Salmo 90
Combattimento Spirituale
La prima domenica di Quaresima la Chiesa ci fa
cantare durante la Messa, in extenso,
il Salmo 90, cioè il salmo del combattimento
spirituale, il salmo del soccorso angelico e
il salmo della confidenza.
San Bernardo, abate di Clairvaux, ci ha
lasciato diciassette omelie su questo salmo
della Compieta, che i monaci cantano a
memoria, ogni sera, nella penombra della loro
chiesa. La giornata è terminata, ma il
combattimento continua fino alla soglia del
riposo, e la confidenza in Dio ne addolcisce
il rigore.
Occorre comprendere cosa rappresenta questo
combattimento quotidiano, impercettibile a uno
sguardo estraneo, questa lotta incessante
contro le debolezze della natura, per
percepire i benefici del Salmo 90,
completamente illuminato dalla vittoria di Dio
e dal soccorso degli angeli.
Qui habitat in adjutorio Altissimi, in
protectione Dei cæli commorabitur.
Tu che abiti al riparo dell’Altissimo e dimori
all’ombra dell’Onnipotente,
Habitat
è la parola chiave che dà il tono a tutto il
salmo: la posta in gioco del combattimento
spirituale è di abitare in Dio; come dice il
testo ebraico, «nel segreto del suo volto».
Dio desiderabile e Dio pronto ad aiutare, ecco
la ragione formale della virtù di speranza.
L’atto della speranza è quindi formato da un
duplice movimento di tensione e di riposo.
Severa e dolce virtù! Mediante essa l’anima
precorre con audacia il termine della sua
corsa.
Perciò colui che abita al riparo del Signore
dimora già sotto la protezione del Dio del
cielo. Il segreto della pace cristiana, che
intriga così fortemente l’incredulo, proviene
da ciò che in questa ricompensa sperata è già
misteriosamente dato: colui che abita, dimora.
Come la parola di Gesù in san Giovanni:
«Rimanete nel mio amore» (Gv 15,9).
Dicet Domino: Susceptor meus es tu, et
refugium meum; Deus meus, sperabo in eum.
dì al Signore: «Mio rifugio e mia fortezza,
mio Dio, in cui confido».
Questo abitante di Dio dirà al Signore:
«Mio rifugio e mia fortezza». Il termine
Susceptor, composto di sub e di
capere – prendere o scegliere dal basso
– suggerisce l’immagine del bambino portato da
sua madre. «Colui appoggiato al mio braccio
come un bambino che ride, costui mi piace,
dice Dio!» (Charles Péguy). E il salmista
prosegue: «mio Dio, in cui confido». Il
resto del salmo non è altro che uno sviluppo
dei due primi versetti; un modo di
monetizzare, frase dopo frase, l’oro della
Santa Speranza.
Quoniam ipse liberavit me de laqueo venantium,
et a verbo aspero.
Egli ti libererà dal laccio del cacciatore,
dalla peste che distrugge.
Quoniam ipse...
Perché è Egli stesso, lui in persona che mi
libererà dal laccio del cacciatore. Santa
Gertrude di Hefta fu illuminata sul
significato di queste parole: i cacciatori
sono i demoni; e le ultime parole del
versetto, «a verbo aspero», significano
la risposta che ricevono le vergini stolte
bussando alla porta del banchetto: «Non vi
conosco», frase dura fra tutte! Si noti
come i salmi, nel loro senso pieno, vanno
oltre l’aneddoto che dà loro vita, per
orientarci verso i fini ultimi: è lo stesso
Signore, Ipse, e non un altro, che ci
libererà dai lacci del demonio e dalla
riprovazione finale cui conducono. I salmi di
speranza attraversano i secoli e non si
esauriranno che alla soglia dell’eternità,
ovvero davanti alla dolce parola: «Venite
benedetti del Padre mio»; oppure davanti
al duro monito: «Non vi conosco!».
Scapulis suis obumbrabit tibi, et sub pennis
ejus sperabis.
Ti coprirà con le sue penne sotto le sue ali
troverai rifugio.
