san Pio X
Il fermo proposito
Lettera Enciclica
Il fermo proposito, che
fin dai primordi del Nostro Pontificato abbiamo concepito,
di voler consacrare tutte le forze che la benignità del
Signore si degna concederCi alla restaurazione di ogni
cosa in Cristo, Ci risveglia nel cuore una grande fiducia
nella potente grazia di Dio, senza la quale nulla di
grande e di fecondo per la salute delle anime possiamo
pensare od imprendere quaggiù. Nello stesso tempo però
sentiamo più che mai vivo il bisogno di essere secondati
unanimemente e costantemente nella nobile impresa da voi,
Venerabili Fratelli, chiamati a parte dell’ufficio Nostro
pastorale, da ognuno del Clero e dei singoli fedeli alle
vostre cure commessi. Tutti in vero nella Chiesa di Dio
siamo chiamati a formare quell’unico corpo, il cui capo è
Cristo: corpo strettamente compaginato, come insegna
l’Apostolo Paolo (Eph. IV, 16), e ben commesso in tutte le
sue giunture comunicanti, e questo in virtù
dell’operazione proporzionata di ogni singolo membro, onde
il corpo stesso prende l’aumento suo proprio e di mano in
mano si perfeziona nel vincolo della carità. E se in
quest’opera di "edificazione Corpo di Cristo" (Eph.
IV, 12) è Nostro primo ufficio d’insegnare,
additare il retto modo da seguire e proporne i mezzi, di
ammonire ed esortare paternamente, è altresì dovere di
tutti i Nostri figliuoli dilettissimi, sparsi pel mondo,
di accogliere le parole Nostre, di attuarle dapprima in se
stessi e di concorrere efficacemente ad attuarle eziandio
negli altri, ciascuno secondo la grazia da Dio ricevuta,
secondo il suo stato ed ufficio, secondo lo zelo che ne
infiamma il cuore.
Qui vogliamo soltanto
ricordare quelle molteplici opere di zelo in bene della
Chiesa, della società e degli individui particolari,
comunemente designati col nome di azione cattolica,
che fioriscono per grazia di Dio in ogni luogo e che
abbondano altresì nella nostra Italia. Voi ben intendete,
Venerabili Fratelli, quanto esse Ci debbano tornar care e
quanto intimamente bramiamo di vederle rassodate e
promosse. Non solo a più riprese ne abbiamo trattato a
voce con parecchi almeno di voi, e col principali loro
rappresentanti in Italia nell’occasione che essi Ci
recavano in persona l’omaggio della loro devozione e del
loro affetto filiale, ma altresì pubblicando Noi su questo
argomento o facendo pubblicare con la Nostra Autorità vari
Atti, che tutti già conoscete. Vero è che alcuni di
questi, come richiedevano le circostanze per Noi dolorose,
erano piuttosto diretti a rimuovere gli ostacoli al più
spedito procedere dell’azione cattolica e a condannare
certe tendenze indisciplinate, che con grave danno della
causa comune si andavano insinuando. Però Ci tardava il
cuore di rivolgere a tutti eziandio una parola di paterno
conforto e di eccitamento acciocché sul terreno, per
quanto è da Noi, sgombro dagli impedimenti, si continui ad
edificare il bene e ad accrescerlo largamente. Ci è dunque
ben grato di farlo ora con le presenti Nostre Lettere a
comune consolazione, nella certezza che le parole Nostre
saranno da tutti dolcemente ascoltate e seguite.
Vastissimo è il campo
dell’azione cattolica, la quale per sé medesima non
esclude assolutamente nulla di quanto, in qualsiasi modo,
diretto od indiretto, appartiene alla divina missione
della Chiesa. Di leggieri si riconosce la necessità del
concorso individuale a tant’opera, non solo per la
santificazione delle anime nostre, ma anche per diffondere
e sempre meglio dilatare il Regno di Dio negli individui,
nelle famiglie e nella società, procurando ciascuno,
secondo le proprie forze, il bene del prossimo con la
diffusione della verità rivelata, con l’esercizio delle
virtù cristiane e con le opere di carità o di misericordia
spirituale e corporale. Questo è il camminare degno di
Dio, a che ci esorta San Paolo, così da piacergli in ogni
cosa, producendo frutti di ogni opera buona e crescendo
nella scienza di Dio: "Ut ambuletis digne Deo per omnia
placentes: in omni opere bono fructificantes et crescentes
in scentia Dei" (Coloss. I, 10).
