Cari
fratelli e sorelle,
L’Anno Sacerdotale volge al termine;
perciò avevo cominciato nelle ultime catechesi a parlare sui
compiti essenziali del sacerdote, cioè: insegnare, santificare e
governare. Ho già tenuto due catechesi, una sul ministero della
santificazione, i Sacramenti soprattutto, e una su quello
dell’insegnamento. Quindi, mi rimane oggi di parlare sulla
missione del sacerdote di governare, di guidare, con l’autorità
di Cristo, non con la propria, la porzione del Popolo che Dio
gli ha affidato.
Come comprendere nella cultura
contemporanea una tale dimensione, che implica il concetto di
autorità e ha origine dal mandato stesso del Signore di pascere
il suo gregge? Che cos'è realmente, per noi cristiani,
l'autorità? Le esperienze culturali, politiche e storiche del
recente passato, soprattutto le dittature in Europa dell'Est e
dell'Ovest nel XX secolo, hanno reso l'uomo contemporaneo
sospettoso nei confronti di questo concetto. Un sospetto che,
non di rado, si traduce nel sostenere come necessario
l'abbandono di ogni autorità, che non venga esclusivamente dagli
uomini e sia ad essi sottoposta, da essi controllata. Ma proprio
lo sguardo sui regimi che, nel secolo scorso, seminarono terrore
e morte, ricorda con forza che l'autorità, in ogni ambito,
quando viene esercitata senza un riferimento al Trascendente, se
prescinde dall'Autorità suprema, che è Dio, finisce
inevitabilmente per volgersi contro l'uomo. E' importante allora
riconoscere che l'autorità umana non è mai un fine, ma sempre e
solo un mezzo e che, necessariamente ed in ogni epoca, il fine è
sempre la persona, creata da Dio con la propria intangibile
dignità e chiamata a relazionarsi con il proprio Creatore, nel
cammino terreno dell'esistenza e nella vita eterna; è
un'autorità esercitata nella responsabilità davanti a Dio, al
Creatore. Un'autorità così intesa, che abbia come unico scopo
servire il vero bene delle persone ed essere trasparenza
dell'unico Sommo Bene che è Dio, non solo non è estranea agli
uomini, ma, al contrario, è un prezioso aiuto nel cammino verso
la piena realizzazione in Cristo, verso la salvezza.
La Chiesa è chiamata e si impegna ad
esercitare questo tipo di autorità che è servizio, e la esercita
non a titolo proprio, ma nel nome di Gesù Cristo, che dal Padre
ha ricevuto ogni potere in Cielo e sulla terra (cfr Mt
28,18). Attraverso i Pastori della Chiesa, infatti, Cristo pasce
il suo gregge: è Lui che lo guida, lo protegge, lo corregge,
perché lo ama profondamente. Ma il Signore Gesù, Pastore supremo
delle nostre anime, ha voluto che il Collegio Apostolico, oggi i
Vescovi, in comunione con il Successore di Pietro, e i
sacerdoti, loro più preziosi collaboratori, partecipassero a
questa sua missione di prendersi cura del Popolo di Dio, di
essere educatori nella fede, orientando, animando e sostenendo
la comunità cristiana, o, come dice il Concilio, "curando,
soprattutto che i singoli fedeli siano guidati nello Spirito
Santo a vivere secondo il Vangelo la loro propria vocazione, a
praticare una carità sincera ed operosa e ad esercitare quella
libertà con cui Cristo ci ha liberati" (Presbyterorum
Ordinis, 6). Ogni Pastore, quindi, è il tramite attraverso
il quale Cristo stesso ama gli uomini: è mediante il nostro
ministero - cari sacerdoti - è attraverso di noi che il Signore
raggiunge le anime, le istruisce, le custodisce, le guida.
Sant'Agostino, nel suo Commento al Vangelo di san Giovanni,
dice: "Sia dunque impegno d'amore pascere il gregge del Signore"
(123,5); questa è la suprema norma di condotta dei ministri di
Dio, un amore incondizionato, come quello del Buon Pastore,
pieno di gioia, aperto a tutti, attento ai vicini e premuroso
verso i lontani (cfr S. Agostino, Discorso 340, 1;
Discorso 46, 15), delicato verso i più deboli, i piccoli, i
semplici, i peccatori, per manifestare l'infinita misericordia
di Dio con le parole rassicuranti della speranza (cfr Id.,
Lettera 95, 1).
