Nel mondo cristiano oltre
alle verità di fede contenute nei due Testamenti vi è
ancora, dice il Padre Campion, una parola di Dio non
scritta a cui si dà nome di Tradizione.
Nel mondo cristiano vi è
una vera fede, cioè una fede divina, fondata su la parola
di Dio contenuta nei due Testamenti. Ma vi è ancora, dice
il Padre Campion (Méthode pour discerner, etc.),
una parola di Dio non scritta a cui si dà nome di
tradizioni divine ed apostoliche, o semplicemente di
Tradizione. In qualunque maniera Dio si spieghi, egli ha
sempre la medesima autorità. Prima di Mosè non vi era
parola di Dio scritta. Per oltre duemila anni i veri
fedeli non si conservarono nella vera religione se non per
mezzo delle tradizioni. Gli Apostoli medesimi predicarono
il Vangelo prima che si scrivesse. Perciò S. Paolo diceva
ai Tessalonicesi: «Fratelli miei, osservate le tradizioni
che avete appreso, sia dai nostri discorsi, sia dalle
nostre lettere» (II Thess. II, 14). Quello che
predicava a viva voce non aveva minor forza né minore
autorità di quello che insegnava per iscritto; e non si
può negare che molte cose sono state rivelate, le quali
non si trovano nella Scrittura, e che tuttavia noi
dobbiamo credere, per esempio, che i quattro Vangeli, che
le quattordici Epistole di S. Paolo, che le tre di S.
Giovanni con la sua Apocalisse, sono stati
inspirati dallo Spirito Santo. I cattolici ed i
protestanti sono d'accordo su questo punto. Ora se i
protestanti credono ciò di fede divina, bisogna che Dio
abbia rivelato che tutti questi ,libri sono divini. Ciò
posto, mi dicano i protestanti, dove si trova questa
rivelazione? E certo che non s'incontra nella Sacra
Scrittura, non occorrendo luogo in tutta la Bibbia nel
quale si faccia l'enumerazione dei libri canonici. Ma se
questo catalogo di libri santi non si trova nella Bibbia,
come per certo non vi si trova, è assolutamente necessario
ammettere una parola di Dio non scritta, che è la
tradizione, poiché questa rivelazione su la quale poggia
la fede, mediante la quale crediamo che la Bibbia è un
libro divino e che è parola di Dio, è una festa divina e,
per sentimento dei protestanti, il fondamento di tutti gli
altri punti di fede. E questa la ragione per cui la Chiesa
cattolica, apostolica, romana, ha sempre riconosciuto e
ammesso una parola di Dio non scritta. Già dai suoi tempi
S. Giovanni Crisostomo faceva rilevare come dal testo di
S. Paola nella sua seconda epistola ai Tessalonicesi,
chiaramente ne conseguisse che gli Apostoli insegnarono
molte cose che non si trovano nella Scrittura, e a cui noi
siamo obbligati a prestare la medesima fede che a quelle
scritte (Orat. IV). Secondo Origene, la dottrina
delle tradizioni per la quale noi sappiamo non esservi che
quattro Vangeli, e dietro la quale crediamo gli altri
libri canonici, ha per suoi assertori, testimoni e
banditori tutti i santi Padri e i Dottori. Notissima a
tutti è quella protesta di S. Agostino: «Non crederei al
Vangelo, se non mi vi piegasse l'autorità della Chiesa
cattolica (Epist. CLVII)». Il medesimo Dottore
dice in un altro luogo: «Gli illustri Pontefici di Dio
mantennero esattamente quello che trovarono nella Chiesa;
fedelmente insegnarono quello che essi appresero;
consegnarono religiosamente ai figli ciò che ricevettero
dai padri (Enchirid.)». Quindi quella massima del
Lirinese: «Bisogna curare diligentemente che nella Chiesa
cattolica si tenga quello che sempre e in ogni luogo e da
tutti fu creduto (VINCENT. LIRIN.)». Infatti già osservava
S. Gerolamo: Non è la Scrittura, ma la tradizione che
insegna alla Chiesa che bisogna battezzare i bambini e non
ribattezzare gli eretici che ritornano alla Chiesa; che
invece del sabato si deve celebrare la domenica. La
Quaresima è d'istituzione apostolica (Epist. LIV,
ad Marc.). I protestanti credono al pari dei cattolici,
contro Nestorio, che in Gesù Cristo vi è una sola persona,
che è la persona divina, e non due, come stoltamente
pretendeva quell'eresiarca: credono al pari di noi, che in
Gesù Cristo vi sono due nature, la divina e l'umana, e non
una sola, come sosteneva Eutiche. Ora questi due capitali
articoli di fede non si trovano già chiaramente espressi
nel Vangelo: noi li ammettiamo dietro le decisioni dei
concili i quali l'avevano appresi dalla tradizione
apostolica, cioè dalla parola di Dio trasmessa agli
Apostoli, e da questi alla Chiesa.
