Breve Storia dell'Ordine dei
Templari e "Spiritualità
del Servizio"
nella Regola dei
Templari
Questo breve saggio, senza pretese di novità, vuole esporre le
tappe più significative della storia dei Templari per soffermarsi
sulla spiritualità di Servizio che è la nota peculiare del primo
Ordine cavalleresco.
L’immaginario comune del grande pubblico, quasi sempre, accomuna i
Templari a quattro eventi: alle loro supposte “immense ricchezze”
che permise loro di diventare i primi banchieri della cristianità
occidentale; alla catastrofe spettacolare che pose fine alla loro
esistenza e all’esoterismo più o meno deviante e deviato; al
neo-templarimo con legami più o meno manifestamente legati alla
massoneria.
Quasi mai invece si inizia a trattare la vicenda templare
evidenziando l’essenza del loro istituto che cioè sono monaci che
vivono la loro vocazione con l’obbligo dei tre voti religiosi di
povertà, castità ed obbedienza in un convento sotto un superiore
ed una regola.
Noi riteniamo che sia fondamentale presentare quest’Ordine
cavalleresco, come tutti gli altri che successivamente sono
fondati, con le esigenze di una comunità “religiosa” Oggi intendo
soffermarmi, anche se brevemente su questo aspetto “religioso” dei
poveri cavalieri di Cristo del Tempio di Salomone.
La nascita dell’Ordine è avvenuta subito dopo la prima crociata,
per cui spesso si accomuna il Templare con il Crociato: un altro
errore comune.
Le informazioni che qui riporto hanno come riferimento
bibliografico i seguenti testi:
GUY DE VALOUS, Quelques observations sur la toute primitive
observance des Templiers et la Regula Pauperum commilitonum
Christi Templi Salomonici, in Mélanges Saint Bernard, XXIV congrès
de l’association bourguignonne des sociètes savantes, Dijon 1953,
pp. 32-40;
PATRICE COUSIN, Les débuts de l’Ordre des Templiers et saint
Bernard, in Ibidem, pp. 41-52;
Opere di san Bernardo, a cura di Ferruccio Gastaldelli, vol. I,
Milano 1984, Liber ad milites Templi. De laude novae militiae. Per
i cavalieri del Tempio. Elogio della nuova milizia, introduzione,
traduzione e note di Cosimo Damiano Fonseca, pp. 425-483;
Opere di san Bernardo, a cura di Ferruccio Gastaldelli, voll. VI/1
e 2, Milano 1986 e 1987, Lettere, parte 1 Lettere. 1-210 e
211-548;
Opere di san Bernardo, a cura di Ferruccio Gastaldelli, vol. I,
Milano 1984, De consideratione ad Eugenium Papam. La
Considerazione a Eugenio papa, Introduzione di Pietro Zerbi,
Traduzione e note di Ferruccio Gastaldelli, pp. 725-939;
GEORGES BORDONOVE, La vita quotidiana dei Templari nel XIII
secolo, Milano 1989;
AA. VV., I Templari. Una vita tra riti cavallereschi e fedeltà
alla chiesa. Atti del primo convegno «I Templari e san Bernardo di
Chiaravalle», Certosa di Firenze, 23 -24 ottobre 1992, Certosa di
Firenze 1995.