Il Signore è simile a un grande volatile che
protegge i suoi piccoli sotto le sue ali. Si
tratta di un’immagine alla quale lo Spirito
Santo ama ricorrere: come dice il Salmo 35,
«I figli degli uomini all’ombra delle tue ali
spereranno», «Filii hominum in tegmine
alarum tuarum sperabunt»; e lo stesso
Nostro Signore si è paragonato a una chioccia
che raduna i suoi pulcini sotto le piume.
Commenta sant’Agostino: «Ti appoggia sul
suo cuore, ti protegge con le sue ali per
salvarti dagli artigli dello sparviero;
rifugiamoci sotto le ali della Sapienza, madre
nostra, che ci attendeva». Si dovrebbe
sempre recitare questo versetto con un
sentimento di tenerezza e gratitudine.
Scuto circumdabit te veritas ejus: non timebis
a timore nocturno;
La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza; non
temerai i terrori della notte
I salmi alternano immagini campestri e
immagini guerriere. La parola Veritas,
in ebraico «émèt», può significare
verità o fedeltà! L’idea di un Dio fedele alle
sue promesse permea la Bibbia e gli esegeti
traducono volentieri Veritas con
fedeltà, ciò che non è scorretto. Ma, in
effetti, non è la verità dell’amore che lo
rende fedele? E i falsi dèi sono allora tutti
morti, perché noi cessiamo di reclamarci al
solo Dio vivo e vero? In questa lotta
dello spirito, in cui tante illusioni nascono
e muoiono come il fumo, non è fuori tema
paragonare la Verità di Dio a questa cosa
concreta e robusta: lo scudo corazzato che
avvolge il guerriero e lo protegge contro
«i terrori della notte».
A sagitta volante in die, a negotio
perambulante in tenebris, ab incursu, et
dæmonio meridiano.
né la freccia che vola di giorno, la peste che
vaga nelle tenebre, lo sterminio che devasta a
mezzogiorno.
Parlando delle ferite dovute al peccato
originale, nell’Apocalisse san Giovanni
nomina tre concupiscenze: la concupiscenza
degli occhi, la concupiscenza della carne e
l’orgoglio della vita. Sembra che questo
versetto faccia allusione a questi tre mali:
appoggiandosi al soccorso divino, l’anima non
temerà né la freccia del desiderio
altero, che vola al di sopra delle teste,
simbolo della volontà di potenza e della
dismisura; né quell’amore delle ricchezze che
simboleggia il negozio delle tenebre e
il suo corteo di menzogne; né gli attacchi del
demone meridiano, che sconvolge
particolarmente le anime giunte nel mezzo
della loro vita, nell’età della piena
maturità.
Cadent a latere tuo mille, et decem millia a
dextris tuis; ad te autem non appropinquabit.
Mille cadranno al tuo fianco e diecimila alla
tua destra; ma nulla ti potrà colpire.
Il salmo si presenta come un canto di guerra,
che il sentimento cattolico traduce d’istinto
in combattimento spirituale. Si pensa
inevitabilmente a tutte le protezioni
miracolose che circondano l’anima dei santi;
non che essi siano indenni dalle prove
dell’esistenza, ma una Provvidenza li salva
dalla sola caduta che si deve temere: quella
del peccato e della sua decadenza. Questa
posizione eretta nel mezzo delle migliaia che
cadono, è la purezza delle prime vergini
cristiane in mezzo alle impurità del mondo
pagano. E ancora l’anima dei nostri bambini
minacciati dal materialismo del mondo moderno;
e Dio conosce la spaventosa quantità di
cadute! Ma non disperate dell’anima dei vostri
piccoli. La purezza è sempre possibile; lo
Spirito Santo ne fa un punto d’onore, e i
sacerdoti guardano con ammirazione come anche
al giorno d’oggi, al prezzo di squisite
gentilezze, la purezza fende il flotto
dell’impurità, con un accento di umile
trionfo, che non appartiene ad altro che alla
carità cristiana.
Verumtamen oculis tuis considerabis, et
retributionem peccatorum videbis.
Solo che tu guardi, con i tuoi occhi vedrai il
castigo degli empi.
