«Andate in tutto
il mondo e
predicate il
Vangelo ad ogni
creatura»: sono le
parole dette da
Gesù Risorto agli
Undici, riportate
in Mc 16,15. E'
questa la missione
affidata loro,
Chiesa primitiva,
poco prima che
Cristo fosse
assunto in Cielo e
sedesse alla
destra di Dio.
«Allora essi
partirono e
predicarono
dappertutto,
mentre il Signore
operava insieme
con loro e
confermava la
Parola con i
prodigi che
l'accompagnavano».
E' questo dunque
ciò che Cristo
chiede a chiunque
intenda porsi alla
Sua sequela: non
di compiere
imprese, non di
stupire con opere
mirabolanti, non
di meravigliare
con gesti
prodigiosi. Ma di
andare ed
annunciarLo. Il
che comporta tre
passaggi
fondamentali.
Innanzi tutto,
l'andare. E
l'andare in tutto
il mondo. Non Lo
si annuncia,
standosene fermi,
immobili, chiusi
nelle proprie
case. Occorre
muoversi,
percorrere tutte
le strade,
incontrare il
nostro prossimo.
Poi il predicare.
Ciò che il Beato
Giovanni Paolo II
chiamò «nuova
evangelizzazione».
E' interessante
andare alle
origini di tale
definizione,
capire dove fu
coniata e perché.
Per la prima volta
Papa Wojtyla parlò
di «nuova
evangelizzazione»
il 9 giugno 1979 a
Nowa Huta, il
quartiere
industriale di
Cracovia, divenuto
famoso per la
lotta dei credenti
contro il
comunismo. Nowa
Huta era stata
progettata come
una città senza
Dio, un complesso
abitato totalmente
privo di simboli
religiosi e senza
chiesa. Gli operai
però si
ribellarono,
sfidarono
l'ideologia e si
riunirono, per
erigere una Croce,
la prima Croce.
Ciò scatenò la
reazione della
dittatura, ne
nacquero
contrasti,
scontri. Ma,
subito dopo quella
Croce, si riuscì a
costruire anche la
prima chiesa,
frutto -come disse
Giovanni Paolo II-
del sudore e della
resistenza di
quegli operai.
Anche noi oggi
siamo chiamati ad
erigere, a levare
in alto, verso il
Cielo, quella
Croce. Anche noi
oggi siamo
chiamati a
costruire con le
nostre mani, col
nostro sudore e
con il nostro
sangue quella
Chiesa. Saranno
inevitabili le
incomprensioni, le
ostilità, gli
scontri. Come a
Nowa Huta. Ma,
alla fine, come
sottolineò
l'allora
Pontefice, «dalla
Croce di Nowa Huta
è cominciata la
nuova
evangelizzazione:
l'evangelizzazione
del secondo
millennio».
Ovvero, di questo
nostro millennio,
quello in cui
siamo, in cui ci
troviamo, che
stiamo vivendo.
Chiamati ad un
compito specifico.
Compito, fatto non
di parole vuote,
di astrazioni, di
teorie, di
concettualizzazioni,
di sociologie, per
quanto sottili,
per quanto
logiche, per
quanto calzanti.
Ciò che occorre
oggi, ciò che
serve, ciò che
urge è predicare
il Vangelo.
Nell'Enciclica
Redemptoris
Missio, il Beato
Giovanni Paolo II
bene spiegò come
il Regno di Dio
non sia «un
concetto, una
dottrina, un
programma soggetto
a libera
elaborazione», ma
sia «innanzi tutto
una persona, che
ha il volto ed il
nome di Gesù di
Nazareth, immagine
del Dio
invisibile» (n.
17).
Infine, terzo
passaggio
importante,
occorre predicare
il Vangelo ad ogni
creatura, senza
limiti, senza
confini. Non sta a
noi prevenire,
giudicare,
programmare,
selezionare,
scegliere. Occorre
annunciare Cristo
a tutti.
Accogliere o meno
la Sua Parola sarà
poi eventualmente
compito di chi La
riceva e della sua
coscienza.
Il 18 aprile 2005,
alla S.Messa pro
eligendo Romano
Pontifice,
l'ancora Card.