Le date più significative dell’Ordine dei templari
1095 - 27 - Novembre : Concilio di Clermont-Ferrand;
1099 - 15 - Luglio : Conquista di Gerusalemme;
1119 - Novembre : Fondazione dell’Ordine dei Templari;
1128 - 13 - Gennaio : Concilio di Troyes e approvazione
del-l’Ordine e della Regola Templare;
1132-1135: Redazione del De Laude novae Militiae;
1136 -24 maggio: morte di Ugo di Payens;
1147 - 4 aprile: Eugenio III concede ai Templari la Croce Rossa;
1153 - 20 agosto :morte di san Bernardo;
1171: Difesa di Gaza;
1187: Battaglia di Tiberiade;
1219: Sacrificio di Damietta;
1221 primavera: prima invasione mongola;
1274 : Concilio di Lione;
1285: ascesa al trono di Filippo IV il Bello
1291: eroica difesa di Acri;
1292: Elezione a Gran Maestro di Jacques de Molay;
1303: Schiaffo di Anagni a Bonifacio VIII;
1305 - 14 novembre: Elezione di papa Clemente V
1307 - 14 settembre: arresto dei Templari;
1308 - 9 marzo: Filippo il Bello convoca gli Stati Generali;
1309 - 8 agosto: Costituzione della Commissione Pontificia;
1310 -12 maggio: 54 Templari sono messi al rogo;
1311 - 16 ottobre: Concilio di Vienne;
1312 - 22 marzo: Bolla Vox in Excelso;
1312 - 2 maggio: Bolla Ad Providam;
1312 - 6 maggio: Bolla Considerandes Dudum;
1314 - 18 marzo: Rogo di Jacques de Molay e di Goffredo de
Charnay.
1314 - 20 aprile: morte di Clemente V;
1314 - 29 novembre: Morte di Filippo IV
Durante questo arco di tempo i Templari si sono affermati con
oltre tremila insediamenti: la massima parte, circa duemila sono
in Francia. Una statistica completa per l’intera Europa non è
stata ancora stilata, per cui la quantificazione totale e la loro
presenza nelle singole nazioni d’Europa è molto problematica.
Origine e organizzazione
Giacomo di Vitry, nella sua Historia Orientalis ci narra in modo
preciso l’origine dei Templari. Egli afferma: “Poiché da tutte le
regioni del mondo, ricchi e poveri, nobili e plebei, vecchi e
giovani si dirigono verso Gerusalemme per visitare i luoghi Santi,
dei briganti e dei ladri infastidiscono i percorsi, sorprendono i
pellegrini li derubano in gran numero e ne massacrano diversi”
“Per rimediare a questa situazione, il cavaliere Ugo di Payens si
unì ad una mezza dozzina di compagni insieme a Goffredo di Sant’Omer
per formare una gendarmeria di sicurezza che garantisse la pulizia
delle strade e il cammino verso la Palestina. Continua Giacomo di
Vitry: “Alcuni cavalieri, rinunziarono al mondo e si consacrarono
a Cristo con voti solenni, pronunziati davanti al Patriarca di
Gerusalemme, si impegnarono a difendere i pellegrini contro i
briganti e i ladroni, a proteggere i percorsi e a servire, nella
cavallerie il supremo re” .
Essi ricevettero dal re Baldovino II ambienti del suo palazzo
nella spianata del Tempio per cui furono detti “Templari”. Vissero
circa dieci anni in questa situazione manifestando in più
occasioni il loro coraggio, la loro povertà eumiltà. Il coraggio
lo manifestarono combattendo spesso uno contro tre; la povertà la
testimoniarono usando un cavallo in due e l’umiltà non usando una
uniforme. Verso il 1127 pensarono che fosse opportuno essere
riconosciuti ufficialmente dal papa Onorio II. Ciò avvenne appunto
con il Concilio di Troyes nel 1128
I fatti dal 1119 al 1127
Quanto è stato scritto da Giacomo di Vitry intorno ai primi anni
della storia dei Templari è confermato anche dalla narrazione di
Guglielmo di Tiro . Egli ci riferisce che verso la fine del 1119 o
l’inizio del 1120 il cavaliere Hugo di Payens decise di unirsi ad
altri sette pii cavalieri, giunti a Gerusalemme come lui per
combattere a favore di Cristo e formare una comunità religiosa
impegnata alla difesa dei pellegrini e precisamente con lo scopo
di garantire loro sicurezza lungo il viaggio ed il passaggio
tranquillo dei punti d’acqua contro le incursioni dei ladroni e le
insidie dei briganti . Di comune accordo essi prestarono
obbedienza al patriarca di Gerusalemme Garimond ed emisero nelle
sue mani i voti religiosi di castità, obbedienza e povertà e si
impegnarono a vivere secondo la Regola di Sant’Agostino . Il re
Baldovino concesse loro parte del Tempio detto comunemente il
palazzo di Salomone I compagni di Hugo di Payens furono: Goffroy
de Saint-Omer, Goffroy Bisson, Roland, Payen de Montdidier,
Archambaud de Saint Amand, André de Montbard e Gonthemar.
