ANSELM GRUN |
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LA PREGHIERA CONTINUA
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Nella preghiera di Gesù chiediamo a Dio
che ci apra gli occhi per trovare il coraggio di guardare
in faccia noi stessi e la nostra vita. La preghiera
rivolta a Gesù ci dona un nuovo modo di vedere. Vediamo
tutto sotto la luce di Dio e dappertutto vediamo con gli
occhi di Dio.
«Si giunge quindi alla preghiera, della
quale non si può più dire che si preghi, perché ci ha
sequestrati e invasi completamente e nel fondo del nostro
essere non esiste differenza tra cuore e preghiera. D’ora
in poi è lo spirito a pregare dentro di noi
ininterrottamente ed esso ci attira sempre più nella sua
preghiera. Quanto più si viene trasportati dalla corrente,
tanto più chiaramente si comprende che questa preghiera
non proviene più da noi. E come se fosse divenuta
autonoma».
«Il culmine di tutta l’ascesi è la
preghiera che non termina mai. Chi la raggiunge si è
sistemato nella sua dimora spirituale. Quando lo spirito
va ad abitare in un uomo, questi non può più smettere di
pregare, perché lo spirito prega incessantemente dentro di
lui. Non importa se dorma o sia sveglio, la preghiera sarà
sempre al lavoro nel suo cuore. Non importa se mangi o
beva, se riposi o lavori, l’incenso della preghiera si
propagherà dal suo cuore da sé. La preghiera dentro di lui
non è più legata a un momento particolare, è ininterrotta.
Anche quando si dorme, la sua azione continua, di
nascosto, poiché il silenzio di un uomo divenuto libero è
di per sé già una preghiera. I suoi pensieri gli sono
suggeriti da Dio. Il minimo impulso del suo cuore è come
una voce che canta per l’Invisibile in silenzio e in
segreto».
L’incontro nella preghiera non è
soltanto qualcosa di istantaneo, non avviene solo quando
mi pongo coscientemente di fronte a Dio: deve invece
diventare un atteggiamento fondamentale e duraturo
dell’uomo. La tradizione del monachesimo parla della
preghiera continua o della ininterrotta preghiera
interiore.
Il fine del monachesimo consisteva nel vivere sempre alla
presenza di Dio, nel pregare ininterrottamente e quindi
nel vivere costantemente dell’incontro con Dio. L’intera
vita deve essere plasmata dall’incontro con Dio. Vivo
continuamente di fronte a lui, di fronte ai suoi occhi ed
egli mi guarda con amore e con benevolenza. L’incontro con
Dio lascia l’impronta su tutta la mia vita, sul mio lavoro
e il mio riposo, sul mio pensare e il mio sentire, sul mio
parlare e il mio tacere. Non vivo mai al di fuori dei
rapporti, ma sempre in rapporto al mio Dio. Non devo certo
pensare sempre esplicitamente a Dio; l’incontro è
soprattutto lo sfondo nel quale vivo e mi muovo. Paolo ha
parlato così nel suo discorso dell’areopago: «In te ci
muoviamo e siamo» (At 17,28).
I monaci hanno sviluppato dei metodi che ci possono
aiutare a vivere sempre e ovunque dell’incontro con Dio.
E' la cosiddetta preghiera interiore che è sempre presente
dentro di noi e che non ci può mai essere tolta. Per
giungere a questa preghiera interiore, devo però seguire
una lunga serie di esercizi. Per i monaci questa serie di
esercizi consisteva nella preghiera fatta di una parola,
la ruminatio, nel ripetere sempre lo stesso
versetto di un salmo o la stessa preghiera di Gesù. La
preghiera di Gesù divenne soprattutto nella chiesa
orientale l’esercizio di meditazione per antonomasia. Ma
anche nella chiesa occidentale essa gode oggi di grande
favore e per molti è divenuta una forma concreta della
preghiera continua. Consiste nel ripetere continuamente la
formula «Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi
pietà di me!».
Questa formula può anche venir accorciata a seconda del
ritmo del respiro del singolo. Si, la preghiera rivolta a
Gesù può venir ridotta anche solo al nome di Gesù, che poi
si collega all’espirazione
I monaci vedono nella preghiera fatta a Gesù il compendio
di tutto il vangelo. Essa rimanda all'episodio della
guarigione di Bartimeo (Mc 10,47), in cui Bartimeo prega
Gesù di guarirlo dalla sua cecità: «Gesù, abbi pietà
di me»; e all’episodio in Lc 18,13 in cui il
pubblicano si presenta con umiltà a Gesù e lo prega così:
«O Dio, abbi pietà di me, peccatore!».
