesù Cristo, come
testimonieranno gli apostoli e, in
particolare, Paolo di Tarso.
Nell'invio di questo Spirito «nei
nostri cuori» inizia a compiersi
ciò che «la creazione stessa
attende con impazienza», come
leggiamo nella Lettera ai Romani.
Lo Spirito Santo viene a prezzo
della «dipartita» di Cristo. Se
tale «dipartita» ha causato la
tristezza degli apostoli, e questa
doveva raggiungere il suo culmine
nella passione e nella morte del
Venerdì Santo, a sua volta «questa
afflizione si cambierà in gioia».
Cristo, infatti, inserirà nella
sua «dipartita» redentrice la
gloria della risurrezione e
dell'ascensione al Padre.
Pertanto, la tristezza, attraverso
la quale traspare la gioia, è la
parte che tocca agli apostoli nel
quadro della «dipartita» del loro
Maestro, una dipartita «benefica»,
perché grazie ad essa un altro
«consolatore» sarebbe venuto. A
prezzo della Croce, operatrice
della redenzione, nella potenza di
tutto il mistero pasquale di Gesù
Cristo, lo Spirito Santo viene per
rimanere sin dal giorno della
Pentecoste con gli apostoli, per
rimanere con la Chiesa e nella
Chiesa e, mediante essa, nel
mondo. In questo modo si realizza
definitivamente quel nuovo inizio
della comunicazione del Dio uno e
trino nello Spirito Santo per
opera di Gesù Cristo, Redentore
dell'uomo e del mondo.
4. Il Messia, unto con lo
Spirito Santo
15. Si realizza anche fino in
fondo la missione del Messia, cioè
di colui che ha ricevuto la
pienezza dello Spirito Santo per
il Popolo eletto di Dio e per
l'umanità intera. Letteralmente
«Messia» significa «Cristo», cioè
«unto» e, nella storia della
salvezza, significa «unto con lo
Spirito Santo». Tale era la
tradizione profetica dell'Antico
Testamento. Seguendola, Simon
Pietro dirà nella casa di
Cornelio: «Voi conoscete ciò che è
accaduto in tutta la Giudea...
dopo il battesimo predicato da
Giovanni; cioè, come Dio consacrò
in Spirito Santo e potenza Gesù di
Nazareth». Da queste parole di
Pietro e da molte altre simili
occorre risalire prima di tutto
alla profezia di Isaia, chiamata a
volte «il quinto Vangelo» oppure
«il Vangelo dell'Antico
Testamento». Alludendo alla venuta
di un personaggio misterioso, che
la rivelazione neotestamentaria
identificherà con Gesù, Isaia ne
collega la persona e la missione
con una speciale azione dello
Spirito di Dio Spirito del
Signore. Ecco le parole del
Profeta:
«Un germoglio spunterà dal tronco
di Iesse,
un virgulto germoglierà dalle sue
radici.
Su di lui si poserà lo spirito del
Signore,
spirito di sapienza e di
intelligenza,
spirito di consiglio e di
fortezza,
spirito di conoscenza e di timore
del Signore.
Si compiacerà del timore del
Signore».
Questo testo è importante per
l'intera pneumatologia dell'Antico
Testamento, perché costituisce
quasi un ponte tra l'antico
concetto biblico dello «spirito»,
inteso prima di tutto come «soffio
carismatico», e lo «Spirito» come
persona e come dono, dono per la
persona. Il Messia della stirpe di
Davide («dal tronco di Iesse») è
proprio quella persona, sulla
quale «si poserà» lo Spirito del
Signore. È ovvio che in questo
caso non si può ancora parlare
della rivelazione del Paraclito:
tuttavia, con quell'accenno velato
alla figura del futuro Messia si
apre, per cosi dire, la via sulla
quale vien preparata la piena
rivelazione dello Spirito Santo
nell'unità del mistero trinitario,
che si manifesterà infine nella
Nuova Alleanza.
16. Proprio il Messia stesso è
questa via. Nell'Antica Alleanza
l'unzione era divenuta il simbolo
esterno del dono dello Spirito. Il
Messia, ben più di ogni altro
personaggio unto nell'Antica
Alleanza, è quell'unico grande
Unto da Dio stesso. È l'Unto nel
senso che possiede la pienezza
dello Spirito di Dio. Egli stesso
sarà anche il mediatore nel
concedere questo Spirito
all'intero Popolo. Ecco, infatti,
altre parole del Profeta:
«Lo Spirito del Signore Dio è su
di me,
perché il Signore mi ha consacrato
con l'unzione;
mi ha mandato a portare il lieto
annuncio ai poveri,
a fasciare le piaghe dei cuori
spezzati,
a proclamare la libertà degli
schiavi,
la scarcerazione dei prigionieri,
a promulgare l'anno di
misericordia del Signore».
L'Unto è anche mandato «con lo
Spirito del Signore»:
«Ora il Signore Dio ha mandato me
insieme col suo spirito». (Is
48,16)
Secondo il Libro di Isaia l'Unto e
l'Inviato insieme con lo Spirito
del Signore è anche l'eletto Servo
del Signore, sul quale si posa lo
Spirito di Dio:
«Ecco il mio servo che io
sostengo,
il mio eletto in cui mi
compiaccio;
ho posto il mio spirito su di
lui».
Si sa che il Servo del Signore è
rivelato nel Libro di Isaia come
il vero uomo dei dolori: il Messia
sofferente per i peccati del
mondo. Ed insieme egli è proprio
colui la cui missione porterà per
l'intera umanità veri frutti di
salvezza:
«Egli porterà il diritto alle
nazioni...». e diventerà
«l'alleanza del popolo e luce
delle nazioni...»; «perché porti
la mia salvezza fino all'estremità
della terra».
Poiché:
«Il mio spirito, che è sopra di
te, e le parole, che ti ho messo
in bocca, non si allontaneranno
dalla tua bocca né dalla bocca
della tua discendenza né dalla
bocca dei discendenti, dice il
Signore, ora e sempre».
I testi profetici, qui riportati,
devono essere letti da noi alla
luce del Vangelo - come, a sua
volta, il Nuovo Testamento
acquista una particolare
chiarificazione dalla mirabile
luce contenuta in questi testi
vetero-testamentari. Il profeta
presenta il Messia come colui che
viene nello Spirito Santo, come
colui che possiede la pienezza di
questo Spirito in se e, al tempo
stesso, per gli altri per Israele,
per tutte le nazioni, per tutta
l'umanità. La pienezza dello
Spirito di Dio viene accompagnata
da molteplici doni, i beni della
salvezza, destinati in modo
particolare ai poveri e ai
sofferenti, a tutti coloro che a
questi doni aprono i loro cuori -
a volte mediante le dolorose
esperienze della propria
esistenza, ma, prima di tutto, con
quella disponibilità interiore che
viene dalla fede. Ciò intuiva il
vecchio Simeone, «uomo giusto e
pio», sul quale «era lo Spirito
Santo», al momento della
presentazione di Gesù al Tempio,
quando scorgeva in lui la
«salvezza preparata dinanzi a
tutti i popoli» a prezzo della
grande sofferenza - la Croce -,
che avrebbe dovuto abbracciare
insieme con sua Madre. Ciò intuiva
ancor meglio la Vergine Maria, che
«aveva concepito di Spirito
Santo», quando meditava in cuor
suo sopra i «misteri» del Messia,
a cui era associata.
17. Occorre quindi sottolineare
che chiaramente lo «spirito del
Signore», che «si posa» sul futuro
Messia, è, anzitutto, un dono di
Dio per la persona di quel Servo
del Signore. Ma costui non è una
persona isolata e a sé stante,
perché opera per volontà del
Signore, in forza della sua
decisione o scelta. Anche se alla
luce dei testi di Isaia l'operare
salvifico del Messia, Servo del
Signore, include l'azione dello
Spirito che si svolge mediante lui
stesso, tuttavia nel contesto
veterotestamentario non è
suggerita la distinzione dei
soggetti, o delle Persone divine,
quali sussistono nel mistero
trinitario e sono poi rivelate nel
Nuovo Testamento. Sia in Isaia sia
in tutto l'Antico Testamento la
personalità dello Spirito Santo è
completamente nascosta: nascosta
nella rivelazione dell'unico Dio,
come anche nell'annuncio del
futuro Messia.
18. Gesù Cristo si richiamerà a
questo annuncio, contenuto nelle
parole di Isaia, all'inizio della
sua attività messianica. Ciò
avverrà nella stessa Nazareth,
nella quale aveva trascorso trent'anni
di vita nella casa di Giuseppe, il
carpentiere, accanto a Maria, sua
Madre vergine. Quando ebbe
occasione di prendere la parola
nella Sinagoga, aperto il Libro di
Isaia, egli trovò il passo in cui
era scritto: «Lo spirito del
Signore è sopra di me; per questo,
mi ha consacrato con l'unzione» e,
dopo aver letto questo brano,
disse ai presenti: «Oggi si è
adempiuta questa Scrittura, che
voi avete udito». In questo modo
confessò e proclarnò di esser
colui che «è stato unto» dal
Padre, di essere il Messia, cioè
colui nel quale dimora lo Spirito
Santo come dono di Dio stesso,
colui che possiede la pienezza di
questo Spirito, colui che segna il
«nuovo inizio» del dono che Dio fa
all'umanità nello Spirito.
5. Gesù di Nazareth, «elevato»
nello Spirito Santo
19. Anche se nella sua patria di
Nazareth Gesù non è accolto come
Messia, tuttavia, all'inizio
dell'attività pubblica la sua
missione messianica nello Spirito
Santo viene rivelata al popolo da
Giovanni Battista. Questi, figlio
di Zaccaria e di Elisabetta,
annuncia presso il Giordano la
venuta del Messia ed amministra il
battesimo di penitenza. Egli dice:
«Io vi battezzo con acqua, ma
viene uno che è più forte di me,
al quale io non son degno di
sciogliere neppure il legaccio dei
sandali: costui vi battezzerà in
Spirito Santo e fuoco». Giovanni
Battista annuncia il Messia-Cristo
non solo come colui che «viene»
nello Spirito Santo, ma anche come
colui che «porta» lo Spirito
Santo, come rivelerà meglio Gesù
nel Cenacolo. Giovanni è qui l'eco
fedele delle parole di Isaia, le
quali nell'antico Profeta
riguardavano il futuro, mentre nel
suo proprio insegnamento lungo le
rive del Giordano costituiscono
l'introduzione immediata alla
nuova realtà messianica. Giovanni
è non solo un profeta, ma anche un
messaggero: è il precursore di
Cristo. Ciò che egli annuncia si
realizza davanti agli occhi di
tutti. Gesù di Nazareth viene al
Giordano per ricevere anch'egli il
battesimo di penitenza. Alla vista
di colui che arriva, Giovanni
proclama: «Ecco l'agnello di Dio,
ecco colui che toglie il peccato
del mondo». Ciò dice per
ispirazione dello Spirito Santo,
rendendo testimonianza al
compimento della profezia di
Isaia. Al tempo stesso, egli
confessa la fede nella missione
redentrice di Gesù di Nazareth.
Sulle labbra di Giovanni Battista
«Agnello di Dio» è un'affermazione
della verità intorno al Redentore,
non meno significativa di quella
usata da Isaia: «Servo del
Signore». Così, con la
testimonianza di Giovanni al
Giordano, Gesù di Nazareth,
rifiutato dai propri concittadini,
viene elevato agli occhi di
Israele come Messia, cioè «Unto»
con lo Spirito Santo. E tale
testimonianza viene corroborata da
un'altra testimonianza di ordine
superiore, menzionata dai tre
Sinottici. Infatti, quando tutto
il popolo fu battezzato e mentre
Gesù, ricevuto il battesimo, stava
in preghiera, «il cielo si aprì e
scese su di lui lo Spirito Santo
in apparenza corporea, come una
colomba» e, contemporaneamente,
«vi fu una voce dal cielo, che
disse: Questi è il Figlio mio
prediletto, nel quale mi sono
compiaciuto». E una teofania
trinitaria, che rende
testimonianza all'esaltazione di
Cristo in occasione del battesimo
al Giordano. Essa non solo
conferma la testimonianza di
Giovanni Battista, ma svela una
dimensione ancora più profonda
della verità su Gesù di Nazareth
come Messia. Ecco: il Messia è il
Figlio prediletto del Padre. La
sua solenne esaltazione non si
riduce alla missione messianica
del «Servo del Signore». Alla luce
della teofania del Giordano,
questa esaltazione raggiunge il
mistero della stessa persona del
Messia. Egli è esaltato, perché è
il Figlio del divino
compiacimento.
La voce dall'alto dice: «Il
Figlio mio».
20. La teofania del Giordano
rischiara solo fugacemente il
mistero di Gesù di Nazareth, la
cui intera attività si svolgerà
sotto la presenza attiva dello
Spirito Santo. Tale mistero
sarebbe stato da Gesù stesso
svelato e confermato gradualmente
mediante tutto ciò che «fece e
insegnò». Sulla linea di questo
insegnamento e dei segni
messianici che Gesù compì prima di
giungere al discorso di addio nel
Cenacolo, troviamo eventi e parole
che costituiscono momenti
particolarmente importanti di
questa progressiva rivelazione.
Così l'evangelista Luca, che ha
già presentato Gesù «pieno di
Spirito Santo» e «condotto dallo
Spirito nel deserto», ci fa sapere
che, dopo il ritorno dei
settantadue discepoli dalla
missione affidata loro dal
Maestro, mentre pieni di gioia gli
raccontavano i frutti del loro
lavoro, «in quello stesso istante
Gesù esultò nello Spirito Santo e
disse: - Io ti rendo lode, Padre,
Signore del cielo e della terra,
che hai nascosto queste cose ai
dotti e ai sapienti e le hai
rivelate ai piccoli. Sì, Padre,
perché così ti è piaciuto». Gesù
esulta per la paternità divina;
esulta, perché gli è dato di
rivelare questa paternità; esulta,
infine, quasi per una speciale
irradiazione di questa paternità
divina sui «piccoli». E
l'evangelista qualifica tutto
questo come «esultanza nello
Spirito Santo». Una tale
esultanza, in un certo senso,
sollecita Gesù a dire ancora di
più. Ascoltiamo: «Ogni cosa mi è
stata affidata dal Padre mio, e
nessuno sa chi è il Figlio se non
il Padre, né chi è il Padre se non
il Figlio e colui al quale il
Figlio lo voglia rivelare».
21. Ciò che durante la teofania
del Giordano è venuto, per così
dire, «dall'esterno», dall'Alto,
qui proviene «dall'interno», cioè
dal profondo di ciò che è Gesù. È
un'altra rivelazione del Padre e
del Figlio, uniti nello Spirito
Santo, Gesù parla solo della
paternità di Dio e della propria
figliolanza - non parla
direttamente dello Spirito che è
amore e, per questo, unione del
Padre e del Figlio. Nondimeno,
quello che dice del Padre e di
sé-Figlio scaturisce da quella
pienezza dello Spirito, che è in
lui e che si riversa nel suo
cuore, pervade il suo stesso «io»
ispira e vivifica dal profondo la
sua azione. Di qui quell'«esultare
nello Spirito Santo». L'unione di
Cristo con lo Spirito Santo, di
cui egli ha perfetta coscienza, si
esprime in quell'«esultanza», che
in certo modo rende percepibile la
sua arcana sorgente. Si ha così
una speciale manifestazione ed
esaltazione, che è propria del
Figlio dell'uomo, di Cristo-Messia
la cui umanità appartiene alla
Persona del Figlio di Dio,
sostanzialmente uno con lo Spirito
Santo nella divinità. Nella
magnifica confessione della
paternità di Dio Gesù di Nazareth
manifesta anche se stesso, il suo
«io» divino: egli, infatti, è il
Figlio «della stessa sostanza» e,
perciò, «nessuno sa chi è il
Figlio se non il Padre, né chi è
il Padre se non il Figlio», quel
Figlio che «per noi uomini e per
la nostra salvezza» si è fatto
uomo per opera dello Spirito Santo
ed è nato da una vergine, il cui
nome era Maria.
6. Cristo risorto dice:
«Ricevete lo Spirito Santo»
22. Grazie alla sua narrazione
Luca ci conduce alla massima
vicinanza con la verità contenuta
nel discorso del Cenacolo. Gesù di
Nazareth, «elevato» nello Spirito
Santo, durante questo
discorso-colloquio, si manifesta
come colui che «porta» lo Spirito,
come colui che lo deve portare e
«dare» agli apostoli e alla Chiesa
a prezzo della sua «dipartita»
mediante la Croce. Col verbo
«portare» qui si vuol dire, prima
di tutto «rivelare». Nell'Antico
Testamento, fin dal Libro della
Genesi lo spirito di Dio è stato
in qualche modo fatto conoscere
dapprima come «soffio» di Dio che
dà la vita, come «soffio vitale»
soprannaturale. Nel Libro di Isaia
è presentato come un «dono» per la
persona del Messia come colui che
su di lui si posa, per guidare
dall'interno tutta la sua attività
salvifica. Presso il Giordano
l'annuncio di Isaia si è rivestito
di una forma concreta: Gesù di
Nazareth è colui che viene nello
Spirito Santo e lo porta come dono
proprio della sua stessa persona,
per espanderlo attraverso la sua
umanità: «Egli vi battezzerà in
Spirito Santo». Nel Vangelo di
Luca è confermata e arricchita
questa rivelazione dello Spirito
Santo, come intima sorgente della
vita e dell'azione messianica di
Gesù Cristo. Alla luce di ciò che
Gesù dice nel discorso del
Cenacolo, lo Spirito Santo viene
rivelato in un modo nuovo e più
pieno. Egli è non solo il dono
alla persona (alla persona del
Messia), ma è una Persona-dono.
Gesù ne annuncia la venuta come
quella di «un altro consolatore»,
il quale, essendo lo Spirito di
verità, condurrà gli apostoli e la
Chiesa «alla verità tutta intera».
Ciò si compirà in ragione della
speciale comunione tra lo Spirito
Santo e Cristo: «Prenderà del mio
e ve l'annuncerà». Questa
comunione ha la sua fonte
originaria nel Padre «Tutto quello
che il Padre possiede è mio; per
questo, ho detto che prenderà del
mio e ve l'annuncerà». Provenendo
dal Padre, lo Spirito Santo è
mandato dal Padre. Lo Spirito
Santo prima è stato mandato come
dono per il Figlio che si è fatto
uomo, per adempiere gli annunci
messianici. Dopo la «dipartita» di
Cristo-Figlio, secondo il testo
giovanneo, lo Spirito Santo
«verrà» direttamente - è la sua
nuova missione - a completare
l'opera stessa del Figlio. Così
sarà lui a portare a compimento la
nuova èra della storia della
salvezza.
23. Ci troviamo sulla soglia degli
eventi pasquali. La nuova,
definitiva rivelazione dello
Spirito Santo come Persona che è
il dono, si compie proprio in
questo momento. Gli eventi
pasquali - la passione, la morte e
la risurrezione di Cristo - sono
anche il tempo della nuova venuta
dello Spirito Santo, come
Paraclito e Spirito di verità.
Sono il tempo del «nuovo inizio»
della comunicazione del Dio uno e
trino all'umanità nello Spirito
Santo, per opera di Cristo
Redentore. Questo nuovo inizio è
la redenzione del mondo: «Dio
infatti ha tanto amato il mondo da
dare il suo Figlio unigenito».
Già nel «dare» il Figlio, nel dono
del Figlio si esprime la più
profonda essenza di Dio, il quale,
come amore, è fonte inesauribile
dell'elargizione. Nel dono fatto
dal Figlio si completano la
rivelazione e l'elargizione
dell'eterno amore: lo Spirito
Santo, che nelle imperscrutabili
profondità della divinità è una
Persona-dono, per opera del
Figlio, cioè mediante il mistero
pasquale, in modo nuovo viene dato
agli apostoli e alla Chiesa e, per
mezzo di essi, all'umanità e al
mondo intero.
24. L'espressione definitiva di
questo mistero si ha nel giorno
della Risurrezione. In questo
giorno Gesù di Nazareth, «nato
dalla stirpe di Davide secondo la
carne» - come scrive l'apostolo
Paolo - viene «costituito Figlio
di Dio con potenza secondo lo
Spirito di santificazione mediante
la risurrezione dai morti». Si può
dire così che l'«elevazione»
messianica di Cristo nello Spirito
Santo raggiunga il suo zenit nella
Risurrezione, nella quale egli si
rivela anche come Figlio di Dio,
«pieno di potenza». E questa
potenza, le cui fonti zampillano
nell'imperscrutabile comunione
trinitaria, si manifesta, prima di
tutto, nel fatto che il Cristo
risorto, se da una parte adempie
la promessa di Dio, già espressa
per bocca del Profeta: «Vi darò un
cuore nuovo, metterò dentro di voi
uno spirito nuovo, ...il mio
spirito», dall'altra compie la sua
stessa promessa, fatta agli
apostoli con le parole: «Quando me
ne sarò andato, ve lo manderò». È
lui: lo Spirito di verità, il
Paraclito, mandato da Cristo
risorto per trasformarci nella sua
stessa immagine di risorto. Ecco:
«La sera di quello stesso giorno,
il primo dopo il sabato, mentre
erano chiuse le porte del luogo
dove si trovavano i discepoli per
timore dei Giudei, venne Gesù, si
fermò in mezzo a loro e disse:
"Pace a voi!". Detto questo,
mostrò loro le mani e il costato.