Intorno al 1125 il Conte Ugo di Champagne (da non confondere co
Ugo de Payens) si reca per la terza volta in Terra Santa e diventa
templare. Nella lettera 31 san Bernardo si congratula con Ugo per
aver abbracciato la milizia sacra e ricorda i benefici concessi a
Clairvaux:
«Se per grazia di Dio sei diventato da conte soldato e povero da
ricco che eri, in questo mi congratulo con te, com’è giusto, e in
te glorifico Dio, sapendo che «questo è mutamento della destra
dell’Eccelso… Potrei scordare l’antico affetto e i benefici che
hai prodigati con tanta larghezza alla nostra casa?… Quanto a me,
e per quanto è in me, io non essendo affatto ingrato, tengo
conficcato nella memoria il ricordo della tua munificenza…».
Prima del 1128 i Templari non avevano una propria regola scritta.
Comunque la tradizione orale, scrupolosamente conservata,
permetterà ai rappresentati dell’Ordine di fare una esatta e
dettagliata relazione ai padri del concilio riunitosi a Troyes
l’11 gennaio 1128.
I fatti del 1128
Il 1128 fu caratterizzato principalmente dalla celebrazione del
concilio di Troyes. L’opera del concilio, per quanto riguarda
l’approvazione dell’Ordine dei Templari, non fu rivoluzionaria,
rispetto all’esperienza vissuta nel decennio precedente, e lo
stesso san Bernardo e gli stessi padri del Concilio tennero in
debita considerazione l’esistenza degli usi praticati
anteriormente al 1128. Il prologo della regola approvata a Troyes
ci offre delle espressioni, dovute ai redattori, che ci chiarisce
molto bene il contesto e lo spirito dello stesso concilio:
«Deo duce in unum convenimus, et modum et obser-vantiam equestris
oridinis per singula capitula ex ore ipsius magistri Hugonis
audire meruimus… quod nobis videbatur bonum et utile,
collaudavimus, quod vero nobis videbatur absurdum vitavimus» .
Una attenta lettura della Regola, approvata al Concilio di Troyes,
ci permette di controllare tutti i punti di contatto che questa
Regola ha preso integralmente dalla Regola di san Benedetto.
Questo fatto ci permette di avanzare l’ipotesi di un chiaro
intervento di Bernardo di Chiaravalle nella redazione di questa
regola. Mentre nei primi anni a Gerusalemme avevano attinto molte
osservanze dalla Regola di Sant’Agostino.
I templari nell’Epistolario di San Bernardo
Oltre la lettera 31 del 1125 e di cui già abbiamo accennato, tra
le Lettere di san Bernardo ne troviamo altre quattro che in
qualche modo si riferiscono ai Templari.
Lettera 175. Indirizzata nel 1130 a Guglielmo di Messines,
patriarca di Gerusalemme. Il patriarca gli aveva scritto diverse
lettere e, finalmente Bernardo si decide a rispondergli in modo
molto amichevole e gli raccomanda i cavalieri templari:
«…Vi prego di dirigerei vostri occhi sui cavalieri del Tempio e di
aprire le viscere della vostra così grande pietà a così valorosi
difensori della Chiesa. Sarà gradito a Dio e piacevole agli uomini
che voi manifestiate il vostro favore a chi ha offerto la propria
vita a difesa dei fratelli».