Se tale compito pastorale è fondato
sul Sacramento, tuttavia la sua efficacia non è indipendente
dall'esistenza personale del presbitero. Per essere Pastore
secondo il cuore di Dio (cfr Ger 3,15) occorre un
profondo radicamento nella viva amicizia con Cristo, non solo
dell'intelligenza, ma anche della libertà e della volontà, una
chiara coscienza dell'identità ricevuta nell'Ordinazione
Sacerdotale, una disponibilità incondizionata a condurre il
gregge affidato là dove il Signore vuole e non nella direzione
che, apparentemente, sembra più conveniente o più facile. Ciò
richiede, anzitutto, la continua e progressiva disponibilità a
lasciare che Cristo stesso governi l'esistenza sacerdotale dei
presbiteri. Infatti, nessuno è realmente capace di pascere il
gregge di Cristo, se non vive una profonda e reale obbedienza a
Cristo e alla Chiesa, e la stessa docilità del Popolo ai suoi
sacerdoti dipende dalla docilità dei sacerdoti verso Cristo; per
questo alla base del ministero pastorale c'è sempre l'incontro
personale e costante con il Signore, la conoscenza profonda di
Lui, il conformare la propria volontà alla volontà di Cristo.
Negli ultimi decenni, si è
utilizzato spesso l'aggettivo "pastorale" quasi in opposizione
al concetto di "gerarchico", così come, nella medesima
contrapposizione, è stata interpretata anche l'idea di
"comunione". E' forse questo il punto dove può essere utile una
breve osservazione sulla parola "gerarchia", che è la
designazione tradizionale della struttura di autorità
sacramentale nella Chiesa, ordinata secondo i tre livelli del
Sacramento dell'Ordine: episcopato, presbiterato, diaconato.
Nell'opinione pubblica prevale, per questa realtà "gerarchia",
l'elemento di subordinazione e l'elemento giuridico; perciò a
molti l'idea di gerarchia appare in contrasto con la
flessibilità e la vitalità del senso pastorale e anche contraria
all'umiltà del Vangelo. Ma questo è un male inteso senso della
gerarchia, storicamente anche causato da abusi di autorità e da
carrierismo, che sono appunto abusi e non derivano dall'essere
stesso della realtà "gerarchia". L'opinione comune è che
"gerarchia" sia sempre qualcosa di legato al dominio e così non
corrispondente al vero senso della Chiesa, dell'unità nell'amore
di Cristo. Ma, come ho detto, questa è un'interpretazione
sbagliata, che ha origine in abusi della storia, ma non risponde
al vero significato di quello che è la gerarchia. Cominciamo con
la parola. Generalmente, si dice che il significato della parola
gerarchia sarebbe "sacro dominio", ma il vero significato non è
questo, è "sacra origine", cioè: questa autorità non viene
dall'uomo stesso, ma ha origine nel sacro, nel Sacramento;
sottomette quindi la persona alla vocazione, al mistero di
Cristo; fa del singolo un servitore di Cristo e solo in quanto
servo di Cristo questi può governare, guidare per Cristo e con
Cristo. Perciò chi entra nel sacro Ordine del Sacramento, la
"gerarchia", non è un autocrate, ma entra in un legame nuovo di
obbedienza a Cristo: è legato a Lui in comunione con gli altri
membri del sacro Ordine, del Sacerdozio. E anche il Papa - punto
di riferimento di tutti gli altri Pastori e della comunione
della Chiesa - non può fare quello che vuole; al contrario, il
Papa è custode dell'obbedienza a Cristo, alla sua parola
riassunta nella "regula fidei", nel Credo della Chiesa,
e deve precedere nell'obbedienza a Cristo e alla sua Chiesa.
Gerarchia implica quindi un triplice legame: quello,
innanzitutto, con Cristo e l'ordine dato dal Signore alla sua
Chiesa; poi il legame con gli altri Pastori nell'unica comunione
della Chiesa; e, infine, il legame con i fedeli affidati al
singolo, nell'ordine della Chiesa.