Oltre a questi però v’è
un gran numero di beni appartenenti all’ordine naturale a
cui la missione della Chiesa non è direttamente ordinata,
ma che pure sgorgano dalla medesima, quasi naturale sua
conseguenza. Tanta è la luce della Rivelazione cattolica,
che si diffonde vivissima su ogni scienza; tanta la forza
delle massime evangeliche, che i precetti della legge
naturale si radicano più sicuri ed ingagliardiscono; tanta
infine l’efficacia della verità e della morale insegnate
da Gesù Cristo, che lo stesso benessere materiale degli
individui, della famiglia e della società umana si trova
provvidenzialmente sostenuto e promosso. La Chiesa, pure
predicando Gesù Cristo crocifisso, scandalo e stoltezza
innanzi al mondo (I Cor. I, 23), è divenuta ispiratrice e
fautrice primissima di civiltà; e la diffusione per tutto
dove predicavano i suoi apostoli, conservando e
perfezionando gli elementi buoni delle antiche civiltà
pagane, strappando dalla barbarie ed educando a civile
consorzio i nuovi popoli che al suo seno materno si
rifugiavano, diede all’intera società, bensì a poco a
poco, ma con tratto sicuro e sempre più progressivo,
quell’impronta tanto spiccata, che ancora oggi
universalmente conserva. La civiltà del mondo è civiltà
cristiana; tanto è più vera, più durevole, più feconda di
frutti preziosi, quanto è più nettamente cristiana; tanto
declina, con immenso danno del bene sociale, quanto
all’idea cristiana si sottrae. Onde, per la forza
intrinseca delle cose, la Chiesa divenne anche di fatto
custode e vindice della civiltà cristiana. E tale fatto in
altri secoli della storia fu riconosciuto e ammesso; formò
anzi il fondamento inconcusso delle legislazioni civili.
Su quel fatto poggiarono le relazioni tra la Chiesa e gli
Stati, il pubblico riconoscimento dell’autorità della
Chiesa nelle materie tutte che toccano in qualsivoglia
modo la coscienza, la subordinazione di tutte le leggi
dello Stato alle divine leggi del Vangelo, la concordia
dei due poteri dello Stato e della Chiesa, nel procurare
in tal modo il bene temporale dei popoli, che non ne abbia
a soffrire l’eterno.
Non abbiamo bisogno di
dirvi, o Venerabili Fratelli, quale prosperità e
benessere, quale pace e concordia, quale rispettosa
soggezione all’autorità e quale eccellente governo si
otterrebbero e si manterrebbero nel mondo, se si potesse
attuare ovunque il perfetto ideale della civiltà
cristiana. Ma posta la lotta continua della carne contro
lo spirito, delle tenebre contro la luce, di Satana contro
Dio, tanto non è da sperare, almeno nella sua piena
misura. Onde continui strappi si vanno facendo alle
pacifiche conquiste della Chiesa, tanto più dolorosi e
funesti, quanto più la società umana tende a reggersi con
principi avversi al concetto cristiano, anzi ad apostatare
interamente da Dio.
Non per questo è da
perdere punto il coraggio. La Chiesa sa che le porte
dell’inferno non prevarranno contro di lei; ma sa ancora
che avrà nel mondo premura, che i suoi apostoli sono
inviati come agnelli tra lupi, che i suoi seguaci saranno
sempre coperti d’odio e di disprezzo, come d’odio e di
disprezzo fu saturato il divino suo Fondatore. La Chiesa
va quindi innanzi imperterrita, e mentre diffonde il Regno
di Dio là dove non fu peranco pregiudicato, si studia per
ogni maniera di riparare alle perdite nel Regno già
conquistato. "Restaurare tutto in Cristo" è
stata sempre la divisa della Chiesa, ed è particolarmente
la Nostra nei trepidi momenti che traversiamo. Ristorare
ogni cosa, non in qualsivoglia modo, ma in Cristo: "in
Lui, tutte le cose che sono in Cielo ed in terra",
soggiunse l’Apostolo (Eph. I, 10): ristorare in
Cristo non solo ciò che appartiene propriamente alla
divina missione della Chiesa di condurre le anime a Dio,
ma anche ciò che, come abbiamo spiegato, da quella divina
missione spontaneamente deriva, la civiltà cristiana nel
complesso di tutti e singoli gli elementi che la
costituiscono.