Due elementi fondamentali trovano espressione in questa
preghiera: uno è la preghiera per la guarigione. Ci
portiamo appresso tutte le ferite e nella preghiera
chiediamo a Dio che le guarisca. E spesso siamo ciechi:
non vogliamo vedere la realtà come è veramente, chiudiamo
gli occhi di fronte alla realtà della nostra vita, di
fronte alla realtà del nostro prossimo e del mondo intero.
Nella preghiera di Gesù chiediamo a Dio che ci apra gli
occhi per trovare il coraggio di guardare in faccia noi
stessi e la nostra vita. La preghiera rivolta a Gesù ci
dona un nuovo modo di vedere. Vediamo tutto sotto la luce
di Dio e dappertutto vediamo con gli occhi di Dio.
Spesso chiediamo troppo a noi stessi quando vogliamo
vedere la realtà in faccia. Solo se Cristo ci prende per
mano, come ha fatto con Bartimeo, troviamo il coraggio di
guardare la realtà apertamente. Non dobbiamo più averne
paura perché sappiamo che Cristo è con noi e ci fa
scoprire la verità del mondo. Possiamo vedere il mondo
nella sua autenticità perché in ogni parte di esso
incontriamo anche Dio.
L’altro elemento fondamentale è l’umiltà del
pubblicano, che non ha fiducia in se stesso e in ciò che
fa, mentre ripone la propria fiducia nella pietà di Dio.
E' la grande fiducia nel fatto che Dio ci accetta così
come siamo. Se nelle mie preghiere ripeto sempre:
«Gesù Cristo, abbi pietà di me» ,
questa non è solo una preghiera incessante perché egli
abbia pietà, ma piuttosto rappresenta il prendere
coscienza di questa pietà, un ringraziamento nei confronti
del Dio misericordioso.
Col passare del tempo questa preghiera produce una
profonda pace interiore e una gioia silenziosa nei
riguardi di Dio, di fronte al quale posso essere così come
sono, anche se debole o colpevole. E gradualmente io
stesso divento più misericordioso nei miei confronti. Non
mi tormento più con rimproveri se commetto un errore: al
contrario, sottopongo l’errore alla pietà di Dio. Così mi
concilio con esso e provo maggiore compassione per il mio
prossimo. Se sento durante l’ascolto di una confessione
che giudizi negativi affiorano dentro di me, la preghiera
di Gesù mi aiuta ad assumere un atteggiamento di maggiore
misericordia nei confronti dell’altro. In questo modo
rendo meglio giustizia al suo mistero di quanto potrei
fare attraverso i miei pregiudizi affrettati, nei quali
vedo l’altro solo attraverso gli occhiali delle mie
proiezioni.
Il tono generale della preghiera di Gesù non è
l’implorazione supplichevole affinché Cristo abbia pietà
di me, perché sono così malvagio. E piuttosto un tono
ottimistico e fiducioso. Per un verso nel nome di Gesù
riconosco il mistero dell’incarnazione. Questo Gesù Cristo
è il Figlio di Dio, in lui dimora la pienezza della
divinità (Col 2,9). Per un altro verso, quando dico
"Abbi pietà di me", esprimo il mio rapporto
personale con Gesù Cristo. La parola greca eleison
ha la stessa radice di elaion, olio, e
chiede quindi che Dio riversi la pienezza della sua grazia
su di noi.
Per la lingua russa la preghiera di Gesù ha il carattere
dell’amore e della tenerezza. «Le parole slave milost
e pomiluy hanno le stesse radici delle
espressioni che significano tenerezza e carezza»(1).
Nella preghiera di Gesù chiediamo il suo amore e allo
stesso tempo esprimiamo il nostro amore per Dio e il
nostro anelito nei suoi confronti. Perché si tratta di una
preghiera squisitamente intima, un dolce richiamo rivolto
a chi mi ama, ed è espressione della certezza che in Gesù
Cristo l’amore stesso di Dio è riversato nel mio cuore. La
preghiera di Gesù emana la fiducia che questo Gesù Cristo
è in me. Non è colui che ha vissuto in un lontano passato:
al contrario, è in me.