E i discepoli gioirono al vedere
il Signore. Gesù disse loro di
nuovo: "Pace a voi! Come il Padre
ha mandato me, anch'io mando voi".
Dopo aver detto questo, alitò su
di loro e disse: "Ricevete lo
Spirito Santo"». Tutti i
particolari di questo testo-chiave
del Vangelo di Giovanni hanno una
loro eloquenza, specialmente se li
rileggiamo in riferimento alle
parole pronunciate nello stesso
Cenacolo all'inizio degli eventi
pasquali. Ormai questi eventi - il
triduum sacrum di Gesù, che il
Padre ha consacrato con l'unzione
e mandato nel mondo - raggiungono
il loro compimento. Il Cristo, che
«aveva reso lo spirito» sulla
Croce», come Figlio dell'uomo e
Agnello di Dio, una volta risorto,
va dagli apostoli per «alitare su
di loro» con quella potenza, di
cui parla la Lettera ai Romani. La
venuta del Signore riempie di
gioia i presenti: «La loro
afflizione si cambia in gioia»,
come già aveva egli stesso
promesso prima della sua passione.
E soprattutto si avvera il
principale annuncio del discorso
di addio: il Cristo risorto, quasi
avviando una nuova creazione,
«porta» agli apostoli lo Spirito
Santo. Lo porta a prezzo della sua
«dipartita»: dà loro questo
Spirito quasi attraverso le ferite
della sua crocifissione: «Mostrò
loro le mani e il costato». È in
forza di questa crocifissione che
egli dice loro: «Ricevete lo
Spirito Santo». Si stabilisce così
uno stretto legame tra l'invio del
Figlio e quello dello Spirito
Santo. Non c'è invio dello Spirito
Santo (dopo il peccato originale)
senza la Croce e la Risurrezione:
«Se non me ne vado, non verrà a
voi il consolatore». Si stabilisce
anche uno stretto legame tra la
missione dello Spirito Santo e
quella del Figlio nella
redenzione. La missione del
Figlio, in un certo senso, trova
il suo «compimento» nella
redenzione. La missione dello
Spirito Santo «attinge» alla
redenzione: «Egli prenderà del mio
e ve l'annuncerà». La redenzione
viene totalmente operata dal
Figlio come dall'Unto, che è
venuto ed ha agito nella potenza
dello Spirito Santo, offrendosi
alla fine in sacrificio sul legno
della Croce. E questa redenzione
viene, al tempo stesso, operata
costantemente nei cuori e nelle
coscienze umane - nella storia del
mondo - dallo Spirito Santo, che è
l'«altro consolatore».
7. Lo Spirito Santo e il tempo
della Chiesa
25. «Compiuta l'opera che il Padre
aveva affidato al Figlio sulla
terra (Gv 17,4), il giorno di
Pentecoste fu inviato lo Spirito
Santo per santificare di continuo
la Chiesa, e i credenti avessero
così, mediante Cristo, accesso al
Padre in un solo Spirito». È
questi lo Spirito di vita, la
sorgente dell'acqua zampillante
fino alla vita eterna (Gv 4,14); (Gv
7,38), colui per mezzo del quale
il Padre ridona la vita agli
uomini, morti per il peccato,
finché un giorno risusciterà in
Cristo i loro corpi mortali (Rm
8,10)». In questo modo il Concilio
Vaticano II parla della nascita
della Chiesa nel giorno della
Pentecoste. Questo evento
costituisce la definitiva
manifestazione di ciò che si era
compiuto nello stesso Cenacolo già
la domenica di Pasqua. Il Cristo
risorto venne e «portò» agli
apostoli lo Spirito Santo. Lo
diede loro dicendo: «Ricevete lo
Spirito Santo». Ciò che era
avvenuto allora all'interno del
Cenacolo, «a porte chiuse, più
tardi, il giorno della Pentecoste
si manifesta anche all'esterno,
davanti agli uomini. Si aprono le
porte del Cenacolo, e gli apostoli
si dirigono verso gli abitanti e i
pellegrini convenuti a Gerusalemme
in occasione della festa, per
rendere testimonianza a Cristo
nella potenza dello Spirito Santo.
In questo modo si adempie
l'annuncio: «Egli mi renderà
testimonianza; e anche voi mi
renderete testimonianza, perché
siete stati con me fin dal
principio». Leggiamo in un altro
documento del Vaticano II:
«Indubbiamente lo Spirito Santo
operava nel mondo prima ancora che
Cristo fosse glorificato. Ma fu
nel giorno della Pentecoste che
egli discese sui discepoli, per
rimanere con loro in eterno, e la
Chiesa apparve pubblicamente di
fronte alla moltitudine, ed ebbe
inizio mediante la predicazione e
la diffusione del Vangelo in mezzo
ai pagani». Il tempo della Chiesa
ha avuto inizio con la «venuta»,
cioè con la discesa dello Spirito
Santo sugli apostoli riuniti nel
Cenacolo di Gerusalemme insieme
con Maria, la Madre del Signore.
Il tempo della Chiesa ha avuto
inizio nel momento in cui le
promesse e gli annunci, che così
esplicitamente si riferivano al
consolatore, allo Spirito di
verità, hanno cominciato ad
avverarsi in tutta potenza ed
evidenza sugli apostoli,
determinando così la nascita della
Chiesa. Di questo parlano
diffusamente e in molti passi gli
Atti degli Apostoli dai quali
risulta che, secondo la coscienza
della prima comunità, di cui Luca
esprime le certezze, lo Spirito
Santo ha assunto la guida
invisibile - ma in certo modo
«percepibile» - di coloro che,
dopo la dipartita del Signore
Gesù, sentivano profondamente di
essere rimasti orfani. Con la
venuta dello Spirito essi si sono
sentiti idonei a compiere la
missione loro affidata. Si sono
sentiti pieni di fortezza. Proprio
questo ha operato in loro lo
Spirito Santo, e questo egli opera
continuamente nella Chiesa
mediante i loro successori. La
grazia dello Spirito Santo,
infatti, che gli apostoli con
l'imposizione delle mani diedero
ai loro collaboratori, continua ad
essere trasmessa nell'Ordinazione
episcopale. I Vescovi poi col
Sacramento dell'ordine rendono
partecipi di tale dono spirituale
i sacri ministri e provvedono a
che, mediante il Sacramento della
confermazione, ne siano
corroborati tutti i rinati
dall'acqua e dallo Spirito. Così,
in certo modo, si perpetua nella
Chiesa la grazia di Pentecoste.
Come scrive il Concilio, «lo
Spirito dimora nella Chiesa e nei
cuori dei fedeli come in un tempio
(1Cor 3,16); (1Cor 6,19), e in
essi prega e rende testimonianza
della loro adozione a figli (Gal
4,6); (Rm 8,15). Egli introduce la
Chiesa in tutta intera la verità (Gv
16,13), la unifica nella comunione
e nel ministero, la edifica e
dirige con i diversi doni
gerarchici e carismatici, la
arricchisce dei suoi frutti (Ef
4,11); (1Cor 12,4); (Gal 5,22).
Con la forza del Vangelo mantiene
la Chiesa continuamente giovane,
costantamente la rinnova e la
conduce alla perfetta unione col
suo Sposo».
26. I passi riportati dalla
Costituzione conciliare Lumen
gentium ci dicono che, con la
venuta dello Spirito Santo, ebbe
inizio il tempo della Chiesa. Essi
ci dicono pure che questo tempo,
il tempo della Chiesa, perdura.
Perdura attraverso i secoli e le
generazioni Nel nostro secolo, in
cui l'umanità si è ormai
avvicinata al termine del secondo
Millennio dopo Cristo, questo
tempo della Chiesa si è espresso
in modo speciale mediante il
Concilio Vaticano II, come
Concilio del nostro secolo. Si sa,
infatti, che questo è stato in
maniera speciale un Concilio «ecclesiologico»:
un concilio sul tema della Chiesa.
Al tempo stesso, l'insegnamento di
questo Concilio è essenzialmente «pneumatologico»:
permeato della verità sullo
Spirito Santo, come anima della
Chiesa. Possiamo dire che nel suo
ricco magistero il Concilio
Vaticano II contiene propriamente
tutto ciò «che lo Spirito dice
alle Chiese» in ordine alla
presente fase della storia della
salvezza. Seguendo la guida dello
Spirito di verità e rendendo
testimonianza insieme con lui, il
Concilio ha dato una speciale
conferma della presenza dello
Spirito Santo consolatore. In
certo senso, esso l'ha reso
nuovamente «presente» nella nostra
difficile epoca. Alla luce di
questa convinzione si comprende
meglio la grande importanza di
tutte le iniziative miranti alla
realizzazione del Vaticano II, del
suo magistero e del suo indirizzo
pastorale ed ecumenico. In questo
senso vanno anche ben considerate
e valutate le successive Assemblee
del Sinodo dei Vescovi che mirano
a far sì che i frutti della verità
e dell'amore - i frutti autentici
dello Spirito Santo - diventino un
bene duraturo del Popolo di Dio
nel suo pellegrinare terreno lungo
il corso dei secoli. È
indispensabile questo lavoro della
Chiesa, mirante alla verifica ed
al consolidamento dei frutti
salvifici dello Spirito, elargiti
nel Concilio. A questo scopo
bisogna saperli attentamente
«discernere» da tutto ciò che,
invece, può provenire soprattutto
dal «principe di questo mondo».
Questo discernimento è tanto più
necessario nella realizzazione
dell'opera del Concilio, in quanto
questo si è aperto largamente al
mondo contemporaneo, come appare
chiaramente dalle importanti
Costituzioni conciliari Gaudium et
spes e Lumen gentium. Leggiamo
nella Costituzione pastorale: «La
loro comunità (dei discepoli di
Cristo)... è composta di uomini, i
quali, riuniti insieme in Cristo,
sono guidati dallo Spirito Santo
nel loro pellegrinaggio verso il
Regno del Padre, e hanno ricevuto
un messaggio di salvezza da
propagare a tutti. Perciò, essa si
sente realmente ed intimamente
solidale con il genere umano e con
la sua storia». «La Chiesa sa bene
che soltanto Dio, al cui servizio
è consacrata, dà risposta ai più
profondi desideri del cuore umano,
che non può mai essere pienamente
saziato dai beni terreni». «Lo
Spirito di Dio... con mirabile
provvidenza dirige il corso dei
tempi e rinnova la faccia della
terra».
II - Lo spirito che convince il
mondo quanto al peccato
1. Peccato, giustizia e
giudizio
27. Allorché Gesù, durante il
discorso nel Cenacolo, annuncia la
venuta dello Spirito Santo «a
prezzo» della propria dipartita e
promette: «Quando me ne sarò
andato, ve lo manderò», proprio
nello stesso contesto aggiunge: «E
quando sarà venuto, egli
convincerà il mondo quanto al
peccato, alla giustizia e al
giudizio». Il medesimo consolatore
e Spirito di verità, già promesso
come colui che «insegnerà» e
«ricorderà», come colui che
«renderà testimonianza», come
colui che «guiderà alla verità
tutta intera», con le parole ora
citate viene annunciato come colui
che «convincerà il mondo quanto al
peccato, alla giustizia e al
giudizio». Significativo sembra
anche il contesto. Gesù collega
questo annuncio dello Spirito
Santo alle parole che indicano la
propria «dipartita» mediante la
Croce, ed anzi ne sottolineano la
necessità: «E bene per voi che io
me ne vada, perché se non me ne
vado, non verrà a voi il
consolatore». Ma ciò che più conta
è la spiegazione che Gesù stesso
aggiunge a queste tre parole:
peccato, giustizia, giudizio. Dice
infatti così: «Egli convincerà il
mondo quanto al peccato, alla
giustizia e al giudizio. Quanto al
peccato, perché non credono in me;
quanto alla giustizia, perché vado
al Padre e non mi vedrete più;
quanto al giudizio, perché il
principe di questo mondo è stato
giudicato». Nel pensiero di Gesù
il peccato, la giustizia, il
giudizio hanno un senso ben
preciso, diverso da quello che
forse qualcuno sarebbe propenso ad
attribuire a queste parole
indipendentemente dalla
spiegazione di chi parla. Questa
spiegazione indica, altresì, come
sia da intendere quel «convincere
il mondo», che è proprio
dell'azione dello Spirito Santo.
Qui è importante sia il
significato delle singole parole,
sia il fatto che Gesù le abbia
unite tra loro nella stessa frase.
«Il peccato», in questo passo,
significa l'incredulità che Gesù
incontrò in mezzo ai «suoi»,
cominciando dai concittadini di
Nazareth. Significa il rifiuto
della sua missione, che porterà
gli uomini a condannarlo a morte.
Quando successivamente parla della
«giustizia», Gesù sembra avere in
mente quella giustizia definitiva,
che il Padre gli renderà
circondandolo con la gloria della
risurrezione e dell'ascensione al
Cielo: «Vado al Padre». A sua
volta, nel contesto del «peccato»
e della «giustizia» così intesi,
«il giudizio» significa che lo
Spirito di verità dimostrerà la
colpa del «mondo» nella condanna
di Gesù alla morte di Croce.
Tuttavia, il Cristo non è venuto
nel mondo solamente per giudicarlo
e condannarlo: egli è venuto per
salvarlo. Il convincere del
peccato e della giustizia ha come
scopo la salvezza del mondo, la
salvezza degli uomini. Proprio
questa verità sembra essere
sottolineata dall'affermazione che
«il giudizio» riguarda solamente
il «principe di questo mondo»,
cioè Satana colui che sin
dall'inizio sfrutta l'opera della
creazione contro la salvezza,
contro l'alleanza e l'unione
dell'uomo con Dio: egli è «già
giudicato» sin dall'inizio. Se lo
Spirito consolatore deve
convincere il mondo proprio quanto
al giudizio, e per continuare in
esso l'opera salvifica di Cristo.
28. Qui vogliamo concentrare la
nostra attenzione principalmente
su questa missione dello Spirito
Santo che è di «convincere il
mondo quanto al peccato», ma
rispettando al tempo stesso il
contesto generale delle parole di
Gesù nel Cenacolo. Lo Spirito
Santo, che assume dal Figlio
l'opera della redenzione del
mondo, assume con ciò stesso il
compito del salvifico «convincere
del peccato». Questo convincere è
in costante riferimento alla
«giustizia», cioè alla definitiva
salvezza in Dio, al compimento
dell'economia che ha come centro
il Cristo crocifisso e
glorificato. E questa economia
salvifca di Dio sottrae, in certo
senso, l'uomo dal «giudizio», cioè
dalla dannazione, con la quale è
stato colpito il peccato di
Satana, «principe di questo
mondo», colui che a causa del suo
peccato è divenuto «dominatore di
questo mondo di tenebra». Ed ecco
che, mediante tale riferimento al
«giudizio», si schiudono vasti
orizzonti per la comprensione del
«peccato», nonché della
«giustizia». Lo Spirito Santo,
mostrando sullo sfondo della Croce
di Cristo il peccato nell'economia
della salvezza (si potrebbe dire:
«il peccato salvato»), fa
comprendere come sia sua missione
«convincere» anche del peccato che
è già stato giudicato
definitivamente («il peccato
condannato»).
29. Tutte le parole, pronunciate
dal Redentore nel Cenacolo alla
vigilia della sua passione, si
inscrivono nel tempo della Chiesa;
prima di tutto, quelle sullo
Spirito Santo come Paraclito e
Spirito di verità. Esse vi si
inscrivono in modo sempre nuovo,
in ogni generazione, in ogni
epoca. Ciò è confermato, per
quanto riguarda il nostro secolo,
dall'insieme dell'insegnamento del
Concilio Vaticano II, specialmente
della Costituzione pastorale «Gaudium
et spes». Molti passi di questo
documento indicano chiaramente che
il Concilio, aprendosi alla luce
dello Spirito di verità, si
presenta come l'autentico
depositario degli annunci e delle
promesse fatte da Cristo agli
apostoli ed alla Chiesa nel
discorso di addio: in modo
particolare, di quell'annuncio,
secondo il quale lo Spirito Santo
deve «convincere il mondo quanto
al peccato alla giustizia e al
giudizio». Ciò indica già il
testo, nel quale il Concilio
spiega come intende il «mondo»:
«Il mondo che esso (il Concilio
stesso) ha presente è perciò
quello degli uomini, ossia
l'intera famiglia umana nel
contesto di tutte quelle realtà,
entro le quali essa vive. il mondo
che è teatro della storia del
genere umano e reca i segni dei
suoi sforzi, delle sue sconfitte e
delle sue vittorie; il mondo che i
cristiani credono creato e
conservato dall'amore del
Creatore, mondo certamente posto
sotto la schiavitù del peccato, ma
liberato da Cristo crocifisso e
risorto, con la sconfitta del
Maligno, affinché, secondo il
disegno di Dio, sia trasformato e
giunga al suo compimento». In
riferimento a questo testo molto
sintetico bisogna leggere nella
medesima Costituzione gli altri
passi, intesi ad esporre con tutto
il realismo della fede la
situazione del peccato nel mondo
contemporaneo, nonché di spiegare
la sua essenza, partendo da
diversi punti di vista. Quando
Gesù, la vigilia di Pasqua, parla
dello Spirito Santo come di colui
che «convincerà il mondo quanto al
peccato», da una parte si deve
dare a questa sua affermazione la
portata più vasta possibile, in
quanto comprende tutto l'insieme
dei peccati nella storia
dell'umanità. D'altra parte, però,
quando Gesù spiega che questo
peccato consiste nel fatto che
«non credono in lui», tale portata
sembra restringersi a coloro che
hanno rifiutato la missione
messianica del Figlio dell'uomo,
condannandolo alla morte di Croce.
Ma è difficile non notare come
questa portata più «ridotta» e
storicamente precisata del
significato del peccato si dilati
fino ad assumere un'ampiezza
universale a motivo
dell'universalità della
redenzione, che si è compiuta per
mezzo della Croce. La rivelazione
del mistero della redenzione apre
la strada a una comprensione,
nella quale ogni peccato, dovunque
ed in qualsiasi momento commesso,
viene riferito alla Croce di
Cristo - e, dunque, indirettamente
anche al peccato di coloro che
«non hanno creduto in lui»
condannando Gesù Cristo alla morte
di Croce. Da questo punto di vista
occorre ritornare all'evento della
Pentecoste.
2. La testimonianza del giorno
della Pentecoste
30. Nel giorno della Pentecoste
trovarono la loro più esatta e
diretta conferma gli annunci di
Cristo nel discorso di addio e, in
particolare, l'annuncio del quale
stiamo trattando: «Il
consolatore... convincerà il mondo
quanto al peccato». Quel giorno,
sugli apostoli raccolti in
preghiera insieme con Maria, Madre
di Gesù, nello stesso Cenacolo,
discese lo Spirito Santo promesso,
come leggiamo negli Atti degli
Apostoli: «Ed essi furono tutti
pieni di Spirito Santo e
cominciarono a parlare in altre
lingue come lo Spirito dava loro
il potere di esprimersi»,
«riconducendo in tal modo
all'unità le razze disperse e
offrendo al Padre le primizie di
tutte le nazioni». È chiaro il
rapporto tra l'annuncio fatto da
Cristo e questo evento. Noi vi
scorgiamo il primo e fondamentale
compimento della promessa del
Paraclito. Questi viene mandato
dal Padre, «dopo» la dipartita di
Cristo, «a prezzo» di essa. Questa
è dapprima una dipartita mediante
la morte in Croce, e poi, quaranta
giorni dopo la risurrezione,
mediante l'ascensione al Cielo.
Ancora nel momento dell'ascensione
Gesù ordina agli apostoli «di non
allontanarsi da Gerusalemme, ma di
attendere che si adempisse la
promessa del Padre»; «sarete
battezzati in Spirito Santo, fra
non molti giorni»; «riceverete
forza dallo Spirito Santo, che
scenderà su di voi, e mi sarete
testimoni a Gerusalemme, in tutta
la Giudea e la Samaria e fino agli
estremi confini della terra»"'.