Lettera 206. scritta probabilmente intorno al 1140 e indirizzata
alla Regina di Gerusalemme, Melisenda. In questa lettera, Bernardo
raccomanda alla Regina un proprio consanguineo:
«Gli uomini hanno udito che ho presso di voi un tantino di
benevolenza, e molti che sono in procinto di partire per
Gerusalemme chiedono di essere raccomandati da me a vostra
Eccellenza. Fra questi vi è questo giovane mio consanguineo, un
giovane, come mi dicono, molto valoroso e di buon carattere…».
Lettera 288. Inidirizzata nel 1153 a suo zio Andrea di Monrbard,
fratello della madre di Bernardo Aleth. Andrea, attraverso il
matrimonio del fratello Gauderico si imparentò con la famiglia di
Ugo di Payens, fondatore dei Templari. Sebbene viene ricordato da
Guglielmo di Tiro tra i primi compagni di Ugo di Payens sembra che
divenne Templare in Terra Santa solo intorno al 1129 e salì i
gradi gerarchici fino a diventare Gran Maestro verso il 1153.
Avendo saputo che Bernardo era gravemente malato, scrisse al
nipote per manifestargli l’intenzione di venirlo a trovare. La
lettera 288 è la risposta di Bernardo alle premure di Andrea:
«…Che abbondanza ricava l’uomo “dall’immensità del lavoro con cui
si affatica sotto il sole”? Perciò eleviamoci sopra il sole e la
nostra considerazione riguardi i cieli, facendo ascendere in
anticipo la nostra mente là dove ci troveremo in seguito col
corpo. Lì, mio Andrea, lì è il frutto della tua fatica: lì sarà la
tua ricompensa. Tu militi sotto il sole ma a servizio di chi
s’erge sopra il sole. Pur militando qui, aspettiamo la ricompensa
di lassù. La retribuzione della nostra milizia non proviene dalla
terra, non si trova qui giù: “di lontano, dagli estremi confini
giunge il premio”. Sotto il sole c’è povertà; l’abbondanza è al di
là del sole… Da un lato desidero che tu venga, dall’altro lo temo»
(Bernardo teme che l’assenza di Andrea «maxima columna» del
territorio di Gerusalemme, possa risultare dannosa per i cristiani
della Palestina esposti agli attacchi dei musulmani).
Lettera 289. Scritta nel 1153 alla Regina Melisenda esortandola
sul modo di comportarsi ora che il marito è morto, sostenendo la
parte di vedova virtuosa di fronte a Dio e di Regina di fronte
agli uomini. Ma non manca un passaggio riservato ai Templari:
«…Per fortuna è intervenuto Andrea, mio carissimo zio materno, al
quale non posso non credere, che con un suo scritto mi ha
comunicato notizie migliori, che cioè tu ti comporti in pace e con
mansuetudine, che avvalendoti dei più saggi governi rettamente te
e il tuo stato, che ami e consideri tuoi familiari i fratelli del
Tempio, e che cerchi di porre destramente e provvidamente rimedio
ai pericoli che incombono sulla tua terra, secondo la saggezza
fornitati da Dio e valendoti dei migliori consigli ed aiuti».
Liber ad milites templi. De laude novae militiae
L’incontro ufficiale di Bernardo con la Fraternitas dei Cavalieri
del Tempio avvenne in occasione del Concilio di Troyes nel 1128
quando, tutto lascia supporre con il suo determinante aiuto, venne
redatta la Regola che, nella redazione definitiva, avrebbe
trasformato il gruppo spontaneo dei milites, già votato alla
pratica penitenziale, in Ordine vero e proprio.
Il trattato fu scritto, dietro insistenza del gran Maestro Ugo di
Payens, con ogni probabilità, tra gli anni 1132-1135.