Ratzinger affermò
a chiare lettere:
«Dobbiamo essere
animati da una
santa
inquietudine, di
portare a tutti il
dono della fede,
dell'amicizia con
Cristo. In verità,
l'amore,
l'amicizia di Dio
ci è stata data,
perché arrivi
anche agli altri.
Abbiamo ricevuto
la fede per
donarla ad altri.
E che il nostro
frutto rimanga».
Ed ancora
tratteggiò un
pericolo
incombente, come
cioè si andasse
«costituendo una
dittatura del
relativismo, che
non riconosce
nulla come
definitivo e che
lascia come ultima
misura solo il
proprio io e le
sue voglie. Noi,
invece, abbiamo
un'altra misura:
il Figlio di Dio.
'Adulta' non è una
fede che segue le
onde della moda e
l'ultima novità:
adulta e matura è
una fede
profondamente
radicata
nell'amicizia con
Cristo».
Ciò, non in quanto
santi, perfetti o
semplicemente
migliori. Marco,
nel suo Vangelo,
poco prima del
brano citato,
precisa come Gesù
sia apparso agli
Undici,
rimproverandoli
«per la loro
incredulità e
durezza di cuore».
Dunque, Egli sa
bene di rivolgersi
a gente retta ma
fragile, buona ma
debole, facile
all'inciampo, alla
caduta. Ciò cui
guarda, tuttavia,
è il fatto che
siano pronti a
pentirsi, a
chiedere perdono
ed a rialzarsi.
Non vuole santini,
chiama i
peccatori, consci
d'esserlo e pronti
alla conversione,
pronti a seguirLo.
Ora sappiamo come
seguirLo voglia
dire annunciarLo.
Quale situazione
si presenta oggi
ai nostri occhi ed
ai nostri cuori?
Essa è stata ben
tratteggiata e
delineata nella
Nota dottrinale su
alcuni aspetti
dell'evangelizzazione,
emanata dalla
Congregazione per
la Dottrina della
Fede il 3 dicembre
2007, voluta ed
approvata da Papa
Benedetto XVI. Vi
si legge: «Si
verifica oggi una
crescente
confusione, che
induce molti a
lasciare
inascoltato ed
inoperante il
comando
missionario del
Signore: “Andate e
fate diventare
miei discepoli
tutti gli uomini
del mondo,
battezzandoli nel
nome del Padre e
del Figlio e dello
Spirito Santo” (Mt
28,19)». Tale
confusione è una
tentazione ancor
più pericolosa in
un tempo quale
l'attuale, in cui
si è «sviluppata
una cultura, che
costituisce la
contraddizione in
assoluto più
radicale non solo
del Cristianesimo,
ma delle
tradizioni
religiose e morali
dell'umanità»,
come ebbe ad
evidenziare già il
primo aprile del
2005, l'allora
Card. Ratzinger
nel corso della
conferenza tenuta
a Subiaco sul tema
«L'Europa e la
crisi delle
culture». Di più e
di peggio:
ricorderete la
drammatica
meditazione dello
stesso Card.
Ratzinger in
occasione della
Via Crucis al
Colosseo nel
Venerdì Santo
2005, pronunciata
poche ore prima
della morte di
Giovanni Paolo II.
In quell'occasione
colui che di lì a
poco sarebbe
divenuto Benedetto
XVI ebbe a dire,
anzi a tuonare:
«Non dobbiamo
pensare anche a
quanto Cristo
debba soffrire
nella sua stessa
Chiesa? Quante
volte la Sua
Parola viene
distorta e
abusata! Quanta
poca fede c'è in
tante teorie,
quante parole
vuote! Quanta
sporcizia c'è
nella Chiesa!».
Niente di nuovo
sotto il sole: già
San Bernardo di
Chiaravalle ebbe a
scrivere:
«Maledette siano
le volpi, che
vengono a
devastare la vigna
del Signore!». Ed
ancora,
commentando il
Cantico dei
Cantici ai
confratelli di
Clairvaux, ebbe a
dire in un
sermone: «La
recente
devastazione della
vigna fa vedere
che c'è stata la
volpe; ma capisco
con quale arte nel
fingere questo
astutissimo
animale riesca a
confondere le
impronte, di modo
che un uomo non
possa facilmente
scoprire di dove
esca. Si vede
l'effetto, non
appare l'autore.