Queste ultime parole racchiudono
un'eco, o un ricordo dell'annuncio
fatto nel Cenacolo. E il giorno
della Pentecoste tale annuncio si
avvera in tutta esattezza. Agendo
sotto l'influsso dello Spirito
Santo, ricevuto dagli apostoli
durante la preghiera nel Cenacolo,
davanti ad una moltitudine di
gente di diverse lingue, radunata
per la festa, Pietro si presenta e
parla. Proclama ciò che certamente
non avrebbe avuto il coraggio di
dire in precedenza: «Uomini
d'Israele, ... Gesù di Nazareth -
uomo accreditato da Dio presso di
voi per mezzo di miracoli, prodigi
e segni, che Dio stesso operò fra
voi per opera sua - dopo che,
secondo il prestabilito disegno e
la prescienza di Dio, fu
consegnato a voi, voi l'avete
inchiodato sulla croce per mano di
empi e l'avete ucciso. Ma Dio lo
ha risuscitato, sciogliendolo
dalle angosce della morte, perché
non era possibile che questa lo
tenesse in suo potere». Gesù aveva
predetto e promesso: «Egli mi
renderà testimonianza, ... e anche
voi mi renderete testimonianza».
Nel primo discorso di Pietro a
Gerusalemme tale «testimonianza»
trova il suo chiaro inizio: è la
testimonianza intorno a Cristo
crocifisso e risorto. Quella dello
Spirito-Paraclito e degli
apostoli. E nel contenuto stesso
di tale prima testimonianza lo
Spirito di verità per bocca di
Pietro «convince il mondo quanto
al peccato»: prima di tutto,
quanto a quel peccato che è il
rifiuto del Cristo fino alla
condanna a morte, fino alla Croce
sul Golgota. Proclamazioni di
analogo contenuto si ripeteranno,
secondo il testo degli Atti degli
Apostoli, in altre occasioni e in
diversi luoghi.
31. Fin da questa iniziale
testimonianza della Pentecoste,
l'azione dello Spirito di verità,
che «convince il mondo quanto al
peccato» del rifiuto di Cristo, è
legata in modo organico con la
testimonianza da rendere al
mistero pasquale: al mistero del
Crocifsso e del Risorto. E in
questo legame lo stesso
«convincere quanto al peccato»
rivela la propria dimensione
salvifica. È, infatti, un
«convincere» che ha come scopo non
la sola accusa del mondo, tanto
meno la sua condanna. Gesù Cristo
non è venuto nel mondo per
giudicarlo e condannarlo, ma per
salvarlo. Ciò viene sottolineato
già in questo primo discorso,
quando Pietro esclama: «Sappia,
dunque, con certezza tutta la casa
d'Israele che Dio ha costituito
Signore e Cristo quel Gesù, che
voi avete crocifisso». E in
seguito, quando i presenti
domandano a Pietro e agli
apostoli: «Che cosa dobbiamo fare,
fratelli?», ecco la risposta:
«Pentitevi e ciascuno di voi si
faccia battezzare nel nome di Gesù
Cristo, per la remissione dei
vostri peccati; dopo riceverete il
dono dello Spirito Santo». In
questo modo il «convincere quanto
al peccato» diventa insieme un
convincere circa la remissione dei
peccati, nella potenza dello
Spirito Santo. Pietro nel suo
discorso di Gerusalemme esorta
alla conversione, come Gesù
esortava i suoi ascoltatori
all'inizio della sua attività
messianica. La conversione
richiede la convinzione del
peccato, contiene in sé il
giudizio interiore della
coscienza, e questo, essendo una
verifica dell'azione dello Spirito
di verità nell'intimo dell'uomo,
diventa nello stesso tempo il
nuovo inizio dell'elargizione
della grazia e dell'amore:
«Ricevete lo Spirito Santo». Così
in questo «convincere quanto al
peccato» scopriamo una duplice
elargizione: il dono della verità
della coscienza e il dono della
certezza della redenzione. Lo
Spirito di verità è il
consolatore. Il convincere del
peccato, mediante il ministero
dell'annuncio apostolico nella
Chiesa nascente, viene riferito -
sotto l'impulso dello Spirito
effuso nella Pentecoste - alla
potenza redentrice di Cristo
crocifisso e risorto. Così si
adempie la promessa relativa allo
Spirito Santo, fatta prima di
pasqua: «Egli prenderà del mio e
ve l'annuncerà». Quando dunque,
durante l'evento della Pentecoste,
Pietro parla del peccato di coloro
che «non hanno creduto» ed hanno
consegnato ad una morte
ignominiosa Gesù di Nazareth, egli
rende testimonianza alla vittoria
sul peccato: vittoria che si è
compiuta, in certo senso, mediante
il peccato più grande che l'uomo
poteva commettere: l'uccisione di
Gesù, Figlio di Dio,
consostanziale al Padre!
Similmente, la morte del Figlio di
Dio vince la morte umana: «Ero
mors tua, o mors», come il peccato
di aver crocifisso il Figlio di
Dio «vince» il peccato umano! Quel
peccato che si consumò a
Gerusalemme il giorno del Venerdì
santo - e anche ogni peccato
dell'uomo. Infatti, al più grande
peccato da parte dell'uomo
corrisponde, nel cuore del
Redentore, l'oblazione del supremo
amore, che supera il male di tutti
i peccati degli uomini. Sulla base
di questa certezza la Chiesa nella
liturgia romana non esita a
ripetere ogni anno, durante la
Veglia pasquale, «Ofelix culpa!»,
nell'annuncio della risurrezione
dato dal diacono col canto dell'«Exsultet!».
32. Di questa verità ineffabile,
però, nessuno può «convincere il
mondo», l'uomo, l'umana coscienza,
se non egli stesso, lo Spirito di
verità. Egli è lo Spirito, che
«scruta le profondità di Dio». Di
fronte al mistero del peccato
bisogna scrutare «le profondità di
Dio» fino in fondo. Non basta
scrutare la coscienza umana, quale
intimo mistero dell'uomo, ma
bisogna penetrare nell'intimo
mistero di Dio, in quelle
«profondità di Dio» che si
riassumono nella sintesi: al Padre
- nel Figlio - per mezzo dello
Spirito Santo. È proprio lo
Spirito Santo che le «scruta», e
da esse trae la risposta di Dio al
peccato dell'uomo. Con questa
risposta si chiude il procedimento
del «convincere quanto al
peccato», come mette in evidenza
l'evento della Pentecoste.
Convincendo il «mondo» del peccato
del Golgota, della morte
dell'Agnello innocente, come
avviene nel giorno della
Pentecoste, lo Spirito Santo
convince anche di ogni peccato
commesso in ogni luogo ed in
qualsiasi momento nella storia
dell'uomo: egli dimostra, infatti
il suo rapporto con la Croce di
Cristo. Il «convincere» è la
dimostrazione del male del
peccato, di ogni peccato, in
relazione alla Croce di Cristo. Il
peccato, mostrato in questa
relazione, viene riconosciuto
nell'intera dimensione del male,
che gli è propria, per il «mistero
dell'iniquità» , che in se
contiene e nasconde. L'uomo non
conosce questa dimensione - non la
conosce in alcun modo al di fuori
della Croce di Cristo. Perciò, non
può essere «convinto» di essa se
non dallo Spirito Santo: Spirito
di verità, ma anche consolatore.
Infatti, il peccato, mostrato in
relazione alla Croce di Cristo,
nello stesso tempo viene
identificato nella piena
dimensione del «mistero della
pietà», come ha indicato
l'Esortazione Apostolica
post-sinodale Reconciliatio et
paenitentia. Anche questa
dimensione del peccato l'uomo non
la conosce in alcun modo al di
fuori della Croce di Cristo. E
anche di essa egli non può essere
«convinto» se non dallo Spirito
Santo: da colui che «scruta le
profondità di Dio».
3. La testimonianza
dell'inizio: la realtà originaria
del peccato
33. È la dimensione del peccato
che troviamo nella testimonianza
dell'inizio, annotata nel Libro
della Genesi. È il peccato che,
secondo la Parola di Dio rivelata,
costituisce il principio e la
radice di tutti gli altri Ci
troviamo di fronte alla realtà
originaria del peccato nella
storia dell'uomo e, al tempo
stesso, nell'insieme dell'economia
della salvezza. Si può dire che in
questo peccato ha inizio il
«mistero dell'iniquità», ma anche
che è questo il peccato, in ordine
al quale la potenza redentrice del
«mistero della pietà» diventa
particolarmente trasparente ed
efficace. Ciò esprime san Paolo,
quando alla «disobbedienza» del
primo Adamo contrappone
l'«obbedienza» di Cristo, il
secondo Adamo: «L'obbedienza fino
alla morte». Stando alla
testimonianza dell'inizio, il
peccato nella sua realtà
originaria avviene nella volontà -
e nella coscienza - dell'uomo,
prima di tutto, come
«disobbedienza», cioè come
opposizione della volontà
dell'uomo alla volontà di Dio.
Questa disobbedienza originaria
presuppone il rifiuto o, almeno,
l'allontanamento dalla verità
contenuta nella Parola di Dio, che
crea il mondo. Questa Parola è lo
stesso Verbo, che era «in
principio presso Dio», che «era
Dio» e senza il quale «niente è
stato fatto di tutto ciò che
esiste», poiché «il mondo fu fatto
per mezzo di lui». È il Verbo che
è anche eterna legge, fonte di
ogni legge, che regola il mondo e
specialmente gli atti umani.
Quando dunque, alla vigilia della
sua passione, Gesù Cristo parla
del peccato di coloro che «non
credono in lui», in queste sue
parole, piene di dolore, vi è
quasi un'eco lontana di quel
peccato, che nella sua forma
originaria si inscrive oscuramente
nel mistero stesso della
creazione. Colui che parla,
infatti, è non solo il Figlio
dell'uomo, ma anche colui che è
«il primogenito di fronte ad ogni
creatura», «poiché per mezzo di
lui sono state create tutte le
cose:.... per mezzo di lui e in
vista di lui». Alla luce di questa
verità si capisce che la
«disobbedienza», nel mistero
dell'inizio, presuppone in certo
senso la stessa «non-fede», quel
medesimo «non hanno creduto», che
si ripeterà nei riguardi del
mistero pasquale. Come abbiamo
detto, si tratta del rifiuto o,
almeno, dell'allontanamento dalla
verità contenuta nella Parola del
Padre. Il rifiuto si esprime in
pratica come «disobbedienza», in
un atto compiuto come effetto
della tentazione, che proviene dal
«padre della menzogna». Dunque,
alla radice del peccato umano sta
la menzogna come radicale rifiuto
della verità contenuta nel Verbo
del Padre, mediante il quale si
esprime l'amorevole onnipotenza
del Creatore: l'onnipotenza ed
insieme l'amore «di Dio Padre,
creatore del cielo e della terra».
34. «Lo Spirito di Dio», che
secondo la descrizione biblica
della creazione «aleggiava sulle
acque», indica lo stesso «Spirito,
che scruta le profondità di Dio»;
scruta le profondità del Padre e
del Verbo-Figlio nel mistero della
creazione. Non solo è il testimone
diretto del loro reciproco amore,
dal quale deriva la creazione, ma
è egli stesso questo amore. Egli
stesso, come amore, è l'eterno
dono increato. In lui è la fonte e
l'inizio di ogni elargizione alle
creature. La testimonianza
dell'inizio, che troviamo in tutta
la Rivelazione, a cominciare dal
Libro della Genesi, su questo
punto è univoca. Creare vuol dire
chiamare all'esistenza dal nulla;
dunque, creare vuol dire donare
l'esistenza. E se il mondo
visibile viene creato per l'uomo,
dunque all'uomo viene donato il
mondo. E contemporaneamente lo
stesso uomo nella propria umanità
riceve in dono una speciale
«immagine e somiglianza» di Dio.
Ciò significa non solo razionalità
e libertà come proprietà
costitutiva della natura umana, ma
anche, sin dall'inizio, capacità
di un rapporto personale con Dio,
come «io» e «tu» e, dunque,
capacità di alleanza che avrà
luogo con la comunicazione
salvifica di Dio all'uomo. Sullo
sfondo dell'«immagine e
somiglianza» di Dio, «il dono
dello Spirito» significa, infine,
chiamata all'amicizia, nella quale
le trascendenti «profondità di
Dio» vengono, in qualche modo,
aperte alla partecipazione da
parte dell'uomo. Il Concilio
Vaticano II insegna: «Dio
invisibile (Col 1,15); (1 Tm 1,17)
nel suo grande amore parla agli
uomini come ad amici (Es 33,11); (Gv
15,14) e si intrattiene con loro
(Bar 3,38), per invitarli e
ammetterli alla comunione con sé».
35. Pertanto, lo Spirito, che
«scruta ogni cosa, anche le
profondità di Dio», conosce sin
dall'inizio «i segreti dell'uomo».
Proprio per questo egli solo può
pienamente «convincere del
peccato» che ci fu all'inizio, di
quel peccato che è la radice di
tutti gli altri e il focolaio
della peccaminosità dell'uomo
sulla terra, che non si spegne
mai. Lo Spirito di verità conosce
la realtà originaria del peccato,
causato nella volontà dell'uomo ad
opera del «padre della menzogna» -
di colui che già «è stato
giudicato». Lo Spirito Santo
convince, dunque, il mondo del
peccato in rapporto a questo
«giudizio», ma costantemente
guidando verso la «giustizia», che
è stata rivelata all'uomo insieme
con la Croce di Cristo: mediante
l'«obbedienza fino alla morte».
Solo lo Spirito Santo può
convincere del peccato dell'inizio
umano, proprio egli che è l'amore
del Padre e del Figlio, egli che è
dono, mentre il peccato
dell'inizio umano consiste nella
menzogna e nel rifiuto del dono e
dell'amore, i quali decidono
dell'inizio del mondo e dell'uomo.
36. Secondo la testimonianza
dell'inizio, che troviamo nella
Scrittura e nella Tradizione, dopo
la prima (ed anche più completa)
descrizione nel Libro della Genesi
il peccato nella sua forma
originaria è inteso come
«disobbedienza», il che significa
semplicemente e direttamente
trasgressione di un divieto posto
da Dio. Ma alla luce di tutto il
contesto è pure palese che le
radici di questa disobbedienza
vanno ricercate in profondità
nell'intera situazione reale
dell'uomo. Chiamato all'esistenza,
l'essere umano - uomo e donna - è
una creatura. L'«immagine di Dio»,
consistente nella razionalità e
nella libertà, dice la grandezza e
la dignità del soggetto umano, che
è persona. Ma questo soggetto
personale è pur sempre una
creatura: nella sua esistenza ed
essenza dipende dal Creatore.
Secondo la Genesi, «l'albero della
conoscenza del bene e del male»
doveva esprimere e costantemente
ricordare all'uomo il «limite»
invalicabile per un essere creato.
In questo senso va inteso il
divieto da parte di Dio: il
Creatore proibisce all'uomo e alla
donna di mangiare i frutti
dell'albero della conoscenza del
bene e del male. Le parole
dell'istigazione, cioè della
tentazione, come è formulata nel
testo sacro, inducono a
trasgredire questo divieto - cioè
a superare quel «limite»: «Quando
voi ne mangiaste, si aprirebbero i
vostri occhi e diventereste come
Dio («come dèi») conoscendo il
bene e il male». La
«disobbedienza» significa appunto
il superamento di quel limite, che
rimane invalicabile alla volontà e
libertà dell'uomo, come essere
creato. Dio creatore è, infatti,
l'unica e definitiva fonte
dell'ordine morale nel mondo, da
lui creato. L'uomo non può da se
stesso decidere ciò che è buono e
ciò che è cattivo - non può
«conoscere il bene e il male, come
Dio». Sì, Dio nel mondo creato
rimane la prima e suprema fonte
per decidere del bene e del male,
mediante l'intima verità
dell'essere, la quale è il
riflesso del Verbo, l'eterno
Figlio, consostanziale al Padre.
All'uomo creato ad immagine di Dio
lo Spirito Santo dà in dono la
coscienza, affinché in essa
l'immagine possa rispecchiare
fedelmente il suo modello, che è
insieme la sapienza e la legge
eterna, fonte dell'ordine morale
nell'uomo e nel mondo. La
«disobbedienza», come dimensione
originaria del peccato, significa
rifiuto di questa fonte, per la
pretesa dell'uomo di diventare
fonte autonoma ed esclusiva nel
decidere del bene e del male. Lo
Spirito, che «scruta le profondità
di Dio» e che, al tempo stesso, è
per l'uomo la luce della coscienza
e la fonte dell'ordine morale,
conosce in tutta la sua pienezza
questa dimensione del peccato, che
si inscrive nel mistero
dell'inizio umano. E non cessa di
«convincerne il mondo» in rapporto
alla Croce di Cristo sul Golgota.
37. Secondo la testimonianza
dell'inizio, Dio nella creazione
ha rivelato se stesso come
onnipotenza, che è amore. Nello
stesso tempo ha rivelato all'uomo
che, come «immagine e somiglianza»
del suo Creatore, egli è chiamato
a partecipare alla verità e
all'amore. Questa partecipazione
significa una vita di unione con
Dio, che è la «vita eterna». Ma
l'uomo, sotto l'influenza del
«padre della menzogna», si è
distaccato da questa
partecipazione. In quale misura?
Certamente non nella misura del
peccato di un puro spirito, nella
misura del peccato di Satana. Lo
spirito umano è incapace di
raggiungere una tale misura. Nella
stessa descrizione della Genesi è
facile notare la differenza di
grado tra «il soffio del male» da
parte di colui che «è peccatore
(ossia permane nel peccato) fin
dal principio» e che già «è stato
giudicato», ed il male della
disobbedienza da parte dell'uomo.
Questa disobbedienza, tuttavia,
significa pur sempre il voltare le
spalle a Dio e, in un certo senso,
il chiudersi della libertà umana
nei suoi riguardi. Significa anche
una certa apertura di questa
libertà - della conoscenza e della
volontà umana - verso colui che è
il «padre della menzogna». Questo
atto di scelta consapevole non è
solo «disobbedienza», ma porta con
sé anche una certa adesione alla
motivazione contenuta nella prima
istigazione al peccato e
incessantemente rinnovata durante
tutta la storia dell'uomo sulla
terra: «Dio sa che, quando voi ne
mangiaste, si aprirebbero i vostri
occhi e diventereste come Dio,
conoscendo il bene e il male». Ci
troviamo qui al centro stesso di
ciò che si potrebbe chiamare
l'«anti-Verbo», cioè
l'«anti-verità». Viene, infatti,
falsata la verità dell'uomo: chi è
l'uomo e quali sono i limiti
invalicabili del suo essere e
della sua libertà. Questa
«anti-verità» è possibile, perché
nello stesso tempo viene falsata
completamente la verità su chi è
Dio. Il Dio creatore viene posto
in stato di sospetto, anzi
addirittura in stato di accusa,
nella coscienza della creatura.
Per la prima volta nella storia
dell'uomo appare il perverso
«genio del sospetto». Esso cerca
di «falsare» il Bene stesso, il
Bene assoluto, che proprio
nell'opera della creazione si è
manifestato come il bene che dona
in modo ineffabile: come bonum
diffusivum sui, come amore
creativo. Chi può pienamente
«convincere del peccato», ossia di
questa motivazione della
disobbedienza originaria
dell'uomo, se non colui che solo è
il dono e la fonte di ogni
elargizione, se non lo Spirito,
che «scruta le profondità di Dio»
ed è l'amore del Padre e del
Figlio?
38. Infatti, malgrado tutta la
testimonianza della creazione e
dell'economia salvifica ad essa
inerente, lo spirito delle tenebre
è capace di mostrare Dio come
nemico della propria creatura e,
prima di tutto, come nemico
dell'uomo, come fonte di pericolo
e di minaccia per l'uomo. In
questo modo viene innestato da
Satana nella psicologia dell'uomo
il germe dell'opposizione nei
riguardi di colui che «sin
dall'inizio» deve essere
considerato come nemico dell'uomo
- e non come Padre. L'uomo viene
sfidato a diventare l'avversario
di Dio! L'analisi del peccato
nella sua originaria dimensione
indica che, ad opera del «padre
della menzogna», vi sarà lungo la
storia dell'umanità una costante
pressione al rifiuto di Dio da
parte dell'uomo, fino all'odio:
«Amore di sé fino al disprezzo di
Dio», come si esprime sant'Agostino.
L'uomo sarà incline a vedere in
Dio prima di tutto una propria
limitazione, e non la fonte della
propria liberazione e la pienezza
del bene. Ciò vediamo confermato
nell'epoca moderna, nella quale le
ideologie atee tendono a sradicare
la religione in base al
presupposto che essa determini una
radicale «alienazione» dell'uomo
come se l'uomo venisse espropriato
della propria umanità, quando,
accettando l'idea di Dio,
attribuisce a lui ciò che
appartiene all'uomo, ed
esclusivamente all'uomo! Di qui un
processo di pensiero e di prassi
storico-sociologica, in cui il
rifiuto di Dio è pervenuto fino
alla dichiarazione della sua
«morte». Un'assurdità, questa,
concettuale e verbale! Ma
l'ideologia della «morte di Dio»
minaccia piuttosto l'uomo, come
indica il Vaticano II, quando,
sottoponendo ad analisi la
questione dell'«autonomia delle
cose temporali», scrive: «La
creatura... senza il Creatore
svanisce... Anzi, l'oblio di Dio
priva di luce la creatura stessa».
