Diocesi Piacenza-Bobbio -
Ufficio Documentazione - Cattedrale - Quaresimale
“…Padre liberaci dal male”
Giovedì, 7 aprile 2011
Documento
elaborato da Ciani Vittorio
x l’Ufficio Documentazione Diocesi Piacenza-Bobbio.
Lettura brano
evangelico: Matteo 6, 7-15
Attenzione, la
punteggiatura segnata corrisponde ai momenti di pausa del
Relatore.
Enzo Bianchi
Premessa
introduttiva
Carissimo padre e vescovo, carissimi fratelli e sorelle,
siamo tutti impegnati nel cammino quaresimale, il cammino
di conversione, di ritorno al Signore. E per questo, in
questa assemblea di credenti cerchiamo di ascoltare il
Signore in modo più intenso e più attento.
Ascoltare il Signore, e dunque ascoltare la sua Parola
contenuta nelle sante Scritture è non solo ciò che ci
compete ma ciò che è decisivo nella nostra vita.
Dall’ascolto della parola di Dio, infatti, dipende la
qualità della nostra fede, la qualità della nostra
conoscenza del Signore Gesù Cristo. Dipende la nostra
capacità di amore per il Signore, e quindi anche la nostra
capacità di amore verso gli uomini, in mezzo ai quali noi
viviamo.
Questo ascolto della parola del Signore si concretizza
questa sera in un cercare di comprendere maggiormente la
preghiera che Gesù stesso ci ha consegnato, il “Padre
nostro”. E comprendere maggiormente una domanda di questa
preghiera, la settima e ultima del ‘Padre nostro’ secondo
Matteo che abbiamo ascoltato: “liberaci dal male”.
Quando il vostro Vescovo, che nella sua amicizia nei miei
confronti, mi ha invitato, io ho gioito di questo invito
per tornare di nuovo in mezzo a voi. Ma mi sono anche
ricordato di aver già meditato qui a Piacenza su questa
domanda contenuta nel ‘Padre nostro’. Ma ho pensato di
acconsentire ugualmente tornando però sul tema rinnovando
la mia meditazione e ricerca in modo da non ripetere
quello che già avevo detto in quell’occasione del 2008
.
Vi
propongo dunque stasera un nuovo itinerario che
comprenderà la meditazione di tre anni fa. D'altronde il
tema, anche se racchiuso in tre parole, “liberaci dal
male”, è un tema inesauribile.
Perché proprio in questa domanda del “Padre nostro” è
contenuto il dramma di tutta l’umanità e dell’umanità di
tutti i tempi e di tutte le culture. Ma vi è anche
contenuta la volontà di Dio, che è liberazione del mondo,
liberazione dal male.
E
per facilitare il vostro ascolto vi traccio l’itinerario:
1.
Vorrei riflettere sul modo
innanzitutto sull’esperienza del male.
2. Quindi sul grido: il grido che
sale dalla sofferenza, il grido che è una preghiera: “Liberaci
dal male”!
3.
Infine, sulla risposta di Dio
alla nostra preghiera: la vittoria sul male.
1.
L’esperienza del male.
L’esperienza del male, innanzitutto. Al male! alla
presenza del male, non è possibile non credere. Perché del
male ogni uomo, ogni donna, fa l’esperienza. È verissimo
che noi lottiamo contro il male. È anche vero che noi
vorremmo rimuoverlo, e che forse la cultura dominante oggi
riesce in parte a rimuovere il male, tenta di non tenerlo
presente all’orizzonte della vita, tende a negarlo, cerca
di coprirsi gli occhi. Ma il male prima o poi ci appare, e
ci appare con tutta la sua forza, che è sempre una forza
mortifera, sempre una forza che è una presenza della
morte.
Il
sogno dell’uomo non è soltanto quello di non conoscere il
male, ma il sogno dell’uomo è anche quello di non vedere
il male, di non considerarlo. Perché il male è sempre
sofferenza, dolore, morte.
Noi non vorremmo fare la domanda, che però siamo obbligati
a farla, quando prima o poi la sofferenza, il male, ci
coglie. Perché? Perché? Che senso ha? Come è possibile di
questa rimozione del male? Rimozione molto umana. Tutte le
culture ne danno testimonianza.