La conosceremo dai
suoi frutti. Quel
che è certo è che
il danno alla
vigna prova la
presenza della
volpe». Anche oggi
il danno alla
vigna è evidente:
ignoranza della
propria fede,
indifferenza,
secolarismo,
relativismo,
materialismo
dilagano. Dunque,
c'è la volpe.
Come cacciare la
volpe? Torniamo
alle fonti. San
Bernardo scrisse a
Ugo di Payens,
Maestro della
Milizia di Cristo:
«E' senza dubbio
impavido e sicuro
su tutti i lati
quel Cavaliere,
che riveste il
corpo della
corazza di ferro,
l'anima della
corazza della
fede; munito di
ambedue le
corazze, non teme
né demonio, né
uomo. E neppure
teme la morte,
egli che anzi
aspira a morire: e
che cosa infatti
potrebbe temere,
nella vita o nella
morte, colui per
il quale il vivere
è il Cristo e il
morire un
guadagno? Avanzate
dunque sicuri, o
Cavalieri, e con
animo intrepido
respingete i
nemici della Croce
di Cristo! Siate
certi che né la
morte, né la vita
potranno separarvi
dall'amore di Dio
che è nel Cristo
Gesù». Del resto,
che «Militia est
vita hominis super
terram» è scritto
nel Libro di
Giobbe (Gb 7,1).
Le circostanze, le
urgenze, le
emergenze del
tempo presente ci
chiamano allora ad
uscire da questo
Capitolo, consci
di avere un
compito preciso,
una missione
impellente, un
dovere chiaro: far
nostro l'annuncio
della nuova
“Crociata”,
lanciato dalla
stesso Benedetto
XVI in modo
specifico ed
esplicito nel
Messaggio per la
Giornata
Missionaria
Mondiale del 2008.
L'appello, benché
sfuggito ai più,
fu chiaro e più di
una semplice
esortazione:
«Vorrei invitarvi
a riflettere
sull'urgenza di
annunciare il
Vangelo anche in
questo nostro
tempo. Il mandato
missionario
continua ad essere
una priorità
assoluta per tutti
i battezzati». Per
tutti i
battezzati. Anche
per noi.
Soprattutto per
noi.
Che non siamo
chiamati alla
carità materiale,
pur non essendone
esonerati per la
nostra salvezza
personale. Altri
lo fanno in nome
di Cristo,
sosteniamo
piuttosto le loro
opere. Ciò che
altri non fanno,
dar aiuto e
conforto
spirituale e
pastorale, pregare
e predicare è
esattamente ciò da
cui occorre
ripartire: dalla
S.Messa, dai Dieci
Comandamenti, dal
Catechismo, senza
dare nulla per
scontato, poiché
nulla ormai lo è
più. Decenni di
relativismo hanno
scosso la Barca di
Pietro sin nelle
fondamenta,
corrotto le
coscienze,
inquinato i cuori,
indotto
l'ignoranza. Ciò
richiede di
convertirci e di
convertire.
Combattiamo per la
Barca di Pietro la
Buona Battaglia,
cui San Paolo ci
chiama: «Ho
combattuto la
Buona Battaglia,
ho terminato la
mia corsa, ho
conservato la
fede» (II Tm, 4,
7). Lo scorso 29
giugno lo stesso
Papa Francesco,
rivolgendosi agli
Arcivescovi
metropoliti cui ha
imposto il pallio,
si chiese: «Di
quale battaglia si
tratta? E' la
battaglia del
martirio. San
Paolo ha un'unica
arma: il messaggio
di Cristo e il
dono di tutta la
sua vita per
Cristo e per gli
altri. Ed è
proprio l'esporsi
in prima persona,
il lasciarsi
consumare per il
Vangelo, che lo ha
reso credibile ed
ha edificato la
Chiesa». Allora,
forza! Facciamo
nostra questa
battaglia.
Facciamo nostra
quest'arma.
Annunciamo Cristo
ovunque. Nella
rettitudine dei
nostri cuori,
purificati dalla
preghiera
quotidiana, il
Signore saprà
indicarci gli
strumenti ed i
modi migliori, per
farlo. |