L'ideologia della «morte di Dio»
nei suoi effetti dimostra
facilmente di essere, sul piano
teoretico e pratico, l'ideologia
della «morte dell'uomo».
4. Lo Spirito, che trasforma la
sofferenza in amore salvifico
39. Lo Spirito, che scruta le
profondità di Dio, è stato
chiamato da Gesù nel discorso del
Cenacolo il Paraclito. Infatti,
sin dall'inizio «viene invocato»
per «convincere il mondo quanto al
peccato». Egli viene invocato in
modo definitivo per mezzo della
Croce di Cristo. Convincere del
peccato vuol dire dimostrare il
male in esso contenuto. Il che
equivale a rivelare il mistero
dell'iniquità. Non è possibile
raggiungere il male del peccato in
tutta la sua dolorosa realtà senza
«scrutare le profondità di Dio».
Sin dall'inizio l'oscuro mistero
del peccato è apparso nel mondo
sullo sfondo del riferimento al
Creatore della libertà umana. Esso
è apparso come un atto di volontà
della creatura-uomo contrario alla
volontà di Dio: alla volontà
salvifica di Dio; anzi, è apparso
in opposizione alla verità, sulla
base della menzogna ormai
definitivamente «giudicata»:
menzogna che ha posto in stato di
accusa, in stato di permanente
sospetto, lo stesso amore creativo
e salvifico. L'uomo ha seguito il
«padre della menzogna», ponendosi
contro il Padre della vita e lo
Spirito di verità. Il «convincere
del peccato» non dovrà, dunque,
significare anche il rivelare la
sofferenza? Rivelare il dolore
inconcepibile ed inesprimibile,
che, a causa del peccato, il Libro
sacro nella sua visione
antropomorfica sembra intravvedere
nelle «profondità di Dio» e, in un
certo senso, nel cuore stesso
dell'ineffabile Trinità? La Chiesa
ispirandosi alla Rivelazione,
crede e professa che il peccato è
offesa di Dio. Che cosa
nell'imperscrutabile intimità del
Padre, del Verbo e dello Spirito
Santo corrisponde a questa
«offesa», a questo rifiuto dello
Spirito che è amore e dono? La
concezione di Dio, come essere
necessariamente perfettissimo,
esclude certamente da Dio ogni
dolore, derivante da carenze o
ferite; ma nelle «profondità di
Dio» c'è un amore di Padre che
dinanzi al peccato dell'uomo,
secondo il linguaggio biblico,
reagisce fino al punto di dire:
«Sono pentito di aver fatto
l'uomo». «Il Signore vide che la
malvagità degli uomini era grande
sulla terra... E il Signore si
pentì di aver fatto l'uomo sulla
terra e se ne addolorò in cuor
suo... Il Signore disse: "Sono
pentito di averli fatti"». Ma più
spesso il Libro sacro ci parla di
un Padre, che prova compassione
per l'uomo, quasi condividendo il
suo dolore. In definitiva, questo
imperscrutabile e indicibile
«dolore» di padre genererà
soprattutto la mirabile economia
dell'amore redentivo in Gesù
Cristo, affinché, per mezzo del
mistero della pietà, nella storia
dell'uomo l'amore possa rivelarsi
più forte del peccato. Perché
prevalga il «dono»! Lo Spirito
Santo, che secondo le parole di
Gesù «convince del peccato», è
l'amore del Padre e del Figlio e,
come tale, è il dono trinitario e,
al tempo stesso, l'eterna fonte di
ogni elargizione divina al creato.
Proprio in lui possiamo concepire
come personificata e attuata in
modo trascendente quella
misericordia, che la tradizione
patristica e teologica, sulla
linea dell'Antico e del Nuovo
Testamento, attribuisce a Dio.
Nell'uomo la misericordia include
dolore e compassione per le
miserie del prossimo. In Dio lo
Spirito-amore traduce la
considerazione del peccato umano
in una nuova elargizione di amore
salvifico. Da lui, nell'unità col
Padre e col Figlio nasce
l'economia della salvezza, che
riempie la storia dell'uomo con i
doni della redenzione. Se il
peccato, rifiutando l'amore, ha
generato la «sofferenza» dell'uomo
che in qualche modo si è riversata
su tutta la creazione, lo Spirito
Santo entrerà nella sofferenza
umana e cosmica con una nuova
elargizione di amore, che redimerà
il mondo. E sulla bocca di Gesù
Redentore, nella cui umanità si
invera la «sofferenza» di Dio,
risuonerà una parola in cui si
manifesta l'eterno amore, pieno di
misericordia: «Misereor». Così da
parte dello Spirito Santo il
«convincere del peccato» diventa
un manifestare davanti alla
creazione «sottomessa alla
caducità» e, soprattutto, nel
profondo delle coscienze umane,
come il peccato viene vinto
mediante il sacrificio
dell'Agnello di Dio, il quale è
divenuto «fino alla morte» il
servo obbediente che, riparando
alla disobbedienza dell'uomo,
opera la redenzione del mondo. In
questo modo lo Spirito di verità,
il Paraclito, «convince del
peccato».
40. Il valore redentivo del
sacrificio di Cristo è espresso
con parole molto significative
dall'autore della Lettera agli
Ebrei, il quale, dopo aver
ricordato i sacrifici dell'Antica
Alleanza, in cui «il sangue dei
capri e dei vitelli... purifica
nella carne», soggiunge: «Quanto
più il sangue di Cristo, il quale
con uno Spirito eterno offrì se
stesso senza macchia a Dio,
purificherà la nostra coscienza
dalle opere morte, per servire il
Dio vivente»? Pur consapevoli di
altre possibili interpretazioni,
le nostre considerazioni sulla
presenza dello Spirito Santo in
tutta la vita di Cristo ci portano
a ravvisare in questo testo come
un invito a riflettere sulla
presenza del medesimo Spirito
anche nel sacrificio redentore del
Verbo Incarnato. Riflettiamo prima
sulle parole iniziali che trattano
di questo sacrificio e, in
seguito, separatamente, sulla
«purificazione della coscienza»,
da esso operata. È, infatti, un
sacrificio offerto «con (= per
opera di) uno Spirito eterno», il
quale da esso «attinge» la forza
di «convincere del peccato» in
ordine alla salvezza. È lo stesso
Spirito Santo che, secondo la
promessa del Cenacolo, Gesù Cristo
«porterà» agli apostoli il giorno
della sua risurrezione,
presentandosi loro con le ferite
della crocifissione, e che «darà»
loro «per la remissione dei
peccati»: «Ricevete lo Spirito
Santo; a chi rimetterete i peccati
saranno rimessi». Sappiamo che
«Dio consacrò in Spirito Santo e
potenza Gesù di Nazareth», come
diceva Simon Pietro nella casa del
centurione Cornelio. Conosciamo il
mistero pasquale della sua
«dipartita», secondo il Vangelo di
Giovanni Le parole della lettera
agli Ebrei ora ci spiegano in
quale modo Cristo «offrì se stesso
senza macchia a Dio» e come ciò
fece «con uno Spirito eterno». Nel
sacrificio del Figlio dell'uomo lo
Spirito Santo è presente ed agisce
così come agiva nel suo
concepimento, nella sua venuta al
mondo, nella sua vita nascosta e
nel suo ministero pubblico.
Secondo la Lettera agli Ebrei,
sulla via della sua «dipartita»
attraverso il Getsemani e il
Golgota, lo stesso Cristo Gesù
nella propria umanità si è aperto
totalmente a questa azione dello
Spirito-Paraclito, che dalla
sofferenza fa emergere l'eterno
amore salvifico. Egli è stato,
dunque, «esaudito per la sua
pietà. Pur essendo Figlio, imparò
l'obbedienza dalle cose che patì».
In questo modo tale Lettera
dimostra come l'umanità,
sottomessa al peccato nei
discendenti del primo Adamo, in
Gesù Cristo è diventata
perfettamente sottomessa a Dio ed
a lui unita e, nello stesso tempo,
piena di misericordia verso gli
uomini. Si ha così una nuova
umanità, che in Gesù Cristo
mediante la sofferenza della Croce
è ritornata all'amore, tradito da
Adamo col peccato. Essa si è
ritrovata nella stessa fonte
divina dell'elargizione
originaria: nello Spirito, che
«scruta le profondità di Dio» ed è
amore e dono egli stesso. Il
Figlio di Dio Gesù Cristo, come
uomo, nell'ardente preghiera della
sua passione, permise allo Spirito
Santo, che già aveva penetrato
fino in fondo la sua umanità, di
trasformarla in un sacrifcio
perfetto mediante l'atto della sua
morte, come vittima di amore sulla
Croce. Da solo egli fece questa
oblazione. Come unico sacerdote,
«offrì se stesso senza macchia a
Dio». Nella sua umanità era degno
di divenire un tale sacrificio,
poiché egli solo era «senza
macchia». Ma l'offrì «con uno
Spirito eterno»: il che vuol dire
che lo Spirito Santo agì in modo
speciale in questa assoluta
autodonazione del Figlio
dell'uomo, per trasformare la
sofferenza in amore redentivo.
41. Nell'Antico Testamento più
volte si parla del «fuoco dal
cielo», che bruciava le oblazioni
presentate dagli uomini. Per
analogia si può dire che lo
Spirito Santo è il «fuoco dal
cielo», che opera nel profondo del
mistero della Croce. Provenendo
dal Padre, egli indirizza verso il
Padre il sacrificio del Figlio,
introducendolo nella divina realtà
della comunione trinitaria. Se il
peccato ha generato la sofferenza,
ora il dolore di Dio in Cristo
crocifisso acquista per mezzo
dello Spirito Santo la sua piena
espressione umana. Si ha così un
paradossale mistero d'amore: in
Cristo soffre un Dio rifiutato
dalla propria creatura: «Non
credono in me!». ma, nello stesso
tempo dal profondo di questa
sofferenza - e, indirettamente,
dal profondo dello stesso peccato
«di non aver creduto» - lo Spirito
trae una nuova misura del dono
fatto all'uomo e alla creazione
fin dall'inizio. Nel profondo del
mistero della Croce agisce
l'amore, che riporta nuovamente
l'uomo a partecipare alla vita,
che è in Dio stesso. Lo Spirito
Santo come amore e dono discende,
in un certo senso, nel cuore
stesso del sacrifcio che viene
offerto sulla Croce. Riferendoci
alla tradizione biblica, possiamo
dire: egli consuma questo
sacrifcio col fuoco dell'amore,
che unisce il Figlio col Padre
nella comunione trinitaria. E
poiché il sacrificio della Croce è
un atto proprio di Cristo, anche
in questo sacrificio «egli riceve
lo Spirito Santo». Lo riceve in
modo tale, che poi egli - ed egli
solo con Dio Padre - può «darlo»
agli apostoli, alla Chiesa,
all'umanità. Egli solo lo «manda»
dal Padre. Egli solo si presenta
davanti agli apostoli riuniti nel
Cenacolo, «alita su di loro» e
dice: «Ricevete lo Spirito Santo;
a chi rimetterete i peccati
saranno rimessi», come aveva
preannunciato Giovanni Battista:
«Egli vi battezzerà nello Spirito
Santo e nel fuoco». Con quelle
parole di Gesù lo Spirito Santo è
rivelato ed insieme è reso
presente come amore che opera nel
profondo del mistero pasquale,
come fonte della potenza salvifica
della Croce di Cristo, come dono
della vita nuova ed eterna. Questa
verità sullo Spirito Santo trova
quotidiana espressione nella
liturgia romana, quando il
sacerdote, prima della comunione,
pronuncia quelle significative
parole: «Signore Gesù Cristo,
Figlio del Dio vivo, che per
volontà del Padre e con l'opera
dello Spirito Santo morendo hai
dato la vita al mondo...». E nella
III Preghiera Eucaristica,
riferendosi alla stessa economia
salvifica, il sacerdote chiede a
Dio che lo Spirito Santo «faccia
di noi un sacrificio perenne a te
gradito».
5. Il sangue, che purifica la
coscienza
42. Abbiamo detto che, al culmine
del mistero pasquale, lo Spirito
Santo è definitivamente rivelato e
reso presente in un mondo nuovo.
Il Cristo risorto dice agli
apostoli: «Ricevete lo Spirito
Santo». Viene in questo modo
rivelato lo Spirito Santo, perché
le parole di Cristo costituiscono
la conferma delle promesse e degli
annunci del discorso nel Cenacolo.
E con ciò il Paraclito viene anche
reso presente in un modo nuovo.
Egli, in realtà, operava sin
dall'inizio nel mistero della
creazione e lungo tutta la storia
dell'antica Alleanza di Dio con
l'uomo. La sua azione è stata
pienamente confermata dalla
missione del Figlio dell'uomo come
Messia, che è venuto nella potenza
dello Spirito Santo. Al culmine
della missione messianica di Gesù,
lo Spirito Santo diventa presente
nel mistero pasquale in tutta la
sua soggettività divina: come
colui che deve ora continuare
l'opera salvifica, radicata nel
sacrificio della Croce. Senza
dubbio quest'opera viene affidata
da Gesù ad uomini: agli apostoli,
alla Chiesa. Tuttavia, in questi
uomini e per mezzo di essi, lo
Spirito Santo rimane il
trascendente soggetto protagonista
della realizzazione di tale opera
nello spirito dell'uomo e nella
storia del mondo: l'invisibile e,
al tempo stesso, onnipresente
Paraclito! Lo Spirito che «soffia
dove vuole». Le parole,
pronunciate da Cristo risorto, il
giorno «primo dopo il sabato»,
mettono in particolare rilievo la
presenza del Paraclito
consolatore, come di colui che
«convince il mondo quanto al
peccato, alla giustizia e al
giudizio». Infatti, solo in questo
rapporto, si spiegano le parole
che Gesù pone in diretto
riferimento col «dono» dello
Spirito Santo agli apostoli. Egli
dice: «Ricevete lo Spirito Santo;
a chi rimetterete i peccati
saranno rimessi, e a chi non li
rimetterete resteranno non
rimessi». Gesù conferisce agli
apostoli il potere di rimettere i
peccati, perché lo trasmettano ai
loro successori nella Chiesa.
Tuttavia, questo potere, concesso
ad uomini, presuppone e include
l'azione salvifica dello Spirito
Santo. Divenendo «luce dei cuori»,
cioè delle coscienze, lo Spirito
Santo «convince del peccato»,
ossia fa conoscere all'uomo il suo
male e, nello stesso tempo lo
orienta verso il bene. Grazie alla
molteplicità dei suoi doni, per
cui è invocato come il «settiforme»,
ogni genere di peccato dell'uomo
può essere raggiunto dalla potenza
salvifica di Dio. In realtà - come
dice san Bonaventura - «in virtù
dei sette doni dello Spirito Santo
tutti i mali sono distrutti e sono
prodotti tutti i beni». Sotto
l'influsso del consolatore si
compie, dunque quella conversione
del cuore umano, che è condizione
indispensabile del perdono dei
peccati. Senza una vera
conversione, che implica una
interiore contrizione e senza un
sincero e fermo proposito di
cambiamento, i peccati rimangono
«non rimessi», come dice Gesù e
con lui la Tradizione dell'Antica
e della Nuova Alleanza. Infatti,
le prime parole pronunciate da
Gesù all'inizio del suo ministero,
secondo il Vangelo di Marco, sono
queste: «Convertitevi e credete al
vangelo». La conferma di questa
esortazione è il «convincere
quanto al peccato» che lo Spirito
Santo intraprende in modo nuovo in
forza della redenzione, operata
dal sangue del Figlio dell'uomo.
Perciò, la Lettera agli Ebrei dice
che questo «sangue purifica la
coscienza». Esso, dunque, per così
dire, apre allo Spirito Santo la
via verso l'intimo dell'uomo, cioè
il santuario delle coscienze
umane.
43. Il Concilio Vaticano II ha
ricordato l'insegnamento cattolico
sulla coscienza, parlando della
vocazione dell'uomo e, in
particolare, della dignità della
persona umana. Proprio la
coscienza decide in modo specifico
di questa dignità. Essa, infatti,
è «il nucleo più segreto e il
sacrario dell'uomo, dove egli è
solo con Dio, la cui voce risuona
nell'intimo». Essa chiaramente
«dice alle orecchie del cuore: Fa'
questo, fuggi quest'altro». Una
tale capacità di comandare il bene
e di proibire il male, inserita
dal Creatore nell'uomo, è la
principale proprietà del soggetto
personale. Ma, al tempo stesso,
«nell'intimo della coscienza
l'uomo scopre una legge che non è
lui a darsi, ma alla quale deve
invece obbedire». La coscienza,
dunque, non è una fonte autonoma
ed esclusiva per decidere ciò che
è buono e ciò che è cattivo;
invece, in essa è inscritto
profondamente un principio di
obbedienza nei riguardi della
norma oggettiva, che fonda e
condiziona la corrispondenza delle
sue decisioni con i comandi e i
divieti che sono alla base del
comportamento umano, come traspare
fin dalla pagina del Libro della
Genesi, già richiamato. Proprio in
questo senso la coscienza è
l'«intimo sacrario», in cui
«risuona la voce di Dio». Essa è
«la voce di Dio» persino quando
l'uomo riconosce esclusivamente in
essa il principio dell'ordine
morale, di cui umanamente non si
può dubitare, anche senza un
diretto riferimento al Creatore:
proprio in questo riferimento la
coscienza trova sempre il suo
fondamento e la sua
giustificazione. L'evangelico
«convincere quanto al peccato»
sotto l'influsso dello Spirito di
verità non può realizzarsi
nell'uomo per altra via se non per
quella della coscienza. Se la
coscienza è retta, allora serve
«per risolvere secondo verità i
problemi morali, che sorgono tanto
nella vita dei singoli quanto in
quella sociale»; allora «le
persone e i gruppi sociali si
allontanano dal cieco arbitrio e
si sforzano di conformarsi alle
norme oggettive della moralità».
Frutto della retta coscienza è,
prima di tutto, il chiamare per
nome il bene e il male, come fa ad
esempio la stessa Costituzione
pastorale: «Tutto ciò che è contro
la vita stessa, come ogni specie
di omicidio, il genocidio
l'aborto, l'eutanasia e lo stesso
suicidio volontario; tutto ciò che
viola l'integrità della persona
umana, come le mutilazioni, le
torture inflitte al corpo e alla
mente; gli sforzi di costrizione
psicologica. tutto ciò che offende
la dignità umana, come le
condizioni di vita infraumana, le
incarcerazioni arbitrarie, le
deportazioni, la schiavitù, la
prostituzione, il mercato delle
donne e dei giovani, o ancora le
ignominiose condizioni di lavoro,
con le quali i lavoratori sono
trattati come semplici strumenti
di guadagno, e non come persone
libere e responsabili»; e, dopo
aver chiamato per nome i
molteplici peccati, così frequenti
e diffusi nel nostro tempo, essa
aggiunge: «Tutte queste cose e
altre simili sono certamente
vergognose e, mentre corrompono la
civiltà umana, inquinano coloro
che così si comportano ben più di
quelli che le subiscono; e
offendono al massimo l'onore del
Creatore». Chiamando per nome i
peccati che più disonorano l'uomo,
e dimostrando che essi sono un
male morale che grava
negativamente su qualsiasi
bilancio del progresso
dell'umanità, il Concilio insieme
descrive tutto ciò come una tappa
«della lotta drammatica tra il
bene e il male, tra la luce e le
tenebre», che caratterizza «tutta
la vita umana, sia individuale che
collettiva». L'assemblea del
Sinodo dei Vescovi del 1983 sulla
riconciliazione e la penitenza ha
precisato ancor meglio il
significato personale e sociale
del peccato dell'uomo.
44. Ebbene, nel Cenacolo, la
vigilia della sua Passione, e poi
la sera di Pasqua, Gesù Cristo si
è appellato allo Spirito Santo
come a colui, il quale testimonia
che nella storia dell'umanità
perdura il peccato. Tuttavia, il
peccato è sottoposto alla potenza
salvifica della redenzione. Il
«convincere il mondo del peccato»
non si esaurisce nel fatto che
esso viene chiamato per nome e
identificato per quello che è su
tutta la scala che gli è propria.