I monaci consigliano di far scorrere il respiro nel cuore
quando si inspira e di sentire, nel respiro, la presenza
di Dio stesso nel cuore. Cristo è in me. Nel calore
che il respiro genera nel cuore posso sentire la sua
presenza misericordiosa e colma d’amore. Sentire il
respiro nel cuore allevia la mente, che di solito, quando
si prega, ci causa fastidio e inquietudine con pensieri
sempre nuovi. Nel cuore, riscaldato dal respiro, possiamo
arrivare alla calma in Gesù Cristo. Non lo incontriamo
solo per un breve momento: l’incontro invece si protrae e
noi ne rimaniamo partecipi. Quindi la preghiera di Gesù
aiuta a vivere continuamente nell’incontro con Cristo e a
vivere del rapporto con lui. Il mio cuore viene toccato da
Cristo, in lui sento il calore. Come chi ama sente la
persona amata nel proprio cuore e vive la quotidianità in
modo diverso, così la preghiera di Gesù genera dentro di
noi un'atmosfera di amore, di misericordia e di
benevolenza nella quale si vive bene. Lo spazio in cui
viviamo non è freddo e deserto; è abitato da Gesù Cristo,
trabocca della sua presenza amorevole e salvifica ed emana
la sua affettuosa intimità. In questo spazio vivo sempre
dell’incontro con Gesù Cristo.
L’incontro nella preghiera personale continua a fare
effetto e lascia il segno anche sul mio lavoro. E la
preghiera di Gesù mi ricorda costantemente questo incontro
nella preghiera rievocandolo. Tutta la mia vita diventa
una vita formata da questo incontro. In tutto ciò che
compio e penso, faccio riferimento a Gesù Cristo, gli sono
legato, sono a casa. Solo vivere di questo rapporto e in
questo rapporto dà valore alla mia vita. Oggi sempre più
numerosi sono quelli che vivono al di fuori di questo
rapporto, e perciò la loro vita va in frantumi, perché
essi sfiorano soltanto il loro vero io. Solo nel rapporto
con un altro io vivo il mio vero sè, solo nella relazione
sono in contatto anche con il mio vero nucleo.
Quando inspiriamo dobbiamo permettere a Gesù Cristo stesso
di pervadere tutto il nostro corpo nel nostro respiro.
L’inspirazione scende verso il basso, nel bacino.
Permettiamo allo spirito misericordioso di Gesù di
pervadere tutti i sentimenti che hanno la loro sede negli
organi interni: la rabbia e la delusione, la collera e
l’amarezza. Dobbiamo anche permettergli di entrare nei
nostri istinti, che per i greci sono localizzati nella
parte concupiscente dell’uomo, nel basso ventre. Quando lo
spirito di Cristo fluisce dappertutto, possiamo
riconciliarci con tutto ciò che si trova in noi. Così la
preghiera di Gesù può colmarci sempre più di misericordia
e bontà verso noi stessi e verso gli altri.
Dopo aver espirato, si giunge ad un breve momento in cui
non succede nulla e nel quale nè inspiriamo nè espiriamo.
Questo momento è decisivo secondo i maestri della
meditazione. Infatti indica se dimentico me stesso e mi
abbandono a Dio o se rimango ancorato a me stesso. Se non
riesco a sopportare questo istante e voglio subito
inspirare, non mi lascio cadere in Dio. Quest’attimo
prezioso del puro silenzio e della pura inattività è il
luogo in cui ci lasciamo cadere nelle braccia
misericordiose di Dio, e li scopriamo che tutta la nostra
esistenza ha il carattere di un dono. Come dice Isacco di
Ninive, la parola conduce al mistero senza parole di Dio.
Abbiamo legato il nostro respiro alla parola per non venir
distratti, ma in questo intervallo tra inspirare ed
espirare abbandoniamo anche la parola. Lasciamo che esso
ci introduca nello spazio colmato soltanto da Dio. Ma
questo spazio non è uno spazio divino; è riempito invece
dal Padre di Gesù Cristo, dalla misericordia e dalla bontà
di Gesù stesso.