Il nuovo Cavaliere
Il cavaliere templare, secondo il progetto di san Bernardo è un
monaco-guerriero, un laico-cavaliere, nello stesso tempo legato al
mondo religioso e al mondo profano, inserito a diverso titolo
nell’«Ordo monachorum» e in quello «laicorum» rappresenta, sempre
secondo la visione di san Bernardo, un nuovo tentativo di
trasferire la vita laicale nell’alveo della struttura tipicamente
monastica .
Fu proprio su questi binomi che si inserì l’intervento di Bernardo
preoccupato di dare strutture monastiche ai milites Christi,
impegnati nella guerra santa contro gli infedeli, nella vigilanza
al Sepolcro di Cristo, nella protezione ai pellegrini in viaggio
verso i Luoghi Santi.
A Troyes è visibile la mano dell’abate Bernardo. Al nudus nudum
Christum sequi, si aggiungeva per i Cavalieri del Tempio l’altro
ideale Christum ducem militum sequi. La sequela Christi diventa un
perfetto modello di vita, simile per molti versi a quello
delineato da Bernardo per i suoi monaci. Non a caso la concessione
del mantello bianco, pur emblematica del suo valore nella
proiezione escatologica della scelta templare, accostava l’abito
del cavaliere del Tempio a quello del monaco di Cîteaux.
Su questa componente monastica della vocazione templare Bernardo
si intratterrà proprio nella stesura del trattato De laude novae
militiae. Questo trattato più che espressione dell’orientamento
dell’abate di Clairvaux a favore della guerra, rappresenta,
invece, il più compiuto tentativo di verifica della originalità
della vocazione templare colta nei suoi contenuti ascetici e in
consapevole contrapposizione tra i valori della militia Dei e
quelli della militia saeculi.
La struttura del De laude novae militiae
Il trattato, dopo la lettera dedicatoria a Ugo di Payens, si
articola in tredici capitoli, di cui i primi quattro hanno
carattere sistematico in quanto finalizzati a delineare l’istituto
della nova militia, quella templare, contrapponendola alla militia
profana:
Prologo
I. Esortazione ai cavalieri del Tempio
II. La cavalleria secolare
III. La nuova cavalleria
IV. Il comportamento dei Cavalieri del Tempio
Il quinto capitolo, indugia, in chiave simbolica sul nome della
sede dell’Ordine
V. Il Tempio
Gli altri otto capitoli costituiscono un itinerario attraverso i
principali Luoghi Santi (Betlemme, Nazareth, il monte degli Ulivi
e la valle di Giosafat, il Giordano, il Calvario, il Sepolcro,
Betfage, Betania) con lo scopo di consentire un approfondimento
dei valori teologico-mistici sottesi sia al nome che agli eventi
connessi alle singole località.
Il De laude novae militiae nell’intenzione di Bernardo non è un
testo celebrativo, ma esortativo, indirizzato a dare aiuto ai novi
milites contro l’hostilem tirannidem, il nemico per eccellenza, di
cui gli infedeli sono solo simbolo e figura.
Le caratteristiche di questa nova militia sono individuati da
Bernardo su un duplice piano, quello della professio monastica (
combattere contro il demonio e il peccato che si annidano
continuamente nell’animo di ciascuno di noi) e quello della lotta
contro il nemico terreno, incarnazione del demonio. Emerge così la
figura del monaco-cavaliere, cioè di colui che combatte e,
vincitore o vinto che sia, è destinato a ricevere il premio:
l’alloro del trionfo o la corona del martirio. Queste prospettive
non fanno temere al Templare neppure la morte.