Mi
permetto solo di ricordarvi molto istruttiva per noi: la
storia del Buddha. Okkava Buddha. Sta scritto nella storia
di questo grande paziente che suo padre, che era un
principe, quando nacque il figlio si preoccupò che potesse
crescere veramente felice. Fece costruire una cinta al
palazzo in modo che Okkava potesse vedere soltanto la
bellezza, conoscere soltanto la gioia, godere in quel
giardino e in quel palazzo. E Okkava, ci dice la storia di
Buddha, fece la sua crescita in quel recinto felice. Ma un
giorno sentì che quel luogo era una prigione, e che anche
in quel luogo in cui non si presentava il dolore, lui
soffriva. E allora uscì fuori da quel giardino, da quel
palazzo. E incontrò subito dopo un malato lebbroso. Poi
incontrò un vecchio decrepito. Poi incontrò un morto, un
cadavere. E così vide il dolore, vide la realtà, conobbe
davvero l’umanità.
La
storia di Buddha prosegue dicendo che subito dopo incontrò
un monaco, un monaco indù. Ed ecco allora nacque la
domanda, una domanda che nasceva dalla adesione alla
realtà umana, non dalla falsa situazione di un recinto
felice.
Ecco, la nostra società, sembra avere il pensiero del
padre di Buddha: impedire di vedere il male! Non chiamare
neanche più male ciò che è male.
E
così noi tutti siamo indotti a rimuovere il male in mille
maniere.
Pensateci bene, ormai siamo sempre più lontani dai morti,
il più possibile. Vogliamo stare lontano da quelli che
soffrano. Aiutiamo, certo, perché siamo buoni; aiutiamo
anche gli altri, ma abbiamo la tendenza ad aiutarli sempre
più da lontano, senza avvicinarci troppo alla loro
sofferenza. Addirittura noi oggi siamo tentati di vivere
la ‘carità’ mandando magari un’offerta attraverso il
‘telefonino’ pur di non incontrare chi soffre.
Si
dice che “è morto dio nella nostra società”; è vero! Ma è
morto soprattutto il prossimo, e tra il prossimo appaiono
perciò i lontani, quelli che del prossimo sono bisognosi.
Li teniamo lontani il più possibile. E anche quando
vogliamo aiutare gli altri, siamo tentati di aiutarli con
la carità presbite, che funziona solo con chi è lontano. E
tiene lontano da noi soprattutto la realtà della
sofferenza del male.
Non è forse così?
Ma
voi sapete che resta la realtà. E per chi aderisce alla
realtà, per chi aderisce al presente e al quotidiano,
prima o poi noi incontriamo il male operante nella nostra
vita. Ci vuol poco per riconoscerlo. La malattia che ci
coglie nella mente, e che è sempre più presente nella
nostra società. La malattia che ci coglie nel corpo, la
malattia che ci porta alla morte.
Ma
conosciamo anche la sofferenza causata dagli altri, quando
ci abbandonano, quando smentiscono il loro amore, quando
ci calunniano; quando magari arrivano alla violenza nei
nostri confronti.
Ma
conosciamo anche il male attraverso la sofferenza causata
dalla natura stessa, la natura che porta la morte, la
fame. Come non possiamo pensare in questi giorni al male
portato dalla natura attraverso il terremoto in Giappone,
con una devastazione di morte che certo ci impressiona.
Questo è il male che noi, ciascuno di noi, soffriamo.
Ma
non basta questa ricognizione, perché c’è una dimensione
del male che non può essere tralasciata: il male di cui
noi siamo protagonisti, il male che noi facciamo con
azioni, con parole, con monizioni. Quel male che la nostra
tradizione cristiana chiama peccato. Una parola che noi
cerchiamo di evitare il più possibile, perché non vogliamo
riconoscere il male di cui noi siamo responsabili.
Ma
c’è un male, di cui siamo responsabili, che non è mai
soltanto rivolta contro la volontà di Dio, ma che
conosciamo come contraddizione all’amore, contraddizione
alla comunione, caduta e sempre disumana e disumanizzante.