Nel convincere il mondo del
peccato, lo Spirito di verità
s'incontra con la voce delle
coscienze umane. Su questa via si
giunge alla dimostrazione delle
radici del peccato, che sono
nell'intimo dell'uomo, come mette
in rilievo la stessa Costituzione
pastorale: «In verità, gli
squilibri di cui soffre il mondo
contemporaneo si collegano con
quello squilibrio più
fondamentale, radicato nel cuore
dell'uomo. È nell'uomo stesso che
molti elementi si contrastano a
vicenda. Da una parte, infatti,
come creatura fa l'esperienza dei
suoi molteplici limiti;
dall'altra, si sente illimitato
nelle sue aspirazioni e chiamato
ad una vita superiore. Sollecitato
da molte attrattive, è costretto
sempre a sceglierne qualcuna e a
rinunciare alle altre. Inoltre,
debole e peccatore, non di rado fa
quello che non vorrebbe e non fa
quello che vorrebbe». Il testo
conciliare fa qui riferimento alle
note parole di san Paolo. Il
«convincere quanto al peccato»,
che accompagna la coscienza umana
in ogni approfondita riflessione
su se stessa, porta dunque alla
scoperta delle sue radici
nell'uomo, come anche dei
condizionamenti della coscienza
stessa nel corso della storia.
Ritroviamo in questo modo quella
realtà originaria del peccato,
della quale si è già parlato. Lo
Spirito Santo «convince quanto al
peccato» in rapporto al mistero
dell'inizio, indicando il fatto
che l'uomo è un essere creato e,
dunque, è in una totale dipendenza
ontologica ed etica dal Creatore,
e ricordando, al tempo stesso,
l'ereditaria peccaminosità della
natura umana. Ma lo Spirito Santo
consolatore «convince del peccato»
sempre in relazione alla Croce di
Cristo. In questa relazione il
cristianesimo respinge ogni
«fatalità» del peccato. È «una
dura lotta contro le potenze delle
tenebre, lotta che, cominciata fin
dall'origine del mondo,
continuerà, come dice il Signore,
fino all'ultimo giorno» - insegna
il Concilio. «Ma il Signore stesso
è venuto a liberare l'uomo e a
dargli forza». L'uomo, dunque,
lungi dal lasciarsi «irretire»
nella sua condizione di peccato,
appoggiandosi alla voce della
propria coscienza, «deve
combattere senza soste per aderire
al bene, né può conseguire la sua
unità interiore se non a prezzo di
grandi fatiche, con l'aiuto della
grazia di Dio». Il Concilio
giustamente vede il peccato come
fattore della rottura, che grava
sia sulla vita personale che su
quella sociale dell'uomo; ma,
nello stesso tempo, ricorda
instancabilmente la possibilità
della vittoria.
45. Lo Spirito di verità, che
«convince il mondo del peccato»,
s'incontra con quella fatica della
coscienza umana, di cui i testi
conciliari parlano in modo così
suggestivo. Tale fatica della
coscienza determina anche le vie
delle conversioni umane: il
voltare le spalle al peccato, per
ricostruire la verità e l'amore
nel cuore stesso dell'uomo. Si sa
che riconoscere il male in se
stessi a volte costa molto. Si sa
che la coscienza non solo comanda
o proibisce, ma giudica alla luce
degli ordini e divieti interiori.
Essa é anche fonte di rimorsi:
l'uomo soffre interiormente a
causa del male commesso. Non è
questa sofferenza quasi un'eco
lontana di quel «pentimento di
aver creato l'uomo», che con
linguaggio antropomorfico il Libro
sacro attribuisce a Dio? di quella
«riprovazione» che, inscrivendosi
nel «cuore» della Trinità, in
forza dell'eterno amore si traduce
nel dolore della Croce,
nell'obbedienza di Cristo fino
alla morte? Quando lo Spirito di
verità consente alla coscienza
umana di partecipare a quel
dolore, allora la sofferenza della
coscienza diventa particolarmente
profonda, ma anche particolarmente
salvifica. Allora, mediante un
atto di contrizione perfetta, si
opera l'autentica conversione del
cuore: è l'evangelica «métanoia».
La fatica del cuore umano, la
fatica della coscienza, in cui si
compie questa «métanoia», o
conversione, è il riflesso di quel
processo per cui la riprovazione
viene trasformata in amore
salvifico, che sa soffrire. Il
dispensatore nascosto di questa
forza salvatrice è lo Spirito
Santo: egli, che viene chiamato
dalla Chiesa «luce delle
coscienze», penetra e riempie «la
profondità dei cuori» umani.
Mediante una tale conversione
nello Spirito Santo, l'uomo si
apre al perdono, alla remissione
dei peccati E in tutto questo
mirabile dinamismo della
conversione-remissione, si
conferma la verità di ciò che
scrive sant'Agostino sul mistero
dell'uomo, commentando le parole
del Salmo: «L'abisso chiama
l'abisso». Proprio nei riguardi di
questa «abissale profondità»
dell'uomo della coscienza umana,
si compie la missione del Figlio e
dello Spirito Santo. Lo Spirito
Santo «viene» in forza della
«dipartita» di Cristo nel mistero
pasquale: viene in ogni fatto
concreto di
conversione-remissione, in forza
del sacrificio della Croce: in
esso, infatti, «il sangue di
Cristo... purifica le coscienze
dalle opere morte, per servire il
Dio vivente». Si adempiono così di
continuo le parole sullo Spirito
Santo come «un altro consolatore»,
le parole rivolte nel Cenacolo
agli apostoli e indirettamente a
tutti: «Voi lo conoscete, perché
egli dimora presso di voi sarà in
voi».
6. Il peccato contro lo Spirito
Santo
46. Sullo sfondo di ciò che
abbiamo detto finora, diventano
più comprensibili alcune altre
parole, impressionanti e
sconvolgenti, di Gesù. Le potremmo
chiamare le parole del
«non-perdono». Esse ci sono
riferite dai Sinottici in rapporto
ad un particolare peccato, che è
chiamato «bestemmia contro lo
Spirito Santo». Eccole come sono
state riferite nella triplice loro
redazione.
Matteo:
«Qualunque peccato e bestemmia
sarà perdonata agli uomini, ma la
bestemmia contro lo Spirito non
sarà perdonata. A chiunque parlerà
male del Figlio dell'uomo sarà
perdonato; ma la bestemmia contro
lo Spirito non gli sarà perdonata
né in questo secolo, né in quello
futuro».
Marco:
«Tutti i peccati saranno perdonati
ai figli degli uomini, e anche
tutte le bestemmie che diranno, ma
chi avrà bestemmiato contro lo
Spirito Santo, non avrà perdono in
eterno: sarà reo di colpa eterna».
Luca:
«Chiunque parlerà contro il Figlio
dell'uomo gli sarà perdonato, ma a
chi bestemmierà lo Spirito Santo
non sarà perdonato».
Perché la bestemmia contro lo
Spirito Santo è imperdonabile?
Come intendere questa bestemmia?
Risponde san Tommaso d'Aquino che
si tratta di un peccato:
«irremissibile secondo la sua
natura, in quanto esclude quegli
elementi, grazie ai quali avviene
la remissione dei peccati».
Secondo una tale esegesi la
«bestemmia» non consiste
propriamente nell'offendere con le
parole lo Spirito Santo; consiste,
invece, nel rifiuto di accettare
la salvezza che Dio offre all'uomo
mediante lo Spirito Santo,
operante in virtù del sacrificio
della Croce. Se l'uomo rifiuta
quel «convincere quanto al
peccato», che proviene dallo
Spirito Santo ed ha carattere
salvifico, egli insieme rifiuta la
«venuta» del consolatore - quella
«venuta» che si è attuata nel
mistero pasquale, in unità con la
potenza redentrice del sangue di
Cristo: il sangue che «purifica la
coscienza dalle opere morte».
Sappiamo che frutto di una tale
purificazione è la remissione dei
peccati. Pertanto, chi rifiuta lo
Spirito e il sangue rimane nelle
«opere morte», nel peccato. E la
bestemmia contro lo Spirito Santo
consiste proprio nel rifiuto
radicale di accettare questa
remissione, di cui egli è l'intimo
dispensatore e che presuppone la
reale conversione, da lui operata
nella coscienza. Se Gesù dice che
la bestemmia contro lo Spirito
Santo non può essere rimessa né in
questa vita né in quella futura, è
perché questa «non-remissione» è
legata, come a sua causa, alla
«non penitenza», cioè al radicale
rifiuto di convertirsi. Il che
significa il rifiuto di
raggiungere le fonti della
redenzione, le quali, tuttavia,
rimangono «sempre» aperte
nell'economia della salvezza, in
cui si compie la missione dello
Spirito Santo. Questi ha
l'infinita potenza di attingere a
queste fonti: «Prenderà del mio»,
ha detto Gesù. In questo modo egli
completa nelle anime umane l'opera
della redenzione, compiuta da
Cristo, dispensandone i frutti.
Ora la bestemmia contro lo Spirito
Santo è il peccato commesso
dall'uomo, che rivendica un suo
presunto «diritto» di perseverare
nel male - in qualsiasi peccato -
e rifiuta così la redenzione.
L'uomo resta chiuso nel peccato,
rendendo da parte sua impossibile
la sua conversione e, dunque,
anche la remissione dei peccati,
che ritiene non essenziale o non
importante per la sua vita. È,
questa, una condizione di rovina
spirituale, perché la bestemmia
contro lo Spirito Santo non
permette all'uomo di uscire dalla
sua autoprigionia e di aprirsi
alle fonti divine della
purificazione delle coscienze e
della remissione dei peccati.
47. L'azione dello Spirito di
verità, che tende al salvifico
«convincere quanto al peccato»,
incontra nell'uomo che si trova in
tale condizione una resistenza
interiore, quasi un'impermeabilità
della coscienza, uno stato d'animo
che si direbbe consolidato in
ragione di una libera scelta: è
ciò che la Sacra Scrittura di
solito chiama «durezza di cuore».
Nella nostra epoca a questo
atteggiamento di mente e di cuore
corrisponde forse la perdita del
senso del peccato, alla quale
dedica molte pagine l'Esortazione
Apostolica Reconciliatio et
paenitentia. Già il Papa Pio XII
aveva affermato che «il peccato
del secolo è la perdita del senso
del peccato», e tale perdita va di
pari passo con la «perdita del
senso di Dio». Nell'Esortazione
citata leggiamo: «In realtà, Dio è
la radice e il fine supremo
dell'uomo, e questi porta in sé un
germe divino. Perciò, è la realtà
di Dio che svela e illumina il
mistero dell'uomo. È vano, quindi,
sperare che prenda consistenza un
senso del peccato nei confronti
dell'uomo e dei valori umani, se
manca il senso dell'offesa
commessa contro Dio, cioè il senso
vero del peccato». La Chiesa,
perciò, non cessa di implorare da
Dio la grazia che non venga meno
la rettitudine nelle coscienze
umane, che non si attenui la loro
sana sensibilità dinanzi al bene e
al male. Questa rettitudine e
sensibilità sono profondamente
legate all'intima azione dello
Spirito di verità. In questa luce
acquistano particolare eloquenza
le esortazioni dell'Apostolo: «Non
spegnete lo Spirito». «Non
vogliate rattristare lo Spirito
Santo». Soprattutto, però, la
Chiesa non cessa di implorare con
sommo fervore che non aumenti nel
mondo quel peccato chiamato dal
Vangelo «bestemmia contro lo
Spirito Santo»; che esso, anzi,
retroceda nelle anime degli uomini
- e per riflesso negli stessi
ambienti e nelle varie forme della
società -, cedendo il posto
all'apertura delle coscienze,
necessaria per l'azione salvifica
dello Spirito Santo. La Chiesa
implora che il pericoloso peccato
contro lo Spirito lasci il posto
ad una santa disponibilità ad
accettare la sua missione di
consolatore, quando egli viene per
«convincere il mondo quanto al
peccato, alla giustizia e al
giudizio».
48. Nel suo discorso di addio Gesù
ha unito questi tre àmbiti del
«convincere» come componenti della
missione del Paraclito: il
peccato, la giustizia e il
giudizio. Essi segnano lo spazio
di quel mistero della pietà, che
nella storia dell'uomo si oppone
al peccato, al mistero
dell'iniquità. Da un lato, come si
esprime sant'Agostino, c'è
l'«amore di sé fino al disprezzo
di Dio»; dall'altro, c'è l'«amore
di Dio fino al disprezzo di sé».
La Chiesa di continuo innalza la
sua preghiera e presta il suo
servizio, perché la storia delle
coscienze e la storia delle
società nella grande famiglia
umana non si abbassino verso il
polo del peccato col rifiuto dei
comandamenti divini «fino al
disprezzo di Dio», ma piuttosto si
elevino verso l'amore, in cui si
rivela lo Spirito che dà la vita.
Coloro che si lasciano «convincere
quanto al peccato» dallo Spirito
Santo, si lasciano anche
convincere quanto «alla giustizia
e al giudizio». Lo Spirito di
verità, che aiuta gli uomini, le
coscienze umane, a conoscere la
verità del peccato, al tempo
stesso fa sì che conoscano la
verità di quella giustizia che
entrò nella storia dell'uomo con
Gesù Cristo. In questo modo,
coloro che «convinti del peccato»
si convertono sotto l'azione del
consolatore, vengono, in un certo
senso, condotti fuori dall'orbita
del «giudizio»: di quel
«giudizio», col quale «il principe
di questo mondo è stato
giudicato». La conversione, nella
profondità del suo mistero
divino-umano, significa la rottura
di ogni vincolo col quale il
peccato lega l'uomo nell'insieme
del mistero dell'iniquità. Coloro
che si convertono, dunque, vengono
condotti dallo Spirito Santo fuori
dall'orbita del «giudizio», e
introdotti in quella giustizia,
che è in Cristo Gesù, e vi è
perché la riceve dal Padre, come
un riflesso della santità
trinitaria. Questa è la giustizia
del Vangelo e della redenzione, la
giustizia del Discorso della
montagna e della Croce, che opera
la purificazione della coscienza
mediante il sangue dell'Agnello. È
la giustizia che il Padre rende al
Figlio ed a tutti coloro, che sono
uniti a lui nella verità e
nell'amore. In questa giustizia lo
Spirito Santo, Spirito del Padre e
del Figlio, che «convince il mondo
quanto al peccato», si rivela e si
rende presente nell'uomo come
Spirito di vita eterna.
III - Lo spirito che dà la vita
1. Motivo del Giubileo del
Duemila: Cristo, il quale fu
concepito di Spirito Santo
49. Allo Spirito Santo si volgono
il pensiero e il cuore della
Chiesa in questa fine del
ventesimo secolo e nella
prospettiva del terzo Millennio
dalla venuta di Gesù Cristo nel
mondo, mentre guardiamo verso il
grande Giubileo con cui la Chiesa
celebrerà l'evento. Tale venuta,
infatti, si misura, secondo il
computo del tempo, come un evento
che appartiene alla storia
dell'uomo sulla terra. La misura
del tempo adoperata comunemente
definisce gli anni, i secoli e i
millenni secondo che trascorrono
prima o dopo la nascita di Cristo.
Ma bisogna anche tener presente
che questo evento significa per
noi cristiani, secondo l'Apostolo,
la «pienezza del tempo», perché in
esso la storia dell'uomo è stata
completamente penetrata dalla
«misura» di Dio stesso: una
trascendente presenza del «nunc»
eterno. «Colui che è che era e che
viene». colui che è «l'alfa e
l'omega, il primo e l'ultimo, il
principio e la fine». «Dio,
infatti, ha tanto amato il mondo
da dare il suo Figlio unigenito,
perché chiunque crede in lui non
muoia, ma abbia la vita eterna».
«Quando venne la pienezza del
tempo, Dio mandò il suo Figlio,
nato da donna..., perché
ricevessimo l'adozione a figli». E
questa incarnazione del
Figlio-Verbo è avvenuta per opera
dello Spirito Santo. I due
evangelisti, ai quali dobbiamo il
racconto della nascita e
dell'infanzia di Gesù di Nazareth,
si pronunciano in questa questione
allo stesso modo. Secondo Luca
all'annunciazione della nascita di
Gesù, Maria domanda «Come avverrà
questo? Non conosco uomo», e
riceve questa risposta: «Lo
Spirito Santo scenderà su di te,
su di te stenderà la sua ombra la
potenza dell'Altissimo. Colui che
nascerà sarà, dunque, santo e
chiamato Figlio di Dio». Matteo
narra direttamente: «Ecco come
avvenne la nascita di Gesù Cristo:
sua madre Maria, essendo promessa
sposa di Giuseppe, prima che
andassero a vivere insieme, si
trovò incinta per opera dello
Spirito Santo». Turbato da questo
stato di cose, Giuseppe riceve
durante il sonno la seguente
spiegazione: «Non temere di
prendere con te Maria, tua sposa,
perché quel che è generato in lei
viene dallo Spirito Santo. Essa
partorirà un figlio, e tu lo
chiamerai Gesù: egli, infatti,
salverà il suo popolo dai suoi
peccati». Perciò, la Chiesa sin
dall'inizio professa il mistero
dell'incarnazione, questo
mistero-chiave della fede,
riferendosi allo Spirito Santo.
Recita il Simbolo Apostolico: «Il
quale fu concepito di Spirito
Santo, nacque da Maria Vergine».
Non diversamente il Simbolo
niceno-costantinopolitano attesta:
«Per opera dello Spirito Santo si
è incarnato nel seno della Vergine
Maria e si è fatto uomo». «Per
opera dello Spirito Santo» si è
fatto uomo colui che la Chiesa,
con le parole dello stesso
Simbolo, confessa essere Figlio
consostanziale al Padre: «Dio da
Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio
vero, generato, non creato». Si è
fatto uomo «incarnandosi nel seno
della Vergine Maria». Ecco che
cosa si è compiuto, quando «venne
la pienezza del tempo».
50. Il grande Giubileo, conclusivo
del secondo Millennio, al quale la
Chiesa già si prepara, ha
direttamente un profilo
cristologico: si tratta, infatti,
di celebrare la nascita di Gesù
Cristo. Nello stesso tempo, esso
ha un profilo pneumatologico,
poiché il mistero
dell'incarnazione si è compiuto
«per opera dello Spirito Santo».
L'ha «operato» quello Spirito che
- consostanziale al Padre e al
Figlio - è, nell'assoluto mistero
di Dio uno e trino, la
Persona-amore, il dono increato,
che è fonte eterna di ogni
elargizione proveniente da Dio
nell'ordine della creazione, il
principio diretto e, in certo
senso, il soggetto dell'autocomunicazione
di Dio nell'ordine della grazia.
Di questa elargizione, di questa
divina autocomunicazione il
mistero dell'incarnazione
costituisce il culmine. In
effetti, la concezione e la
nascita di Gesù Cristo sono la più
grande opera compiuta dallo
Spirito Santo nella storia della
creazione e della salvezza: la
suprema grazia - la «grazia
dell'unione», fonte di ogni altra
grazia come spiega san Tommaso. A
questa opera si riferisce il
grande Giubileo e si riferisce
anche - se penetriamo nel suo
profondo - all'artefice di quest'opera,
alla Persona dello Spirito Santo.
Alla «pienezza del tempo»
corrisponde, infatti, una
particolare pienezza dell'autocomunicazione
di Dio uno e trino nello Spirito
Santo. «Per opera dello Spirito
Santo» si compie il mistero
dell'«unione ipostatica», cioè
dell'unione della natura divina e
della natura umana della divinità
e dell'umanità nell'unica Persona
del Verbo-Figlio. Quando Maria, al
momento dell'annunciazione,
pronuncia il suo «fiat»: «Avvenga
di me quello che hai detto», ella
concepisce in modo verginale un
uomo, il Figlio dell'uomo, che è
il Figlio di Dio. Mediante una
tale «umanizzazione» del
Verbo-Figlio, l'autocomunicazione
di Dio raggiunge la sua pienezza
definitiva nella storia della
creazione e della salvezza. Questa
pienezza acquista una particolare
densità ed eloquenza espressiva
nel testo del Vangelo di Giovanni:
«Il Verbo si fece carne».
L'incarnazione di Dio-Figlio
significa l'assunzione all'unità
con Dio non solo della natura
umana, ma in essa, in un certo
senso, di tutto ciò che è «carne»:
di tutta l'umanità, di tutto il
mondo visibile e materiale.
L'incarnazione, dunque, ha anche
un suo significato cosmico, una
sua cosmica dimensione. Il
«generato prima di ogni creatura»,
incarnandosi nell'umanità
individuale di Cristo, si unisce
in qualche modo con l'intera
realtà dell'uomo, il quale è anche
«carne» - e in essa con ogni
«carne», con tutta la creazione.
51. Tutto ciò si compie per opera
dello Spirito Santo e dunque,
appartiene al contenuto del futuro
grande Giubileo. La Chiesa non può
prepararsi ad esso in nessun altro
modo, se non nello Spirito Santo.