A questo punto Bernardo coglie in negativo il significato della
saecularis militia, cioè della cavalleria profana, succube del
peccato, fautrice della guerra ingiusta, superba, vanitosa,
effeminata, iraconda, vanagloriosa, avida. L’insistenza sugli
aspetti negativi della saecularis militia apre a Bernardo il
passaggio obbligato per mettere in evidenza il carattere della
nova militia che non teme di peccare uccidendo il nemico e non ha
paura della morte, in quanto ha la certezza della grazia del
Signore, anzi considera un segno privilegiato della grazia lo
stesso martirio. San Bernardo avverte il bisogno di giustificare
l’immagine di un monaco che pur combatteva e uccideva. A questo
punto Bernardo, senza non lieve imbarazzo, introduce il concetto
del malecidio. l’uccisione del nemico nella guerra contro i pagani
non fa che contribuire ad eliminare il male dal mondo, e far
trionfare il bene sul male e sul peccato. Bernardo ritiene che
sarebbe meglio non uccidere nessuno, nemmeno i pagani, nonostante
che in questo periodo non sia proibito dalla morale cristiana il
ricorso all’uso legittimo delle armi.
Comunque Bernardo tenta di offrire i connotati caratteristici dei
Cavalieri del Tempio, in netta antitesi con quelli della
cavalleria profana: la fuga dall’ozio, l’obbedienza totale, la
modestia del tratto, la prudenza del combattimento, la continenza,
la rinunzia al lusso, specialmente all’opulenza del vestiario e
alla ricercatezza degli ornamenti. Tutti questi atteggiamenti
costituiscono i tratti più autentici di una profonda e radicale
conversio del cavaliere votato alla milizia di Cristo.
Il significato della «Peregrinatio» in Bernardo
Lo specifico della «conversatio» templare per Bernardo è la
radicale revisione di vita accompagnato da una forte carica
soteriologica. Anche in questo caso Bernardo si esprime su un
duplice livello, quello della ricerca di Gerusalemme connessa alla
«peregrinatio» verso la città Santa e più ancora quello della
conquista della grazia di Dio e il possesso del regno dei Cieli
attraverso la stessa «peregrinatio» in Terrasanta. Proprio su
questo duplice binario si colloca l’itinerario ai Luoghi Santi che
Bernardo inculca ai Templari. Questo itinerario, in definitiva, è
un pretesto per suggerire un ben altro cammino, quello della
continua ricerca di Dio, attraverso alcuni punti nodali della
storia della Salvezza.
Betlemme offre suggestive riflessioni sul mistero
dell’Incarnazione; Nazareth sull’attesa messianica; il monte degli
Ulivi e la valle di Giosafat sulla misericordia e sulla giustizia
di Dio; il Giordano sul Battesimo; il Calvario e il Sepolcro
sull’evento centrale del cristianesimo costituito dalla
Redenzione, dalla Morte e dalla Resurrezione del Signore; Betfage
sulla necessità della purificazione attraverso la penitenza;
Betania sull’obbedienza.
In questa prospettiva la scelta di far professione templare
diventa un vero « Itinerarium mentis et cordis in Deo» alla
ricerca di una Gerusalemme interiore, dove, debellato il male, la
morte e il peccato, il monaco-cavaliere incontra il Cristo, e
questo incontro tende a giustificare la sua intera avventura
umana.
Conclusione
Al termine di questa brevissima esposizione ritengo che sia quanto
mai utile qualche riflessione conclusiva.
Rispetto all’intera produzione letteraria di Bernardo, lo spazio
riservato ai Templari è veramente esiguo. Alcune lettere e un
trattato la cui portata storica è forse ancora da analizzare.
L’attenzione di Bernardo verso i templari forse va vista e
compresa anche nel contesto di un intreccio di rapporti familiari
e amichevoli. Lo zio di Bernardo Andrea di Montbard è un del primo
nucleo di cavalieri Templari: Il matrimonio del fratello Gauderico
lo imparentò con Ugo di Payens, fondatore dei Templari. Infine, il
conte Ugo di Champagne, grande benefattore di Clairvaux, ma
soprattutto di Trois-Fontaines, nel 1125 diventa anch’egli
templare.