Ecco, questo è il male di cui facciamo esperienza nella
nostra vita, per cui soffriamo. E così fatichiamo a
vivere. A volte addirittura fatichiamo a causa del male a
trovare senso alla nostra vita.
E
qui va detto, solo l’uomo ha coscienza del male in tutte
le sue dimensioni. Solo l’uomo può dire dove c’è il male e
dove c’è il bene. Quell’uomo, che il Salmo 8°, alla
domanda: “Che cosa è l’uomo, Signore?” – Risponde: “È poco
meno di un Dio”; è la grandezza dell’uomo: poco meno di
Dio. Ma è anche l’uomo che nel Salmo 44°, sempre alla
domanda: “Che cosa è l’uomo, Signore?” – Risponde: “È un
mortale”; è una creatura che va verso la morte, la cui
vita è come il fiore, è come l’erba, è come l’ombra che
declina. Secondo la Bibbia: l’uomo sta proprio in questa
sua dignità, “poco meno di un Dio”; e in questa sua
fragilità, è una creatura votata che va verso la morte.
L’uomo, proprio perché ‘poco meno di Dio’, ha una
consapevolezza, ha una coscienza del male come nessun
altra creatura del mondo. Gli animali soffrono anche loro,
ma non hanno consapevolezza di che cosa sia il male; ma
gli uomini sì. E gli uomini sanno che il male può venire
dalla natura, dalla vita, ma può venire anche dagli altri,
può venire dalla storia, e che il male può venire da noi
stessi, perché ciascuno di noi può essere soggetto di
male. Siamo peccatori, cioè gente che sa che sono sedotti
dal male. Non dimenticate mai quella espressione di Paolo,
di cui dovremmo avere coscienza quotidiana noi: “Non c’è
bene che voglio fare che ho fatto; ma il male che detesto,
il male che non voglio fare, in realtà poi io lo faccio” (cf
Rm 7, 15 – N.d.R.).
È
indubbio che nella fede ebraica, e quindi nella fede
cristiana, anche se non si arriva a dare una risposta alla
domanda “Un de mago?” – “Da dove viene il male?”, si
afferma però anche un’altra qualità del male, che noi oggi
proprio dimentichiamo, tralasciamo, anche nello spazio
cristiano. Cioè, sia l’Antico che il Nuovo Testamento
affermano che il male è anche un’azione di una potenza, di
una forza, che viene chiamato ‘demonio’, che il male è
anche l’azione di qualcuno che viene chiamato
‘avversario’, ‘satanico’, ‘satana’; che il male è anche
qualcosa che è causato da un ‘divisore’ – ‘di-a-volo’
(divisore – diavolo). Ci viene anche detto che il male
regna perché c’è “un principe di questo mondo”,
dice il quarto Vangelo (Gv 16, 11); e questo principe di
questo mondo vuole il male. Paolo addirittura chiama
questa presenza il “dio di questo mondo” (cf Ef 6,12).
Gesù lo ha chiamato qualche volta il “nemico per
eccellenza”, il nemico di Dio, il nemico della Sua opera,
il nemico del bene, il nemico anche della Creazione come
opera che Dio ha vinto bella e buona. È un nemico
dell’uomo. Ed è talmente capace di male che viene anche
chiamato “maligno”.
È
così che la domanda del “Padre nostro”, “Liberaci dal
male”, può essere tradotta in due maniere; e noi non
possiamo preferire una maniera all’altra.
Possiamo tradurre dal greco, che è la lingua in cui è
scritto il vangelo di Matteo, con “liberaci dal male”,
cioè liberaci da tutte le espressioni del male.