E poiché Ci fermiamo a
quest’ultima sola parte della restaurazione desiderata,
voi vedete, o Venerabili Fratelli, di quanto aiuto tornano
alla Chiesa quelle schiere elette di cattolici che si
propongono appunto di riunire insieme tutte le forze vive,
a fine di combattere con ogni mezzo giusto e legale la
civiltà anticristiana, riparare per ogni modo i disordini
gravissimi che da quella derivano; ricondurre Gesù Cristo
nella famiglia, nella scuola, nella società; ristabilire
il principio dell’autorità umana come rappresentante di
quella di Dio; prendere sommamente a cuore gli interessi
del popolo e particolarmente del ceto operaio ed agricolo,
non solo istillando nel cuore di tutti il principio
religioso, unico vero fonte di consolazione nelle angustie
della vita, ma studiandosi di rasciugarne le lacrime, di
raddolcirne le pene, di migliorare la condizione economica
con ben condotti provvedimenti; adoperarsi quindi perché
le pubbliche leggi siano informate a giustizia, e si
correggano o vadano soppresse quelle che alla giustizia si
oppongono: difendere infine e sostenere con animo
veramente cattolico i diritti di Dio in ogni cosa e quelli
non meno sacri della Chiesa.
Il complesso di tutte
queste opere sostenute e promosse in gran parte dal
laicato cattolico e variamente ideate a seconda dei
bisogni propri di ogni nazione e delle circostanze
particolari in cui versa ogni paese, è appunto quello che
con termine più particolare e certo nobile assai suoi
essere chiamato azione cattolica, ovvero
azione dei cattolici. Essa in tutti i tempi venne
sempre in aiuto della Chiesa, e la Chiesa tale aiuto ha
sempre accolto favorevolmente e benedetto, sebbene a
seconda dei tempi si sia variamente esplicato.
Ed è infatti da notare
qui subito, che non tutto ciò che potrà essere stato
utile, anzi unicamente efficace nei secoli andati, torna
oggi possibile restituire allo stesso modo: tanti sono i
cangiamenti radicali che col correre dei tempi s’insinuano
nella società o nella vita pubblica, e tanti i nuovi
bisogni che le circostanze cambiate vanno di continuo
suscitando. Ma la Chiesa nel lungo corso della sua storia
ha sempre ed in ogni caso dimostrato luminosamente di
possedere una meravigliosa virtù di adattamento alle
variabili condizioni del consorzio civile, talché, salva
sempre l’integrità e l’immutabilità della fede e della
morale, e salvi egualmente i sacrosanti suoi diritti,
facilmente si piega e si accomoda in tutto ciò che è
contingente ed accidentale alle vicende dei tempi ed alle
nuove esigenze della società. La pietà, dice San Paolo, a
tutto si acconcia possedendo le promesse divine, così per
i beni della vita presente, come per quelli della vita
futura.
"Pietas
autem ad omnia utilis est, promissionem habens vitæ, quæ
nunc est, et futuræ" (I Tim.
IV, 8). E però anche
l’azione cattolica, se opportunamente cambia nelle sue
forme esterne e nei mezzi che adopera, rimane sempre la
stessa nei principi che la dirigono e nel fine nobilissimo
che si propone. Perché poi nello stesso tempo torni
veramente efficace, converrà diligentemente avvertire le
condizioni che essa medesima impone, se ben si considerino
la sua natura ed il suo fine.