Ciò che «nella pienezza del tempo»
si è compiuto per opera dello
Spirito Santo, solo per opera sua
può ora emergere dalla memoria
della Chiesa. Per opera sua può
rendersi presente nella nuova fase
della storia dell'uomo sulla
terra: l'anno Duemila dalla
nascita di Cristo. Lo Spirito
Santo, che con la sua potenza
adombrò il corpo verginale di
Maria, dando in lei inizio alla
maternità divina, nello stesso
tempo rese il suo cuore
perfettamente obbediente nei
riguardi di quell'autocomunicazione
di Dio, che superava ogni concetto
e ogni facoltà dell'uomo. «Beata
colei che ha creduto!»: così viene
salutata Maria dalla sua parente
Elisabetta, anche lei «piena di
Spirito Santo». Nelle parole di
saluto a colei che «ha creduto»
sembra delinearsi un lontano (ma,
in effetti, molto vicino)
contrasto nei riguardi di tutti
coloro, dei quali Cristo dirà che
«non hanno creduto». Maria è
entrata nella storia della
salvezza del mondo mediante
l'obbedienza della fede. E la
fede, nella sua più profonda
essenza, é l'apertura del cuore
umano davanti al dono: davanti
all'autocomunicazione di Dio nello
Spirito Santo. Scrive san Paolo:
«Il Signore è lo Spirito, e dove
c'è lo Spirito del Signore, c'è
libertà». Quando Dio uno e trino
si apre all'uomo nello Spirito
Santo, questa sua «apertura»
rivela ed insieme dona alla
creatura-uomo la pienezza della
libertà. Tale pienezza si è
manifestata in modo sublime
proprio mediante la fede di Maria,
mediante «l'obbedienza della fede»
davvero, «beata colei che ha
creduto!».
2. Motivo del Giubileo: si è
manifestata la grazia
52. Nel mistero dell'incarnazione
l'opera dello Spirito, «che dà la
vita», raggiunge il suo vertice.
Non è possibile dare la vita, che
in Dio è in modo pieno, che
facendo di essa la vita di un
Uomo, quale è Cristo nella sua
umanità personalizzata dal Verbo
nell'unione ipostatica. E, al
tempo stesso, col mistero
dell'incarnazione si apre in modo
nuovo la fonte di questa vita
divina nella storia dell'umanità:
lo Spirito Santo. Il Verbo,
«generato prima di ogni creatura»,
diventa «il primogenito tra molti
fratelli» e così diventa anche il
capo del corpo che è la Chiesa, la
quale nascerà sulla Croce e sarà
rivelata il giorno della
Pentecoste - e nella Chiesa, il
capo dell'umanità: degli uomini di
ogni nazione, di ogni razza, di
ogni paese e cultura, di ogni
lingua e continente, tutti
chiamati alla salvezza. «Il Verbo
si fece carne, (quel Verbo in cui)
era la vita e la vita era la luce
degli uomini... A quanti l'hanno
accolto ha dato potere di
diventare figli di Dio». Ma tutto
ciò si è compiuto ed
incessantemente si compie «per
opera dello Spirito Santo». «Figli
di Dio», infatti, sono - come
insegna l'Apostolo - «tutti quelli
che sono guidati dallo Spirito di
Dio». La figliolanza dell'adozione
divina nasce negli uomini sulla
base del mistero
dell'incarnazione, dunque grazie a
Cristo, l'eterno Figlio. Ma la
nascita, o rinascita, avviene
quando Dio Padre «manda nei nostri
cuori lo Spirito del suo Figlio».
Allora, infatti, «riceviamo uno
spirito da figli adottivi per
mezzo del quale gridiamo: "Abbà,
Padre!"». Pertanto, quella
figliolanza di Dio innestata
nell'anima umana con la grazia
santificante, è opera dello
Spirito Santo. «Lo Spirito stesso
attesta al nostro spirito che
siamo figli di Dio. E se siamo
figli, siamo anche eredi: eredi di
Dio, coeredi di Cristo». La grazia
santificante è nell'uomo il
principio e la fonte della nuova
vita: vita divina, soprannaturale.
L'elargizione di questa nuova vita
è come la risposta definitiva di
Dio alle parole del Salmista,
nelle quali in certo modo risuona
la voce di tutte le creature: «Se
mandi il tuo Spirito saranno
creati e rinnoverai la faccia
della terra». Colui che nel
mistero della creazione dà
all'uomo e al cosmo la vita nelle
sue molteplici forme visibili ed
invisibili, egli ancora la rinnova
mediante il mistero
dell'incarnazione. La creazione
viene così completata
dall'incarnazione e permeata fin
da quel momento dalle forze della
redenzione, che investono
l'umanità e tutto il creato. Ce lo
dice san Paolo, la cui visione
cosmico-teologica sembra
riprendere la voce dell'antico
Salmo: la creazione «attende con
impazienza la rivelazione dei
figli di Dio», ossia di coloro che
Dio, avendoli «da sempre
conosciuti», ha anche
«predestinati ad essere conformi
all'immagine del Figlio suo». Si
ha così una soprannaturale
«adozione» degli uomini, di cui è
origine lo Spirito Santo, amore e
dono. Come tale egli viene
elargito agli uomini E nella
sovrabbondanza del dono increato
ha inizio, nel cuore di ogni uomo,
quel particolare dono creato,
mediante il quale gli uomini
«diventano partecipi della natura
divina». Così la vita umana viene
penetrata per partecipazione dalla
vita divina ed acquista anch'essa
una dimensione divina,
soprannaturale. Si ha la nuova
vita, nella quale, come partecipi
del mistero dell'incarnazione,
«gli uomini nello Spirito Santo
hanno accesso al Padre». Vi è,
dunque, una stretta relazione tra
lo Spirito, che dà la vita, e la
grazia santificante e quella
molteplice vitalità
soprannaturale, che ne deriva
nell'uomo: tra lo Spirito increato
e lo spirito umano creato.
53. Si può dire che tutto ciò
rientra nell'ambito del grande
Giubileo, sopra menzionato.
Bisogna, infatti, oltrepassare la
dimensione storica del fatto,
considerato nella sua superficie.
Bisogna raggiungere, nello stesso
contenuto cristologico del fatto,
la dimensione pneumatologica,
abbracciando con lo sguardo della
fede i due millenni dell'azione
dello Spirito di verità, il quale,
attraverso i secoli, ha attinto
dal tesoro della redenzione di
Cristo dando agli uomini la nuova
vita, operando in essi l'adozione
nel Figlio unigenito,
santificandoli, sicché essi
possono ripetere con san Paolo:
«Abbiamo ricevuto lo Spirito di
Dio». Ma, seguendo questo motivo
del Giubileo, non è possibile
limitarsi ai duemila anni
trascorsi dalla nascita di Cristo.
Bisogna risalire indietro,
abbracciare tutta l'azione dello
Spirito Santo anche prima di
Cristo--sin dal principio, in
tutto il mondo e, specialmente,
nell'economia dell'Antica
Alleanza. Questa azione, infatti,
in ogni luogo e in ogni tempo,
anzi in ogni uomo, si è svolta
secondo l'eterno piano di
salvezza, per il quale essa è
strettamente unita al mistero
dell'incarnazione e della
redenzione, che a sua volta
esercitò il suo influsso nei
credenti in Cristo venturo. Ciò è
attestato in modo particolare
nella Lettera agli Efesini. La
grazia, pertanto, porta
congiuntamente in sé una
caratteristica cristologica ed
insieme pneumatologica, che si
verifica soprattutto in coloro che
espressamente aderiscono al
Cristo: «In lui (in Cristo)...
avete ricevuto il suggello dello
Spirito Santo, che era stato
promesso, il quale è caparra della
nostra eredità in attesa della
completa redenzione». Ma, sempre
nella prospettiva del grande
Giubileo, dobbiamo anche guardare
più ampiamente e andare «al
largo», sapendo che «il vento
soffia dove vuole», secondo
l'immagine usata da Gesù nel
colloquio con Nicodemo. Il
Concilio Vaticano II, concentrato
soprattutto sul tema della Chiesa,
ci ricorda l'azione dello Spirito
Santo anche «al di fuori» del
corpo visibile della Chiesa. Esso
parla appunto di «tutti gli uomini
di buona volontà, nel cui cuore
opera invisibilmente la grazia.
Cristo infatti, è morto per tutti
e la vocazione ultima dell'uomo è
effettivamente una sola, quella
divina; perciò, dobbiamo ritenere
che lo Spirito Santo dia a tutti,
nel modo che Dio conosce, la
possibilità di essere associati al
mistero pasquale».
54. «Dio è spirito, e quelli che
lo adorano devono adorarlo in
spirito e verità». Queste parole
Gesù le ha dette in un altro suo
colloquio: quello con la
Samaritana. Il grande Giubileo,
che si celebrerà al termine di
questo Millennio ed all'inizio di
quello successivo, deve costituire
un potente appello rivolto a tutti
coloro che «adorano Dio in spirito
e verità». Deve essere per tutti
una speciale occasione per
meditare il mistero di Dio uno e
trino, il quale in se stesso è
completamente trascendente nei
riguardi del mondo, specialmente
del mondo visibile: è infatti,
Spirito assoluto, «Dio è spirito»
ed insieme, in modo mirabile, è
non solo vicino a questo mondo, ma
vi è presente e, in certo senso,
immanente, lo compenetra e
vivifica dall'interno. Ciò vale in
modo speciale per l'uomo: Dio è
nell'intimo del suo essere, come
pensiero, coscienza, cuore; e
realtà psicologica e ontologica,
considerando la quale sant'Agostino
diceva di lui: «È più intimo del
mio intimo». Queste parole ci
aiutano a capir meglio quelle
rivolte da Gesù alla Samaritana:
«Dio è spirito». Solo lo Spirito
può essere «più intimo del mio
intimo» sia nell'essere, sia
nell'esperienza spirituale; solo
lo Spirito può essere tanto
immanente nell'uomo e nel mondo,
permanendo inviolabile e
immutabile nella sua assoluta
trascendenza. Ma in modo nuovo e
in forma visibile la presenza
divina nel mondo e nell'uomo si è
manifestata in Gesù Cristo. In lui
davvero «è apparsa la grazia».
L'amore di Dio Padre, dono, grazia
infinita, principio di vita, è
divenuto palese in Cristo, e
nell'umanità di lui si è fatto
«parte» dell'universo, del genere
umano, della storia. Quell'«apparizione»
della grazia nella storia
dell'uomo, mediante Gesù Cristo,
si è compiuta per opera dello
Spirito Santo, che è il principio
di ogni azione salvifica di Dio
nel mondo: egli, «Dio nascosto»,
che come amore e dono «riempie
l'universo». Tutta la vita della
Chiesa, quale si manifesterà nel
grande Giubileo, significa andare
incontro al Dio nascosto: incontro
allo Spirito, che dà la vita.
3. Lo Spirito Santo nel
dissidio interno dell'uomo: la
carne ha desideri contrari allo
spirito, e lo spirito ha desideri
contrari alla carne.
55. Purtroppo, risulta dalla
storia della salvezza che quel
farsi vicino e presente di Dio
all'uomo e al mondo, quella
mirabile «condiscendenza» dello
Spirito incontra nella nostra
realtà umana resistenza ed
opposizione. Quanto sono eloquenti
da questo punto di vista le parole
profetiche del vegliardo di nome
Simeone, il quale «mosso dallo
Spirito» si recò al tempio di
Gerusalemme, per annunciare
davanti al bambino di Betlemme che
«egli è qui per la rovina e la
risurrezione di molti in Israele,
segno di contraddizione».
L'opposizione a Dio, che è Spirito
invisibile, nasce in una certa
misura già sul terreno della
radicale diversità del mondo da
lui, cioè dalla sua «visibilità» e
«materialità» in rapporto a lui
«invisibile» e «assoluto Spirito»;
dalla sua essenziale e inevitabile
imperfezione in rapporto a lui,
essere perfettissimo. Ma
l'opposizione diventa conflitto,
ribellione sul terreno etico per
quel peccato che prende possesso
del cuore umano, nel quale «la
carne... ha desideri contrari allo
spirito, e lo spirito ha desideri
contrari alla carne». Di questo
peccato lo Spirito Santo deve
«convincere il mondo», come
abbiamo detto. San Paolo è colui
che in modo particolarmente
eloquente descrive la tensione e
la lotta, che agita il cuore
umano. «Vi dico dunque - leggiamo
nella Lettera ai Galati - :
camminate secondo lo spirito, e
non sarete portati a soddisfare i
desideri della carne; la carne,
infatti, ha desideri contrari allo
spirito, e lo spirito ha desideri
contrari alla carne; queste cose
si oppongono a vicenda, sicché voi
non fate quello che vorreste». Già
nell'uomo come essere composto,
spirituale-corporale, esiste una
certa tensione, si svolge una
certa lotta di tendenze tra lo
«spirito» e la «carne». Ma essa di
fatto appartiene all'eredità del
peccato, ne è una conseguenza e,
nello stesso tempo, una conferma.
Essa fa parte dell'esperienza
quotidiana. Come scrive
l'Apostolo: «Del resto, le opere
della carne sono ben note:
fornicazione, impurità,
libertinaggio, ubriachezze, orge e
cose del genere». Sono i peccati
che si potrebbero definire
«carnali». Ma l'Apostolo ne
aggiunge anche altri: «Inimicizie,
discordia, gelosia, dissensi,
divisioni, fazioni, invidie».
Tutto questo costituisce «le opere
della carne». Ma a queste opere,
che sono indubbiamente cattive,
Paolo contrappone «il frutto dello
Spirito», come «amore, gioia,
pace, pazienza, benevolenza,
bontà, fedeltà, mitezza, dominio
di sé». Dal contesto risulta
chiaro che per l'Apostolo non si
tratta di discriminare e di
condannare il corpo, che con
l'anima spirituale costituisce la
natura dell'uomo e la sua
soggettività personale; egli
tratta, invece, delle opere, o
meglio delle stabili disposizioni
- virtù e vizi - moralmente buone
o cattive, che sono frutto di
sottomissione (nel primo caso)
oppure di resistenza (nel secondo)
all'azione salvifca dello Spirito
Santo. Perciò, l'Apostolo scrive:
«Se pertanto viviamo dello
spirito, camminiamo anche secondo
lo spirito». E in altri passi:
«Coloro infatti che vivono secondo
la carne, pensano alle cose della
carne; quelli, invece, che vivono
secondo lo spirito, alle cose
dello spirito»; «Viviamo, infatti,
sotto il dominio dello spirito,
dal momento che lo Spirito di Dio
abita in noi». La contrapposizione
che san Paolo stabilisce tra la
vita «secondo lo spirito» e la
vita «secondo la carne», genera
un'ulteriore contrapposizione:
quella della «vita» e della
«morte». «I desideri della carne
portano alla morte, mentre i
desideri dello spirito portano
alla vita e alla pace»; di qui
l'ammonimento: «Se vivete secondo
la carne, voi morirete; se,
invece, con l'aiuto dello Spirito
fate morire le opere del corpo,
voi vivrete». A ben considerare,
questa è un'esortazione a vivere
nella verità, cioè secondo i
dettami della retta coscienza e,
nello stesso tempo, è una
professione di fede nello Spirito
di verità, come in colui che dà la
vita. Il corpo, infatti, «è morto
a causa del peccato, ma lo spirito
è vita a causa della
giustificazione»; «Così dunque...
siamo debitori, ma non verso la
carne per vivere secondo la
carne». Siamo piuttosto debitori a
Cristo, che nel mistero pasquale
ha operato la nostra
giustificazione, ottenendo a noi
lo Spirito Santo: «Infatti, siamo
stati comprati a caro prezzo». Nei
testi di san Paolo si
sovrappongono--e reciprocamente si
compenetrano - la dimensione
ontologica (la carne e lo
spirito), quella etica (il bene e
il male morale), quella
pneumatologica (l'azione dello
Spirito Santo nell'ordine della
grazia). Le sue parole
(specialmente nelle Lettere ai
Romani e ai Galati ci fanno
conoscere e sentire al vivo la
grandezza di quella tensione e
lotta, che si svolge nell'uomo tra
l'apertura verso l'azione dello
Spirito Santo e la resistenza e
l'opposizione a lui, al suo dono
salvifìco. I termini o poli
contrapposti sono, da parte
dell'uomo, la sua limitatezza e
peccaminosità, punti nevralgici
della sua realtà psicologica ed
etica; e, da parte di Dio, il
mistero del dono, quell'incessante
donarsi della vita divina nello
Spirito Santo. Di chi sarà la
vittoria? Di chi avrà saputo
accogliere il dono.
56. Purtroppo, la resistenza allo
Spirito Santo, che san Paolo
sottolinea nella dimensione
interiore e soggettiva come
tensione, lotta, ribellione che
avviene nel cuore umano, trova
nelle varie epoche della storia e,
specialmente, nell'epoca moderna
la sua dimensione esteriore,
concretizzandosi come contenuto
della cultura e della civiltà,
come sistema filosofico, come
ideologia, come programma di
azione e di formazione dei
comportamenti umani. Essa trova la
sua massima espressione nel
materialismo, sia nella sua forma
teorica - come sistema di
pensiero, sia nella sua forma
pratica - come metodo di lettura e
di valutazione dei fatti e come
programma, altresì, di condotta
corrispondente. Il sistema che ha
dato il massimo sviluppo e ha
portato alle estreme conseguenze
operative questa forma di
pensiero, di ideologia e di
prassi, è il materialismo
dialettico e storico, riconosciuto
tuttora come sostanza vitale del
marxismo. In linea di principio e
di fatto il materialismo esclude
radicalmente la presenza e
l'azione di Dio, che è spirito nel
mondo e, soprattutto, nell'uomo
per la fondamentale ragione che
non accetta la sua esistenza,
essendo un sistema essenzialmente
e programmaticamente ateo. È il
fenomeno impressionante del nostro
tempo, al quale il Concilio
Vaticano II ha dedicato alcune
pagine significative: l'ateismo.
Anche se non si può parlare
dell'ateismo in modo univoco né si
può ridurlo esclusivamente alla
filosofia materialistica, dato che
esistono varie specie di ateismo e
forse si può dire che spesso si
usa tale parola in senso equivoco,
tuttavia è certo che un vero e
proprio materialismo, inteso come
teoria che spiega la realtà e
assunto come principio-chiave
dell'azione personale e sociale,
ha carattere ateo. L'orizzonte dei
valori e dei fini dell'agire, che
esso delinea, è strettamente
legato all'interpretazione come
«materia» di tutta la realtà. Se
esso parla a volte anche dello
«spirito e delle questioni dello
spirito», per esempio nel campo
della cultura o della morale, ciò
fa soltanto in quanto considera
certi fatti come derivati
(epifenomeni) dalla materia, la
quale secondo questo sistema è
l'unica ed esclusiva forma
dell'essere. Ne consegue che,
secondo tale interpretazione, la
religione può essere intesa
solamente come una specie di
«illusione idealistica», da
combattere nei modi e con i metodi
più opportuni secondo i luoghi e
le circostanze storiche, per
eliminarla dalla società e dal
cuore stesso dell'uomo. Si può
dire, pertanto, che il
materialismo è lo sviluppo
sistematico e coerente di quella
«resistenza» e opposizione,
denunciate da san Paolo con le
parole: «La carne ha desideri
contrari allo spirito». Questa
conflittualità è, però, reciproca,
come mette in rilievo l'Apostolo
nella seconda parte del suo
aforisma: «Lo spirito ha desideri
contrari alla carne». Chi vuole
vivere secondo lo Spirito
nell'accettazione e nella
corrispondenza alla sua azione
salvifica, non può non respingere
le tendenze e le pretese, interne
ed esterne, della «carne», anche
nella sua espressione ideologica e
storica di «materialismo»
antireligioso. Su questo sfondo
così caratteristico del nostro
tempo si devono sottolineare i
«desideri dello spirito» nei
preparativi al grande Giubileo,
come richiami che risuonano nella
notte di un nuovo tempo di
avvento, in fondo al quale, come
duemila anni fa, «ogni uomo vedrà
la salvezza di Dio». Questa è una
possibilità e una speranza, che la
Chiesa affida agli uomini di oggi.
Essa sa che l'incontro-scontro,
tra i «desideri contrari allo
spirito», che caratterizano tanti
aspetti della civiltà
contemporanea, specialmente in
alcuni suoi àmbiti, e i «desideri
contrari alla carne», con
l'avvicinarsi di Dio, con la sua
incarnazione, con la sua sempre
nuova comunicazione nello Spirito
Santo, può presentare in molti
casi un carattere drammatico e
forse risolversi in nuove
sconfitte umane. Ma essa crede
fermamente che, da parte di Dio, è
sempre un comunicarsi salvifico,
una venuta salvifica e, semmai, un
salvifico «convincere del peccato»
ad opera dello Spirito.