Ma
possiamo anche tradurre “liberaci dal maligno”. Perché
l’espressione greca, poneroù, non ci dice se qui
c’è solo l’espressione del male, o “mistificatore” ‑ il
responsabile supremo del male. Tanto è vero che
all’interno della traduzione della Bibbia, che è stata
assunta dalla Conferenza Episcopale italiana, proprio
nell’indecisione di tradurre il “Padre nostro” – “liberaci
dal male” o “liberaci dal maligno” ‑ , ma scegliendo una
espressione o l’altra si sarebbe operato una scelta che
tralasciava una comprensione, giustamente i vescovi hanno
preferito “liberaci dal Male”, ma mettendo la ”M”
maiuscola. Per cui con la “M” maiuscola al “Male” si
lascia la possibilità di chiedere a Dio: “liberaci dalle
espressioni del male”. Ma il male con “M” maiuscola ci
rinvia al maligno, al maligno quello che Gesù chiama il
“principe di questo mondo”, il nemico, il diavolo, il
divisore, satana.
Notate che tutti questi nomi sono stati dati da Gesù al
male operante e che Gesù incontrava in mille situazioni.
Di fatto il male appare con una forza che noi subiamo, che
poche volte noi riusciamo a vincere, a contenere. Una
forza che appare come seduzione alla quale è difficile
resistere
Davvero credo che il termine migliore per definire il male
è ancora quello di “demonio”, dove questa espressione
greca demòn
indica una dominanza, qualcosa che si impone. Appunto,
come diceva Paolo, “non il bene che voglio fare faccio, ma
proprio il male che non voglio fare alla fine io faccio”.
E qui credo che ciascuno di voi, come me, constata che
questo è la nostra situazione.
E
così nel “Padre nostro” noi diciamo, denunciamo, il male e
il “maligno” come realtà che conosciamo. In questo senso,
permettetemi di dire: è molto sciocco dire se si crede al
demonio sì o no. Perché del demonio, di questa sua forza,
noi facciamo l’esperienza. Non è proprio il caso di
crederci. E questa esperienza la facciamo in modo banale,
quotidiano, semplice, sovente senza essere all’altezza del
discernimento di chi è all’opera, di chi tenta e ci
seduce.
Non a caso noi siamo riusciti nel secolo che sta’ alle
spalle a parlare della ‘ banalità del male ’.
Attenzione! Nessuna fantasia sul diavolo-demonio. Nessuna
fantasia! Tanto meno nessuna curiosità lussuriosa; ma solo
la non negazione della sua presenza, perché certamente c’è
una forza che è efficace; c’è una forza nel male che è
plurale, ha molte facce, è una forza seducente. Ci tenta…
Ed è una forza che prima o poi appare sempre come paura
della morte
2. Liberaci dal
male.
Secondo momento della nostra riflessione.
Da
questa consapevolezza, esperienza del male che ci
colpisce, noi allora gridiamo: “liberaci dal male”!. Noi
gridiamo, noi invochiamo, noi chiediamo aiuto, ci
rivolgiamo a Dio, nella coscienza che da soli non sappiamo
liberarci dal male, né totalmente, né definitivamente.
Oggi una cultura dominante ci vorrebbe fare intravedere
che andiamo verso una vita personale o collettiva… Ieri
l’accento cadeva sulla dimensione collettiva. Oggi la
dimensione è piuttosto individualista. Ma si vorrebbe far
credere che il male in realtà diminuisce fino a
scomparire, perché la scienza e la tecnica vincono il
male. Ci viene promessa una vita sempre più longeva… Ma in
realtà fin che c’è la morte c’è il male.
E
l’avevano già capito bene i credenti dell’Antico
Testamento, là dove si afferma “liberazione non c’è se non
dalla morte”.
Noi a volte riusciamo a liberarci da un male, ma in realtà
subito dopo dobbiamo iniziare un’azione di liberazione da
un altro male, e così via… E poi comunque incontriamo la
morte la quale ci attende inesorabilmente. Lo dobbiamo
ammettere. E chi è capiente tra gli uomini, lo sa. L’uomo
non è immortale. L’uomo può allungare di qualche anno la
sua vita, ma alla fine c’è il traguardo. È stato così
dall’inizio dell’umanità, millenni di umanità. E anche gli
scienziati più sapienti ci avvertono che è impossibile per
noi uomini sconfiggere la morte.
Alla fine, dunque, noi abbiamo la morte. E prima nella
vita abbiamo delle anticipazioni che sono sempre segno
della morte. Che cos’è la malattia? Ma che cos’è anche la
separazione in una storia d’amore? Che cos’è la situazione
di bisogno che ci minaccia nel nostro vivere? Che cos’è la
cattivazione degli altri che ci provoca sofferenza? Non
c’è liberazione se non dalla morte.