Anzitutto dov’essere
altamente radicato nel cuore che lo strumento vien meno,
se non è acconcio all’opera che si vuol eseguire. L’azione
cattolica (come si ritrae ad evidenza dalle cose
anzidette) poiché si propone di ristorare ogni cosa in
Cristo, costituisce un vero apostolato ad onore e gloria
di Cristo stesso. Per bene compierlo ci vuole la grazia
divina, e questa non si dà all’apostolo che non sia unito
a Cristo. Solo quando avremo formato Gesù Cristo in noi,
potremo più facilmente ridonarlo alle famiglie, alla
società. E però quanti sono chiamati a dirigere o si
dedicano a promuovere il movimento cattolico devono essere
cattolici a tutta prova, convinti della loro fede,
sodamente istruiti nelle cose della Religione,
sinceramente ossequienti alla Chiesa ed in particolare a
questa suprema Cattedra Apostolica ed al Vicario di Gesù
Cristo in terra; di pietà vera, di maschie virtù, di puri
costumi e di vita così intemerata che tornino a tutti di
esempio efficace. Se l’animo non è così temprato, non solo
sarà difficile promuovere negli altri il bene, ma sarà
quasi impossibile procedere con rettitudine d’intenzione e
mancheranno le forze per sostenere con perseveranza le
noie che reca seco ogni apostolato, le calunnie degli
avversari, le freddezze e la poca corrispondenza degli
uomini anche dabbene, talvolta perfino le gelosie degli
amici e degli stessi compagni di azione, scusabili senza
dubbio, posta la debolezza dell’umana natura, ma pure
grandemente pregiudizievoli e causa di discordie, di
attriti, di domestiche guerricciuole. Solo una virtù
paziente e ferma nel bene, e nello stesso tempo soave e
delicata, è capace di rimuovere o diminuire questa
difficoltà, così che l’opera a cui sono dedicate le forze
cattoliche non ne vada compromessa. Tale è la volontà di
Dio, diceva San Pietro ai primitivi fedeli, che col ben
fare chiudiate la bocca agli uomini stolti. "Sic est
voluntas Dei, ut bene facientes obmutescere faciatis
imprudentium hominum ignorantiam" (I Petr. II, 15).
Importa inoltre ben
definire le opere intorno alle quali si devono spendere
con ogni energia e costanza le forze cattoliche. Quelle
opere devono essere di così evidente importanza, così
rispondenti ai bisogni della società odierna, così acconce
agli interessi morali e materiali, soprattutto del popolo
e delle classi diseredate, che mentre infondono ogni
migliore alacrità dei promotori dell’azione cattolica pel
grande e sicuro frutto che da sé medesime promettono,
siano insieme da tutti e facilmente comprese ed accolte
volonterosamente. Appunto perché i gravi problemi della
vita odierna sociale esigono una soluzione pronta e
sicura, si desta in tutti il più vivo interesse di sapere
e conoscere i vari modi onde quelle soluzioni si
propongono in pratica. Le discussioni in un senso o
nell’altro si moltiplicano ogni dì più e si propagano
facilmente per mezzo della stampa. È quindi supremamente
necessario che l’azione cattolica colga il momento
opportuno, si faccia innanzi coraggiosa e proponga
anch’essa la soluzione sua e la faccia valere con
propaganda ferma, attiva, intelligente, disciplinata, tale
che direttamente si opponga alla propaganda avversaria. La
bontà e giustizia dei principi cristiani, la retta morale
che professano i cattolici, il pieno disinteresse delle
cose proprie non altro apertamente e sinceramente bramando
che il vero, il solo, il supremo bene altrui, infine
l’evidente loro capacità di promuovere meglio degli altri
anche i veri interessi economici del popolo, è impossibile
non facciano breccia sulla mente e sul cuore di quanti
ascoltano e non ne aumentino le file, fino a renderli un
corpo forte e compatto, capace di resistere gagliardamente
alla contraria corrente e di tenere in rispetto gli
avversari.
Tale supremo bisogno
avvertì pienamente il Nostro Antecessore di b. m. Leone
XIII, additando soprattutto nella memoranda Enciclica "Rerum
Novarum" ed in altri documenti posteriori,
l’oggetto intorno al quale precipuamente doveva svolgersi
l’azione cattolica, cioè "la pratica soluzione a
seconda dei principi cristiani della questione sociale".
Noi pure, seguendo così sapienti norme, col Nostro
Motu proprio del 18 Dicembre 1903 abbiamo dato
all’azione popolare cristiana, che in sé comprende tutto
il movimento cattolico sociale, un ordinamento
fondamentale che fosse quasi la regola pratica del lavoro
comune ed il vincolo della concordia e della carità. Qui
dunque ed a questo scopo santissimo e necessarissimo
devono anzitutto aggrupparsi e solidarsi le opere
cattoliche, varie e molteplici nella forma, ma tutte
egualmente intese a promuovere con efficacia il medesimo
bene sociale.