57. Nella contrapposizione paolina
dello «spirito» e della «carne» è
inscritta anche la
contrapposizione della «vita» e
della «morte». Grave problema,
questo, circa il quale bisogna
dire subito che il materialismo,
come sistema di pensiero, in ogni
sua versione, significa
l'accettazione della morte quale
definitivo termine dell'esistenza
umana. Tutto ciò che è materiale,
è corruttibile e, perciò, il corpo
umano (in quanto «animale») è
mortale. Se l'uomo nella sua
essenza è solo «carne», la morte
rimane per lui un confine e un
termine invalicabile. Allora si
capisce come si possa dire che la
vita umana è esclusivamente un
«esistere per morire». Bisogna
aggiungere che sull'orizzonte
della civiltà contemporanea -
specialmente di quella più
sviluppata in senso
tecnico-scientifico - i segni e i
segnali di morte sono diventati
particolarmente presenti e
frequenti. Basti pensare alla
corsa agli armamenti e al
pericolo, in essa insito, di
un'autodistruzione nucleare.
D'altra parte, si è rivelata
sempre più a tutti la grave
situazione di vaste regioni del
nostro pianeta, segnate
dall'indigenza e dalla fame
apportatrici di morte. Si tratta
di problemi che non sono solo
economici, ma anche e prima di
tutto etici. Senonché,
sull'orizzonte della nostra epoca
si addensano «segni di morte»
anche più cupi: si è diffuso il
costume - che in alcuni luoghi
rischia di diventare quasi
un'istituzione - di togliere la
vita agli esseri umani prima
ancora della loro nascita, o anche
prima che siano arrivati al
naturale traguardo della morte. E
ancora: nonostante tanti nobili
sforzi in favore della pace, sono
scoppiate e sono in corso nuove
guerre, che privano della vita o
della salute centinaia di migliaia
di uomini. E come non ricordare
gli attentati alla vita umana da
parte del terrorismo, organizzato
anche su scala internazionale?
Purtroppo, questo è solo un
abbozzo parziale ed incompleto del
quadro di morte che si sta
componendo nella nostra epoca,
mentre ci avviciniamo sempre di
più alla fine del secondo
Millennio cristiano. Dalle tinte
fosche della civiltà
materialistica e, in particolare,
da quei segni di morte che si
moltiplicano nel quadro
sociologico-Storico, in cui essa
si è attuata, non sale forse una
nuova invocazione, più o meno
consapevole, allo Spirito che dà
la vita? In ogni caso, anche
indipendentemente dall'ampiezza
delle speranze o delle
disperazioni umane, come delle
illusioni o degli inganni,
derivanti dallo sviluppo dei
sistemi materialistici di pensiero
e di vita, rimane la certezza
cristiana che lo Spirito soffia
dove vuole e che noi possediamo
«le primizie dello Spirito», e che
perciò, possiamo anche essere
soggetti alle sofferenze dei tempo
che passa, ma «gemiamo
interiormente aspettando... la
redenzione del nostro corpo»,
ossia di tutto il nostro essere
umano, corporeo e spirituale.
Gemiamo, sì, ma in un'attesa
carica di indefettibile speranza,
perché proprio a questo essere
umano si è avvicinato Dio, che è
Spirito. Dio Padre ha mandato «il
proprio Figlio in una carne simile
a quella del peccato e, in vista
del peccato, ha condannato il
peccato». Al culmine del mistero
pasquale, il Figlio di Dio, fatto
uomo e crocifisso per i peccati
del mondo, si è presentato in
mezzo ai suoi apostoli dopo la
risurrezione, ha alitato su di
loro e ha detto: «Ricevete lo
Spirito Santo». Questo «soffio»
continua sempre. Ed ecco, «lo
Spirito viene in aiuto alla nostra
debolezza».
4. Lo Spirito Santo nel
rafforzamento dell'«uomo
interiore»
58. Il mistero della Risurrezione
e della Pentecoste è annunciato e
vissuto dalla Chiesa, che è
l'erede e la continuatrice della
testimonianza degli apostoli circa
la risurrezione di Gesù Cristo.
Essa è la testimone perenne di
questa vittoria sulla morte, che
ha rivelato la potenza dello
Spirito Santo e ha determinato la
sua nuova venuta, la sua nuova
presenza negli uomini e nel mondo.
Infatti nella risurrezione di
Cristo lo Spirito Santo Paraclito
si è rivelato soprattutto come
colui che dà la vita: «Colui che
ha risuscitato Cristo dai morti
darà la vita anche ai vostri corpi
mortali per mezzo del suo Spirito,
che abita in voi». Nel nome della
risurrezione di Cristo la Chiesa
annuncia la vita, che si è
manifestata oltre il limite della
morte, la vita che è più forte
della morte. Al tempo stesso, essa
annuncia colui che dà questa vita:
lo Spirito vivificatore; lo
annuncia e con lui coopera nel
dare la vita. Infatti, se «il
corpo è morto a causa del
peccato..., lo spirito è vita a
causa della giustificazione»,
operata da Cristo crocifisso e
risorto. E in nome della
risurrezione di Cristo la Chiesa
serve la vita che proviene da Dio
stesso, in stretta unione ed in
umile servizio allo Spirito.
Proprio per questo servizio l'uomo
diventa in modo sempre nuovo la
«via della Chiesa», come ho già
detto nell'Enciclica su Cristo
Redentore ed ora ripeto in questa
sullo Spirito Santo. Unita con lo
Spirito, la Chiesa è consapevole
più di ogni altro della realtà
dell'uomo interiore, di ciò che
nell'uomo è più profondo ed
essenziale, perché spirituale ed
incorruttibile. A questo livello
lo Spirito innesta la «radice
dell'immortalità», dalla quale
spunta la nuova vita: cioè, la
vita dell'uomo in Dio, che, come
frutto della sua autocomunicazione
salvifica nello Spirito Santo, può
svilupparsi e consolidarsi solo
sotto l'azione di costui. Perciò,
l'Apostolo si rivolge a Dio in
favore dei credenti, ai quali
dichiara: «Piego le ginocchia
davanti al Padre..., perché vi
conceda... di essere potentemente
rafforzati dal suo Spirito
nell'uomo interiore». Sotto
l'influsso dello Spirito Santo
matura e si rafforza quest'uomo
interiore, cioè «spirituale».
Grazie alla divina comunicazione
lo spirito umano, che «conosce i
segreti dell'uomo», si incontra
con lo «Spirito che scruta le
profondità di Dio». In questo
Spirito, che è il dono eterno, Dio
uno e trino si apre all'uomo, allo
spirito umano. Il soffio nascosto
dello Spirito divino fa sì che lo
spirito umano si apra, a sua
volta, davanti all'aprirsi
salvifico e santificante di Dio.
Per il dono della grazia, che
viene dallo Spirito, l'uomo entra
in «una vita nuova», viene
introdotto nella realtà
soprannaturale della stessa vita
divina e diventa «dimora dello
Spirito Santo», «tempio vivente di
Dio». Per lo Spirito Santo,
infatti, il Padre e il Figlio
vengono a lui e prendono dimora
presso di lui. Nella comunione di
grazia con la Trinità si dilata
l'«area vitale» dell'uomo, elevata
al livello soprannaturale della
vita divina. L'uomo vive in Dio e
di Dio: vive «secondo lo Spirito»
e «pensa alle cose dello Spirito».
59. L'intima relazione con Dio
nello Spirito Santo fa sì che
l'uomo comprenda in modo nuovo
anche se stesso la propria
umanità. Viene così realizzata
pienamente quell'immagine e
somiglianza di Dio, che è l'uomo
sin dall'inizio. Tale intima
verità dell'essere umano deve
essere di continuo riscoperta alla
luce di Cristo, che è il prototipo
del rapporto con Dio, e, in lui,
deve essere anche riscoperta la
ragione del «ritrovarsi pienamente
attraverso un dono sincero di sé»
con gli altri uomini, come scrive
il Concilio Vaticano II: proprio
in ragione della somiglianza
divina che «manifesta che nella
terra l'uomo... è l'unica creatura
che Dio abbia voluto per se
stessa», nella sua dignità di
persona, ma aperta
all'integrazione e alla comunione
sociale. La conoscenza efficace e
l'attuazione piena di questa
verità dell'essere avvengono solo
per opera dello Spirito Santo.
L'uomo impara questa verità da
Gesù Cristo e la attua nella
propria vita per opera dello
Spirito, che egli stesso ci ha
dato. Su questa via - sulla via di
una tale maturazione interiore,
che include la piena scoperta del
senso dell'umanità - Dio si fa
intimo all'uomo, penetra sempre
più a fondo in tutto il mondo
umano. Dio uno e trino, che in se
stesso «esiste» come trascendente
realtà di dono interpersonale,
comunicandosi nello Spirito Santo
come dono all'uomo, trasforma il
mondo umano dal di dentro,
dall'interno dei cuori e delle
coscienze. Su questa via il mondo,
reso partecipe del dono divino,
diventa - come insegna il Concilio
- «sempre più umano, sempre più
profondamente umano», mentre in
esso matura, mediante i cuori e le
coscienze degli uomini, il Regno
in cui Dio sarà definitivamente
«tutto in tutti»: come dono e
amore. Dono e amore: è questa
l'eterna potenza dell'aprirsi di
Dio uno e trino all'uomo e al
mondo, nello Spirito Santo. Nella
prospettiva dell'anno Duemila
dalla nascita di Cristo si tratta
di ottenere che un numero sempre
più grande di uomini «possa
ritrovarsi pienamente...
attraverso un dono sincero di sé»,
secondo la citata espressione del
Concilio. Che sotto l'azione dello
Spirito Paraclito si realizzi nel
nostro mondo quel processo di vera
maturazione nell'umanità, nella
vita individuale e in quella
comunitaria, in ordine al quale
Gesù stesso, «quando prega il
Padre perché "tutti siano una cosa
sola, come io e te siamo una cosa
sola" (Gv 17,21), ci ha suggerito
una certa similitudine tra
l'unione delle Persone divine e
l'unione dei figli di Dio nella
verità e nella carità». Il
Concilio ribadisce tale verità
sull'uomo, e la Chiesa vede in
essa un'indicazione
particolarmente forte e
determinante dei propri compiti
apostolici. Se, infatti, l'uomo è
la via della Chiesa, questa via
passa attraverso tutto il mistero
di Cristo, come divino modello
dell'uomo. Su questa via lo
Spirito Santo, rafforzando in
ciascuno di noi «l'uomo
interiore», fa sì che l'uomo
sempre meglio «si ritrovi
attraverso un dono sincero di sé».
Si può dire che in queste parole
della Costituzione pastorale del
Concilio si riassuma tutta
l'antropologia cristiana: quella
teoria e prassi, fondata sul
Vangelo, nella quale l'uomo
scoprendo in se stesso
l'appartenenza a Cristo e, in lui,
l'elevazione a figlio di Dio,
comprende meglio anche la sua
dignità di uomo, proprio perché è
il soggetto dell'avvicinamento e
della presenza di Dio, il soggetto
della condiscendenza divina, nella
quale è contenuta la prospettiva
ed addirittura la radice stessa
della definitiva glorificazione.
Allora si può veramente ripetere
che «gloria di Dio è l'uomo
vivente, ma vita dell'uomo è la
visione di Dio»: l'uomo, vivendo
una vita divina, è la gloria di
Dio, e di questa vita e di questa
gloria lo Spirito Santo è il
dispensatore nascosto. Egli - dice
il grande Basilio - «semplice
nell'essenza, molteplice nelle sue
virtù..., si diffonde senza che
subisca alcuna diminuzione, è
presente a ciascuno di quanti sono
capaci di riceverlo come se fosse
lui solo, ed in tutti infonde la
grazia sufficiente e completa».
60. Quando, sotto l'influsso del
Paraclito, gli uomini scoprono
questa dimensione divina del loro
essere e della loro vita, sia come
persone che come comunità, essi
sono in grado di liberarsi dai
diversi determinismi derivati
principalmente dalle basi
materialistiche del pensiero,
della prassi e della sua relativa
metodologia. Nella nostra epoca
questi fattori sono riusciti a
penetrare fin nell'intimo
dell'uomo, in quel santuario della
coscienza dove lo Spirito Santo
immette di continuo la luce e la
forza della vita nuova secondo la
«libertà dei figli di Dio». La
maturazione dell'uomo in questa
vita è impedita dai
condizionamenti e dalle pressioni,
che su di lui esercitano le
strutture e i meccanismi dominanti
nei diversi settori della società.
Si può dire che in molti casi i
fattori sociali, anziché favorire
lo sviluppo e l'espansione dello
spirito umano, finiscono con lo
strapparlo alla genuina verità del
suo essere e della sua vita -
sulla quale veglia lo Spirito
Santo - per sottometterlo al
«principe di questo mondo». Il
grande Giubileo del Duemila
contiene, pertanto, un messaggio
di liberazione ad opera dello
Spirito, che solo può aiutare le
persone e le comunità a liberarsi
dai vecchi e nuovi determinismi,
guidandole con la «legge dello
Spirito, che dà vita in Cristo
Gesù», così scoprendo e attuando
la piena misura della vera libertà
dell'uomo. Infatti - come scrive
san Paolo - là «dove c'è lo
Spirito del Signore, c'è libertà».
Tale rivelazione della libertà e,
dunque, della vera dignità
dell'uomo acquista una particolare
eloquenza per i cristiani e per la
Chiesa in stato di persecuzione -
sia nei tempi antichi, sia in
quello presente: perché i
testimoni della Verità divina
diventano allora una vivente
verifica dell'azione dello Spirito
di verità, presente nel cuore e
nella coscienza dei fedeli, e non
di rado segnano col loro martirio
la suprema glorificazione della
dignità umana. Anche nelle comuni
condizioni della società i
cristiani, come testimoni
dell'autentica dignità dell'uomo,
per la loro obbedienza allo
Spirito Santo, contribuiscono al
molteplice «rinnovamento della
faccia della terra», collaborando
con i loro fratelli per realizzare
e valorizzare tutto ciò che
nell'odierno progresso della
civiltà, della cultura, della
scienza, della tecnica e degli
altri settori del pensiero e
dell'attività umana, è buono,
nobile e bello. Ciò fanno come
discepoli di Cristo, che - come
scrive il Concilio - «con la sua
risurrezione costituito
Signore,... opera nel cuore degli
uomini con la virtù del suo
Spirito, non solo suscitando il
desiderio del mondo futuro, ma per
ciò stesso anche ispirando,
purificando e fortificando quei
generosi propositi, con i quali la
famiglia degli uomini cerca di
rendere più umana la propria vita
e di sottomettere a questo fine
tutta la terra». Così essi
affermano ancor più la grandezza
dell'uomo, fatto a immagine e
somiglianza di Dio, grandezza che
s'illumina al mistero
dell'incarnazione del Figlio di
Dio, il quale «nella pienezza del
tempo», per opera dello Spirito
Santo, è entrato nella storia e si
è manifestato vero uomo, lui
generato prima di ogni creatura,
«in virtù del quale esistono tutte
le cose e noi esistiamo per lui».
5. La Chiesa sacramento
dell'intima unione con Dio
61. Avvicinandosi la conclusione
del secondo Millennio, che deve
ricordare a tutti e quasi render
di nuovo presente l'avvento del
Verbo nella «pienezza del tempo»
la Chiesa ancora una volta intende
penetrare nell'essenza stessa
della sua costituzione
divino-umana e di quella missione,
che la fa partecipare alla
missione messianica di Cristo,
secondo l'insegnamento e il
progetto sempre valido del
Concilio Vaticano II. Seguendo
questa linea, possiamo risalire al
Cenacolo, dove Gesù Cristo rivela
lo Spirito Santo come Paraclito,
come Spirito di verità, e parla
della propria «dipartita» mediante
la Croce quale condizione
necessaria della sua «venuta»: «È
bene per voi che io me ne vada,
perché, se non me ne vado, non
verrà a voi il consolatore; ma,
quando me ne sarò andato, ve lo
manderò». Abbiamo visto che questo
annuncio ha avuto la prima
realizzazione già la sera del
giorno di Pasqua e poi durante la
celebrazione gerosolimitana della
Pentecoste, e che da allora esso
si verifica nella storia
dell'umanità mediante la Chiesa.
Alla luce di quell'annuncio prende
pieno significato anche ciò che
Gesù, sempre durante l'Ultima
Cena, dice a proposito della sua
nuova «venuta». È, infatti,
significativo che nello stesso
discorso di addio egli annunci non
solo la sua «dipartita», ma anche
la sua nuova «venuta». Dice
appunto: «Non vi lascerò orfani,
ritornerò da voi». E nel momento
del definitivo congedo, prima di
salire al Cielo, ripeterà ancora
più esplicitamente: «Ecco io sono
con voi», lo sono «tutti i giorni,
fino alla fine dei mondo». Questa
nuova «venuta» di Cristo, questo
suo continuo venire per essere con
gli apostoli, con la Chiesa,
questo suo «sono con voi fino alla
fine del mondo», non cambia certo
il fatto della sua «dipartita».
Segue ad essa dopo la conclusione
dell'attività messianica di Cristo
sulla terra, ed avviene
nell'ambito del preannunciato
invio dello Spirito Santo e, per
così dire, s'inscrive all'interno
della sua stessa missione. E
tuttavia si compie per opera dello
Spirito Santo, il quale fa sì che
il Cristo, che è andato via, venga
ora e sempre in modo nuovo. Questo
nuovo venire di Cristo per opera
dello Spirito Santo e la sua
costante presenza e azione nella
vita spirituale si attuano nella
realtà sacramentale. In essa il
Cristo, che è andato via nella sua
umanità visibile, viene, è
presente e agisce nella Chiesa in
modo talmente intimo da
costituirla come suo corpo. Come
tale, la Chiesa vive opera e
cresce «fino alla fine del mondo».
Tutto ciò avviene per opera dello
Spirito Santo.
62. La più completa espressione
sacramentale della «dipartita» di
Cristo per mezzo del mistero della
Croce e della Risurrezione è
l'Eucaristia. In essa si realizza
ogni volta sacramentalmente la sua
venuta, la sua presenza salvifica:
nel sacrificio e nella comunione.
Si realizza per opera dello
Spirito Santo, all'interno della
sua propria missione. Mediante
l'Eucaristia lo Spirito Santo
realizza quel «rafforzamento
dell'uomo interiore», di cui parla
la Lettera agli Efesini. Mediante
l'Eucaristia le persone e le
comunità, sotto l'azione del
Paraclito consolatore, imparano a
scoprire il senso divino della
vita umana, richiamato dal
Concilio: quel senso, per cui Gesù
Cristo «svela pienamente l'uomo
all'uomo», suggerendo «una certa
similitudine tra l'unione delle
Persone divine e l'unione dei
figli di Dio nella verità e nella
carità». Una tale unione si
esprime e si realizza specialmente
mediante l'Eucaristia, nella quale
l'uomo, partecipando al sacrificio
di Cristo, che tale celebrazione
attualizza, impara anche a
«ritrovarsi... attraverso un
dono... di sé», nella comunione
con Dio e con gli altri uomini,
suoi fratelli. Per questo i primi
cristiani, sin dai giorni
successivi alla discesa dello
Spirito Santo, «erano assidui
nella frazione del pane e nelle
preghiere», formando in questo
modo una comunità unita
all'insegnamento degli apostoli.
Così essi «riconoscevano» che il
loro Signore, risorto e già asceso
al cielo, nuovamente veniva in
mezzo a loro, nella comunità
eucaristica della Chiesa e per suo
mezzo. Guidata dallo Spirito
Santo, la Chiesa sin dall'inizio
espresse e confermò se stessa
mediante l'Eucaristia. E così è
stato sempre, in tutte le
generazioni cristiane, fino ai
nostri tempi, fino a questa
vigilia del compimento del secondo
Millennio cristiano. Certo,
dobbiamo, purtroppo, constatare
che questo Millennio, ormai
trascorso, è stato quello delle
grandi separazioni tra i
cristiani. Tutti i credenti in
Cristo, dunque, sull'esempio degli
apostoli, dovranno mettere ogni
impegno nel conformare pensiero e
azione alla volontà dello Spirito
Santo, «principio di unità della
Chiesa», affinché tutti i
battezzati in un solo Spirito per
costituire un solo corpo, si
ritrovino fratelli uniti nella
celebrazione della medesima
Eucaristia, «sacramento di pietà,
segno di unità, vincolo di
carità!».