Alla vigilia del Concilio di Troyes, celebratosi nel 1128, tra i
Templari, che non sono ancora molti, ben tre e di grande spicco,
sono legati a Bernardo, due con parentela ed un con profonda
amicizia. Ancora non si conosce con esattezza il reale contributo
di Bernardo alla causa Templare sia nell’approvazione dell’Ordine
che nella stesura della prima Regola, approvata proprio nello
stesso Concilio di Troyes. Nonostante la presenza, non casuale, di
Bernardo al Concilio, la massima attenzione di Bernardo nei
confronti dei Cavalieri del Tempio si riscontra nel trattato Per i
Cavalieri del Tempio. Elogio della nuova Milizia. A dispetto del
titolo, il trattato non è da considerarsi un testo celebrativo, ma
esortativo. Dal testo e dal contesto si ricava che Ber¬nardo ha
inteso esporre un ideale di vita. L’analisi degli avvenimenti
concreti nella storia di questo Ordine cavalleresco che ha avuto
solo 185 anni di vita ci potrà dimostrare fino a che punto
l’ideale tracciato da Bernardo sia stato realmente inteso,
compreso e tradotto nel vissuto quotidiano.
Quanto detto per i Templari dei secoli XII-XIII ha molti punti di
contatto con l’istituzione dell’arma dei Carabinieri. Il servizio
verso coloro che sono sulla strada è l’anima delle due
istituzioni. E da questo primo punto di contatto se ne possono
trovare molti altri che sarano evidenziati da chi parlerà dopo di
me.
Grazie dell’attenzione
Appendice
IV – Il comportamento dei Cavalieri del Tempio
7. Ma al fine di confrontare o meglio di smascherare i nostri
cavalieri impegnati non nel servizio di Dio, ma in quello del
diavolo, ci intratterremo brevemente sui costumi e sulla vita dei
cavalieri di Cristo, sul loro modo di comportarsi in guerra e in
pace sì che risulterà chiaramente in quale misura siano differenti
tra loro l’esercito di Dio e quello del secolo. Innanzi tutto ivi
non manca la disciplina né si disprezza l’obbedienza; poiché, come
attesta la Scrittura, il figlio indisciplinato è destinato a
morire e «la disobbedienza è un peccato simile alle pratiche
magiche e il non voler sottomettersi è un delitto quasi eguale
all’idolatria». Essi (i Cavalieri del Tempio) vanno e ritornano
secondo il parere del loro superiore, indossano ciò che viene dato
loro né si procurano altrove abito e cibo. E nel vestire e nel
mangiare si guardano da tutto ciò che è superfluo accontentandosi
solo del necessario. Vivono in comuità comportandosi gioiosamente
e sobriamente, senza mogli e senza figli. E affinché non manchi
nulla alla perfezione evangelica, abitano tutti nella medesima
casa e secondo le stesse consuetudini, in povertà personale,
solleciti di mantenere l’unità dello spirito nel vincolo della
pace. Potresti affermare che tutta la comunità sia un cuore solo e
un’anima sola: così ognuno si impegna a non seguire assolutamente
la propria volontà, ma a sottometterla a colui che comanda.
Giammai indugiano nell’ozio o si aggirano a curiosare; anzi
sempre, quando non combattono – ciò che accade molto raramente –
per non mangiare gratuitamente il pane, attendono a riparare le
armi o i vestiti danneggiati, restaurano ciò che è vecchio e
rimettono in ordine ciò che è disordinato e, infine, eseguono
tutto ciò che viene richiesto loro dalla volontà del Maestro o
dalle comuni necessità. Tra loro non si fanno preferenze; ci si
affida al migliore e non al più nobile per natali. Fanno a gara
nel rendersi onore a vicenda, si aiutano reciprocamente nelle
fatiche per realizzare così la legge di Cristo. Quando qualcuno
viene ripreso, mai rimane impunita una espressione insolente, una
perdita di tempo, un riso sguaiato, una mormorazione ancorché
contenuta, una insinuazione. Detestano gli scacchi e i giochi di
azzardo, hanno in orrore la caccia, né si dilettano, come usa,
dell’uccellagione. Sprezzano ed aborriscono come vanità e
ingannevoli follie gli attori, gli indovini, i cantastorie, le
canzoni oscene e gli spettacoli teatrali. Si radono i capelli,
convinti del detto dell’Apostolo, che è una vergogna per l’uomo
curarsi la chioma. Mai leziosi, di rado lavati, si presentano
piuttosto con i capelli trasandati o ispidi, sporchi di polvere,
la pelle scura dall’uso della corazza e dai raggi del sole.
