Se
c’è una cosa che nessuno può tollerare, in questi anni, è il
razzismo. Pazienza se droga e alcool spopolano, se il gioco
d’azzardo ci rovina e la pornografia ci imbarbarisce, ma guai
– guai! – a chi assume qualsivoglia atteggiamento giudicato
sospetto, a chi tentenna sull’uguaglianza, a chi osa
dissociarsi dalla sinfonia mediatica sui diritti umani e sulla
beneficienza. Son moniti,
questi, che valgono per tutti, quadrupedi inclusi: qualche
anno fa, in America, Dolpho, un pastore tedesco specializzato
nell’individuazione di trafficanti di droga, è stato sospeso
dal servizio perché – udite, udite – se la prendeva
principalmente con spacciatori di colore mentre ai bianchi, a
quanto pare, strizzava l’occhio. No comment.
Eppure, nonostante questa lotta ferrea e planetaria alla
discriminazione, si registra quotidianamente la massima
indifferenza verso quella che, piaccia o meno, è la più
diffusa pratica razzista contemporanea: l’aborto. E a farne le
spese, ancora una volta, sono anzitutto le categorie sociali
storicamente più penalizzate: le persone di colore, i disabili
e le donne.
I primi – avete capito bene – sono i negri, esattamente come
ai tempi della tratta degli schiavi. A dirlo non è la teoria
di qualche pro-life, bensì una ricerca – ripresa anche dal New
York Times, testata certo non tacciabile di sudditanza
cattolica, e condotta dal National Center for Chronic Disease
Prevention and Health Promotion tra il 1996 ed il 2006 – che
ha messo in luce come in America il 40% degli aborti procurati
sia a carico di donne di colore. Piccolo particolare: negli
Stati Uniti le persone di colore non sono nemmeno il 15% della
popolazione. Non serve quindi essere giganti della matematica
per capire quanto l’aborto stia decimando la popolazione di
colore americana. Ma i vari enti internazionali preposti alla
difesa delle minoranze – e potremmo, spazio permettendo,
citarne a centinaia -, stranamente, non aprono bocca. Neanche
– che ne so – una conferenza, due righe di comunicato stampa,
un sms: niente. Silenzio di tomba.
Stesso discorso per i bambini Down – altra categoria protetta,
a dar retta ai guardiani dei diritti umani: non nascono più,
stanno statisticamente scomparendo. E non per l’inverno
demografico – che pure rappresenta un problema enorme – ma
perché vengono eliminati serialmente con l’aborto. E quando
nascono, quasi sempre, è per errore, perché la sindrome non
era stata diagnosticata. Il caso più lampante, in Europa, è
forse quello britannico: nel 1990 in Inghilterra e Galles le
diagnosi prenatali di sindrome di Down erano state 1.075, nel
2008 avevano toccato quota 1.843 (+70%). Una bella impennata.
Nonostante ciò le nascite di bambini Down non solo non
risultano – come ci si aspetterebbe – essere aumentate, ma son
addirittura calate di 1 punto percentuale, passando da 752 a
743. Questo perché la percentuale di coppie che ricorre
all’aborto dopo aver appreso di attendere un figlio Down, in
Inghilterra, è pari al 92%. Ma anche per questo orrore, dal
fronte dei diritti umani, non vola una mosca.
L’ultimo ma non meno importante pubblico vittima dell’aborto è
quello femminile. In Asia, ormai lo sanno tutti, le donne
stanno sparendo. E’ un dramma così devastante che ultimamente
– miracolo! – ha attirato le attenzioni del Segretario
generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Che ha dichiarato:
“La violenza contro le donne è una questione che non può
attendere. Attraverso la pratica della selezione sessuale
prenatale, un numero imprecisato non ha neppure diritto alla
vita”. I numeri complessivi della strage li ha ribaditi giusto
l’altro giorno il demografo Phillip Longman della New America
Foundation: lo squilibrio dei sessi generato dall’aborto di
massa, nella sola Cina, ha fatto sì che ci sia un 16% di
maschi in più; per non parlare dell’India. Nessuna società,
assicura Longman, ha mai sperimentato la velocità di
invecchiamento e lo squilibrio di genere evidente oggi in
Asia. Persino l’Onu – ed è tutto dire – se ne sta accorgendo.
Chi su questo tace, inspiegabilmente, è l’ormai attempato
fronte femminista: e i famosi diritti delle donne? Mistero.
Devono essersi presi una vacanza. Per concludere, occorre
comunque precisare come l’aborto non sia razzista solo perché,
come abbiamo visto, propizia l’estinzione della popolazione di
colore, di quella disabile e di quella femminile. Certo, tutto
ciò, se possibile, ne mette ancor più in evidenza la potenza
omicida. Ma la pratica abortiva, di per sé, è intrinsecamente
razzista per una ragione molto più semplice: perché elimina il
nascituro, ossia colui che per antonomasia non ha la
possibilità di difendersi, di dire la propria, di ribellarsi
al destino che altri – i suoi genitori, noi, la società –
potrebbero scegliergli.
E’ questo, su tutti, il dramma più grande. Quello sul quale
ciascuno di noi, a suo modo, dovrebbe riflettere. Siamo anche
liberi, ovviamente, di far finta di nulla; di continuare la
nostra vita sereni, di occuparci d’altro e sperare che tutto
si risolva da sé. In questo caso saremmo però costretti,
quanto meno per decenza, a piantarla con la condanna del
razzismo. Perché rischieremmo di essere assai ridicoli.
(Tratto da: Libertàepersona.org)
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