63. La presenza eucaristica di
Cristo - il suo sacramentale «sono
con voi» - permette alla Chiesa di
scoprire sempre più profondamente
il proprio mistero, come attesta
tutta l'ecclesiologia del Concilio
Vaticano II, per il quale «la
Chiesa è in Cristo come un
sacramento, o segno e strumento
dell'intima unione con Dio e
dell'unità di tutto il genere
umano». Come sacramento, la Chiesa
si sviluppa dal mistero pasquale
della «dipartita» di Cristo,
vivendo della sua sempre nuova
«venuta» per opera dello Spirito
Santo, all'interno della stessa
missione del Paraclito-Spirito di
verità. Proprio questo è il
mistero essenziale della Chiesa,
come professa il Concilio. Se in
forza della creazione Dio è colui
nel quale noi tutti «viviamo, ci
muoviamo ed esistiamo», a sua
volta la potenza della redenzione
perdura e si sviluppa nella storia
dell'uomo e del mondo come in un
duplice «ritmo», la cui fonte si
trova nell'eterno Padre. È il
ritmo, da un lato, della missione
del Figlio, che è venuto nel
mondo, nascendo da Maria Vergine
per opera dello Spirito Santo; e,
dall'altro, è anche il ritmo della
missione dello Spirito Santo,
quale è stato rivelato
definitivamente da Cristo. Per la
«dipartita» del Figlio, lo Spirito
è venuto e viene continuamente
come consolatore e Spirito di
verità. E nell'ambito della sua
missione, quasi nell'intimo
dell'invisibile presenza dello
Spirito, il Figlio, che «era
andato via» nel mistero pasquale,
«viene» ed è continuamente
presente nel mistero della Chiesa,
ed ora si cela, ora si manifesta
nella sua storia, sempre
conducendone il corso. Tutto ciò
avviene in modo sacramentale per
opera dello Spirito Santo, il
quale, attingendo alle ricchezze
della redenzione di Cristo,
continuamente dà la vita. Nel
prendere sempre più viva coscienza
di questo mistero, la Chiesa vede
meglio se stessa soprattutto come
sacramento. Ciò avviene anche
perché, per volere del suo
Signore, mediante i vari
Sacramenti la Chiesa compie il suo
ministero salvifico nei riguardi
dell'uomo. Il ministero
sacramentale, ogni volta che si
attua, porta con sé il mistero
della «dipartita» di Cristo
mediante la Croce e la
Risurrezione, in forza della quale
viene lo Spirito Santo. Viene e
opera: «dà la vita». I Sacramenti,
infatti, significano la grazia e
conferiscono la grazia: esprimono
la vita e danno la vita. La Chiesa
è la dispensatrice visibile dei
sacri segni, mentre lo Spirito
Santo vi agisce come il
dispensatore invisibile della vita
che essi significano. Insieme con
lo Spirito c'è ed agisce Cristo
Gesù.
64. Se la Chiesa è il sacramento
dell'intima unione con Dio, tale è
in Gesù Cristo, in cui questa
stessa unione si attua come realtà
salvifca. Tale è in Gesù Cristo
per opera dello Spirito Santo. La
pienezza della realtà salvifica,
che è il Cristo nella storia, si
diffonde in modo sacramentale
nella potenza dello Spirito
Paraclito. In questo modo lo
Spirito Santo è l'«altro
consolatore», o nuovo consolatore,
perché mediante la sua azione la
Buona Novella prende corpo nelle
coscienze e nei cuori umani e si
espande nella storia. In tutto ciò
è lo Spirito Santo che dà la vita.
Quando usiamo la parola
«sacramento» in riferimento alla
Chiesa, dobbiamo tener presente
che nel testo conciliare la
sacramentalità della Chiesa appare
distinta da quella che è propria,
in senso stretto, dei Sacramenti.
Leggiamo infatti: «La Chiesa è...
come un sacramento, o segno e
strumento dell'intima unione con
Dio». Ma ciò che conta ed emerge
dal senso analogico con cui la
parola è impiegata nei due casi, è
il rapporto che la Chiesa ha con
la potenza dello Spirito Santo,
colui che solo dà la vita: la
Chiesa è segno e strumento della
presenza e dell'azione dello
Spirito vivificante. Il Vaticano
II aggiunge che la Chiesa è «un
sacramento... dell'unità di tutto
il genere umano». Si tratta
evidentemente dell'unità che il
genere umano, in se stesso
variamente differenziato, ha da
Dio e in Dio. Essa si radica nel
mistero della creazione ed
acquista una dimensione nuova nel
mistero della redenzione, in
ordine all'universale salvezza.
Poiché Dio «vuole che tutti gli
uomini siano salvati e giungano
alla conoscenza della verità», la
redenzione comprende tutti gli
uomini e, in certo modo, tutta la
creazione. Nella stessa universale
dimensione della redenzione
agisce, in forza della «dipartita»
di Cristo, lo Spirito Santo.
Perciò la Chiesa, radicata
mediante il suo proprio mistero
nell'economia trinitaria della
salvezza, a buon diritto intende
se stessa come «sacramento
dell'unità di tutto il genere
umano». Essa sa di esserlo per la
potenza dello Spirito Santo, della
quale è segno e strumento
nell'attuazione del piano
salvifico di Dio. In questo modo
si realizza la «condiscendenza»
dell'infinito amore trinitario:
l'avvicinarsi di Dio, Spirito
invisibile, al mondo visibile. Dio
uno e trino si comunica all'uomo
nello Spirito Santo sin
dall'inizio mediante la sua
«immagine e somiglianza». Sotto
l'azione dello stesso Spirito
l'uomo e, per suo mezzo, il mondo
creato, redento da Cristo, si
avvicinano ai loro definitivi
destini in Dio. Di questo
avvicinamento dei due poli della
creazione e della redenzione, Dio
e l'uomo, la Chiesa è «un
sacramento, cioè segno e
strumento». Essa opera per
ristabilire e rafforzare l'unità
alle radici stesse del genere
umano: nel rapporto di comunione
che l'uomo ha con Dio come suo
Creatore, Signore e Redentore. E
una verità che, in base
all'insegnamento del Concilio,
possiamo meditare, spiegare e
applicare in tutta l'ampiezza del
suo significato in questa fase di
passaggio dal secondo al terzo
Millennio cristiano. E ci è caro
prendere una coscienza sempre più
viva del fatto che dentro l'azione
svolta dalla Chiesa nella storia
della salvezza, inscritta nella
storia dell'umanità, è presente e
operante lo Spirito Santo, colui
che col soffio della vita divina
pervade il pellegrinaggio terreno
dell'uomo e fa confluire tutta la
creazione - tutta la storia - al
suo termine ultimo, nell'oceano
infinito di Dio.
6. Lo Spirito e la Sposa
dicono: «Vieni!»
65. Il soffio della vita divina,
lo Spirito Santo, nella sua
maniera più semplice e comune, si
esprime e si fa sentire nella
preghiera. È bello e salutare
pensare che, dovunque si prega nel
mondo, ivi è lo Spirito Santo,
soffio vitale della preghiera. È
bello e salutare riconoscere che,
se la preghiera è diffusa in tutto
l'orbe, nel passato, nel presente
e nel futuro, altrettanto estesa è
la presenza e l'azione dello
Spirito Santo, che «alita» la
preghiera nel cuore dell'uomo in
tutta la gamma smisurata delle
situazioni più diverse e delle
condizioni ora favorevoli, ora
avverse alla vita spirituale e
religiosa. Molte volte, sotto
l'azione dello Spirito, la
preghiera sale dal cuore dell'uomo
nonostante i divieti e le
persecuzioni, e persino le
proclamazioni ufficiali circa il
carattere areligioso, o
addirittura ateo della vita
pubblica. La preghiera rimane
sempre la voce di tutti coloro che
apparentemente non hanno voce - e
in questa voce risuona sempre quel
«forte grido», attribuito a Cristo
dalla Lettera agli Ebrei. La
preghiera è anche la rivelazione
di quell'abisso, che è il cuore
dell'uomo: una profondità, che è
da Dio e che solo Dio può colmare,
proprio con lo Spirito Santo.
Leggiamo in Luca: «Se dunque voi,
che siete cattivi, sapete dare
cose buone ai vostri figli, quanto
più il Padre vostro celeste darà
lo Spirito Santo a coloro che
glielo chiedono!». Lo Spirito
Santo è il dono, che viene nel
cuore dell'uomo insieme con la
preghiera. In questa egli si
manifesta prima di tutto e
soprattutto come il dono, che
«viene in aiuto alla nostra
debolezza». È il magnifico
pensiero sviluppato da san Paolo
nella Lettera ai Romani quando
scrive: «Noi nemmeno sappiamo che
cosa sia conveniente domandare, ma
lo Spirito stesso intercede con
insistenza per noi, con gemiti
inesprimibili». Dunque, lo Spirito
Santo non solo fa sì che
preghiamo, ma ci guida
«dall'interno» nella preghiera,
supplendo alla nostra
insufficienza, rimediando alla
nostra incapacità di pregare: egli
è presente nella nostra preghiera
e le dà una dimensione divina.
Così «colui che scruta i cuori sa
quali sono i desideri dello
Spirito, poiché egli intercede per
i credenti secondo i disegni di
Dio». La preghiera per opera dello
Spirito Santo diventa
l'espressione sempre più matura
dell'uomo nuovo, che per mezzo di
essa partecipa alla vita divina.
La nostra difficile epoca ha uno
speciale bisogno della preghiera.
Se nel corso della storia - ieri
come oggi - numerosi uomini e
donne hanno dato testimonianza
dell'importanza della preghiera,
consacrandosi alla lode di Dio e
alla vita di orazione soprattutto
nei monasteri con grande vantaggio
per la Chiesa, in questi anni va
pure crescendo il numero delle
persone che, in movimenti e gruppi
sempre più estesi, mettono al
primo posto la preghiera ed in
essa cercano il rinnovamento della
vita spirituale. È questo un
sintomo significativo e
consolante, giacché da tale
esperienza è derivato un reale
contributo alla ripresa della
preghiera tra i fedeli, che sono
stati aiutati a meglio considerare
lo Spirito Santo come colui che
suscita nei cuori un profondo
anelito alla santità. In molti
individui e in molte comunità
matura la consapevolezza che, pur
con tutto il vertiginoso progresso
della civiltà tecnico-scientifica,
nonostante le reali conquiste e le
mète raggiunte, l'uomo è
minacciato, l'umanità è
minacciata. Dinanzi a questo
pericolo, e anzi sperimentando già
la paurosa realtà della decadenza
spirituale dell'uomo, persone
singole e intere comunità, quasi
guidate da un senso interiore
della fede, cercano la forza
capace di risollevare l'uomo, di
salvarlo da se stesso, dai propri
sbagli e abbagli, che spesso
rendono nocive le sue stesse
conquiste. E così scoprono la
preghiera, nella quale si
manifesta lo «Spirito che viene in
aiuto alla nostra debolezza». In
questo modo i tempi, in cui
viviamo, avvicinano allo Spirito
Santo molte persone, che ritornano
alla preghiera. Ed io confido che
tutte trovino nell'insegnamento di
questa Enciclica un nutrimento per
la loro vita interiore e riescano
ad irrobustire, sotto l'azione
dello Spirito, il loro impegno di
preghiera in consonanza con la
Chiesa e col suo Magistero.
66. In mezzo ai problemi, alle
delusioni e alle speranze, alle
diserzioni e ai ritorni di questi
tempi, la Chiesa rimane fedele al
mistero della sua nascita. Se è un
fatto storico che la Chiesa è
uscita dal Cenacolo il giorno di
Pentecoste, in un certo senso si
può dire che non lo ha mai
lasciato. Spiritualmente l'evento
della Pentecoste non appartiene
solo al passato: la Chiesa è
sempre nel Cenacolo, che porta nel
cuore. La Chiesa persevera nella
preghiera, come gli apostoli
insieme a Maria, Madre di Cristo,
ed a coloro che in Gerusalemme
costituivano il primo germe della
comunità cristiana e attendevano,
pregando, la venuta dello Spirito
Santo. La Chiesa persevera nella
preghiera con Maria. Questa unione
della Chiesa orante con la Madre
di Cristo fa parte del mistero
della Chiesa fin dall'inizio: noi
la ve diamo presente in questo
mistero, come è presente in quello
di suo Figlio. Ce lo dice il
Concilio: «La Beata Vergine...,
adombrata dallo Spirito Santo, ...
diede alla luce il Figlio, che Dio
ha posto quale primogenito tra
molti fratelli (Rm 8,29), cioè tra
i fedeli, alla cui rigenerazione e
formazione essa coopera con
materno amore». ella è «per le sue
singolari grazie e funzioni...
intimamente congiunta con la
Chiesa: è figura della Chiesa».
«La Chiesa, contemplando l'arcana
santità di lei ed imitandone la
carità, diventa anch'essa madre» e
«ad imitazione della Madre del suo
Signore, con la virtù dello
Spirito Santo, conserva
verginalmente integra la fede,
salda la speranza, sincera la
carità: essa pure (cioè la Chiesa)
è vergine, che custodisce... la
fede data allo Sposo». Si capisce
così il senso profondo del motivo,
per cui la Chiesa, unita con la
Vergine Madre, si rivolge
ininterrottamente quale Sposa al
suo divino Sposo, come attestano
le parole dell'Apocalisse,
riportate dal Concilio: «Lo
Spirito e la Sposa dicono al
Signore Gesù: "Vieni!"». La
preghiera della Chiesa è questa
invocazione incessante, nella
quale «lo Spirito stesso intercede
per noi»: in certo modo, egli
stesso la pronuncia con la Chiesa
e nella Chiesa. Lo Spirito,
infatti, è dato alla Chiesa,
affinché per la sua potenza tutta
la comunità del Popolo di Dio, per
quanto largamente ramificata e
varia, perseveri nella speranza:
in quella speranza, nella quale
«siamo stati salvati». È la
speranza escatologica, la speranza
del definitivo compimento in Dio,
la speranza del Regno eterno, che
si attua nella partecipazione alla
vita trinitaria. Lo Spirito Santo,
dato agli apostoli come
consolatore, è il custode e
l'animatore di questa speranza nel
cuore della Chiesa. Nella
prospettiva del terzo Millennio
dopo Cristo, mentre «lo Spirito e
la Sposa dicono al Signore Gesù:
"Vieni!"», questa loro preghiera è
carica, come sempre, di una
portata escatologica, destinata a
dare pienezza di significato anche
alla celebrazione del grande
Giubileo. E una preghiera rivolta
in direzione dei destini
salvifici, verso i quali lo
Spirito Santo apre i cuori con la
sua azione attraverso tutta la
storia dell'uomo sulla terra.
Nello stesso tempo, però, questa
preghiera si orienta verso un
preciso momento della storia, in
cui è messa in rilievo la
«pienezza del tempo», scandita
dall'anno Duemila. A questo
Giubileo la Chiesa desidera
prepararsi nello Spirito Santo,
come dallo Spirito Santo fu
preparata la Vergine di Nazareth,
nella quale il Verbo si fece
carne.
Conclusione
67. Vogliamo concludere queste
considerazioni nel cuore della
Chiesa e nel cuore dell'uomo. La
via della Chiesa passa attraverso
il cuore dell'uomo, perché è qui
il luogo recondito dell'incontro
salvifico con lo Spirito Santo,
col Dio nascosto, e proprio qui lo
Spirito Santo diventa «sorgente di
acqua, che zampilla per la vita
eterna». Qui egli giunge come
Spirito di verità e come Paraclito,
quale è stato promesso da Cristo.
Di qui egli agisce come
consolatore, intercessore,
avvocato - specialmente quando
l'uomo, o l'umanità, si trova
davanti al giudizio di condanna di
quell'«accusatore», del quale
l'Apocalisse dice che «accusa i
nostri fratelli davanti al nostro
Dio giorno e notte». Lo Spirito
Santo non cessa di essere il
custode della speranza nel cuore
dell'uomo: della speranza di tutte
le creature umane e, specialmente,
di quelle che «possiedono le
primizie dello Spirito» ed
«aspettano la redenzione del loro
corpo». Lo Spirito Santo, nel suo
misterioso legame di divina
comunione col Redentore dell'uomo,
è il realizzatore della continuità
della sua opera: egli prende da
Cristo e trasmette a tutti,
entrando incessantemente nella
storia del mondo attraverso il
cuore dell'uomo.
Qui egli diventa - come proclama
la Sequenza liturgica della
solennità di Pentecoste - vero
«padre dei poveri, datore dei doni
luce dei cuori»; diventa «dolce
ospite dell'anima», che la Chiesa
saluta incessantemente sulla
soglia dell'intimità di ogni uomo.
Egli, infatti, porta «riposo e
riparo» in mezzo alle fatiche, al
lavoro delle braccia e delle menti
umane; porta «riposo» e «sollievo»
in mezzo alla calura del giorno,
in mezzo alle inquietudini, alle
lotte e ai pericoli di ogni epoca;
porta, infine, la «consolazione»,
quando il cuore umano piange ed è
tentato dalla disperazione. Per
questo, la stessa Sequenza
esclama: «Senza la tua forza nulla
è nell'uomo, nulla è senza colpa».
Solo lo Spirito Santo, infatti,
«convince del peccato», del male,
allo scopo di instaurare il bene
nell'uomo e nel mondo umano: per
«rinnovare la faccia della terra».
Perciò, egli opera la
purificazione da tutto ciò che
«deturpa» l'uomo, da «ciò che è
sordido»; cura le ferite anche più
profonde dell'umana esistenza;
cambia l'interiore aridità delle
anime, trasformandole in fertili
campi di grazia e di santità.
Quello che è «rigido - lo piega»,
quello che è «gelido - lo
riscalda», quello che è «sviato -
lo raddrizza» lungo le vie della
salvezza. Pregando così, la Chiesa
incessantemente professa la sua
fede: c'è nel nostro mondo creato
uno Spirito che è un dono increato.
È questi lo Spirito del Padre e
del Figlio: come il Padre e il
Figlio, è increato, immenso,
eterno, onnipotente, Dio, Signore.
Questo Spirito di Dio «riempie
l'universo», e tutto ciò che è
creato in lui riconosce la fonte
della propria identità, in lui
trova la propria trascendente
espressione, a lui si volge e lo
attende, lo invoca col suo stesso
essere. A lui, come a Paraclito, a
Spirito di verità e di amore, si
rivolge l'uomo che vive di verità
e di amore e che senza la fonte
della verità e dell'amore non può
vivere. A lui si rivolge la
Chiesa, che è il cuore
dell'umanità, per invocare per
tutti ed a tutti dispensare quei
doni dell'amore, che per mezzo suo
«è stato riversato nei nostri
cuori». A lui si rivolge la Chiesa
lungo le intricate vie del
pellegrinaggio dell'uomo sulla
terra: e chiede, incessantemente
chiede la rettitudine degli atti
umani come opera sua; chiede la
gioia e la consolazione, che solo
lui, il vero consolatore, può
portare scendendo nell'intimo dei
cuori umani; chiede la grazia
delle virtù, che meritano la
gloria celeste; chiede la salvezza
eterna, nella piena comunicazione
della vita divina, a cui il Padre
ha eternamente «predestinato» gli
uomini, creati per amore ad
immagine e somiglianza della
Santissima Trinità. La Chiesa col
suo cuore, che in sé comprende
tutti i cuori umani, chiede allo
Spirito Santo la felicità, che
solo in Dio ha la sua completa
attuazione: la gioia «che nessuno
potrà togliere», la gioia che è
frutto dell'amore e, dunque, di
Dio che è amore; chiede «la
giustizia, la pace e la gioia
nello Spirito Santo», in cui,
secondo san Paolo, consiste il
Regno di Dio. Anche la pace è
frutto dell'amore: quella pace
interiore, che l'uomo affaticato
cerca nell'intimo del suo essere.
quella pace chiesta dall'umanità,
dalla famiglia umana dai popoli,
dalle nazioni, dai continenti, con
una trepida speranza di ottenerla
nella prospettiva del passaggio
dal secondo al terzo Millennio
cristiano. Poiché la via della
pace passa in definitiva
attraverso l'amore e tende a
creare la civiltà dell'amore, la
Chiesa fissa lo sguardo in colui
che è l'amore del Padre e del
Figlio e, nonostante le crescenti
minacce, non cessa di aver
fiducia, non cessa di invocare e
di servire la pace dell'uomo sulla
terra. La sua fiducia si fonda su
colui che, essendo lo
Spirito-amore, è anche lo Spirito
della pace e non cessa di esser
presente nel nostro mondo umano,
sull'orizzonte delle coscienze e
dei cuori, per «riempire
l'universo» di amore e di pace.
Davanti a lui io m'inginocchio al
termine di queste considerazioni,
implorando che, come Spirito del
Padre e del Figlio, egli conceda a
noi tutti la benedizione e la
grazia, che desidero trasmettere,
nel nome della Santissima Trinità,
ai figli e alle figlie della
Chiesa ed all'intera famiglia
umana.
Dato a Roma, presso
San Pietro, il 18 maggio,
Solennità di Pentecoste, dell'anno
1986, ottavo del mio Pontificato.
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