Del resto, non solamente nel citato passaggio
dell'epistola ai Tessalonicesi, ma in altri luoghi ancora
S. Paolo comanda espressamente di osservar le tradizioni.
Nella medesima epistola, per esempio, al capo III scrive
loro: «Noi vi ordiniamo, o fratelli, nel nome di Gesù
Cristo, che vi separiate da quelli dei nostri fratelli, i
quali vivono in modo sregolato e non secondo la tradizione
che hanno ricevuto da noi» (II Thess. III, 6). Al
discepolo Timoteo diceva: «In quanto a te, tu conosci la
mia dottrina, la mia vita, il mio scopo, la mia fede, ecc.
Rimani dunque saldo in ciò che hai imparato e che ti fu
confidato, ben sapendo da chi l'hai appreso» (II Tim.
III, 10-14). S. Paolo non fa parola di dottrina datagli
per iscritto, ma di dottrina insegnatagli, confidatagli,
cioè data a viva voce e per tradizione. «Confòrmati, gli
ripete un'altra volta, alle sane parole che da me hai
udito, nella fede e nell'amore in Gesù Cristo... E quello
che da me hai inteso in presenza di molti testimoni,
raccomandalo a persone fedeli le quali saranno poi idonee
esse medesime ad istruire gli altri» (Ibid. I,
13; Ibid. II, 2).
Noi vediamo che l'Apostolo mette a paro le verità che ha
insegnato nei suoi discorsi con quelle che ha tracciato
nei suoi scritti; e quelle e queste formano il deposito
che confidava a Timoteo, ordinandogli di trasmetterlo a
quelli che fossero capaci d'insegnare. Da, tutto ciò, che
è incontestabile, tiriamo due conseguenze.
La prima è che, se i protestanti rigettano le tradizioni
della Chiesa, devono rigettare anche il nuovo Testamento,
che queste tradizioni ammette quali pure sorgenti; che
anzi rifiutino tutta quanta la Bibbia, perché è venuta
fino a noi, a traverso i secoli, non per altra via, se non
per quella della tradizione. La religione, sia scritta sia
orale, non è forse sempre la medesima religione? E se la
religione per tradizione può correre pericolo di venire
alterata, non può esserlo ugualmente la religione per
iscritto? Quand'anche non esistesse sillaba di Scrittura,
la vera religione non cesserebbe perciò di sussistere e di
perpetuarsi, come si è mantenuta per il corso di duemila
anni, da Adamo fino a Mosè; e la religione cristiana
anch'essa sul principio si è in questo modo mantenuta e
diffusa in tutta la sua purezza per alcuni anni; poiché il
nuovo Testamento non era ancora scritto, e l'antico non
era ancora stato diffuso dovunque si trovavano dei fedeli.
La seconda conseguenza è che Dio ha dovuto necessariamente
stabilire un giudice della sua parola, sia scritta sia non
scritta, per terminare le difficoltà che potrebbero
insorgere e intorno al numero dei libri sacri, e riguardo
alla fedeltà delle traduzioni, e riguardo al senso dei
testi, e riguardo alla tradizione; e che questo giudice
dev'essere vivente, parlante, perpetuo, infallibile,
inspirato e diretto dallo Spirito Santo, per rendere certa
la nostra fede (*).
Vedi CHIESA, § Infallibilità.