Il salario dei malvagi, cioè il castigo che
meritano, rimane tuttavia nascosto – perlomeno
la maggior parte delle volte – allo sguardo
dei perseguitati. Ma il futuro di videbis
non rimanda al giorno ultimo: Mihi vindicta!
A me la vendetta, dice il Signore. Questo
scombussola la nostra sensibilità moderna, e
il Dio vendicatore non ci attrae alquanto; ma
non dimentichiamo che il popolo d’Israele ha
cantato questi salmi per incoraggiarsi alla
vittoria. La religione guerriera dei nostri
avi consisteva essenzialmente nel prendere la
parte di Dio, con una solida parzialità e una
perfetta assenza di sfumature! Quanto a noi
che, al giorno d’oggi, recitiamo questi salmi,
lasceremo la retribuzione dei peccatori
racchiusa nel mistero di un Dio le cui vie non
sono le nostre vie, e «che punisce l’uomo con
la gloria».
Quoniam tu es, Domine, spes mea; Altissimum
posuisti refugium tuum.
Poiché tuo rifugio è il Signore e hai fatto
dell’Altissimo la tua dimora,
Il salmista riprende con felicità il suo canto
iniziale, che dà al salmo il suo carattere di
gioiosa speranza. Cosa c’è di più dolce che
dire a Dio «Tu es spes mea»? Cosa c’è
di più dolce che cantare ogni sera questa
essenziale verità, ovvero che Dio è il nostro
unico soccorso nonché l’unico a saziarci? Oh,
umano desiderio, dai libero corso alla tua
sete d’assoluto; ecco la tua pienezza! Non
aspirare a null’altro che a Dio, se non vuoi
rimanere deluso, perché solo lui – che l’ha
fatta nascere in te – può estinguere la tua
sete.
Non accedet ad te malum, et flagellum non
appropinquabit tabernaculo tuo.
non ti potrà colpire la sventura, nessun colpo
cadrà sulla tua tenda.
Troviamo qui la medesima idea del settimo
versetto: quella di una cristianità nel
contempo minacciata e indenne. Cosa ne pensano
i nostri fratelli libanesi? Possiamo affermare
che la sventura non li abbia colpiti? Che dire
di un’atrocità quotidiana? Ebbene, lo diciamo
ad alta voce, il male non si accosta alle
anime pure, poiché il male assoluto è il
peccato e la dannazione. Il resto, ovvero il
sangue e le lacrime, la distruzione di un
popolo, è il segreto della Provvidenza, un
segreto che ci sarà rivelato solo il giorno
del Giudizio. La sventura non è ciò che
crediamo, e accade persino che si tratti di un
travestimento della dolcezza di Dio. Cosa ne
pensano gli angeli?
Quoniam angelis suis mandavit de te, ut
custodiant te in omnibus viis tuis.
Egli darà ordine ai suoi angeli di custodirti
in tutti i tuoi passi.
Ausiliari di tutte le battaglie di Dio, ecco i
santi angeli, questi fratelli affettuosi e
soccorritori che il Signore invia e ai quali
dà un mandato assai preciso –
mandavit –, ossia di custodirci in
tutti i nostri passi. Nulla quindi è
escluso. Ovunque, in ogni luogo, in ogni
mansione – quelle dell’intelligenza, quelle
del corpo che corre i suoi rischi – vi sono i
santi Angeli custodi, meravigliose creature
dalle quali, per quanto appesantiti che siamo,
riceviamo in prestito le ali. Ma questi esseri
superiori non ne derivano alcuna avversione,
nessun disprezzo; rimangono i nostri fratelli
maggiori, attenti e devoti. Sappiamo scorgere
in questi puri spiriti una concentrazione di
forze vive e amorevoli, il sorridere di Dio
all’umanità, gli esecutori intelligenti della
sua Provvidenza
In manibus portabunt te, ne forte offendas ad
lapidem pedem tuum.
Sulle loro mani ti porteranno perché non
inciampi nella pietra il tuo piede.