Per me la preghiera di Gesù è un modo utile per vivere
nell’incontro costante con Gesù Cristo e, attraverso di
lui, con il Padre. E una parola familiare che affiora
dentro di me spontaneamente, anche se non ne ho coscienza.
Mi permette di essere a casa e mi conduce sempre dalla
distrazione a ciò che è veramente importante, al Padre di
Gesù Cristo. E mi dà la certezza che Gesù Cristo è dentro
di me e procede insieme a me. Quando la preghiera è dentro
di me, anche Gesù Cristo è dentro di me e con me. Quindi
vivo costantemente dell’incontro con lui.
Questo incontro dà un altro sapore a tutta quanta la mia
vita. In tutto ciò che faccio c’è qualcosa della
misericordia e dell’amore di Dio. L’incontro fa diventare
la mia vita una preghiera continua, un incontro con Dio
nel mio cuore. La preghiera ininterrotta giunge ad
esistere improvvisamente, come André Louf (2) ha descritto
molto bene: «Si giunge quindi alla preghiera, della quale
non si può più dire che si preghi, perché ci ha
sequestrati e invasi completamente e nel fondo del nostro
essere non esiste differenza tra cuore e preghiera. D’ora
in poi è lo spirito a pregare dentro di noi
ininterrottamente ed esso ci attira sempre più nella sua
preghiera. Quanto più si viene trasportati dalla corrente,
tanto più chiaramente si comprende che questa preghiera
non proviene più da noi. E come se fosse divenuta
autonoma».
E Isacco il Siro dice: «Il culmine di tutta l’ascesi è la
preghiera che non termina mai. Chi la raggiunge si è
sistemato nella sua dimora spirituale. Quando lo spirito
va ad abitare in un uomo, questi non può più smettere di
pregare, perché lo spirito prega incessantemente dentro di
lui. Non importa se dorma o sia sveglio, la preghiera sarà
sempre al lavoro nel suo cuore. Non importa se mangi o
beva, se riposi o lavori, l’incenso della preghiera si
propagherà dal suo cuore da sé. La preghiera dentro di lui
non è più legata a un momento particolare, è ininterrotta.
Anche quando si dorme, la sua azione continua, di
nascosto, poiché il silenzio di un uomo divenuto libero è
di per sé già una preghiera. I suoi pensieri gli sono
suggeriti da Dio. Il minimo impulso del suo cuore è come
una voce che canta per l’Invisibile in silenzio e in
segreto».
La preghiera continua di Gesù conduce a una vita che trae
continuamente il proprio fondamento dall’incontro con Gesù
Cristo. Quando preghiamo, il nome di Gesù Cristo stesso
scende nel nostro cuore e lo rende la sua dimora.
Esichio di Batos, un autore del medioevo bizantino,
scrive: "L’invocazione ininterrotta di Dio, unita ad un
ardente anelito e a una grande gioia nei suoi confronti,
riempie di beatitudine e di gioia l’atmosfera del nostro
cuore... il ricordo di Gesù e l’invocazione ininterrotta
del suo nome producono qualcosa di simile a una corrente
divina nel nostro spirito".
La preghiera di Gesù risveglia delle forze dentro di me
che fino a quel momento erano rimaste sotterrate sotto il
peso del mio lavoro e delle mie preoccupazioni. Conduce
tutto quanto è presente in me nel rapporto con Gesù
Cristo, nel rapporto con colui che mi ama e che ha un
cuore per me, un cuore che non condanna, anzi, un cuore
che ha pietà di me.
La meta della via spirituale è quella di vivere
costantemente in questo rapporto d’amore con Gesù Cristo e
di trovarvi salvezza e pienezza. In questo rapporto nulla
viene represso o escluso dentro di me: al contrario, tuffo
viene considerato e riferito a Dio.
Benedetto ha davanti agli occhi questa vita che trae
continuamente il proprio fondamento dall’incontro con Dio
quando scrive: "Nel primo stadio dell’umiltà si prova
sempre un timore riverenziale quando si immagina Dio, e ci
si guarda dal dimenticarlo... l’uomo si convinca di
questo: Dio ci guarda sempre dall’alto del cielo. L’occhio
di Dio segue sempre e ovunque le nostre azioni, e gli
angeli gli riferiscono continuamente ogni cosa" (RB 7).