Quindi, si capisce che comunione e
gerarchia non sono contrarie l'una all'altra, ma si
condizionano. Sono insieme una cosa sola (comunione gerarchica).
Il Pastore è quindi tale proprio guidando e custodendo il
gregge, e talora impedendo che esso si disperda. Al di fuori di
una visione chiaramente ed esplicitamente soprannaturale, non è
comprensibile il compito di governare proprio dei sacerdoti.
Esso, invece, sostenuto dal vero amore per la salvezza di
ciascun fedele, è particolarmente prezioso e necessario anche
nel nostro tempo. Se il fine è portare l'annuncio di Cristo e
condurre gli uomini all'incontro salvifico con Lui perché
abbiano la vita, il compito di guidare si configura come un
servizio vissuto in una donazione totale per l'edificazione del
gregge nella verità e nella santità, spesso andando
controcorrente e ricordando che chi è il più grande si deve fare
come il più piccolo, e colui che governa, come colui che serve
(cfr Lumen gentium, 27).
Dove può attingere oggi un sacerdote
la forza per tale esercizio del proprio ministero, nella piena
fedeltà a Cristo e alla Chiesa, con una dedizione totale al
gregge? La risposta è una sola: in Cristo Signore. Il modo di
governare di Gesù non è quello del dominio, ma è l'umile ed
amoroso servizio della Lavanda dei piedi, e la regalità di
Cristo sull'universo non è un trionfo terreno, ma trova il suo
culmine sul legno della Croce, che diventa giudizio per il mondo
e punto di riferimento per l'esercizio dell'autorità che sia
vera espressione della carità pastorale. I santi, e tra essi san
Giovanni Maria Vianney, hanno esercitato con amore e dedizione
il compito di curare la porzione del Popolo di Dio loro
affidata, mostrando anche di essere uomini forti e determinati,
con l'unico obiettivo di promuovere il vero bene delle anime,
capaci di pagare di persona, fino al martirio, per rimanere
fedeli alla verità e alla giustizia del Vangelo.
Cari sacerdoti, «pascete il gregge
di Dio che vi è affidato, sorvegliandolo non per forza ma
volentieri [...], facendovi modelli del gregge» (1Pt
5,2). Dunque, non abbiate paura di guidare a Cristo ciascuno dei
fratelli che Egli vi ha affidati, sicuri che ogni parola ed ogni
atteggiamento, se discendono dall'obbedienza alla volontà di
Dio, porteranno frutto; sappiate vivere apprezzando i pregi e
riconoscendo i limiti della cultura in cui siamo inseriti, con
la ferma certezza che l'annuncio del Vangelo è il maggiore
servizio che si può fare all'uomo. Non c'è, infatti, bene più
grande, in questa vita terrena, che condurre gli uomini a Dio,
risvegliare la fede, sollevare l'uomo dall'inerzia e dalla
disperazione, dare la speranza che Dio è vicino e guida la
storia personale e del mondo: questo, in definitiva, è il senso
profondo ed ultimo del compito di governare che il Signore ci ha
affidato. Si tratta di formare Cristo nei credenti, attraverso
quel processo di santificazione che è conversione dei criteri,
della scala di valori, degli atteggiamenti, per lasciare che
Cristo viva in ogni fedele. San Paolo così riassume la sua
azione pastorale: "figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel
dolore finché Cristo non sia formato in voi" (Gal
4,19).
Cari fratelli e sorelle, vorrei
invitarvi a pregare per me, Successore di Pietro, che ho uno
specifico compito nel governare la Chiesa di Cristo, come pure
per tutti i vostri Vescovi e sacerdoti. Pregate perché sappiamo
prenderci cura di tutte le pecore, anche quelle smarrite, del
gregge a noi affidato. A voi, cari sacerdoti, rivolgo il
cordiale invito alle Celebrazioni conclusive dell'Anno
Sacerdotale, il prossimo 9, 10 e 11 giugno, qui a Roma:
mediteremo sulla conversione e sulla missione, sul dono dello
Spirito Santo e sul rapporto con Maria Santissima, e rinnoveremo
le nostre promesse sacerdotali, sostenuti da tutto il Popolo di
Dio. Grazie!
© Bollettino Santa Sede - 26 maggio 2010