NOTE
(*) La ragione e l'autorità, la
storia e la tradizione proclamano ad una voce che questo
giudice vivente, perpetuo, infallibile, inappellabile è la
Chiesa docente, perché di lei fu detto da Colui che non
può né mentire né venir meno: « Le forze dell'inferno non
basteranno a superarla» (MATTH. XVI, 18). Ora, siccome il
capo, la bocca, l'organo di questo corpo che si chiama
Chiesa, è una parte di lei così sovreminente, sostanziale
e necessaria che, per sentenza dei santi Padri, con lei
s'immedesima, e dove si trova esso, si trova tutta e sola
la vera Chiesa: - Ubi Petrus, ibi Ecclesia (S.
Ambros.), perciò
il buon senso del popolo fedele e la sana dottrina dei
luminari del Cristianesimo furono sempre unanimi
nell'attribuire al Romano Pontefice, qual successore del
B. Apostolo Pietro e quindi capo e fondamento della
Chiesa, la medesima prerogativa d'infallibilità di cui
questa va adorna; sostenuto in questo sentimento dalla
parola del Redentore il quale non contento d'aver
indirettamente accennato a questo sublime privilegio di
Pietro chiamandolo e costituendolo fondamento sul quale
avrebbe fondato la sua Chiesa: - Tu es Petrus et super
hanc petram aedificabo Ecclesiam meam (MATTH., XVI,
18), apertamente glielo attribuì allorquando l'assicurò
ch'egli aveva pregato per lui individualmente e
personalmente affinché la sua fede non venisse mai meno e
che in virtù di questa sua preghiera, la fede di lui si
sarebbe mantenuta in ogni tempo così ferma, così pura,
così viva da essere in grado di rassodare, appurare,
vivificare quella di tutto il corpo: Ego rogavi pro
te, Petre, ut non deficiat fides tua; et tu ali quando
conversus confirma fratres tuos (LUC., XXII, 32).
Quello però che fino al presente era stato un sentimento,
non dico comune, ma universale nella Chiesa di Gesù
Cristo, perché da pochi Giansenisti e in tempi recenti fu
messo in dubbio, adulterato, travisato, venne finalmente
professato in chiari termini, dichiarato e promulgato qual
domma cattolico, cui il contraddire è eresia, dal santo
Concilio Ecumenico Vaticano 1° radunato in Roma dal Papa
Pio IX il giorno 8 dicembre 1869. Infatti sul fine del
Capo IV della 1a Costituzione dogmatica - De Ecclesia
Christi - votato nella IV Sessione pubblica tenuta si
il 18 luglio 1870 e numerosa di 535 Padri. Così si legge:
- Traditioni a fidei christianae exordio perceptae
fideliter inhaerendo... docemus et divinitus revelatum
dogma esse definimus: Romanum Pontificem, cum ex Cathedra
loquitur, idest cum omnium Christianorum Pastoris et
Doctoris munere fungens, pro suprema sua Apostolica
auctoritate doctrinam de fide vel moribus ab universa
Ecclesia tenendam definit, per assistentiam divinam, ipsi
in B. Petro promissam, ea infallibilitate pollere, qua
divinus Redemptor Ecclesiam suam in definienda doctrina de
fide vel moribus instructam esse voluit; ideoque eiusmodi
Romani pontificis definittones ex sese, non autem ex
consensu Ecclesiae, irreformabiles esse. Si quis autem
huic Nostrae definitioni contradicere... praesumpserit .anathema
sit.
Dunque il sacro Concilio, attenendosi alla tradizione
venuta a noi fino dai primi secoli della Chiesa, insegna e
definisce essere dogma divinamente rivelato, che il Romano
Pontefice, allorquando dichiara di parlare in qualità di
Pastore e di Dottore di tutti i Cristiani, e in virtù
della suprema sua autorità apostolica definisce qualche
dottrina appartenente alla fede e ai costumi, e la propone
da credersi da tutta la Chiesa, gode in virtù
dell'assistenza divina promessagli nella persona di
Pietro, della medesima infallibilità di cui dotò la sua
Chiesa il Redentore divino; di modo che le sue cosiffatte
definizioni sono irreformabili di per se stesse, senza che
vi sia bisogno del convalidamento d'alcun concilio, o
dell'accettazione della Chiesa.
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