Per Benedetto la vita spirituale è vita nella presenza
di Dio, che mi guarda con amore e con benevolenza, ma
anche con uno sguardo critico ed esaminatore. Solo in
questo sguardo di Dio trovo la strada che porta a me
stesso: la mia vita acquista un altro gusto. Sento che la
mia vita è una continua risposta al Dio che mi guarda e mi
parla. Non vivo da qualche parte in uno spazio qualsiasi;
vivo invece davanti agli occhi di Dio, vivo del continuo
incontro con Dio che è misericordioso e colmo d’amore.
Questo è ciò che significa la preghiera continua. Non è
un’attività, è esercizio di una vita che nasce
dall’incontro. L’alternativa a questa vita che nasce
dall’incontro è la vita che nasce dalla distrazione. Per i
monaci era una continua tentazione sottrarsi all’incontro
e al rapporto con Dio e ritirarsi negli spazi privati
della loro fantasia, dove si può passeggiare liberamente e
dove si possono sognare le proprie illusioni.
La vita che nasce dall’incontro deve però essere imparata
attraverso la pratica. Non è un dono di natura. I monaci
fanno esercizio ripetendo sempre la preghiera di Gesù
ovunque si trovino. Ma per poter pregare sempre, devo
prima di tutto pregare in certi momenti della giornata.
Devo collegare la preghiera a certe mie attività. Quando,
ad esempio, mi sveglio al mattino, devo pregare Gesù con
coscienza. Quando esco di casa, quando vado al lavoro,
quando entro in una casa, quando incontro una persona,
quando il campanile batte l’ora, quando squilla il
telefono, in tutte queste occasioni potrei recitare la
preghiera di Gesù. I fatti esterni sarebbero dei segnali
della memoria che la preghiera di Gesù con il tempo
risveglia dentro di me. Se in questo modo i fatti esterni
mi ricordano la presenza di Gesù Cristo che ha pietà di
me, allora la mia vita cambierà. Non sarà più plasmata
dagli eventi esterni: in ogni cosa incontrerò Gesù Cristo.
Ovunque e in tutto ciò che succede la mia vita trae il suo
fondamento dall’incontro con Cristo.
E in seguito all’incontro con Cristo affronto gli uomini e
le situazioni della mia vita quotidiana in modo nuovo. Non
sono gli avvenimenti esterni a definire la mia situazione
emotiva: è Gesù Cristo a farlo, e lo incontro in ogni
cosa. La vicinanza di Gesù respinge la vicinanza spesso
importuna di persone o di problemi. Allora li posso
giudicare come meglio conviene. Non permetto che mi
soffochino, anzi li affronto con un distacco interiore.
Poiché la mia vita trae sempre il suo fondamento
dall’incontro con Cristo, gli avvenimenti esterni non
possono più governarmi. La stessa cosa accade agli uomini
che si amano. Poiché sanno del loro amore e trovano in
esso il fondamento della loro vita, non si lasciano più
influenzare dai fatti del giorno. Si fanno invece guidare
dal loro amore.
Allo stesso modo il nostro incontro con Cristo dovrebbe
plasmare tutta la nostra vita e trasformarla. Ogni cosa
deve custodire il gusto della misericordia e della bontà
di Dio. L’incontro con Cristo e con il Padre di Gesù
Cristo risveglia il vero nucleo della vita dentro di noi,
ci rende più vivi e ci dona veramente la vita eterna, una
vita che è di un’altra qualità rispetto a quella presente
intorno a noi, una vita vissuta nella libertà e nella
mitezza, nell’amore e nella gioia. Non siamo noi che
dobbiamo trasformarci: è l’incontro con Dio che ci
trasforma e ci conduce al nostro vero io.
NOTE
(1)
METROPOUTA ANTONIO, Lebendiges Beten 101; cf.
Aufrichtige Erzùhlungen eines russischen Pilgers, a
cura di E. Jungclaussen, Preiburg 1975; Kleine
Philokalie, curato e tradotto da M. Dietz, Einsiedeln
1956.
(2) Per alcuni articoli
di Andre Louf vai alla sezione: ANTICHI PADRI E GRANDI
MAESTRI DELLA PREGHIERA |
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Tratto da: A. Grun,
Preghiera come incontro - ed. Messaggero Padova, a cui si
rimanda per le note e l'approfondimento. |
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