E
per questo noi invochiamo Dio: “Liberaci tu dal male”.
Perché noi la liberazione dal male non ce la possiamo
dare.
Vorrei invitarvi qualche volta a pregare i Salmi. Queste
centocinquanta preghiere, che cosa sono? Sono grida!
pianti! lamenti! urli! da una situazione di male. Perché
quell’uomo, quel credente, che prega nel Salmo, vuole il
bene, vuole la felicità, vuole la liberazione, vuole la
salvezza.
Questa ultima invocazione del ‘Padre Nostro’, “liberaci
dal Male”, dice in tre parole tutto quello che è contenuto
nei Salmi. Direi che dice tutto il movimento della
preghiera cristiana. Ogni preghiera è un’invocazione al
Signore, al Dio in cui si crede, per passare dalla
malattia alla salute, dalla morte alla vita, dalla
disperazione alla felicità, dal peccato all’amore di Dio.
In
tutte le preghiere che noi uomini facciamo c’è sempre
esplicito, sottointeso, “liberaci dal male”. E i mali dai
quali chiediamo la liberazione sono diversi; mutano anche
nella nostra preghiera. Ma ciò che chiediamo è indirizzato
sempre allo stesso Destinatario, il Dio in cui abbiamo
fiducia, il Signore. E noi vogliamo da Lui sempre la sua
presenza, la sua consolazione, il suo amore.
La
preghiera del “Padre nostro” inizia con l’invocazione a
Dio come Padre: “Padre nostro”. Cioè noi abbiamo la
fiducia che da Lui viene la vita. Ecco perché lo chiamiamo
“Padre”: perché da Lui viene la vita.
E
concludiamo il ‘Padre nostro’ con queste invocazioni
contro il male, queste invocazioni di liberazione di
salvezza.
E
vorrei dirvi di più, come notava un padre della chiesa ‑
che ha commentato bene il ‘Padre nostro’ ‑, un padre della
Chiesa antica: Giovanni Crisostomo, il quale diceva:
“Quando noi diciamo ‘ liberaci dal male ’, di fatto stiamo
dicendo tutto il ‘Padre nostro’”. Tutte le invocazioni ‑
perché le invocazioni precedenti: “venga il tuo regno”,
“sia fatta la tua volontà”, “dacci oggi il pane
quotidiano”, “rimetti a noi i nostri peccati”, “non
abbandonarci alla tentazione” ‑ sono tutte richieste di
liberazione dal male. È sempre il male che impedisce che
siano realtà: vita degli uomini, le cose che chiediamo nel
‘Padre nostro’, il Regno, la realizzazione della volontà
di Dio, il perdono.
Potremmo dire che queste parole sulla bocca del cristiano
sono alla fin fine sempre ‘liberaci dalla morte’: sì,
dalla morte! “Dalla morte”, come ultima parola per
ciascuno di noi. Certo la morte eterna, quella morte che
significa “esclusione dalla comunione con Dio”. Ma anche
dalla morte che ti raggiunge alla fine della nostra vita.
E anche dalla morte che è presente magari in uomini e
donne che sembrano vivi, ma che sono “morti” perché
incapaci di una vita di comunione, incapaci di speranza.
Dobbiamo pregare, e pregare dunque, chiedendo al Signore
ciò che noi non possiamo da soli. Dobbiamo pregare il
Padre perché ci dia la forza di resistere al male, perché
c’è una resistenza al male che ci spezza, senza la quale
Dio non può operare. Resistere a satana, al ‘tentatore’.
Lottare contro tutte le forze del male che ci assalgono, è
il nostro compito.
E
per resistere occorre esser pronti ad una dura e
incessante lotta spirituale, ma in questa resistenza
occorre che sia presente il Signore.
Nel Salmo 119° c’è un’espressione straordinaria: “Signore,
nella mia lotta si tu a lottare”. Quando noi lottiamo
contro la tentazione, contro il male, il Signore è lui che
lotta in noi.
