Fare comunione per fare
Chiesa
Un cristiano cattolico che voglia vivere in modo serio e
responsabile la propria fede cercherà ogni giorno di
cogliere cosa lo Spirito dice alla chiesa, di leggere i
segni dei tempi, le attese più profonde dell’umanità, le
urgenze di una chiesa che vuole essere sempre più fedele
al suo Signore. Che cosa sperare allora per la chiesa e
per il mondo di oggi e di domani? A quali domande di
senso che sgorgano nel cuore di milioni di uomini e di
donne, a quali attese e speranze dare voce e respiro, a
quali “beatitudini” fare spazio nella storia concreta
dell’umanità? Quali tratti deve assumere l’annuncio del
vangelo affinché sia ancora e sempre autentica “buona
notizia” rivolta a tutti e a ciascuno, messaggio che
parla da cuore a cuore? Credo non si possa negare che le
attese odierne siano in gran parte riconducibili a
quelle lette e interpretate dal concilio Vaticano II:
sono già trascorsi quarantatre anni dalla sua chiusura,
ma quella “novella Pentecoste” chiede ancora piena
ricezione e adeguata realizzazione da parte della
chiesa. Ne era consapevole lo stesso Giovanni Paolo II
che al culmine del suo testamento, in pieno anno
giubilare del 2000, al termine di una rapida serie di
annotazioni successive, si sofferma più lungamente a
ribadire che il concilio è stato “un grande dono” dello
Spirito che egli lascia come eredità “a quanti sono e
saranno in futuro chiamati a realizzarlo”. D’altronde,
era stato lo stesso Giovanni Paolo II con il suo
magistero pontificio a definire il Vaticano II “la
grande grazia del XX secolo” e la “bussola per la chiesa
del terzo millennio”. Il suo successore Benedetto XVI
avrà ancora come compito prioritario di proseguire la
realizzazione del concilio e dovrà in particolare, ora
che si sono dissolti i fantasmi di scismi nella chiesa,
togliere ogni dubbio circa l’autorevolezza di quell’assise
conciliare: non si può infatti sminuirne la portata
attraverso un’ermeneutica riduttrice che rallenterebbe
il rinnovamento della chiesa e lascerebbe in un dubbio
paralizzante proprio i cristiani più esposti perché
collocati alle frontiere vecchie e nuove della chiesa.
Oggi non è necessario un nuovo concilio, ma occorre che
le istanze suggerite dalla dinamica globale del Vaticano
II siano raccolte e portate a piena maturazione,
soprattutto dopo questi decenni che hanno visto
un’accelerazione nei mutamenti sociali e un profondo
cambiamento dello scenario planetario. Forse oggi più
che mai è richiesta al papa una dote che sempre deve
accompagnare chi presiede la chiesa nella carità: il
sensus ecclesiae. Questo profondo “senso della chiesa”
consente di lavorare con sollecitudine alla fondamentale
compaginazione e comunione tra tutte le componenti
ecclesiali. “Senso della chiesa” significa affermare
l’ordo oggettivo richiamato dall’ecclesiologia
conciliare che fa della chiesa una comunione di chiese
locali presiedute dai vescovi: in questo ordo il
riconoscimento delle chiese locali deve avvenire in una
logica di comunione plurale e in una sinodalità, in un
“fare cammino insieme” da parte di tutti i ministeri e
le componenti ecclesiali. La comunione deve diventare
forma esistenziale della chiesa, senza timori e senza
paure, ma assumendo tutte le fatiche e i rischi che si
presentano nel tentare di realizzarla e di viverla. Se
veramente si instaura una spiritualità di comunione,
allora si riuscirà anche a trovare strumenti e strutture
efficaci perché questa comunione sia concreta e
visibile.
(cf. Enzo Bianchi)
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Anche noi Templari
di San Bernardo vogliamo fare "fatti" in
tal senso. Per questo invitiamo tutti i fratelli e le
sorelle di altre Associazioni, Congregazioni, Gruppi e
Ordini neotemplari a pensare seriamente ad un modo fattivo
per trovare in ciascun gruppo le ragioni che portano
all'unità (più di quelle che paiono dividerci) e
perseguirle cristianamente in seno alla Chiesa Cattolica
Apostolica Romana, come chiaramente indicato da nostro
Signore Gesù Cristo.
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