Ma perché quest’azione
sociale si mantenga e prosperi con la necessaria coesione
delle varie opere che la compongono è soprammodo
importante che i cattolici procedano con esemplare
concordia tra loro; la quale per altro non si otterrà mai,
se non vi ha in tutti unità di intendimenti. Su tale
necessità non può cadere dubbio di sorta alcuna; tanto
chiari ed aperti sono gli insegnamenti dati da questa
Cattedra Apostolica, tanta la viva luce che vi hanno
sparso intorno coi loro scritti i più insigni tra’
cattolici d’ogni paese, tanto lodevole esempio che più
volte, anche da Noi medesimi, si è proposto ai cattolici
di altre nazioni, i quali appunto per questa concordia ed
unità di intendimenti, in breve tempo hanno ottenuto
frutti fecondi e assai consolanti.
Ad assicurarne poi il
conseguimento, tra le varie opere degne egualmente di
lode, si è dimostrata altrove singolarmente efficace
un’istituzione di carattere generale, che col nome di
Unione popolare è destinata ad accogliere i cattolici
di tutte le classi sociali, ma specialmente le grandi
moltitudini del popolo intorno ad un solo centro comune di
dottrina, di propaganda e di organizzazione sociale. Essa
infatti, poiché risponde ad un bisogno egualmente sentito
quasi in ogni paese, e poiché la sua semplice costituzione
risulta dalla natura stessa delle cose quali egualmente
per tutto s’incontrano, non può dirsi che sia propria più
di una nazione che di un’altra, ma di tutte, dove si
manifestano gli stessi bisogni e sorgono i medesimi
pericoli. La sua grande popolarità la rende facilmente
cara ed accettevole e non disturba né impedisce alcun’altra
istituzione ma piuttosto a tutte le istituzioni dà forza e
compattezza poiché con la sua organizzazione strettamente
personale sprona gli individui a entrare nelle istituzioni
particolari, li addestra al lavoro pratico e veramente
proficuo, ed unisce gli animi di tutti in un unico sentire
e volere.
Stabilito così codesto
centro sociale, tutte le altre istituzioni d’indole
economica, destinate a risolvere praticamente e sotto i
vari suoi aspetti il problema sociale, si trovano come
spontaneamente raggruppate insieme nel fine generale che
le unisce, mentre pure, a seconda dei vari bisogni a cui
si applicano, prendono forme diverse e diversi mezzi
adoperano, come richiede lo scopo particolare proprio di
ciascuna. E qui Ci torna ben caro di esprimere la Nostra
soddisfazione pel molto che in questa parte si è già fatto
in Italia, con certa speranza che, posto l’aiuto divino,
si faccia ancora assai più nell’avvenire, rassodando il
bene ottenuto e dilatandolo con zelo sempre più crescente.
Nel che si rese grandemente benemerita l’Opera dei
Congressi e Comitati Cattolici, grazie all’attività
intelligente degli uomini esimi che la dirigevano, e che a
quelle particolari istituzioni furono preposti o le
dirigono tuttora. E però tale centro od unione di opere
d’indole economica, come fu da Noi espressamente
conservata al cessare dell’anzidetta Opera dei
Congressi, così dovrà continuare anche in seguito
sotto la solerte direzione di coloro che le sono preposti.
Contuttociò, perché
l’azione cattolica sia efficace sotto ogni rispetto, non
basta che essa sia proporzionata ai bisogni sociali
odierni; conviene ancora che si faccia valere con tutti
quei mezzi pratici, che le mettono oggi in mano il
progresso degli studi sociali ed economici, l’esperienza
già fatta altrove, le condizioni del civile consorzio, la
stessa vita pubblica degli Stati. Altrimenti si corre
rischio di andare tentoni lungo tempo in cerca di cose
nuove e mal sicure, mentre le buone e certe si hanno in
mano ed hanno fatto già ottima prova; ovvero di proporre
istituzioni e metodi propri forse di altri tempi, ma oggi
non intesi dal popolo, ovvero infine di arrestarsi a mezza
via non servendosi, nella misura pur concessa, di quei
diritti cittadini che le odierne costituzioni civili
offrono a tutti e quindi anche ai cattolici. E per
fermarsi a quest’ultimo punto, certo è che l’odierno
ordinamento degli Stati offre indistintamente a tutti la
facoltà di influire sulla pubblica cosa, ed i cattolici,
salvo gli obblighi imposti dalla legge di Dio e dalle
prescrizioni della Chiesa, possono con sicura coscienza
giovarsene, per mostrarsi idonei al pari, anzi meglio
degli altri, di cooperare al benessere materiale civile
del popolo ed acquistarsi così quell’autorità e quel
rispetto che rendano loro possibile eziandio di difendere
e promuovere i beni più alti, che sono quelli dell’anima.
