Era per
Balducci
di
"fondamentale
importanza
il momento
della
teologia
della
Croce,
intesa non
come
legittimazione
ed
esaltazione
della
mortificazione
e della
sofferenza,
ma come
negazione
delle
potenze di
questo
mondo,
quindi
come
principio
contestativo
delle
potenze di
questo
mondo".
Egli qui
prende le
distanze
da quella
tradizione
ascetico-religiosa
che ha
sempre
fatto
della
Croce il
simbolo
della
rinunzia
al
cambiamento
del mondo
e della
mortificazione
stessa
dell'esistenza
terrena,
ridotta a
una mera
valle di
lacrime
irredimibile.
Il
discorso
della fede
non è
puramente
consolatorio,
la fede è
anche
consolazione,
ma non è
rassegnazione,
non lascia
il mondo
così forma
pericolosa
di
alienazione
quando
dissuade e
allontana
dall'impegno
di
cambiare
il mondo,
quando la
profezia
viene
assunta in
modo
consolatorio
e senza
vera
responsabilità
individuale.
La
"religione
alienante"
crede in
modo
consolatorio
all'avvento
finale del
Regno di
Dio,
accettando
acriticamente
le regole
del mondo
dato, ma
il Vangelo
parla
costantemente
contro di
essa. La
visione
provvidenzialistica
della
religione,
la
credenza
nel
Dio-Provvidenza,
confidando
in una
guida
divina che
volgerebbe
tutte le
cose al
meglio,
annullano
ogni reale
responsabilità
storica
umana e
senso
dell'autonomia
dell'azione
umana nel
mondo,
finiscono
col
legittimare
il "troppo
umano", il
potere e
l'ideologia
dominante,
non
riconoscono
l'imprescrutabilità
delle vie
divine,
1'alterità
irriducibile
di Dio
rispetto
alle
misure
umane, il
suo abisso
e
vertiginoso
enigma, la
sua
gratuita
rivelazione.
Gesù ha
portato la
propria
croce non
con
rassegnazione,
ma come
segno e
mezzo di
una
dedizione
totale per
la
salvezza
di tutte
le
creature.
Prendere
la Croce
vuol dire
scegliere
un
progetto
di vita
che ci
mette
contro
Erode,
contro
Caifa e
contro
Pilato,
dalla
parte dei
'poveri di
Dio', di
coloro che
non hanno,
per farsi
strada in
questo
mondo, né
la
ricchezza,
né la
cultura,
né il
potere. La
Croce non
è il
simbolo
della
coscienza
infelice,
è il
simbolo di
un
progetto
di
esistenza.
La fede,
che sembra
sempre
essere
smentita
dai fatti,
va spesa
innanzitutto
nel
confronto
storico-culturale
con le
potenze di
questo
mondo e
Gesù è la
manifestazione
della
potenza di
Dio contro
la potenza
di questo
mondo.
Da questo
punto di
vista i
veri
nemici
della
Croce non
sono i
cosiddetti
infedeli e
gli
avversari
del
cristianesimo,
ma sono
quei
cristiani
stessi che
nella loro
pratica di
vita si
discostano
di fatto
dalla
logica
della
croce. Il
Dio di
Gesù non
equivale a
un Dio
metafisico
necessario
cui
corrisponde
la
presunta
necessità
di
un'istituzione
ecclesiastica
perfettamente
inserita
nei
meccanismi
dell'ordine
giuridico
politico,
non si
rivela
nella
teologia
razionalistica,
nelle
"cinque
vie" di
Tommaso
d'Aquino,
ma nella
Croce di
Gesù, che
da noi
esige non
tanto uno
sforzo
teoretico,
una
pratica
conoscitiva,
ma una
partecipazione
intensa e
vitale
all'immenso
amore e
dolore del
mondo. Dio
quel Dio
che, come
dice il
prologo di
Giovanni,
"nessuno
ha mai
visto" (Gv
1,18) è
mistero
insondabile,
ma noi lo
abbiamo
strumentalizzato
e
banalizzato
in tutti i
modi
possibili,
con la
nostra
presunzione
razionalistica
e
calcolatrice.
I veri
"preamboli
della
fede" non
sono però
di tipo
intellettuale,
la vera
via
evangelica
è quella
della
"partecipazione
alla
tribolazione
degli
umili".
La
presunzione
dello
scientismo
e del
razionalismo
di tutti i
tipi di
razionalismo,
anche di
quello
teologico
appare a
Balducci
pure come
una
violazione
della
dignità
umana,
perché
essi,
risolvendo
il reale
nell'intellegibile,
consegnano
di fatto
all'insensatezza
e
all'irrazionalità
tutto ciò
che sfugge
alla presa
della loro
ratio
calcolante
strumentale
e che si
riferisce
alla
nostra
"umiltà
creaturale",
al "senso
della
precarietà
e
dell'esposizione
al mistero
che ci
contrassegna
nel nostro
profondo".
È più che
mai
salutare
un
atteggiamento
spirituale
che
abbandoni
ogni vano
orgoglio
intellettualistico.
Non
bisogna
confondere
la
sapienza
con la
cultura:
"Viviamo
con la
presunzione
interiore
di sapere.
Quest'orgoglio
uccide
direttamente
quell'umiltà,
quella
povertà di
spirito
che è
invocazione,
è
mendicità
costante
dinanzi al
mistero
che ci
circonda.
Domina nel
nostro
tempo,
riflesso
di certo
tipo di
civiltà
prometeica,
un
orgoglio
che lascia
sgomento
l'occhio
del
sapiente.
È la
presunzione
di
spiegare
tutto, ed
è anche
l'indifferenza
di fronte
agli
interrogativi
essenziali".
La
sapienza,
per
Balducci,
non è un
mero
accumulo
quantitativo
di
nozioni,
ma è un
conoscere
che è
anche
amore.
Conoscere
Gesù, il
vero Dio
non esige
una
conoscenza
di tipo
filosofico
/
scientifico,
ma
equivale a
conoscere
l'uomo ed
è una
conoscenza
che
s'identifica
con
l'amore,
in
particolare
con
l'amore
per i più
diversi e
lontani da
noi.
Occorre
un"'altra
sapienza"
rispetto
alla
sapienza
arida e
fredda dei
colti: la
"sapienza
della
Croce".
Più che
portatori
di una
spiegazione
del mondo,
i credenti
devono
essere
portatori
della fede
che
combatte e
supera le
ingiustizie
del mondo.
Posta
l'indissolubile
congiunzione
tra amore
e sapere,
tra i due
aspetti il
primato
spetta
all'amore:
"È più
importante
l'amore
che non il
sapere,
c'è più
conoscenza
nell'amore
anche se è
semplice,
ingenuo,
che nel
sapere".
|