E
come dimenticare le parole di Gesù? che, nella lotta
contro il male, aboliva “Questa specie di demoni non la
si può scacciare, se non con la preghiera” (Mc 9, 29).
E come dimenticare le parole dell’apostolo Paolo?: “Non
lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene”
(Rm 12, 21).
3. La vittoria
sul male.
Infine, ultimo punto della nostra meditazione, “la
vittoria sul male”.
Il
male che ti colpisce. Questa azione del demonio che si fa
sentire nella nostra vita personale e collettiva, è
invincibile? È una realtà ultima? È l’ultima parola sulla
vita degli uomini?
Ecco, qui c’è la buona notizia: c’è il Vangelo! Che è
davvero la risposta, l’unica risposta al dramma del male.
Infatti, la “buona notizia”, l’unica vera buona notizia ‑
che i cristiani dovrebbero non solo ritenere loro
speranza, ma sentirlo soprattutto come l’unico vero debito
che hanno verso l’umanità, verso i fratelli ‑, questa
buona notizia è che Gesù con la sua vita, la sua morte e
la sua resurrezione ha vinto il male e il maligno per
sempre.
Ci
bastino due parole del Nuovo Testamento.
Negli Atti degli Apostoli, Pietro riassume così la vicenda
di Gesù: “Gesù, un uomo che passò facendo il bene e
risanando tutti quelli che stavano sotto il potere del
male, perché Dio era con Lui”, sta’ in Atti 10, 38. Ecco
la vita di Gesù: una vita in cui ha fatto il bene,
sottraendo al potere del male tutti quelli che erano
malati e che Lui guarì.
Ma
un’altra affermazione importante si ha sulla bocca di Gesù
secondo il quarto Vangelo. Quando Gesù, ormai attraverso
la sua passione e morte, la vigilia, a Gerusalemme, Gesù
grida: “Ora il principe di questo mondo è buttato fuori”
(Gv 12, 31). Cioè ora il demonio, con la mia passione
morte e resurrezione, è vinto per sempre! È buttato fuori!
Non ha più una vittoria definitiva per gli uomini.
Tutta la vita di Gesù è stata una battaglia contro il
male, e contro il Male con la “M” maiuscola, perché Gesù è
stato tentato e ha resistito alle tentazioni: ha vinto il
demonio. Perché Gesù ogni volta che ha incontrato il Male
nelle sue varie forme – i malati, i peccatori – ha dato
loro la vita, ha rinnovato la loro vita, ha dato loro il
perdono e l’amore. Tutto l’operare di Gesù era togliere
terreno e potere al male. E questo Gesù non l’ha fatto
interessandosi del male in modo astratto. Gesù ha mai
speculato sulla realtà del male, come siamo tentati di
fare noi; ma ha voluto incontrare uomini e donne segnate
dal male, segnate dalla malattia, segnate dal peccato,
segnate dalla morte.
E
Gesù ha incontrato noi uomini prendendosi cura di noi,
curando le nostre malattie – dicono i Vangeli –,
liberandoci dal potere del male.
Tutta la sua dizione, come aveva detto nella sinagoga di
Nazaret, era annunciare la buona notizia ai poveri,
portare la libertà ai prigionieri, portare ai ciechi la
vista, portare la liberazione agli oppressi (cf Lc 4,
16-19).
E
questa lotta di Gesù contro il male, era una lotta
combattuta soltanto con la voce.
E
possiamo anche riassumere la vita di Gesù, non solo come
facevano gli Atti degli Apostoli, ma sto facendo del bene,
ma come fa il quarto Vangelo: adesso ho amato: ‘amò fino
all’estremo’, “amò fino alla fine” (Gv 13,1).
Questa è la sintesi di tutta la vita di Gesù.