Quei diritti civili
sono parecchi e di vario genere, fino a quello di
partecipare direttamente alla vita politica del paese
rappresentando il popolo nelle aule legislative. Ragioni
gravissime Ci dissuadono, Venerabili Fratelli, dallo
scostarsi da quella norma già decretata dal Nostro
Antecessore di s. m. Pio IX e seguita poi dall’altro
Nostro Antecessore di s. m. Leone XIII durante il diuturno
suo Pontificato, secondo la quale rimane in genere vietata
in Italia la partecipazione dei cattolici al potere
legislativo. Sennonché altre ragioni parimenti gravissime,
tratte dal supremo bene della società, che ad ogni costo
deve salvarsi, possono richiedere che nei casi particolari
si dispensi dalla legge, specialmente quando voi,
Venerabili Fratelli, ne riconosciate la stretta necessità
pel bene delle anime e dei supremi interessi delle vostre
Chiese e ne facciate dimanda.
Ora la possibilità di
questa benigna concessione Nostra induce il dovere nei
cattolici tutti di prepararsi prudentemente e seriamente
alla vita politica, quando vi fossero chiamati. Onde
importa assai, che quella stessa attività, già
lodevolmente spiegata dai cattolici per prepararsi con una
buona organizzazione elettorale alla vita amministrativa
dei Comuni e dei Consigli provinciali, si estenda altresì
a prepararsi convenientemente e ad organizzarsi per la
vita politica, come fu opportunamente raccomandato con la
circolare del 3 dicembre 1904 alla Presidenza
generale delle Opere economiche in Italia. Nello stesso
tempo dovranno inculcarsi e seguirsi in pratica gli altri
principi che regolano la coscienza di ogni vero cattolico.
Deve egli ricordarsi sopra ogni cosa di essere in ogni
circostanza e di apparire veramente cattolico, accedendo
agli offici pubblici ed esercitandoli col fermo e costante
proposito di promuovere a tutto potere il bene sociale ed
economico della Patria e particolarmente del popolo,
secondo le massime della civiltà spiccatamente cristiana e
di difendere insieme gli interessi della Chiesa, che sono
quelli della Religione e della giustizia.
Tali sono, Venerabili
Fratelli, i caratteri, l’oggetto e le condizioni
dell’azione cattolica, considerata nella parte sua più
importante, che è la soluzione della questione sociale,
degna quindi che vi si applichino con la massima energia e
costanza tutte le forze cattoliche. Il che però non
esclude che si favoriscano e si promuovano anche altre
opere di vario genere, di diversa organizzazione, ma tutte
egualmente destinate a questo o quel bene particolare
della società e del popolo ed a rifiorimento della civiltà
cristiana sotto vari determinati aspetti. Sorgono esse per
lo più grazie allo zelo di particolari persone e si
diffondono nelle singole diocesi e talvolta si aggruppano
in federazioni più estese. Ora, sempreché sia lodevole il
fine che si propongono, siano fermi i principi cristiani
che seguono e giusti i mezzi che adoperano, sono anch’esse
da lodare e incoraggiare per ogni modo. E si dovrà
lasciare loro una certa libertà di organizzazione, non
essendo possibile, che dove più persone convengono
insieme, si modellino tutte in medesimo stampo e si
accentrino sotto un’unica direzione. L’organizzazione poi
deve sorgere spontanea dalle opere stesse, altrimenti si
avranno edifici bene architettati, ma privi di fondamento
reale e perciò al tutto effimeri. Conviene pure tener
conto dell’indole delle singole popolazioni. Altri usi,
altre tendenze si manifestano in luoghi diversi. Quel che
importa è che si lavori su buon fondamento, con sodezza di
principi, con fervore e costanza, e se questo si ottiene,
il modo e la forma che prendono le varie opere, sono e
rimangono accidentali.
Per rinnovare ed infine
accrescere in tutte indistintamente le opere cattoliche
l’alacrità necessaria, e per offrire occasione ai
promotori e ai membri delle medesime di vedersi e
conoscersi scambievolmente, di stringere sempre meglio i
vincoli della carità fraterna fra loro, d’animarsi l’un
l’altro con zelo sempre più ardente all’azione efficace e
di provvedere alla migliore solidità e diffusione delle
opere stesse, gioverà mirabilmente il celebrare di tempo
in tempo, secondo le norme già date da questa Santa Sede,
i Congressi generali e parziali dei cattolici italiani,
che devono essere la solenne manifestazione della fede
cattolica e la festa comune della concordia e della pace.