Quest’immagine squisita, di una dolcezza tutta
materna, è stata ispirata dallo Spirito Santo
al salmista per dirci qualcosa delle
attenzioni della grazia: tutto il cielo
cospira al nostro avanzamento; migliaia di
occhi invisibili seguono ogni nostro minimo
passo e gli angeli, nostri fratelli, ci
portano sulle loro mani: ciò sta a dire che
riceviamo da loro – in quanto sono immateriali
– i soccorsi di una grazia potente e dolce,
facile come un respiro o un sorriso. Quante
volte, povera anima, che inciampi nella notte,
ti sono stati evitati gli scontri con la
pietra che ferisce. Ed ecco che un sentimento
di confidenza e gratitudine ti pervadeva e ti
sollevava nell’atmosfera di Dio: gli angeli ti
portavano sulle loro mani!
Super aspidem et basiliscum ambulabis, et
conculcabis leonem et draconem.
Camminerai su aspidi e vipere, schiaccerai
leoni e draghi.
L’aspide e il basilisco sono rettili velenosi;
il soccorso angelico tende a fare di noi degli
eroi invincibili, capaci di sconfiggere
serpenti e draghi. Quanti serpenti e bestie
selvatiche si disputano quel cuore umano che
Pascal definisce cloaca d’impurità? Che
gli angeli ci aiutino dunque ad atterrire tale
fauna di sensualità e di orgoglio malevolo. Ci
aiutino a calpestare la gelosia, il rancore,
l’amor proprio, i nostri soli nemici; e che
rinasca in noi l’umile e tonificante fierezza
delle vittorie di Dio.
Quoniam in me speravit, liberabo eum; protegam
eum, quoniam cognovit nomen meum.
Lo salverò, perché a me si è affidato; lo
esalterò, perché ha conosciuto il mio nome.
Gli ultimi tre versetti del Salmo 90 si
occupano delle alte sfere: è il Signore che
prende la parola, e di cosa ci parla?
Anzitutto ci dice che ci salva, se speriamo in
lui, e che ci protegge, se «conosciamo il suo
nome». Cosa significa? Conoscere il nome di
Dio è ben più che riconoscergli alcuni
attributi, come la Giustizia o la
Misericordia. Significa designarlo tramite la
sua essenza: l’Amore. La Follia di questo
Amore infinito fonda una confidenza in Dio
che, nel suo ordine proprio, dev’essere –
anch’essa – infinita.
Clamabit ad me, et ego exaudiam eum; cum ipso
sum in tribulatione: eripiam eum, et
glorificabo eum.
Mi invocherà e gli darò risposta; presso di
lui sarò nella sventura, lo salverò e lo
renderò glorioso.
«Sono con lui nella tribolazione e nelle prove
amare»
– «Davvero, Signore, siete con noi in
questo terribile disordine?» – «Povera
anima, è proprio vero: vengo a cercarti nel
profondo della tua angoscia per strappartene e
introdurti nella gloria». Che luce
proietta sul problema del male questo
impressionante tratto! «Lo salverò e lo
renderò glorioso»! Com’è che Dio glorifica
il suo servitore?
Longitudine dierum replebo eum, et ostendam
illi salutare meum.
Lo sazierò di lunghi giorni e gli mostrerò la
mia salvezza.
Il Signore emette una solenne promessa.
«Gli mostrerò la mia salvezza», cioè «gli
farò vedere cosa significa essere salvato», o
ancora «gli mostrerò il mio volto». Perché il
vostro volto, Signore, è per noi la salvezza,
secondo quest’altro versetto del Salmo 79:
«Ostende faciem tuam et salvi erimus»,
«Fa’ splendere il tuo volto e saremo salvi».
Il salmo si conclude su questa promessa di
Dio: lo riempirò di giorni e gli farò vedere
la mia salvezza. Salmo mirabile che termina la
giornata del monaco, preparandolo a fare
ingresso nella notte, portatrice del Volto di
Dio.
[Dom Gérard Calvet O.S.B. (1927-2008),
Psaume 90: le combat spirituel, in
Itinéraires, n. 281, marzo 1984, pp.
90-101, poi in Benedictus. Écrits
Spirituels. Tome I, Éditions
Sainte-Madeleine, Le Barroux 2009, pp.
346-357, trad. it di fr. Romualdo Obl.S.B.]
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