8. Poi quando scocca l’ora della battaglia, i cavalieri (di
Cristo) si armano interiormente con la fede, e all’esterno non di
oro ma di ferro, affinché, corazzati e non imbellettati, incutano
terrore ai nemici, piuttosto che provocarne l’avidità. Vogliono
cavalli gagliardi e veloci, non di colori sgargianti e di
doviziosi finimenti: poiché pensano alla battaglia e non alla
parata, alla vittoria e non alla gloria, impegnati più a incutere
paura che meraviglia. Pertanto si ordinano e si schierano in
battaglia senza furore o impetuosità, come per precipitosa
leggerezza, ma con guardinga prudenza e con ogni precauzione e
previdenza, così come si narra facessero i nostri padri. Come
autentici Israeliti affrontano tranquilli il combattimento. Ma
quando si giunge allo scontro, e solo allora, viene abbandonata
ogni tranquillità, come se dicessero: «Non debbo forse odiare
colui che ti odia, o Signore, e detestare i tuoi nemici?». A quel
punto si scagliano contro gli avversari, considerando i nemici
come pecore e mai, anche se sono un gruppo sparuto, lasciandosi
impaurire dalla loro crudele barbarie né dal loro numero
soverchiante. Hanno infatti imparato non a presumere delle loro
forze, quanto a sperare la vittoria nella potenza del Signore
degli eserciti, giacché pensano che a lui, secondo quanto è
scritto nel libro dei Maccabei, «sia facile mettere i molti nelle
mani dei pochi; e che al Dio del cielo è indifferente salvarci con
molti o con pochi, poiché la vittoria non consiste nel numero dei
soldati, ma nella forza che discende dal cielo». E ciò essi di
frequente hanno sperimentato e spesso uno di loro ne ha inseguito
mille e due ne hanno messo in fuga diecimila. È, pertanto, cosa
degna di ammirazione e oltremodo singolare vedere come essi siano
più miti degli agnelli e, nel contempo, più feroci dei leoni, sì
che quasi dubito se sarà meglio chiamarli monaci oppure soldati, a
meno che non sia forse opportuno chiamarli in entrambi i modi, in
quanto ad essi non è carente né la mitezza del monaco né il
coraggio del guerriero. Di tutto ciò che cosa dirò, se non che
«questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia agli occhi
nostri»? Iddio si è trascelto tali servitori radunandoli dai
confini della terra tra i più forti d’Israele, per custodire
attentamente e con fedeltà il letto del vero Salomone, cioè il
Sepolcro, tutti provvisti di spada ed espertissimi nell’arte della
guerra.
Opere di san Bernardo, a cura di Ferruccio Gastaldelli, vol. I,
Milano 1984, Liber ad milites Templi. De laude novae militiae. Per
i cavalieri del Tempio. Elogio della nuova milizia, introduzione,
traduzione e note di Cosimo Damiano Fonseca, pp. 448-453.
Conferenza tenuta nella Certosa di Firenze, 8 giugno 2002
P. Goffredo Prof. Viti, O. Cist.
Docente di Storia Medievale e Moderna
Facoltà Teologica dell’Italia Centrale
Già Defensor Fidei della nostra Congregazione