Ci resta a toccare,
Venerabili Fratelli, di un altro punto di somma
importanza, ed è la relazione che tutte le opere
dell’azione cattolica devono avere rispetto all’Autorità
ecclesiastica. Se bene si considerano le dottrine che
siamo andati svolgendo nella prima parte di queste Nostre
Lettere, si conchiuderà di leggieri, che tutte quelle
opere che direttamente vengono in sussidio del ministero
spirituale pastorale della Chiesa e che si propongono un
fine religioso in bene diretto delle anime, devono in ogni
menoma cosa essere subordinate all’autorità dei Vescovi,
posti dallo Spirito Santo a reggere la Chiesa di Dio nelle
diocesi loro assegnate. Ma anche le altre opere, che, come
abbiamo detto, sono precipuamente istituite a ristorare e
promuovere in Cristo la vera civiltà cristiana e che
costituiscono nel senso spiegato l’azione cattolica, non
si possono per niun modo concepire indipendenti dal
consiglio e dall’alta direzione dell’Autorità
ecclesiastica, specialmente poi in quanto devono tutte
informarsi ai principi della dottrina e della morale
cristiana; molto meno è possibile concepirle in
opposizione più o meno aperta con la medesima Autorità.
Certo è che tali opere, posta la natura loro, si debbono
muovere con la conveniente ragionevole libertà, ricadendo
sopra di loro la responsabilità dell’azione, soprattutto
poi negli affari temporali ed economici ed in quelli della
vita pubblica amministrativa o politica, alieni dal
ministero puramente spirituale. Ma poiché i cattolici
alzano sempre la bandiera di Cristo, per ciò stesso alzano
la bandiera della Chiesa, ed è quindi conveniente che la
ricevano dalle mani della Chiesa, che la Chiesa ne vigili
l’onore immacolato e che a questa materna vigilanza i
cattolici si sottomettano, docili ed amorevoli figliuoli.
Per la qual cosa appare
manifesto quanto fossero sconsigliati coloro, pochi
invero, che qui in Italia e sotto i Nostri occhi vollero
accingersi a una missione che non ebbero da Noi, né da
alcun altro dei Nostri Fratelli nell’episcopato, e si
fecero a promuoverla, non solo senza il debito ossequio
all’Autorità, ma perfino apertamente contro il volere di
lei, cercando di legittimare la loro disobbedienza con
frivole distinzioni. Dicevano anch’essi di alzare in nome
di Cristo un vessillo; ma tal vessillo non poteva essere
di Cristo, perché non recava tra le sue pieghe la dottrina
del divin Redentore, che anche qui ha la sua applicazione:
"Chi ascolta voi, ascolta me; e chi disprezza voi,
disprezza me" (Luc. X, 16); "Chi non è meco
è contro di me; e chi meco non raccoglie, disperde" (Ib.
XI, 23), dottrina dunque di umiltà, di sommissione,
di filiale rispetto. Con estremo rammarico del Nostro
cuore abbiamo dovuto condannare una simile tendenza ed
arrestare autorevolmente il moto pernicioso che già si
andava formando. E tanto maggiore era il dolor Nostro,
perché vedevamo incautamente trascinati per così falsa via
buon numero di giovani a Noi carissimi, molti dei quali di
eletto ingegno, di fervido zelo, capaci di operare
efficacemente il bene, ove siano rettamente guidati.
Mentre però additiamo a
tutti la retta norma dell’azione cattolica, non possiamo
dissimulare, Venerabili Fratelli, il pericolo non lieve al
quale, per la condizione dei tempi, si trova oggi esposto
il Clero; ed è di dare soverchia importanza agli interessi
materiali del popolo, trascurando quelli ben più gravi del
sacro suo ministero.