E
se i discepoli potranno arrivare a dire che “Dio è
amore” – questa è l’affermazione che fa Giovanni nella
sua lettera (1 Gv 4, 8.16) ‑ (e lo sapete) è
l’affermazione ultima, l’ultima del Nuovo Testamento, dopo
la quale non sono possibili altre definizioni ulteriore di
Dio. Ma se sono arrivati a dire che “Dio è amore”, ciò cui
non era giusto l’Antico Testamento. L’ha fatto perché
avevano visto l’amore di Dio presente nella vita
umanissima di Gesù, l’autorevolezza di Gesù, la sua forza,
quella che permetteva a Gesù di guarire i malati, di
risvegliare una donna in una prostituta, di risvegliare un
uomo nuovo in uno strozzino, di mettere vita dove c’è la
morte. Era la sua capacità di amare concretamente,
umanamente e gratuitamente.
Così Gesù dimostrava che il male può soltanto essere vinto
soltanto dal bene, dunque dall’amore che è il bene
supremo.
E
dopo un’esistenza segnata dall’amore, anche nella
Passione. Quando si scaricava su di Lui l’odio dei potenti
‑ la violenza dei persecutori, il tradimento degli amici
‑, Gesù ha continuato ad amare mai contraddicendo l’Amore.
Mai cedendo al Male, mai cedendo alla tentazione di
opporsi al male con il male.
È
andato incontro alla morte come ogni altro uomo, ma è
entrato nella morte amando. E questo suo Amore non poteva
morire per sempre. Sicché Dio ‑ il Padre – ha dovuto
confermare il suo Amore risuscitandolo da morte.
Stiamo attenti a noi cristiani! Quando finiamo per dire
che Gesù è risorto solo perché era Figlio di Dio –
messaggio troppo breve che agli uomini non interessa
nulla! Gesù è risorto perché il suo Amore – che era
l’amore di Dio operante in Lui – non poteva morire, e non
poteva permettere che l’ultima parola fosse la morte. Per
cui, il Padre confermandolo come Figlio ‑ come sua
Narrazione, come sua Rivelazione ‑ lo ha resuscitato dai
morti: ha mostrato che l’Amore vince la morte. E questa è
la Pasqua, questa è la buona notizia pasquale. L’Amore è
più forte della morte. L’Amore è capace di vincere il
male.
Cari fratelli e care sorelle, in questo cammino
quaresimale ci siamo impegnati a lottare contro il male, e
abbiamo certamente pregato più volte il Signore “liberaci
dal male”. E ormai, ecco, la Pasqua ci sta’ davanti. La
Pasqua è vittoria sulla morte, sul Male e sul peccato. La
vittoria dell’amore di Dio. La Pasqua è l’evento decisivo
per l’umanità.
Vogliamo noi partecipare a questo evento? L’evento del
Cristo vincitore del Male e della morte? Vogliamo essere
con Cristo nella lotta contro il male, vittoriosi! Grazie
soltanto a Lui, alla sua azione, alla sua Grazia, non
certo fondando sulle nostre forze? E vogliamo con tutti i
nostri limiti essere con Cristo nell’Amore fino alla fine,
a prezzo anche della croce?
Così saremo liberati dal Male, e saremo esauditi nella
nostra preghiera del ‘Padre nostro’: “Liberaci dal Male”.
Questa è l’invocazione. Una invocazione che facciamo però
nella fede di Cristo, che ci ha liberati dal male con la
sua vita, la sua morte, la sua Passione, cioè con il suo
Amore fedele fino alla fine.
Apprestiamoci a celebrare la Pasqua, come vittoria
dell’amore di Dio sul Male, che purtroppo regna nel Mondo,
e che sovente regna anche in noi: il male che conosciamo,
che non possiamo rimuovere, ma che Dio in Gesù Cristo ha
vinto per sempre.
Documento rilevato da registrazione audio da Vittorio
Ciani, nel linguaggio parlato, ma non rivisto dall’Autore.
File OT160508 ‑ Diocesi Piacenza-Bobbio Ufficio Documentazione Basilica
di Sant’Antonino ‑ L’Associazione Teologica di
Piacenza, promuove: “Festival della Teologia “…ma
liberaci dal male” ‑ Prima edizione 16-17-18 Maggio
2008 ‑ – Lectio magistralis di Enzo Bianchi ‑ 16
Maggio 2008. Relazione totale rilevata dalla
registrazione audio da Ciani Vittorio. Enzo Bianchi
fondatore e priore della comunità monastica di Bose.
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