Il sacerdote, elevato
sopra gli altri uomini per compiere la missione che tiene
da Dio, deve mantenersi egualmente al disopra di tutti gli
umani interessi, di tutti i conflitti, di tutte le classi
della società. Il suo proprio campo è la Chiesa, dove
ambasciatore di Dio predica la verità ed inculca col
rispetto dei diritti di Dio il rispetto ai diritti di
tutte le creature. Così operando, egli non va soggetto ad
alcuna opposizione, non apparisce un uomo di parte,
fautore degli uni, avversario degli altri, né per evitare
l’urto di certe tendenze o per non irritare in molti
argomenti gli animi inaspriti si mette nel pericolo di
dissimulare la verità o di tacerla, mancando nell’uno o
nell’altro caso ai suoi doveri; senza dire che dovendo
trattare ben spesso di cose materiali, potrebbe trovarsi
solidale in obbligazioni dannose alla sua persona, e alla
dignità del suo ministero. Non dovrà dunque prender parte
ad associazioni di questo genere, se non dopo matura
considerazione, d’accordo col suo Vescovo, ed in quei casi
soltanto, ne’ quali l’aiuto suo è immune da ogni pericolo
e torna di evidente profitto.
Né in tal maniera si
raffrena punto il suo zelo. Il vero apostolo deve "farsi
tutto a tutti, per tutti salvare" (I Cor. IX, 22);
come già il divin Redentore, deve sentirsi muovere a
pietà le viscere, "mirando le turbe così vessate,
giacenti quasi pecore senza pastore" (Matth. IX, 36).
Con la propaganda efficace degli scritti, con
l’esortazione viva della parola, col concorso diretto nei
casi anzidetti s’adoperi adunque a fine di migliorare
eziandio, entro i limiti della giustizia e della carità,
la condizione economica del popolo, favorendo e promovendo
quelle istituzioni che a ciò conducono, quelle soprattutto
che si propongono di ben disciplinare le moltitudini
contro l’invadente predominio del socialismo e che ad un
tempo le salvano e dalla rovina economica e dallo sfacelo
morale e religioso. In questo modo l’assistenza del clero
alle opere dell’azione cattolica mira ad un fine altamente
religioso, né tornerà mai d’impedimento, sarà anzi di
aiuto al suo ministero spirituale, allargandone il campo e
moltiplicandone il frutto.
Ecco, o Venerabili
Fratelli, quanto Ci premeva esporre ed inculcare intorno
all’azione cattolica da sostenere e promuovere nella
nostra Italia. —Additare il bene non basta; è necessario
eseguirlo in pratica. Nel che tornerà di grandissimo aiuto
l’esortazione vostra altresì ed il paterno vostro
immediato eccitamento al ben fare. Siano pure umili i
principi, purché veramente si cominci, la grazia divina li
farà crescere in breve tempo e prosperare. E tutti i
Nostri diletti figliuoli, che si dedicano all’azione
cattolica, ascoltino di nuovo la parola che Ci sgorga
tanto spontanea dal cuore. Nelle amarezze onde siamo
tuttodì circondati, se vi ha alcuna consolazione in
Cristo, se alcun conforto Ci vien dalla carità vostra, se
vi ha comunione di spirito e viscere di compassione,
diremo Noi pure con l’Apostolo Paolo (Phil. II, 1-5),
rendete compiuto il Nostro gaudio con la concordia, con
l’identica carità, col sentimento unanime, con l’umiltà e
debita soggezione, cercando non il proprio comodo, ma il
bene comune, e trasfondendo nei vostri cuori quei medesimi
sentimenti, che in sé nutriva Gesù Cristo, Salvatore
nostro. Sia Egli il principio di ogni vostra impresa: "Quanto
voi dite o fate, sia tutto nel nome del Signore Gesù
Cristo" (Coloss. III, 17); sia Egli il termine d’ogni
vostra operazione: "Conciossiaché da Lui, e per Lui, ed
a Lui sono tutte le cose; a Lui gloria nei secoli"
(Rom. XI, 36). Ed in questo giorno faustissimo, che
ricorda gli Apostoli, quando, ripieni di Spirito Santo,
uscirono dal Cenacolo a predicare al mondo il Regno di
Cristo, discenda eziandio su tutti voi la virtù del
medesimo Spirito e pieghi ogni durezza, ritempri gli animi
freddi, e quanto è sviato rimetta sul retto sentiero: "Flecte
quod est rigidum, fove quod est frigidum, rege quod est
devium".
Auspice intanto del
divino favore e pegno del Nostro specialissimo affetto sia
l’Apostolica Benedizione, che dall’intimo del cuore
impartiamo a voi, Venerabili Fratelli, al vostro Clero e
al popolo italiano.
Dato a Roma, presso San
Pietro, nella Festa della Pentecoste, 11 Giugno 1905, del
Nostro Pontificato anno II.
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